Prospettive assistenziali, n. 57, gennaio - marzo 1982

 

 

Notiziario dell'Unione per la lotta contro l'e­marginazione sociale

 

 

L'INSERIMENTO AL LAVORO DEGLI HANDI­CAPPATI: UN CASO ESEMPLARE

 

1. Da tempo si parla di inserimento di handi­cappati in attività lavorative: vi sono studi, ela­borazioni teoriche, convegni, esperimenti pilota. I lettori di questa rivista sono ben al corrente delle nuove prospettive che si stanno aprendo e nello stesso tempo delle grandi difficoltà che si incontrano dovunque.

Questa nota non vuole, né può, fornire alcun nuova contributo tecnico sull'argomento: è solo una testimonianza di un «caso» che, sia pur nei suoi limiti, riteniamo possa avere molte analogie con altre situazioni e possa quindi portare a ri­flessioni di ordine più generale.

2. Piemonte, Unità Locale n. 40: Ivrea ed il suo territorio, una cittadina tranquilla ed attiva alle porte della Val d'Aosta e più di 50 piccoli e pic­colissimi comuni sparpagliati ai piedi delle Alpi nord-occidentali. In questa zona da anni avven­gono fatti contraddittori nel campo dell'assi­stenza.

Da un lato una certa fioritura di iniziative spontanee di tipo innovativo: comunità alloggio, cen­tri di rieducazione motoria, cooperative di lavoro per handicappati, e così via; dall'altro lato una azione degli enti locali talvolta volenterosa ma scoordinata, con confusione di competenze e responsabilità.

Un notevole passo avanti nella sensibilizzazio­ne dei Comuni e della gente in generale è stato fatto: tutti, o quasi, sono ormai d'accordo sui concetti di deistituzionalizzazione, di azione di base sul territorio, di abolizione delle categorie dei «diversi». Almeno verbalmente.

Da anni è stata chiusa l'unica scuola speciale esistente e la grande maggioranza dei bambini con handicap non molto gravi sono inseriti nelle scuole dell'obbligo. Con molte difficoltà, con di­rettive non eccessivamente limpide, ad essere sinceri: ma i bambini rifiutati e nascosti in casa sono ormai pochissimi.

Ma cosa succede dopo i quattordici anni? Esat­tamente quanto capita in quasi tutta Italia, parti­colarmente per gli handicappati psichici.

Di lavoro ce n'è poco per tutti, si dice, figurarsi per un handicappato! La grande Olivetti, industria egemone del territorio, non assume un operaio da dieci anni, gli Enti locali hanno gli organici bloccati per legge, gli artigiani hanno bisogno di gente valida.

C'è qualche tentativo di azione congiunta tra operatori sociali, Comuni, associazioni di imprenditori e sindacati: ma non si va al di là di pochi incontri informali.

La neonata Unità sanitaria locale è oberata dai problemi sanitari: l'ospedale, le ex-mutue, la guardia medica, e così via.

L'unica azione concreta é la nascita di un «Centro socio-formativo» con operatori prove­nienti dagli ex-servizi provinciali di igiene menta­le sul territorio e con l'aiuto finanziario dei fondi regionali CEE: una decina di ragazzi handicap­pai psichici dovrebbero transitarvi per un perio­do determinato come preparazione ed avvia­mento ad una successiva attività lavorativa.

Ma quali lavori si riescono in concreto ad indi­viduare?

Pochi, e spesso precari; quasi sempre per co­noscenze personali degli operatori o di qualche assessore di buona volontà.

3. Una delle pochissime ragazze handicappate che nello scorso autunno stavano tentando una esperienza lavorativa si chiama L.V.

Ha 21 anni, e da poco ha iniziato un'attività di aiutante in un asilo nido in un quartiere periferi­co di Ivrea.

Chi era al corrente dell'esperienza di Laura (la chiameremo così, anche se non è il suo nome)?

Probabilmente gli operatori del centro socio-­formativo, il personale dell'asilo nido e pochi altri.

Certo non si era fatto nulla per sensibilizzare su questi problemi i genitori dei bambini dell'asilo e, più in generale, il quartiere.

Martedì 3 novembre 1981, improvvisamente, su «La Stampa» di Torino un titolo a cinque colon­ne: «Madre contesta l'educatrice handicappata e l'assessore la licenzia in tronco dall'asilo nido».

Qualche brano dell'articolo:

«... Da pochi giorni Laura è stata "licenziata" da quello che ormai sperava fosse un definitivo inserimento nel mondo del lavoro. Le avevano trovato un posto presso l'asilo nido proprio sotto casa, avrebbe dovuto svolgere svariati lavoretti ma quello che a Laura piaceva di più era stare coi bambini. Qualche madre si è "scandalizzata" osservando quella ragazza che si muove un po' goffamente giocando con i propri figli; ha prote­stato e l'assessore agli interventi sociali del Comune di Ivrea ha deciso il suo allontanamen­to (...). Quando l'inserimento appare oramai consolidato arriva la "mazzata". La madre di uno dei bimbi dell'asilo, saputo che tra il personale vi è una ragazza handicappata, protesta e trasci­na altri genitori a lamentarsi presso la direzione dell'asilo. S'innesta una reazione a catena: la direttrice, costretta a fare una relazione all'as­sessore agli interventi sociali, Salvatore Butera, segnala che il tirocinio espletato da Laura è stato positivo e invita l'assessore a voler confer­mare la ragazza al proprio posto. L'assessore tuttavia non tiene conto delle segnalazioni posi­tive della direttrice e con una scarna e agghiac­ciante lettera inviata al Centro socio-formativo dichiara l'esperimento di Laura fallito e ordina la cessazione del rapporto di lavoro E "qualsiasi altra forma presente o futura di simili iniziative". A nulla valgono i tentativi dei famigliari e dell'e­ducatore del Centro socio-formativo per chiarire la situazione».

L'articolo suscita animazione, i commenti di­lagano: improvvisamente l'inserimento al lavoro degli handicappati diventa un argomento impor­tante per tanti, se non altro perché la cronaca su un quotidiano ha un suo effetto e perché un as­sessore ha preso una cantonata.

Il giorno successivo, secondo articolo sullo stes­so quotidiano: «Un comitato di quartiere lo chie­de al Comune. Ritornerà presto al lavoro la ragazza handicappata? La direttrice dell'asilo nido afferma di aver dato giudizio positivo sulla ragazza. L'assessore Butera è invece di parere opposto».

Il fatto, come si è appreso successivamente, era già accaduto da qualche settimana, senza che alcuno ritenesse opportuno pubblicizzarlo (dove erano gli operatori?)

La notizia sul giornale accende polemiche e provoca le prime reazioni.

Ancora il giorno successivo, sempre su «La Stampa»: «La giunta dice: "È stata allontanata per il suo bene (...). Il comunicato ammette che in più incontri tra la coordinatrice del Centro so­cio-formativo e il personale dell'asilo nido di (...) era emersa la positività dell'esperimento. Pur­troppo a fianco di queste valutazioni positive emergeva in alcuni genitori un atteggiamento di diffidenza e incomprensione "per cui la giunta, dopo un attento esame della situazione, conveniva di evitare al soggetto in questione eventuali traumi derivanti dalla contestazione della sua introduzione nell'ambito dell'asilo" ». Fin qui i giornali a livello nazionale, quelli «importanti».

Continuano invece le polemiche a livello locale: tra giunta (sinistra) ed opposizione (DC) in Comune, sui due settimanali locali, alle radio e televisioni private della zona.

Si discute sempre su «quel» caso, ricordandosi eventualmente che è particolarmente grave per­ché accade durante l'anno dell'handicappato e dipingendo la triste situazione personale di chi è espulso dalla vita di tutti gli altri.

A questo punto le sezioni di Ivrea dell'AIAS e dell'ULCES invitano il Comune e il Presidente dell'Unità locale ad un pubblico dibattito su: «Handicappati ed inserimento: parole o fatti?».

Il 17 novembre, in una sala insolitamente af­follata, avviene l'incontro. Urbano e corretto, ma nella sostanza teso e rudemente sincero.

Sul caso della ragazza si chiede chiarezza ed individuazione precisa delle responsabilità. Più in generale, si amplia il discorso sulle prospetti­ve disastrose per gli handicappati che escono dalla scuola dell'obbligo, sulla latitanza degli Enti locali nella formulazione e nella gestione di una politica organica dell'assistenza, sulla man­canza di un'opera di sensibilizzazione diffusa nella popolazione.

Si arriva ad accusare l'Unità locale di non voler acquisire la gestione di una serie di servizi assi­stenziali alternativi, oggi privati, privilegiando il più prestigioso settore della sanità.

Ci sono discussioni vivaci tra il pubblico e la giunta, quasi si ritornasse agli anni in cui tutti credevano nella partecipazione e nel controllo dal basso.

Negli stessi giorni la Commissione di gestione degli asili nido (di cui è presidente lo stesso assessore che ha disposto l'allontanamento!) chiede la riammissione della ragazza al suo lavoro.

4. Qui termina la cronaca.

Poco tempo dopo Laura viene reinserita, sem­pre dal Comune di Ivrea, in un altro asilo nido, dove sta lavorando, a quanto sappiamo, con soddisfazione di tutti.

L'ULCES di Ivrea ha tratto alcune conclusioni da questo episodio, che ha sintetizzato in una let­tera aperta inviata all'Unità locale, al Comune e all'opinione pubblica.

Riportiamo qui alcuni brani che riteniamo ri­portino considerazioni valide per molte altre esperienze.

«Il recente episodio del tentativo di inserimento nell'asilo di ... e della successiva affrettata ed immediata chiusura dell'esperienza insegna alcune cose:

- questi problemi non possono essere sbrigati unicamente tra "addetti ai lavori";

- in mancanza di un progetto complessivo, la politica del giorno per giorno non paga;

- le reazioni della gente possono essere varie e contrastanti: senza una lunga opera di sen­sibilizzazione e di preparazione l'improvvisazio­ne fallisce;

- la partecipazione critica è fondamentale: se non si fosse mossa l'opinione pubblica, ben diffi­cilmente vi sarebbe stato un ripensamento e for­se la commissione di gestione asili nido non avrebbe richiesto la riammissione della ragazza. Ripetiamo ancora una volta il nostro punto di vista. Riteniamo indispensabili­

- programmi precisi di effettivo avviamento al lavoro, in accordo con le parti interessate, per gli handicappati in grado di giungervi;

- apertura di centri socio-terapeutici diurni per gli handicappati più gravi, in tutto il territorio della USL;

- costituzione di reparti diurni per gravissimi, con servizio di trasporto;

- creazione - nell'ambito della USL 40 - di una struttura organizzativa che si occupi specifi­catamente dei problemi socio-assistenziali (...).

Il Presidente dell'USL ha sottolineato che il ruolo del volontariato è molto importante. Di questo problema si parla da anni:

- noi crediamo sia necessario promuovere azio­ni di massa per stimolare questo atteggiamento tra i cittadini;

- già ora dovrebbero però essere sfruttate - nell'ambito del servizio pubblico - quelle di­sponibilità di gruppi o di singoli che sono pre­senti sul territorio.

Si è accennato ripetutamente ad un grosso problema di motivazione e disponibilità degli ope­ratori. Noi riteniamo che siano indispensabili e indilazionabili attività di formazione e riconver­sione, ma soprattutto ci pare assolutamente prioritaria la definizione precisa degli obiettivi e delle direttive di lavoro. È anche necessario predisporre adeguati strumenti di controllo.

I cittadini interessati, non ci stancheremo di ripe­terlo, hanno una voce molto debole, purtroppo. Non hanno alcuna importante leva di pressione. Possono però creare un movimento di solida­rietà intorno a loro: qualcosa forse incomincia a muoversi, e la cronaca recente lo ha dimostrato. Noi ci muoviamo perché questo interesse si allarghi, diventi importante, vi costringa ad azio­ni più consistenti ed incisive».

 

3 febbraio 1982

SEZIONE DI IVREA DELL'ULCES

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