Prospettive assistenziali, n. 47, luglio - settembre 1979

 

Libri

 

 

P. SCHRAG e D. DIVOKY, Il mito del bambino iperattivo e altri strumenti di controllo del bambino, Feltrinelli, Milano, 1978, pagg. 272, L. 5.000.

 

Le teorie di Cesare Lombroso, nonostante ri­salgano al 1876, rispolverate e rivestite a nuovo, sono più moderne che mai. Lo dimostra il fatto che l'America, simbolo dell'efficienza e dell'avan­guardia, ha ampiamente favorito una «seria» ap­plicazione delle sue ipotesi.

Cesare Lombroso, infatti, aveva proposto un programma di «intervento preventivo» per i cri­minali costituzionali, poiché in tal modo «si im­pedisce al frutto congenitamente marcio di con­taminare le centinaia di frutti ancora sani»; nello stesso tempo, convalidava l'applicazione di me­todi psicologici nella guida e nella correzione del bambino, poiché egli affermava che «il bambino dovrebbe essere persuaso senza essere costretto con la violenza».

In una versione riveduta, ampliata, approfon­dita e resa «scientifica», queste stesse idee rap­presentano il supporto ideologico su cui l'Ame­rica, oggi, imposta un abominevole disegno poli­tico di «intervento precoce» che significa mani­polazione raffinata su bambini e adulti per man­tenere e rafforzare la stabilità dell'ordine sociale costituito. Per conservare lo status quo il sistema stabilisce delle precise norme di comportamento considerate «giuste», «sane» e «morali» che devono essere rispettate; la violazione di tale codice è da ritenersi devianza, in quanto infrange l'equilibrio delle leggi naturali. In tal modo la classe egemone assume l'immagine di un mondo sterilizzato e depurato da frizioni sociali e poli­tiche, essendo i problemi di natura psicologica e intrinseca nell'individuo. Al servizio di un ordine naturale il potere dispone di metodi, strumenti e tecniche raffinati, sofisticati e complessi che, es­sendo approvati dalla scienza, sono neutrali.

Il libro «Il mito del bambino iperattivo» offre un'ampia documentazione sulle assurde strategie di controllo dei comportamenti sociali infantili che, con la complicità di meritevoli scienziati, sono facilmente condizionabili, per cui è facil­mente condizionabile l'intera esistenza dell'indi­viduo.

Il «sapere scientifico» quindi legalizza la vio­lenza del sistema in modo che dalla violenza roz­za e diretta si passa alla violenza tecnica, cioè mediata, diluita, assorbita attraverso i tecnici del­la scienza, nascondendo l'aspetto repressivo in un mistificatorio dovere dello Stato alla salute dell'individuo e della collettività.

In nome di questo obbligo sociale è legittimo attuare un piano di «intervento precoce», diretto ad individuare, ancor prima che si manifestino, i sintomi del male e di conseguenza a «curare» i soggetti prima che diffondano il morbo.

La realizzazione è fattibile a due livelli: da un lato sono identificati í soggetti e i gruppi rischio, dall'altro c'è la formula scientifica che, essendo neutrale, annulla eventuali ombre di dubbi e in­certezze. Masse di bambini vengono sottoposti alla diagnosi precoce legalizzata da un progetto che viene presentato con il nome di ricerca, indi­viduazione, e prevenzione del «danno cerebrale minimo» o MBD. Questa sigla indica una disfun­zione ipotizzata come lesione organica del cer­vello (mai dimostrata) a spiegazione di qualsiasi comportamento deviante.

Tra i sintomi (99 per l'esattezza) troviamo: «lentezza nell'apprendimento», «lentezza nella pulizia personale», «notevole ipersensibilità nei confronti degli altri», «sfacciataggine e aggres­sività sociale», «immaturità fisica»; l'MBD è la malattia dell'ovvio perché ogni bambino «iper­attivo» (questa è la definizione del bambino af­fetto da MBD) è irritabile, instabile e immaturo.

L'intervento sui bambini è senza dubbio «van­taggioso»: si può disporre con immediatezza e convenienza in quanto essi sono facilmente repe­ribili e controllabili nelle scuole e non sono in grado di opporsi; inoltre, tale sistema permette di estendere il controllo anche sulle persone a contatto dei bambini: insegnanti, équipes peda­gogiche, équipes psico-medico e genitori. Molti di essi aderiscono con entusiasmo e partecipano attivamente a questa indagine scientifica che mi­ra a «restituire» alla società «un bambino nor­male»; si assolvono in tal modo, l'incompetenza e l'incapacità nello svolgimento dei ruoli asse­gnati.

Con questa dichiarazione di non colpevolezza dell'ambiente familiare e sociale, la scienza, cioè di fatto il potere che la controlla, si è assicurata la licenza di intervenire su bambini trasformati in topi da esperimento per un grandioso esperimento di normalizzazione su scala mondiale.

In tal modo l'eliminazione del disordine, da pro­getto fantascientifico sta per diventare realtà: in­tere classi sono sottoposte a tests psicologici, valutazioni intellettive, screening diagnostici; un milione di ragazzi americani vengono trattati con farmaci psicoattivi, cioè droghe legalizzate e im­poste dallo Stato che hanno il potere di rendere docili, conformisti e socialmente accettabili i di­sturbatori. Come dice uno psicologo «il bambino trattato funziona meglio come bambino».

Le case farmaceutiche produttrici di farmaci, come il Ritalin e il Cylert, costituiscono sulla ma­lattia dell'ovvio ricchezze colossali, la cui entità è favorita dai finanziamenti degli Enti federali e da una imponente campagna pubblicitaria che at­tribuisce al farmaco il potere di «aiutare il bam­bino a raggiungere il suo massimo potenziale». Si viene a creare un regime di farmacodipendenza in bambini che dapprima dissentono dalle regole degli adulti e, successivamente, si abituano ad accettare il concetto che il conformismo è salute e la devianza malattia.

L'abominevole strategia politica non si limita all'individuazione precoce e al trattamento, ma alla costituzione di un perfetto sistema informa­tivo su tali soggetti che saranno certamente i delinquenti, gli scioperanti e i contestatori di do­mani, specie se appartengono alle classi subal­terne. Ognuno ha la propria scheda la cui consul­tazione è vietata ai genitori, ma consentita alla polizia, alle agenzie federali e ai datori di lavoro.

L'America ha raggiunto il massimo livello di efficienza: sta facendo crescere una generazione completamente inserita in bande perforate, pun­teggi, nastri magnetici tutti sanciti dalla diagnosi, dallo screening, dai tests psicologici e medici.

È quasi inutile ripetere che l'esistenza di tale schedario calpesta la dignità della persona e il diritto alla sua privacy; ma per quelli che si sono abituati all'età di 5 anni ad essere etichettati, schedati e trattati non sospetteranno mai che possano esistere delle alternative.

Ancora una volta, quindi, il potere si è servito di termini progressisti quali «prevenzione» per ribaltare in modo totale il significato di un con­cetto rivoluzionario. Prevenire significa ricercare a livello politico e sociale le cause che determi­nano il disadattamento; il potere, invece, si è ser­vito di tale ideologia come sedativo politico in cui la prevenzione è diventato un processo di manipolazione della persona privata dei suoi di­ritti costituzionali di contrapporsi al sistema, di contestare e di lottare.

Non a caso, quindi, la merce pregiata è costi­tuita dai bambini che sono il bersaglio di controllo più vulnerabile ed accessibile ... nonostante l'an­no internazionale del bambino!

Questo libro rappresenta un invito per tutti noi affinché i concetti innovativi della prevenzione, della partecipazione e del controllo sociale, sia­no realmente applicati per la realizzazione di un autentico sistema di sicurezza sociale.

ADELE RIZZITELLI

 

 

E. PONZO, Il bambino semplificato o inesistente, Ed. Bulzoni, Roma, 1975, pagg. 95, L. 1.400.

 

Da circa mezzo secolo la psicologia del bam­bino è oggetto d'interesse sempre crescente, e ricerche sempre più numerose sano state avviate per valutare quanto la vita interiore del bambino impronti di sé la successiva formazione dell'adul­to: il neonato non è quindi solo un corpo da nu­trire e curare dal momento che comincia con la nascita una crescita organica che consiste essen­zialmente in un cammino verso l'equilibrio.

Partendo da questi principali temi, affrontati ormai da molti studiosi, questo libro vuol essere il punto di arrivo per individuare le conseguenze di un rapporto sbagliato tra adulto e bambino, per spiegare in forma semplice e chiara le diffe­renze tra bambini e adulti (tutti le abbiamo no­tate nel gioco, nel ragionare dei bambini tra loro) e per vederli in un'ottica diversa da quella tradi­zionale e da abitudini acquisite, per valutare con la ragione, ma anche con l'immaginazione il no­stro rapporto con essi.

Il bambino non è infatti un piccolo adulto al quale i genitori che già sanno devono o possono imporre un loro modello interpretativo ma un «essere in evoluzione che coinvolge pienamente ambedue i genitori richiedendo loro affetto, molto tempo, energia e maturità in una costruzione con­tinua e in direzione di un equilibrio sempre più avanzato».

Non quindi un selvaggio, un primitivo, un omet­to, un essere con qualcosa di più o di meno, ma un individuo che cerca un inserimento affettivo ed intellettuale nel mondo degli adulti con sue dimensioni, suoi bisogni, suoi interessi. Se non partiremo da un concetto di bambino ideale, ma­gari non pensante, ma già ubbidiente, troveremo più facilmente la capacità di percepire quanto di creativo vi è in esso; evitando censure educa­tive che blocchino la sua personalità, non impo­nendo travestimenti di convenienza sociale ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti più veri, lasce­remo la sua ragione e la sua fantasia decidere modelli di riferimento più indipendenti. Ma il pun­to centrale della ricerca di questo libro è il neo­nato che «nei corsi di puericultura tenuti per donne in gravidanza - spiega l'Autore - sembra essere il grande assente nelle domande delle donne stesse». Viene rilevato infatti che, di fronte a una retorica ufficiale che vede la «mamma come la fata più buona perché vive solo d'amo­re», ai mass media reclamizzanti per la felicità del neonato pannolini, creme delicate e pappine, fa riscontro «uno scarso gradimento estetico del bambino nella prima settimana e mesi di vita». Appare da questi dati che il rapporto con il «bam­bino lattante si è ridotto di fatto a un programma di allattamento ogni quattro ore e relativo cambio panni, con una sensazione di monotonia e di noia. La necessità di lavoro e la frettolosità della vita complessiva fanno il resto, dimenticandosi del rapporto come piacere tutto da conquistarsi per la persona cui sono affidate le cure del bambino, madre o padre».

Anche gli uomini sono giustamente chiamati a compiti materni con bambini piccolissimi mentre si rivendica una meno marcata separazione di ruoli familiari. Lo scopo è di allontanare l'alter­nativa: gli asili nido. «È noto infatti che la fami­gliarità dei piccoli con la madre subito dopo la nascita è essenziale, in molte speci perché la madre sviluppi comportamenti di custodia verso di essi».

«Nella nostra cultura invece le esperienze ma­terne ripetute con neonati sembrano passare so­pra le teste delle madri senza lasciare alcuna traccia stabile nella valutazione di gradimento di simpatia di tenerezza. Le donne che hanno avuto uno o più figli confrontate a donne che non ne hanno mai avuti, in un periodo cruciale, come quello degli ultimi due mesi di gravidanza, non dimostrano alcuna differenza di valutazione».

Questo rifiuto estetico di simpatia e di tene­rezza cui va soggetto il neonato trova motivo nella situazione sociale della donna e della ma­dre nella nostra società e viene interpretato dall'Autore come diffusione di una psicologia sba­gliata, di una informazione carente mancando del tutto una puericultura alternativa della primissi­ma infanzia a partire dai ceti oppressi.

Noi aggiungiamo che questa missione femmi­nile della maternità, esaltata, idealizzata e socia­lizzata, troppo spesso è subita e non scelta, trop­po spesso è vissuta in solitudine fisica e psico­logica, aggravata dalia mancanza di assistenza per l'inefficienza sanitaria e sociale.

GIULIANA LATTES

 

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