Prospettive assistenziali, n. 48, ottobre - dicembre 1979

 

 

Editoriale

 

INACCETTABILE L'ATTUALE RIORGANIZZAZIONE DEL SETTORE ASSISTENZIALE

 

 

Numerose e positive sono state le conquiste avvenute a partire dal 1967 (anno di promulgazio­ne della legge sulla adozione speciale) nella lotta contro l'esclusione e la emarginazione sociale.

Artefici di queste conquiste (lotta contro la segregazione nei manicomi e negli istituti di assi­stenza, inserimento degli handicappati nella scuo­la e nel lavoro, istituzione delle pensioni sociali, ecc.) sono stati - com'è noto - il movimento di base, il sindacato e l'appoggio dei partiti di sinistra.

 

Situazione attuale

Attualmente, a causa della caduta della parte­cipazione e del cambiamento di posizione dei par­titi di sinistra, si sta procedendo, partendo dalle Regioni economicamente più sviluppate, ad una inaccettabile riorganizzazione del settore assi­stenziale, mediante il graduale cambiamento del­la utenza degli istituti di ricovero.

Si passa dagli anziani autosufficienti ai cronici, dai minori normali agli handicappati psichici gra­vi, dai disadattati alle persone con profondi di­sturbi psichiatrici.

Si tratta di persone che non hanno alcuna pos­sibilità di protestare.

I posti letto per i suddetti ricoveri possono ammontare a 200.000, ma la cifra può salire anche in misura notevole in considerazione del fatto che la definizione tecnica di cronicità e di gravità è molto elastica.

A questi assistiti si devono poi aggiungere i minori per i quali l'autorità giudiziaria, con ampia discrezionalità, dispone provvedimenti civili di ricovero, gli anziani parzialmente o totalmente autosufficienti, i ragazzi con famiglie in difficoltà, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali (spastici, subnormali, distrofici, ciechi, sordi, ecc.): gli isti­tuti privati non intendono certo rinunciare spon­taneamente a percepire anche queste rette.

D'altra parte le organizzazioni private, che trag­gono spesso guadagni anche notevoli dalla ge­stione dei ricoveri, si sono accorte, specie in que­sti ultimi anni, che gli enti pubblici non battono ciglio di fronte alle richieste di aumento delle rette. Si è arrivati a oltre 40.000 lire al giorno per gli handicappati psichici gravi (convenzione Pro­vincia di Torino - Arciconfraternita dello Spirito Santo).

In tal modo le organizzazioni private possono dotarsi di psicologi, psichiatri, geriatri, assistenti sociali, ecc., magari assunti per poche ore setti­manali, per avere le spalle coperte sul piano tecnico.

Dunque nessuna contestazione dall'interno e apprestamento delle opportune difese contro i possibili attacchi esterni.

I parenti dei ricoverati, poi, sono in genere ben contenti di trovare una qualsiasi soluzione, stan­te anche l'impossibilità di compiere scelte diver­se a causa della perdurante mancanza di servizi alternativi.

 

Leggi emarginanti dell'Emilia-Romagna e del Veneto

Per quanto riguarda gli anziani non autosuffi­cienti, occorre rilevare che il fabbisogno di posti letto previsto per gli istituti di ricovero assisten­ziale (istituti denominati «case protette») è in­dividuato nel 2,3-2,5 per mille sul totale della popolazione. Si vedano in proposito il «Progetto anziani» della Regione Piemonte e le «Linee di indirizzo per la programmazione e la gestione dei servizi degli interventi di assistenza sociale» del Dipartimento sicurezza sociale della Regione Emilia-Romagna.

Stabilire una percentuale del 2,3 - 2,5 per mil­le, significa prevedere per l'intero territorio na­zionale da 131.000 a 142.000 posti letto.

Queste cifre non solo sono enormi, ma addirit­tura risultano superiori al numero degli anziani attualmente ricoverati in istituto, la maggior parte dei quali peraltro è costituita da autosufficienti.

Dunque la previsione è di una massiccia espul­sione degli anziani dagli ospedali, anche quando non è terminato il periodo di cura.

È scritto infatti nelle già citale «Linee di indi­rizzo» che «Il piano sanitario (dell'Emilia-Roma­gna) prevede per ogni ULS la presenza di posti letto "geriatrici", attribuendo a questa funzione ospedaliera compiti esclusivi di trattamento sani­tario nelle fasi acute di malattia ed escludendo la possibilità di un qualsiasi utilizzo dei reparti geriatrici per il ricovero dei cosiddetti lungode­genti».

Pertanto, anche nei casi in cui permanga un bisogno di ricovero sanitario non praticabile a domicilio o in ambulatorio, gli anziani malati ver­ranno estromessi dagli ospedali.

In attuazione di quanto sopra, la legge dell'Emi­lia-Romagna 1° settembre 1979 n. 30 «Interventi promozionali per la realizzazione e il potenzia­mento di servizi di assistenza sociale a favore delle persone anziane» prevede lo stanziamento ai Comuni singoli o associati ed agli enti pubblici e privati di assistenza di 2 miliardi e mezzo per il 1980 e di 2 miliardi per il 1981 per «contributi in conto capitale per la trasformazione in case protette delle case di riposo o per la istituzione di case protette». Precisa l'art. 5: «la casa pro­tetta è un servizio volto a fornire residenza e ade­guata assistenza a persone anziane, in partico­lare a quelle in stato di non autosufficienza fisica o psichica, per le quali non sia possibile la per­manenza nel proprio nucleo familiare o nel pro­prio alloggio. Agli ospiti della casa protetta de­vono essere garantite dai servizi sanitari territo­riali competenti le necessarie prestazioni sanita­rie medico-generiche e specialistiche. L'istituzio­ne di case protette dovrà essere realizzata priori­tariamente attraverso trasformazione di case di riposo, ovvero riadattamento di altre strutture esistenti nel territorio».

L'esclusione degli anziani dalle cure ospeda­liere, anche quando esse non possono essere for­nite a domicilio o ambulatorialmente, esclusione che viola nettamente i diritti sanciti dalle leggi vigenti, come è stato precisato nell'editoriale del n. 44 di Prospettive assistenziali, non è sostenuta solo da Regioni amministrate dalle sinistre come l'Emilia-Romagna e il Piemonte, ma anche - ov­viamente - da quelle a maggioranza di centro o di centro-sinistra.

La Regione Veneto, ad esempio, con la legge 21 giugno 1979, n. 45: «Interventi regionali per la realizzazione e il potenziamento dei servizi so­cio-assistenziali a favore delle persone anziane. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 9 giugno 1975, n. 72» ha disposto per il 1979 una serie di finanziamenti a istituzioni pubbliche e private di assistenza per favorire il ricovero in istituto di anziani:

- 2 miliardi per contributi giornalieri per il servizio di assistenza infermieristica e sanitaria a favore di persone anziane accolte in case di riposo;

- contributi in conto capitale fino a150% della spesa per la ristrutturazione, la sistemazione, l'ampliamento e il completamento di edifici desti­nati a case di riposo, fino ad un massimo per cia­scun intervento di 100 milioni. Detti contributi sono però riservati, fino alla misura massima del­1'80%, per la ristrutturazione, l'ampliamento e il completamento di strutture destinate a persone anziane non autosufficienti;

- contributi in conto capitale, fino al 50% del­la spesa e per un massimo di 20 milioni per cia­scun intervento, per l'acquisto di attrezzature e arredi, impianti termici e mezzi di trasporto;

- contributi in conto capitale per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di edifici da adibire a case albergo. La misura del contributo per ciascun intervento non può eccedere L. 200 milioni per case albergo fino a 100 posti (1).

 

Il piano sanitario nazionale e gli anziani

Le leggi dell'Emilia-Romagna e del Veneto e il progetto anziani della Regione Piemonte non sem­brano essere dei provvedimenti isolati. Tutto la­scia pensare che siano la concretizzazione di una intesa fra i maggiori partiti per una ristruttura­zione del settore assistenziale.

La quota più numerosa dei ricoverati è e sarà sempre più rappresentata dagli anziani. L'aumento è dovuto soprattutto al maggior in­vecchiamento della popolazione e alla ormai si­stematica posizione degli ospedali (Regioni e Co­muni consenzienti) che non ammettono gli anziani malati cronici o li dimettono, anche di forza, no­nostante che le leggi vigenti non lo consentano. Ma si sa, i deboli hanno sempre torto. L'esclusione degli anziani malati cronici o lun­godegenti dalle cure ospedaliere sembra essere confermata dalla proposta di piano sanitario na­zionale in cui, nel capitolo relativo al progetto obiettivo sulla tutela della salute delle persone anziane:

- si gonfia il dato relativo al numero delle per­sone anziane. È infatti assurdo affermare che sono anziane tutte le persone di età superiore ai 60 anni (2);

- si attribuisce agli anziani quasi una colpa per l'occupazione di circa il 40% del totale dei posti letto degli ospedali generali pubblici;

- si sottolinea, sempre nel piano sanitario nazionale, che tale situazione corrisponde a circa 3.609.000 ricoveri, a 170.000 posti letto occupati ed a 46.800.000 giornate di degenza;

- si propone una sostanziale deospedalizza­zione dei ricoveri degli anziani «in una misura non inferiore al 50% degli attuali ricoverati», quando risulta invece che si provvede alle dimis­sioni o alle non ammissioni dagli ospedali di an­ziani che hanno bisogno di cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio.

La programmazione dell'espulsione degli an­ziani dagli ospedali trova e troverà forse tutti d'accordo: i consigli di amministrazione oggi ed i comitati di gestione delle unità sanitarie locali domani, poiché ciò consente una riduzione delle spese; i medici, gli infermieri e gli inservienti che hanno così la possibilità di ridurre un ingrato carico di lavoro.

Resta il fatto che in tal modo tutto il settore sanitario avrà la convenienza economica ed ope­rativa di cronicizzare il più rapidamente possibile l'anziano per affrettarne le dimissioni e ridurre le spese.

 

Spese a carico

Vi è anche da osservare - e questo è un ele­mento di notevole importanza - che mentre le cure sanitarie sono gratuite per tutti i pensionati, il ricovero in istituti di assistenza è a carico del ricoverato e delle persone tenute agli alimenti, e cioè: coniuge, figli e discendenti, genitori, generi e nuore, suocero e suocera, fratelli e sorelle (art. 433 codice civile).

I Comuni intervengono, quando intervengono, solo per le somme che non possono essere ver­sate dalle persone di cui sopra.

Da notare che le rette degli istituti di assi­stenza arrivano fino a 25.000 lire al giorno.

 

Problema di fondo

Per quanto riguarda gli anziani definiti cronici o lungodegentí il problema principale da affron­tare è il seguente: nei casi in cui è necessario procedere al loro ricovero, l'intervento deve es­sere a carico del settore sanitario o di quello assistenziale?

Se gli anziani non sono considerati cittadini di serie B, allora dovrebbe essere evidente che tutte le volte che il ricovero è causato dalla mancanza di salute, gli interventi devono essere a carico del settore sanitario.

 

Riduzione dei ricoveri sanitari e assistenziali

È però evidente che tutto deve essere fatto per evitare sia i ricoveri sanitari che quelli assi­stenziali.

Per attuare quanto sopra sono necessari:

- una vera prevenzione sanitaria e sociale che elimini e riduca le cause di malattia, di esclusio­ne, di disadattamento;

- l'approntamento dei servizi diagnostici, cu­rativi e riabilitativi di territorio (servizi sanitari, compresi quelli di distretto, nei quali si introduca la pratica del lavoro di gruppo da parte di medici, infermieri e dell'altro personale sanitario e so­ciale; poliambulatori di unità locale che assorba­no anche le funzioni poliambulatoriali gestite at­tualmente dagli ospedali; servizi domiciliari, sani­tari o assistenziali integrati, ecc.);

- una nuova concezione delle esigenze delle persone fondata sul principio del diritto alla non emarginazione e sul diritto di tutti alla fruizione dei servizi sociali (sanità, casa, ecc.). In partico­lare è indispensabile che le persone ed i nuclei familiari godano di redditi sufficienti per vivere. Per gli anziani ciò significa che le pensioni de­vono essere adeguate. Occorre però tener conto che un aumento di 1000 lire al mese per le pen­sioni oggi insufficienti (almeno 8 milioni) com­porta una spesa annua di L. 104 miliardi. Di qui la necessità che i Comuni singoli o associati provvedano ad assicurare ai meno abbienti il mi­nimo vitale. È anche necessaria una revisione dell'impostazione dei servizi di assistenza domi­ciliare che molto spesso si sostituiscono assur­damente alla spontanea e più efficace solidarietà di vicini e di parenti;

- una riorganizzazione che superi l'attuale polverizzazione dei Comuni e che abbia come obiettivo la costituzione della Unità locale di tutti i servizi. Si veda al riguardo la proposta di legge regionale di iniziativa popolare presentata al Con­siglio regionale piemontese il 21 luglio 1978 (3);

- un riferimento costante all'autonoma parte­cipazione delle forze sindacali e sociali e dei cit­tadini.

 

Interventi per gli anziani cronici

Definito che gli anziani cronici devono fare capo al settore sanitario, resta da decidere in quali strutture, ospedaliere o paraospedaliere, essi devono essere ricoverati quando gli inter­venti non possono essere praticati a domicilio o in ambulatorio.

A questo riguardo si può sostenere che gli an­ziani cronici che richiedono cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio devono essere curati negli ospedali, ospedali che devono però essere concepiti e organizzati in modo molto diverso da quello attuale, tenendo conto cioè di tutte le esi­genze dell'utenza. In primo luogo l'organizzazione degli ospedali dovrà essere fondata sui diparti­menti. Particolarmente urgente è l'istituzione dei dipartimenti di accettazione e di emergenza con compiti anche di filtro al fine di evitare i ricoveri inutili.

Inoltre, fatte ovviamente salve le esigenze igie­niche, dovrà essere favorita la presenza respon­sabile e la collaborazione effettiva dei parenti, conoscenti o volontari.

In particolare si può ipotizzare il ricovero dei cronici nei dipartimenti di medicina generale, sen­za creare però strutture speciali.

In detti dipartimenti dovrebbe essere assicu­rata la necessaria consulenza geriatrica.

A tempi brevi si potrebbe ipotizzare, ferma re­stando la necessità di idonei interventi di riabi­litazione e di decronicizzazione degli anziani, la creazione di repartini paraospedalieri - uno per unità locale - in cui accogliere gli anziani cro­nici, Il personale sanitario dovrebbe essere for­nito dalle Unità sanitarie locali.

La retta a carico degli utenti e delle persone tenute agli alimenti dovrebbe essere quella pra­ticata per gli anziani autosufficienti. Infatti, es­sendo le maggiori cure e spese per i cronici cau­sate da una condizione di non salute, esse do­vrebbero essere a carico del servizio sanitario nazionale.

 

Crisi della partecipazione

La ristrutturazione in corso nel settore assi­stenziale, che è una bruciante sconfitta, è dovuta anche alla caduta della partecipazione, caduta che meriterebbe una analisi approfondita anche al fine di vedere se e come è possibile, tenendo conto dei condizionamenti e degli errori, una ri­presa del movimento di base.

Si ritiene che, fra l'altro, abbiano notevolmente inciso sulla caduta della partecipazione:

- l'ingabbiamento in organismi di cogestione (V. organi scolastici) e l'inserimento di molti mi­litanti di base in strutture preposte all'ammini­strazione;

- il cambiamento di posizione dei partiti di sinistra nei confronti dei movimenti di base dopo le elezioni del 1975;

- la scarsa consapevolezza da parte di molti movimenti di base del fatto che la lotta all'emar­ginazione richiede tempi molto lunghi (forse è addirittura un problema permanente) e la conse­guente mancata individuazione di obiettivi a bre­ve, medio e lungo termine e dei necessari stru­menti.

La caduta di partecipazione può avere conse­guenze deleterie anche nella attuazione della ri­forma sanitaria, consentendo alle forze conserva­trici e ai tecnici di riprendere il potere che in parte era stato loro sottratto con le lotte degli anni scorsi.

È inoltre opportuno sottolineare, ancora una volta, che partecipazione e volontariato sono co­se profondamente diverse.

 

Ruolo degli operatori sanitari e sociali

Per una reale riforma della sanità, dell'assisten­za e dei servizi sociali è determinante non solo la partecipazione delle forze sociali e dei citta­dini, ma anche la posizione che verrà assunta dai sindacati e dai lavoratori dei servizi.

A questo riguardo deve essere tenuto in con­siderazione il fatto che si stanno accentuando le posizioni corporative.

Una contrapposizione fra gli interessi dei lavo­ratori dei servizi e le esigenze dell'utenza sareb­be un aiuto notevole, al di là delle intenzioni, a tutte quelle forze - e sono molte - che si op­pongono al cambiamento.

È perciò indispensabile e urgente uno stretto collegamento fra i movimenti di base ed i sinda­cati dei lavoratori anche allo scopo di arrivare a piattaforme rivendicative comuni o almeno con­cordate.

Di particolare importanza è anche lo scambio sistematico di informazioni fra i movimenti di base ed i lavoratori dei servizi e soprattutto una ampia, tempestiva e comprensibile informazione alla popolazione da parte del sindacato.

 

Lettera dei ricoverati al Cottolengo

Un esempio significativo della drammatica si­tuazione degli anziani malati è la lettera apparsa sul giornale La Stampa del 21 agosto 1979 che riproduciamo integralmente: «Siamo un gruppo di vecchi e di handicappati del Cottolengo: ti pre­ghiamo di fare una campagna a favore dell'euta­nasia. Se l'iniziativa avrà successo ne deriverà una legge, come per l'aborto, che porterebbe tan­to sollievo a molti disperati.

Basterebbe che negli ospedali ci fosse un re­parto per accogliere queste persone che deside­rano morire, mettendo a disposizione le medicine che devono prendere e un letto per l'ultimo sonno.

Ti saremo molto riconoscenti se vorrai avere pietà di noi e di tanti che si trovano nelle nostre condizioni».

 

Conclusioni del Seminario di Jesolo

Dal 5 al 7 ottobre scorso si è tenuto a Jesolo un seminario di studio sul tema «Interventi sa­nitari e assistenziali per gli anziani autosufficien­ti e cronici nelle unità locali dei servizi» di cui riportiamo la relazione dei lavori del gruppo sui problemi sanitari che è stata adottata come do­cumento conclusivo del seminario: «La commis­sione per i problemi sanitari ritiene che si debba evitare la settorialità degli interventi a favore dei cittadini e perciò che l'Unità locale debba ge­stire, oltre agli interventi sociali e sanitari, tutti quei servizi che ad essi si riferiscono (politica della casa, cultura, tempo libero, urbanistica, ecc.), intendendo con ciò ampliare la concezione del servizio sociale, anche al fine di dare al cit­tadino un unico interlocutore capace di fornire una risposta globale ai propri bisogni.

L'Unità locale non deve configurarsi come una “municipalizzata" o un nuovo ente, bensì come l'espressione dei Comuni singoli o associati, che gestiscono unitariamente gli interventi, coeren­temente con una più vasta programmazione nella quale, alla chiarezza ed unità degli obiettivi, deve corrispondere la possibilità di sperimentazioni differenziate.

La partecipazione, intesa come confronto e controllo democratico, si estrinseca anche me­diante la discussione e il contributo delle espe­rienze delle forze democratiche di base, che ser­vono all'elaborazione di ulteriori obiettivi pro­grammatici.

Le iniziative per la difesa della salute dell'an­ziano debbono essere globali e rispettose della sua personalità e delle sue scelte. Allo scopo di superare le esistenti istituzioni ghettizzanti ed invalidanti, vanno subito attuate linee di interven­to capaci di ridurre continuamente e progressiva­mente i livelli e le strutture di emarginazione.

Il Servizio sanitario nazionale, e solo esso, ha il compito di affrontare i bisogni sanitari degli anziani, come quelli di tutti i cittadini, con metodi di intervento globali e ovunque essi si trovino (nell'ospedale, nelle case di riposo, nelle strut­ture semiresidenziali e a domicilio).

Vanno perciò respinte soluzioni legislative ed organizzative che possano mettere in contrappo­sizione gli operatori alle riforme; va invece per­seguito il loro coinvolgimento sugli obiettivi da raggiungere, mediante la loro riqualificazione pro­fessionale e attraverso un processo di mobilità contrattato col sindacato.

Strumento dell'unitarietà dell'intervento è il dipartimento che non va concepito come istitu­zione, ma come modello culturale e professio­nale, non limitato esclusivamente all'ospedale, ma che verta essenzialmente sul territorio e rie­sca ad utilizzare le possibilità tecniche ospeda­liere nell'ambito di tutta l'Unità locale e nei suoi singoli servizi. Ciò consente, tra l'altro, la conse­guente integrazione dei servizi sociali con quelli sanitari.

Le strutture aperte quali ospedale diurno, po­liambulatorio, assistenza domiciliare, sono nuovi strumenti con i quali si realizzano questi compiti.

L'assistenza dell'anziano nel territorio va affi­data direttamente al medico di base il quale do­vrà poter usufruire del personale paramedico ne­cessario all'assistenza domiciliare e della consu­lenza geriatrica.

La formazione e l'aggiornamento degli operato­ri vanno realizzati, sia per gli aspetti generali che per quelli specialistici, nelle strutture del Servizio sanitario nazionale, in collegamento con le sedi formative, ed il numero di questi opera­tori va programmato unicamente in rapporto alle esigenze dell'utenza.

L'assistenza sanitaria va prestata in modo uni­tario, anche se differenziato, ad acuti, lungode­genti e cronici, la cui distinzione non deve essere predeterminata per motivi solo amministrativi ma verificata sperimentalmente e attuata con il me­todo del "progressive patient care" e con gli unici criteri dell'efficacia terapeutica e riabilita­tiva.

Prevenzione e riabilitazione sono fini primari della medicina geriatrica, fermo restando il con­cetto che la prevenzione primaria va attuata fin dalla nascita (in particolare sui posti di lavoro e nell'ambiente, quindi in un contesto più genera­le), ma assume carattere di specificità a causa della particolare vulnerabilità psico-fisica dell'an­ziano. A questo fine una corretta educazione sa­nitaria va praticata non come esortazione morale, ma come scambio di esperienze e creazione di un nuovo modo di vita tra operatori ed utenti.

La riabilitazione va svolta con immediatezza sin dal momento della acuzie clinica e proseguita con continuità fino al conseguimento del miglior risultato possibile, preferendo, in linea di mas­sima, il trattamento ambulatoriale. Il suo fine più importante è il recupero da parte dell'anziano dei rapporti sociali positivi.

La verifica obiettiva e periodica dei bisogni ed il metodo sperimentale nell'attuazione degli in­terventi, consentono di evitare o di correggere gli errori e di verificare la validità delle soluzioni proposte. Case di riposo ed ospedali debbono perdere le loro caratteristiche emarginanti. Le prime debbono eliminare i caratteri di medicaliz­zazione e tendere a ridimensionarsi e ad essere sostituite da comunità alloggio e residenze per anziani inserite nell'habitat comune; l'ospedale deve aprirsi all'Unità locale e divenirne un ser­vizio.

Queste prospettive hanno la possibilità di es­sere realizzate in tempi brevi mediante l'entrata in vigore della riforma sanitaria. È perciò neces­sario varare al più presto le idonee misure legi­slative e rendere concretamente operative quelle già approvate.

Nel frattempo, e da subito, è necessario oppor­si decisamente e denunciare all'opinione pubbli­ca la distorta interpretazione e la violazione sistematica da parte di ospedali e di enti locali dei diritti già previsti dalle leggi vigenti ed evitare che sorgano equivoci e limitazioni interpretative del diritto dell'anziano ad una adeguata assisten­za sanitaria come previsto dalla legge 833/78 che istituisce il Servizio sanitario nazionale e biso­gna, a tale scopo, prefigurarne sin d'ora le idonee strutture socio-sanitarie».

 

 

 

(1) La legge dell'Emilia-Romagna prevede anche contri­buti per l'assistenza domiciliare; quella del Veneto per l'assistenza domiciliare, soggiorni climatici, centri diurni per anziani, riadattamento e sistemazione di alloggi indivi­duali. Da notare che le due leggi non contemplano l'eroga­zione di contributi economici agli anziani, nonostante sia noto che moltissimi ricoveri sono dovuti solo al fatto che gli anziani non hanno il denaro sufficiente per continuare a vivere per proprio conto.

(2) Si dovrebbe considerare, a nostro avviso, anziana la persona che ha superato i 65 o i 70 anni.

(3) V. Prospettive assistenziali, n. 43.

 

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