Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981

 

 

UN ESEMPIO ANTICO E ATTUALE DI INTERVENTO PER GLI ANZIANI: GLI «OSPEDALETTI» DI VENEZIA

B. FINZI

 

 

Gli «Ospedaletti» sono la più antica istitu­zione per il ricovero di «vecchi poveri ed impo­tenti» o per vedove create dalla Repubblica ve­neta.

La loro piccola dimensione e il fatto di essere sparsi nel tessuto della città e frammisti alle case di civile abitazione (ospizi sparsi sono sta­ti detti nell'800, casette vengono attualmente de­nominati per togliere ogni allusione a strutture ospedaliere che non hanno) li rende quanto mai vicini al modello attuale «dell'appartamento protetto» che è il tipo di soluzione attualmente giudicato più adatto per gli anziani autosuffi­cienti.

La tradizione vuole che il primo di questi «Ospedaletti» risalisse all'epoca del Doge Pie­tro Orseolo primo e quindi ad un'epoca che sta fra l'anno 975 e il 978: si chiamava appunto Ospedaletto Orseolo e sarebbe l'edificio stile arabo-bizantino dipinto da Gentile Bellini vici­no al campanile di S. Marco nel famoso quadro «la processione in piazza S. Marco».

Questo edificio fu abbattuto nel 1591 per far posto alle «Procure Nuove» e trasferito nel luogo attiguo alla piazza che ancora oggi si chiama «Bacino Orseolo»: qui ancora esisteva nel 1878 quando fu alienato per costruire l'Al­bergo Cavalletto, tuttora esistente.

Questo Ospedaletto ospitava in origine «5 povere di buona nascita» alle quali veniva data una pensione mensile.

Se questo Ospedaletto Orseolo si perde un po' nella leggenda, sicure notizie si hanno invece di molti altri; dal 1268 in poi: è questa infat­ti la data di fondazione dell'Ospedaletto «Re­nier Zen» per 14 donne anziane che dovevano autogestirsi e che sorge tuttora e funziona ai Gesuiti, accanto a quello che era allora il palaz­zo della famiglia del Doge.

Seguirono il Morion (nel 1312) e altri sette dal 1316 al 1395.

Queste istituzioni portarono tutte il nome di Dogi o di famiglie patrizie, ai cui lasciti è do­vuta la loro fondazione (Vitale Michiel, Lucia Fo­scolo, Morosini, Contarini, Gradenico, Sagredo-­Diedo, Priuli, Badoer) ed avevano statuti molto precisi in specie per il tipo di persone che dove­vano accogliere: vedove di soldati periti nelle guerre contro i turchi al Renier Zen, vedove di soldati o di impiegati dello Stato alla «Ca' di Dio», vecchi marinai al Morosini ecc., fino a quello, un po' sciovinista se vogliamo; di Lodo­vico Priuli che nel 1571 lascia in testamento una casa per 12 vecchi maschi «ma di buona vita e senza fiolimuger, ma venetiani» perché «in modo alcuno non voglio dati - camera e duca­ti - a persona di paese alieno, abenché fus­sero stati anche 30 e più anni in Venetia».

È interessante constatare come queste istitu­zioni, in pratica appartamenti sparsi fra le case normali, siano sorti sempre per volontà di pri­vati cittadini e solo in un secondo tempo la Repubblica esercitasse su di essi un controllo attraverso i Procuratori (prima due, poi sei, poi nove) «de supra» e «de ultra», magistrati che avevano giurisdizione sulla Chiesa di S. Marco (de supra) al di qua (de citra) e al di là (de ul­tra) del Canal grande e che fin dal 1296 aveva­no fra le loro mansioni «la tutela dei pupilli e dei mentecatti nonché la sovraintendenza alla esecuzione dei testamenti, insieme con la sal­vezza e recupero delle eredità dei testatori de­funti (...) quindi divennero capi di quelle fami­glie che più non ne avevano ed esecutori delle eredità, e commissarie ad essi con testamento lasciate».

Alle persone ricoverate negli ospedaletti che venivano dette e talora vengono anche ora chia­mate «ospiziate» veniva anche erogata una somma per il loro sostentamento, che proveni­va dai capitali lasciati in eredità dai fondatori ed investiti nella zecca.

Quando questi fondi non erano sufficienti in­terveniva lo Stato: ad esempio la Ca' di Dio nel '700 era finanziata dai «diritti di gabella sull'olio».

Il numero di persone ricoverate in ciascun «Ospedaletto» non era mai molto grande, va­riava da 5 a 15 persone.

A turno venivano nominati un priore o una priora che avevano la responsabilità della ge­stione e ne rispondevano ai Procuratori e un por­tiere o una portiera che custodivano le chiavi e facevano osservare gli orari di apertura e di chiusura.

Un momento assai difficile fu quello della ca­duta della Repubblica (16 Maggio 1797) con la prima occupazione francese e il passaggio all'Austria in seguito al trattato di Campoformio (18 gennaio 1798).

Asportate molte opere d'arte di cui gli ospe­daletti erano ricchi, i Francesi si presero anche l'oro della zecca lasciando in cambio dei pezzi di carta (certificati di iscrizione sul Monte Na­poleone).

Ci rimane di quell'epoca (17 Dicembre 1798) una petizione della nobile deputazione dell'Am­ministrazione delle Commissarie addette alle ex Procuratie alla Nobile Congregazione Delegata (che era costituita dall'insieme dei patrizi pos­sessori cui era stato affidato il Governo prov­visorio della città).

Da questa petizione apprendiamo quali fosse­ro allora esistenti (ventuno in tutto), come con­tenessero in totale 240 persone e quali somme annue venissero ad esse distribuite.

Con il brusco cessare «dei proventi sopra i capitali investiti nella pubblica zecca mancò il totale suffraggio, che veniva loro sommini­strato».

Non sappiamo quale effetto abbia avuto que­sta supplica; fortunatamente in seguito rico­minciarono ad affluire numerosi lasciti che per­misero la sopravvivenza di gran parte di que­ste Istituzioni.

Nel 1807 (Vice Re Eugenio Napoleone) viene fondata la Congregazione di Carità di Venezia. Nel 1937 l'E.C.A. ne sarà l'erede e nel 1939 vengono decentrate dall'E.C.A. tutte le Istituzio­ni di Ricovero e di Educazione e si crea l'I.R.E. (Amministrazione delle Istituzioni e di Educa­zione decentrate dall'E.C.A.).

Attualmente, soppressi gli E.C.A., anche la I.R.E. è stato dichiarato ente inutile ma sussi­ste ancora e le sue competenze passeranno suc­cessivamente al Comune.

Nel secolo scorso e nell'attuale alcuni di que­sti ospedaletti, cadenti e insalubri, vennero chiusi e gli ospiziati vennero trasferiti in nuove costruzioni, di solito molto più grandi, come ad esempio il pensionato S. Giobbe dove furono concentrati gli ex ospizi Orseolo, Alecti, Bandi e De Matteo assieme ad un pensionato creato ex novo, per un totale di 104 persone.

Questa tendenza a concentrare ha snaturato il carattere originale degli ospedaletti che era pro­prio quello di mantenere nuclei di poche perso­ne, che si conoscevano e si aiutavano fra loro, il più vicino possibile ai luoghi dove avevano precedentemente vissuto.

L'attuale Direttore Dott. Dino Manzelli sta cercando di combattere questa tendenza, divi­dendo nuovamente, almeno dal punto di vista della gestione, i vari ospedaletti che erano stati fusi e cercando di applicare nuovi regolamenti, derivanti dagli antichi statuti, ma democratica­mente discussi, modernizzati e accettati dalle assemblee degli ospiti, che continuano ad eleg­gersi i loro priori.

La Ca' di Dio, in origine ospizio per i pellegri­ni che si recavano in Terra Santa, fondata nel 1272 da Maggio Trevisan, pellicciaio, con l'appro­vazione del Senato, divenne dopo il 1380, per decreto del Maggior Consiglio, Ricovero per «Donne nobili o cittadine originarie cadute in povertà».

Si tratta di un edificio situato in uno dei più bei tratti della Riva degli Schiavoni che da essa appunto prende il nome (Riva della Ca' di Dio) inserito nel vivo tessuto sociale della città, nel sestiere di Castello, uno dei più popolari.

È stata completamente restaurata negli anni 1973-'74 ed ha attualmente 100 posti letto, distri­buiti in 92 camere, di cui 9 a due letti.

Vi sono ammessi anziani autosufficienti e la sua struttura attuale è quella di un albergo per anziani, in cui però gli ospiti - se lo vogliono - possono portare i loro mobili.

In questo, come in tutti gli altri «ospedaletti» vi è una netta prevalenza femminile.

Oltre gli ospiti fissi vi sono anziani che vi soggiornano per brevi periodi, dopo ricoveri ospedalieri a scopo di convalescenza o per cir­costanze particolari per cui non possono essere accuditi in famiglia.

La casa, oltre al Direttore e al Segretario, di­spone di un personale di 30 persone, tra cui due infermieri professionali.

Non vi è invece un medico fisso, ma la mag­gior parte degli ospiti al momento di scegliere il medico si sono indirizzati verso un giovane ge­riatra, medico di base che abita nei pressi, ma che è anche collegato all'Ospedale geriatrico Giustinian che frequenta come volontario: in tal modo si è stabilito anche un rapporto di consu­lenza da parte della seconda divisione Geriatri­ca dell'Ospedale Giustinian, cui gli ospiti della Ca' di Dio fanno capo quando hanno bisogno di ricovero ospedaliero.

Dal Direttore della Ca' di Dio dipendono at­tualmente anche gli «ospedaletti» attualmente in numero di 11, per un totale di 247 ospiti.

Sono tutti telefonicamente collegati ad un cen­tralino che risponde 24 ore su 24 e invia, dove occorre un infermiere e/o il medico.

Non vi sono orari vincolanti per gli ospiti, tran­ne quello dei pasti.

Vengono organizzate varie attività culturali e ricreative (mostre, concerti, conferenze) aper­te anche agli ospiti degli «ospedaletti».

Anche in questi d'altra parte vige un sistema assembleare dove sono state discusse alcune modifiche ai singoli regolamenti che il priore porta poi all'Amministrazione centrale e vari problemi interessanti i singoli Istituti.

L'elezione del «priore» o della priora è diret­ta e segreta.

In tutti gli «ospedaletti» vi è una tendenza ad aiutarsi reciprocamente.

La cucina in alcuni è centrale, in altri singola, le lavanderie, quasi sempre comuni, vengono at­tualmente dotate di moderne lavatrici.

L'ultimo «ospedaletto» dell'I.R.E. è stato inaugurato nel 1978, ma pochi giorni fa il Comu­ne ne ha inaugurati due appena restaurati a Mu­rano e l'I.R.E. dispone di parecchi appartamenti in città cui tende a dare, di mano in mano, se rie­sce a liberarli, struttura analoga.

Questa soluzione di pochi nuclei di anziani au­tosufficienti, certamente preferibile alle grandi concentrazioni in case di riposo assai più sper­sonalizzanti è molto accetta agli anziani, proba­bilmente anche perché legata ad antiche tradi­zioni in una città il cui tessuto è particolarmente adatto all'incontro e ai rapporti con i vicini.

Il grande numero di domande di ammissione sempre giacenti presso la Amministrazione I.R.E. ne è una riprova.

Ho ritenuto opportuno sottolineare questo antico e attuale esempio di partecipazione co­me la via migliore da seguire per non ghettizza­re gli anziani anche quando non sia più possibi­le mantenerli in famiglia.

 

 

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