Prospettive assistenziali, n. 46, aprile - giugno 1979

 

 

NAPOLI: LIBRO BIANCO SULLE ORIGINI, RAGIONI, RESPONSABILITA' DEL «MALE OSCURO»

 

 

Pubblichiamo questa ricerca a cura del Coor­dinamento provinciale salute FLM, Medicina de­mocratica, Magistratura democratica, La mensa dei bambini proletari di Napoli, che ha il pregio, soprattutto nella sua trattazione sanitaria, di uno spregiudicato rilevamento della verità attraverso una controinformazione dei centri sanitari popo­lari costituitisi con un programma di educazione sanitaria, e di un impegno che vede uniti opera­tori sanitari e popolazione in un intento comune di diminuire la morbilità e la mortalità dei bam­bini colpiti da infezioni respiratorie. A causa in­fatti di un supino opportunismo è insorta sui fatti dei bambini morti a Napoli una specie di satura­zione dell'attenzione che ha stravolto il problema dei bisogni del bambino puntando l'attenzione non sul bimbo malato ma sulla malattia oscura e co­struendo il solito muro d'ipocrisia tra gli impegni verbali e la reale volontà di realizzarli.

 

 

LIBRO BIANCO

 

Introduzione

Si è fatto un gran parlare in queste ultime set­timane del cosiddetto «male oscuro» che si è accanito con i bambini della più emblematica cit­tà meridionale: Napoli.

Il fatto, se ha costituito per la grande stampa nazionale, per la Rai TV, l'occasione per reso­conti, dossier, cronache folcloristiche o populi­ste, ha ulteriormente sottolineata l'urgenza, per l'insieme del movimento operaio, di mettere al primo posto dei propri programmi le questioni di Napoli in cui la lotta per il lavoro e per una diver­sa condizione urbana sono tutt'uno.

È in questa città che i problemi del cambia­mento, da subito, richiedono una qualità ed una articolazione dell'iniziativa operaia per alcuni ver­si del tutto nuove andando rapidamente, proprio mentre parte la stagione contrattuale delle gran­di categorie industriali, a ridiscutere vecchie se­parazioni, vecchi schematismi tra «fabbrica» e «sociale» che continuano a pesare negativa­mente sulla possibilità di costruire un movimen­to di lotta adeguato alla qualità dello scontro tra chi punta a mantenere «la città dei padroni ed i padroni della città» e chi vuole una Napoli pro­duttiva, in cui ci sia lavoro socialmente utile ed in cui il risanamento della città significhi real­mente possibilità di soddisfare i bisogni di mas­sa ampiamente insoddisfatti.

È in questo scontro tra chi punta a mantenere un'organizzazione capitalistica della città in sé patogena e chi lotta per affermare i bisogni dei lavoratori, dei disoccupati, delle donne, che i me­talmeccanici vedono la necessità di schierarsi e di lottare.

Di qui la necessità - la nostra convinzione - che in tutta la vicenda del cosiddetto «male oscu­ro» (di cui in questo libretto si dà legittimamen­te la controinformazione) occorra che «si tirino un poco indietro i super esperti ed i megaricer­catori», riconducendo esplicitamente ad un ambi­to più politico la discussione del perché a Napoli decine di bambini proletari muoiono per un male che forse in una qualsiasi città non avrebbe pro­vocato neanche un morto. In realtà siamo di fron­te ad un fatto sì eccezionale ma assolutamente non anomalo se è vero come è vero che in questa città, in alcuni quartieri, con particolari concen­trazioni di classe e topologia abitativa, i tassi di mortalità infantile da anni toccano punte del 135 per mille! Ecco perché noi riteniamo del tutto fuorviante qualsiasi campagna di stampa che fac­cia scendere su questi fatti l'alone dell'eccezio­nalità che ha come logico provvedimento di ri­sposta: la straordinarietà.

Il discorso è un altro. Bisogna sapere che la possibilità di risolvere anche i problemi «da ma­le oscuro» risiede nella volontà: di dare risposte occupazionali alla città, di puntare ad una politica delle abitazioni capace di soddisfare le esigenze degli strati sociali meno protetti, di affermare in città, ma direi nella Regione, ad una medicina preventiva che non sia il riciclaggio negli spazi della riforma degli uomini e delle strutture di vecchie baronie clientelari, parassitarie ed igno­ranti; di assicurare ai bambini il diritto allo studio.

Su questi problemi, da anni, a Napoli, si lotta. Potremmo qui richiamare l'attenzione di molti giornalisti su una classe operaia che a fronte dei drammatici problemi della città «non sta a guar­dare alla finestra». Potremmo ridisegnare la ma­glia delle lotte urbane sviluppatesi a Napoli per rivendicare «una città diversa» non a misura delle rendite, della speculazione o del profitto. Tutto ciò servirebbe a poco. Quello che invece vogliamo dire con forza è che questa non é una città che oscilla ciclicamente tra «rivolta o ras­segnazione». Bisogna scavare tra la rassegna­zione e la rivolta e parlare di un movimento di lotta vasto ed articolato impegnato a ridiscutere questa città come l'abbiamo ereditata sapendo pure che le vecchie logiche, le colpe delle forze politiche moderate non possono neanche essere l'alibi per non fare autocritica ne) movimento operaio, nel sindacato, nella sinistra.

La vicenda del male «oscuro» deve servire a farci riflettere su un dato molto semplice: i tempi per puntare ad una città diversa non possono di­pendere dai livelli di mediazione tra le forze po­litiche. Essi devono trovare, in questi giorni, una accelerazione decisa se è vero che il male «oscu­ro» è solo la punta di un iceberg che non può peraltro essere spazzato via con l'intervento straordinario.

Occorre mobilitare i lavoratori, i Consigli di Fabbrica, i Comitati di Quartiere, gli studenti, per concretizzare una pianificazione sanitaria e territoriale capace di soppiantare una città in cui anche il virus che attacca i bambini si legittima perché... ha fatto una scelta di classe!

ENRICO CARDILLO

Federazione Lavoratori Metalmeccanici - NAPOLI

 

 

Perché pagano i bambini

Nessuno più sembra ricordarsi che a morire sono stati dei bambini: ormai non si parla che di virus, di ricerca scientifica, piano socio-sanita­rio... I bambini non sono che un numero... in pro­gressione: prima 5, poi 20, 28, 66: c'è pure chi, come un Assessore comunale, in un intervento, ne salta una decina... Sembrano essere diventati solo un pretesto, a volte scomodo, a volte utile, per scatenare le dispute tra i ricercatori, per la spartizione dei soldi che arriveranno dal Governo per potenziare l'ospedale di questo o quel baro­ne della medicina.

Ma bisogna chiedersi perché sono proprio i bambini a pagare. Da sempre abbiamo affermato che i bambini sono l'anello più debole, quelli su cui in maniera più evidente e drammatica pesa la violenza della società: a Napoli questo è anco­ra più evidente: nonostante la sdolcinata lette­ratura folcloristica che ha versato fiumi d'inchio­stro per presentarla come la città in cui il rispet­to e l'amore per i bambini è quasi sacro per tutti, e nonostante l'accorato, strumentale, squallido appello del Cardinale Ursi, che sembra non ve­dere quello che avviene sotto i suoi occhi, questa è la città dove i bambini, nei primi anni di vita, dopo una iperprotezione familiare, materna (che deve surrogare la funzione dei nidi, dei servizi sociali, completamente assenti) vengono quasi «esposti», ai pericoli della «strada», della vita, perché imparino subito a difendersi e ad offen­dere, perché imparino da subito l'arte della so­pravvivenza; è seguendo questa logica che a 7, 8 anni i bambini già cominciano a lavorare, per aiutare la famiglia, oppure imparano il mestiere del contrabbando o quello più pericoloso del ladro...

Già da come si svolgono per un bambino napo­letano i primi mesi o anni di vita, dall'assistenza pubblica che gli viene riservata, si capisce che c'è un disprezzo totale per la vita umana: quella meridionale è una società in cui il capitale non garantisce nessuna protezione per la riproduzio­ne della «forza-lavoro»; perché non gli interessa (per questo mancano i più elementari servizi so­ciali), qui la gente è quasi carne da macello: non si sfrutta la loro forza-lavoro soltanto: gli si ruba la vita, con uno sfruttamento intensivo e massic­cio. Basta pensare per un attimo alle migliaia di operai occupati nel lavoro «nero» o a domicilio, con ritmi bestiali e paghe da fame, guadagnate, appunto, «con la vita», in sottoscala umidi e bui, in stanze malsane. Basta per un attimo pen­sare alle centinaia di operaie-bambine colpite dalla polinevrite tossica da collanti (per le colle usate nella fabbricazione di scarpe e borse) che ha lasciato a molte di loro segni irreversibili, ol­tre ad averle espulse dal mercato del lavoro, quasi come «oggetti usati, ormai inservibili».

Ma i bambini non pagano solo quando già sono «grandicelli»: pagano da subito appena nati, co­me il virus ha recentemente mostrato, e pagano da sempre se la mortalità infantile è così alta, da raggiungere il 135 per mille, in alcuni quartie­ri. E che cosa pagano? Le case malsane ed umide (per cui il freddo «uccide»), le strade sporche, nelle quali sono costretti a giocare e dalle quali contraggono le note malattie infettive, pagano pure il fatto che spesso i loro genitori non lavo­rano e non hanno sufficienti soldi per comprare da mangiare o per un quantitativo «sufficiente» di pappine vendute dalle grandi multinazionali... Pagano anche la spesso criminale organizzazione sanitaria e l'irresponsabilità di molti medici.

In effetti la condizione dei bambini è il segno evidente della contraddizione (per chi vuole e sa vederlo, al di là della mediazione a ogni costo) è il segno drammatico di anni di malgoverno, è il simbolo della totale subordinazione della società meridionale al Nord industriale. L'attuale condi­zione dei bambini a Napoli e nel Sud non è una fatalità, né è solo il prolungamento di una situa­zione di miseria atavica; è invece aggravata ed è il frutto di precise scelte economiche e poli­tiche.

Oggi tutti sembrano essersi accorti della mor­talità infantile: come vampiri sono spesso piom­bati giornalisti italiani e stranieri per entrare nei bassi, visitare i vicoli, guardare in faccia i maci­lenti bambini napoletani... Si è scoperta la mise­ria, ma se ne nasconde spesso prudentemente la causa. Tutti concorrono a dare una immagine di Napoli come una città sull'orlo della dispera­zione, la cui gente è rassegnata ad accettare tut­to, fatalisticamente: quasi nessuno ricorda che questa è anche la città della «lotta contro la mi­seria»; nessuno sembra più ricordare l'enorme mobilitazione popolare creatasi dopo il colera: la nascita di centri sanitari popolari, con il lavoro di volontari, lasciati poi morire, senza nessun ap­poggio istituzionale...

Francamente non se ne può più di questo nuo­vo folclore «sociologico» di sinistra, che ha so­stituito la cartolina di Napoli, il mare, il sole, con la miseria e la disoccupazione: è offensivo il mo­da in cui spesso la stampa ha presentato i pro­blemi della città. Vale la pena di dire comunque che, al di là dell'analisi più attenta che va fatta sulla gestione della situazione da parte della stampa, spesso pilotata secondo precisi interes­si, essa ha avuto il merito di fare emergere l'«eccezionalità» della situazione, che non è di adesso, ma dura da tempo: allora è opportuno mantenere questo stato di Vigilanza di massa, per impedire che, passato il freddo, tutto torni come prima, per impedire che, una volta arrivati i soldi, e adeguatamente spartiti, i bambini tor­nino a vivere e morire nelle condizioni che co­nosciamo.

Perché pagano i bambini? Dicevamo all'inizio: ebbene i bambini pagano, generalmente, anche perché sono i più deboli, i più indifesi, senza «forza contrattuale»: vengono schiacciati da una società che li considera inutili, subordinati, infe­riori, incapaci. Capita, invece, a chi ha l'opportu­nità di starei insieme ogni giorno, di lavorarci e giocarci e viverci insieme, di capire che esiste una «cultura» dei bambini, fatta di privilegiamen­to dei rapporti affettivi, su quelli «culturali», fat­ta di bisogni emotivi, di fantasia, alla quale non si vuol dare assolutamente ascolto. Chi con i bambini vive e lavora si abitua a non considerar­li inferiori, ma «persone», soggetti capaci di de­siderare, volere, capire, cambiare: è questo con­cetto base che ispira l'attività di animazione del­la mensa bambini proletari: è questo il cardine del nuovo rapporto adulti-bambini, dell'«antipe­dagogia», in un certo senso.

Ma allora non può valere soltanto in sede «culturale»: deve poter valere anche quando parliamo dei bambini che muoiono, per colpa del­le malattie e dell'organizzazione sanitaria: è per questo che proponiamo di partire dai bisogni dei bambini e non da quelli dei baroni della medicina o degli enti assistenziali; è per questo che abbia­mo lanciato qualche mese fa, in collaborazione con altri gruppi del Coordinamento animazione di Napoli una vertenza infanzia, che poneva al centro il rispetto dei bisogni e dei diritti dei bam­bini, che significa anche oltre a creare condizioni ambientali più sane, oltre alla necessità di una nuova politica dell'occupazione e della casa, in­ventare specificamente Spazi/luoghi per i bambi­ni, zone verdi: un atto non «rivoluzionario», ma certo coraggioso e significativo, in una città che sembra strutturalmente creata contro i bambini, che sembra «garantire» il lavoro minorile e l'alta mortalità infantile per malattie o per incidenti (numerosissimi).

Su questi temi fu creata sei anni fa la mensa bambini proletari, che voleva anche essere un «esempio», ma che è rimasta tutto sommato ab­bastanza isolata, se si escludono alcune recenti scelte dell'amministrazione, che ha promosso iniziative, ancora però discontinue e spesso su­perficiali. Nasce qui invece l'occasione di dare una risposta precisa a questi problemi e a questi temi, proprio ripartendo dai bisogni dei bambini, come dicevo prima, dopo che Napoli ha inaugu­rato in maniera così tragica l'Anno Internazionale dell'Infanzia.

Anche sul piano più strettamente sanitario ha un senso partire dal bambino, come persona, co­me soggetto: significa non tanto medicalizzare la società (fare cioè più visite soltanto, diffon­dere sul territorio medici e medicine) ma creare dei centri socio-sanitari in cui venga ricomposta l'unità «corpo-testa» del bambino (non venga cioè curato specialisticamente, come la medici­na del potere tende a fare: qui un braccio, lì lo stomaco, altrove il cervello...) creare spazi/luo­ghi/opportunità per i bambini, piuttosto che isti­tuzioni.

Ci sembrano, queste, scelte da compiere oggi con coraggio, raccogliendo intorno ad esse tutte le forze democratiche della società, che lottano per un cambiamento concreto della realtà, che vogliono imporre la propria visione del mondo, da parte degli sfruttati, contro le forze retrive, che ad ogni reale cambiamento si oppongono, che siano capaci di superare patteggiamenti, indugi, ricatti reazionari, per dare un senso concreto e non astratto alla parola d'ordine «per una nuova qualità della vita...».

Pur essendo necessaria una trattazione più ar­ticolata e complessa dei temi sociali legati alla questione del «male oscuro», avvertiamo che quest'opuscolo si prefigge solo il compito di af­frontare le questioni sanitarie.

 

Il male è oscuro o chiaro?

Ora che, quasi alla conclusione della storia, anche la medicina ufficiale si è pronunciata di­cendo che il male è chiaro e non oscuro, è utile riflettere sui dati disponibili e cercare di capire l'unica cosa oscura e cioè quali interessi e quali forze sono state dietro alla campagna di stampa che ha reso il male oscuro; questo ci porterà anche all'analisi del comportamento delle attuali autorità sanitarie in questa situazione.

I primi problemi per le autorità sanitarie sono sorti nel pieno dell'estate quando, in un ristretto arco di tempo, cinque bambini sono morti in co­ma (diagnosi encefalite) pochissime ore dopo la vaccinazione contro la difterite e il tetano (DT). Fu un fatto che ebbe una grossa risonanza in città, le vaccinazioni furono momentaneamente sospese, i vaccini ritirati dal commercio e inviati all'istituto Superiore di Sanità, analizzati e ri­scontrati idonei. Anche se è molto difficile dire con certezza assoluta che i bambini sono morti per le vaccinazioni, è molto probabile che sia sta­to così ed è questa forse l'unica cosa strana di tutta la storia perché l'encefalite, mentre ha una probabilità anche se minima di verificarsi con la vaccinazione trivalente (DPT) in cui è incluso an­che il vaccino della pertosse, è invece del tutto eccezionale con la DT (che è un po' il motivo per cui quest'ultima forma è preferita in Italia e per cui pensiamo che, tenuto conto del rapporto be­neficio-rischio, valga la pena farla).

La storia delle vaccinazioni ha creato un clima di tensione ravvivato in autunno quando altri bambini, tra cui solo un paio vaccinati, arrivano in coma alla Rianimazione del Santobono: a que­sto punto si ricomincia a parlare di encefalite, si prendono contatti con l'Istituto Superiore di Sanità: dopo due mesi circa scoppia la storia del male oscuro.

Chiariamo una volta per tutte questo problema: l'analisi delle cartelle cliniche e i risultati delle autopsie mostrano che la grande maggioranza dei piccoli è morta per bronchiolite, cioè una specie di broncopolmonite da virus, che può essere de­terminata da parecchi tipi di virus di tipo in­fluenzale, di cui il principale è il virus respira­torio sinciziale: resta oscuro perché, per i primi 20-30 bambini morti, non sia stato chiarito dai responsabili del Santobono che sono morti per una malattia respiratoria e non per encefalite e anzi, cosa più grave, siano stati inclusi in un uni­co gruppo con i primi cinque bambini (quelli di cui si parlava a proposito delle vaccinazioni).

È un'epidemia o no? È un fatto vecchio? E un fatto nuovo? È contagioso o no? I bambini devo­no uscire o bisogna tenerli in casa? I nidi e le scuole vanno disinfettati o no? C'è qualcosa da fare per prevenire o attenuare la malattia?

Le infezioni respiratorie provocate da virus di tipo influenzale, di cui fa parte anche il virus sin­ciziale, sono fenomeni di tipo stagionale che si ripresentano ogni anno nei nostri climi all'inizio dell'inverno: sono infezioni prevalentemente be­nigne che possono colpire anche il 50% dei bam­bini e che nella maggioranza dei casi si limitano ad un'infiammazione delle prime vie respiratorie che dura 5-7 giorni; in una percentuale minima di casi l'infezione può estendersi ai bronchi ed ai polmoni e la malattia che allora si sviluppa è seria e, specie per i bambini nei primi sei mesi di vita, può essere pericolosa, tanto è vero che in quasi tutti i paesi occidentali dall'1 al 5% dei lattanti che vengono colpiti da bronchiolite muo­iono (e possono morire in coma perché, per il grave danno ai polmoni, troppo poco ossigeno arriva al cervello).

Questi virus hanno un ciclo biologico di 4 - 5 anni, nel senso che a distanza di 4-5 anni si veri­fica il maggior numero di ammalati. Così è stato anche a Napoli dove, ad esempio nel '75, si sono avuti una morbilità ed una mortalità per malattie respiratorie del tutto simili a quelle di quest'an­no: ed allora nessuno ha parlato di male oscuro (pensiamo che quest'ultimo fatto sia dovuto da una parte alla dispersione sul territorio dei bam­bini morti per malattie respiratorie negli anni precedenti e alla inesattezza delle diagnosi di morte, dall'altra alla precisa volontà politica di creare il clima di panico attuale tramite un «male oscuro»). Riteniamo valida la nostra ipotesi an­che perché dal 1974 la mortalità infantile a Na­poli è in costante diminuzione, inclusa quella per malattie respiratorie e quindi non si capisce per­ché, anche se le cifre di mortalità restano al di sopra della media nazionale e sono preoccupanti, se ne parli come un fatto nuovo e misterioso: questo dev'essere un momento importante di comprensione.

Quello che risulta da studi fatti in tutta Europa (ma anche i primi dati del gruppo Epidemiologico Regionale parlano chiaro) la probabilità di am­malarsi è legata ad alcuni fattori ben precisi e cioè:

1) Sono colpiti gli strati sociali inferiori per reddito;

2) Tanto maggiore è il sovraffollamento tan­to più facile è ammalarsi;

3) Si ammalano di più i bambini non allattati al seno.

Questo già significa che non si muore a caso, ma che il «male misterioso» uccide in modo selettivo scegliendo gli emarginati, quelli costret­ti alla vita nei bassi ed esclusi da ogni tipo di informazione sanitaria, anzi imbevuti di un'edu­cazione sanitaria distorta.

A questo punto la domanda di tutti è: ma se non si tratta di un fatto nuovo, se è stato ogni anno così, perché questo clima di paura e que­st'aria di epidemia si sono create proprio in que­sto momento?

È impossibile rispondere a questa domanda senza esaminare nei dettagli il comportamento dell'Istituzione Sanitaria.

La nostra ipotesi di lavoro è che il clima di mistero creatosi tra l'estate e l'autunno è stato abilmente sfruttato dalle baronie ospedaliere ti­morose di dover rinunciare, con l'applicazione della riforma sanitaria, ad una fetta del loro po­tere: quale occasione migliore del male oscuro per convincere la gente che la medicina sul ter­ritorio e i centri sanitari saranno una gran bella cosa, ma chi nei fatti cura le cose serie, i virus, chi li isola. chi fa ricerche sono loro, che lo stan­no facendo così bene da trent'anni e non hanno alcuna intenzione di rinunciare ora al potere e ai soldi a favore di un'assistenza decentrata.

Da tutta la storia del male oscuro le baronie ospedaliere escono molto rafforzate agli occhi della gente di Napoli e mettono una pesante ipo­teca sulla realizzazione del piano socio-sanitario regionale (che, ad esempio, prevede che il San­tobono ed altri ospedali specialistici debbano scomparire: ma come ora può scomparire un ospedale che si è posto come unico punto di ri­ferimento per la popolazione in questo periodo?).

Ma seguiamo un attimo il percorso che tanti bambini con malattie respiratorie gravi hanno fatto in questi mesi per capire quanto sia costato ai bambini napoletani la montatura del «male oscuro».

La rianimazione del Santobono: è stato l'occhio del ciclone, uno dei luoghi principali dove è nato il male oscuro, un posto di indimenticabili soffe­renze per tante madri escluse dal loro bambino contro ogni legge. Vediamo un attimo come fun­ziona.

1) Chi riceve il bambino non è il pediatra, ma il rianimatore, la cui esperienza è principalmente con l'adulto e che di problemi di pediatria capi­sce molto poco (i pediatri della Divisione del Santobono vengono chiamati saltuariamente per consulenze). Questo spiega perché per una gros­sa fetta dei primi trenta bambini morti si è par­lato di encefalite mentre si trattava di bronchio­liti e si è fatto passare come «da male oscuro» uno stato di coma dovuto alla mancanza di ossi­geno per bronchiolite. Questo spiega anche forse alcune delle cose che stiamo per dire.

2) Le cartelle cliniche sono praticamente in­comprensibili: non si capisce bene cosa è suc­cesso nelle prime ore, come è entrato in coma un bambino che fino a qualche ora prima aveva la tosse e respirava male; della maggioranza dei bambini non è conosciuto neanche il peso (che è un parametro fondamentale per un lattante, perché la terapia si regola in base ad esso), di alcune manovre terapeutiche fondamentali non si sa niente. Ad esempio quasi tutti i bambini ritenuti gravissimi vengono intubati, vengono cioè attaccati ad un respiratore artificiale, mano­vra in sé già molto delicata. Ora non esiste ria­nimazione al mondo, esclusa la nostra del San­tobono, in cui non siano attentamente valutati alcuni parametri del sangue arterioso che fanno decidere sulla necessità o meno di dover ricor­rere alla respirazione artificiale: di questi para­metri non c'è traccia in cartella. L'intubazione oltretutto, per i suoi possibili effetti dannosi, è controindicata in lattanti con bronchioliti: quello che tutti consigliano, anche i «superesperti» americani venuti nei giorni scorsi, è fare stare i bambini sotto delle tendine riempite di ossigeno umido, che esistono in ogni reparto pediatrico, e di cui nella nostra Rianimazione non ne esiste­va l'ombra (e che sono state comprate in queste settimane).

Un discorso a parte merita l'uso dei farmaci e delle flebo: si è fatto un uso abbondante ed indi­scriminato dei farmaci più incredibili e sicura­mente inutili quando non dannosi: è incompren­sibile se sia dovuto ad ignoranza o a malafede (cioè comparaggio con le multinazionali farma­ceutiche) gonfiare i bambini in coma o quasi dei farmaci più strani: sembra quasi che, anche quando un bambino è gravissimo, debba essere la medicina a gestirne la morte, sostituendosi con nomi misteriosi quanto vuoti che si ritrovano nelle cartelle (Samir 50, Nootropil, Nicholin, Co­xanturenasi ecc.) all'affetto e alla presenza dei genitori.

C'è però qualcosa di più grave da notare: dare farmaci inutili non fa ,bene, ma può anche non far male, fare cose errate fa senz'altro male. In molti bambini l'uso delle soluzioni idroelettroliti­che (le flebo) è stato del tutto sbagliato: risulta che almeno 7-8 bambini avevano dei valori di sodio del sangue (sodiemia) molto al di sopra della norma: l'eccesso di sodio nel sangue può essere dovuto solo ad un'eccessiva somministra­zione del sodiocloruro o del bicarbonato di sodio nella flebo ed è pericoloso perché può essere causa di emorragie cerebrali e quindi di coma.

Un altro farmaco di cui si è fatto abuso è il cortisone, usato in dosi incredibilmente elevate per l'età e il peso dei bambini: anche i «super­esperti» USA confermano che i cortisonici nella bronchiolite e nel coma che può da essa derivare non servono a niente ed anzi possono essere dannosi.

Da quanto accennato, sia pur brevemente, si comprende come, anche solo da un punto di vista tecnico, un male è tanto più oscuro quanto mino­re è la competenza dell'operatore sanitario che lo osserva. Solo che noi pensiamo che il male sia diventato oscuro per motivi molto più complessi dell'ottusità in campo pediatrico dei nostri riani­matori.

Gli altri ospedali. C'è stata una corsa ad evi­tare il morto; da tutti gli altri ospedali i bambini con sintomatologia respiratoria grave venivano inviati al Santobono con la scusa che lì c'è l'uni­ca rianimazione pediatrica!! In alcuni centri, ad es. i Policlinici, i ricoveri sono stati addirittura bloccati con le motivazioni più banali.

Tutte queste cose spiegano perché al Santo­bono la mortalità in generale, e quella per malat­tie respiratorie in particolare, sia aumentata in modo brusco rispetto agli anni passati e negli altri ospedali sia invece diminuita: questo fatto non è stato naturalmente spiegato alla gente, che non ha capito che al Santobono sono state con­centrate le morti che prima avvenivano in mezza Campania.

 

Il ruolo delle istituzioni sanitarie

Dopo la Commissione di esperti dell'Istituto Superiore di Sanità nominata il 19-10-1978 il vuo­to: in un momento di panico e di sbandamento della gente nessuna informazione capillare, nes­suna chiarezza sulle manovre reazionarie che hanno montato il «male oscuro». E questo vuoto è stato colmato dal malcostume e dalla disinfor­mazione sanitaria dei medici pubblici e privati operanti sul territorio: oltre il 20% dei bambini ricoverati al Santobono per malattie respiratorie avevano preso cortisonici nei giorni precedenti il ricovero e si sa che questi farmaci possono indebolire le difese immunitarie, specialmente di un lattante: non si può affermare che un raffred­dore trattato con cortisone evolva in bronchite, ma il sospetto resta: perché le autorità non han­no fatto niente? Perché non hanno impedito con tutti i mezzi a loro disposizione questi interventi terapeutici dannosi?

Lo stesso discorso vale per le gammaglobuli­ne: un mese fa a Napoli non se ne trovavano più. Perché non si è detto che non servono a niente e che anzi possono far male, perché, essendo derivate dal sangue di moltissimi donatori insie­me, possono trasmettere sostanze, anche virus ignoti, responsabili delle malattie più diverse, tra cui anche l'epatite virale? Perché non hanno im­pedito questa ultima rapina delle multinazionali del farmaco e questa ulteriore medicalizzazione dei più banali problemi sanitari della gente?

E un altro punto ci sembra importante: abbia­mo tutti assistito alle drammatiche scene delle madri che vedevano soffrire i loro piccoli attra­verso il televisore: una scelta di spietatezza inu­tile. La Regione Campania ha promulgato una legge (12 luglio 1975) che prevede il diritto per le madri di restare vicino al piccolo in ospedale giorno e notte. Perché questa legge non è stata fatta rispettare? Perché si è avallato ancora una volta il potere delle baronie mediche sulla vita e sulla morte della gente?

Ma vediamo cosa si è fatto in positivo per combattere il male oscuro.

La risposta delle autorità sanitarie alla paura e alla tensione della gente è stata l'istituzione del­le guardie mediche, con la raccomandazione alle madri di «portare il bambino dal medico al primo starnuto e appena fa un colpo di tosse»: un'ot­tica quindi solo curativa, completamente sgan­ciata dalle preesistenze sanitarie pure così ric­che di storia a Napoli.

A parte i costi enormi delle guardie mediche, che basterebbero a creare tutti i centri socio­sanitari di cui Napoli avrebbe bisogno con un'ot­tica di prevenzione e di intervento globale e non di pura e semplice medicalizzazione del territo­rio, non è stato chiarito per niente con questi medici che fare di utile e di immediato per tran­quillizzare la gente: noi, pur rifiutando l'ottica dei tappabuchi insita nelle guardie mediche, pensia­mo che qualcosa si possa fare da parte dell'As­sessorato alla Sanità tramite loro e cioè:

- sfatare questo clima di terrore: non serve che i bambini stiano chiusi in casa: portateli fuo­ri al sole, perché la luce li difende dal rachitismo, fateli stare in mezzo ad altri bambini al nido, a scuola, non abbiate paura se i vicini hanno la tosse;

- dire la verità pura e semplice, e cioè che non esistono medicinali che prevengono o atte­nuano queste malattie e pertanto è inutile oltre­ché pericoloso prescrivere gammoglobuline e cortisonici;

- cominciare a fare gli unici provvedimenti sanitari (tralasciamo qui il problema della casa) utili per diminuire la gravità della malattia respi­ratoria del prossimo anno: iniziare cioè tra le donne una massiccia campagna a favore dell'al­lattamento al seno e dare consigli precisi sull'ali­mentazione del bambino nel primo anno di vita.

A questo punto non si può dimenticare una co­sa, che cioè il complesso di un programma di educazione sanitaria e di intervento precoce sull'infanzia a Napoli era stato dettagliato nei particolari dal movimento di lotta per la salute sorto dopo il colera e concretizzatosi nel coordinamen­to dei centri sanitari popolari. Tutto era pronto per il suo varo, impedito all'ultimo momento da interessi baronali e da mediazioni verticistiche: di questa spartizione del potere i bambini di Napoli continuano a pagare le conseguenze.

Veniamo ora alle nostre proposte in relazione ai punti esaminati: dopo il polverone del virus forse le delibere dei centri sociosanitari passe­ranno: ma c'è qualcosa di più che gli assessorati regionali e comunali alla Sanità devono impegnar­si a fare da subito.

1) Una campagna massiccia a favore dell'allat­tamento al seno nei luoghi dove le donne stu­diano e lavorano, nei consultori dove vanno le gravide, nelle cliniche ostetriche e nei nidi, dove la mano funesta delle multinazionali dei latti arti­ficiali arriva e dove le donne vengono scoraggiate ad allattare alla minima difficoltà. Ed è un lavoro che va continuato nei primi giorni di vita del bam­bino da parte del personale appositamente istrui­to a visitare le madri, ad incoraggiare, a consi­gliare. Aumentando notevolmente l'allattamento materno nei primi tre mesi di vita si può ridurre di 9/3 la mortalità infantile di Napoli: il latte ma­terno infatti è un alimento ricchissimo, oltre che di sostanze nutritive, di anticorpi e di cellule im­munitarie che difendono il neonato da moltissime malattie (es. diarree e bronchiti che costituisco­no ancora una grossa fetta della mortalità infan­tile di Napoli). Nel latte materno sono anche con­tenuti anticorpi contro il virus sinciziale, che spiega perché i bambini allattati al seno si am­malano meno.

2) La Regione deve impegnarsi a far rispettare la legge 12-7-1975 che assicura alla madre il di­ritto a stare col bambino in ospedale come e quando vuole: non deve ripetersi che una madre veda soffrire il proprio bambino attraverso il te­levisore. Dalla maggioranza dei pediatri oltre tutto la presenza della madre è ritenuta un ele­mento indispensabile per affrettare la guarigione del bambino.

3) La Regione deve controllare la qualità dell'assistenza nei propri ospedali: l'uso dei farma­ci, la chiarezza delle cartelle cliniche non devono essere lasciati alla improvvisazione del singolo operatore sanitario.

Proponiamo l'istituzione di una commissione regionale permanente, con ampia partecipazione da parte di non tecnici, che si prenda il compito di valutare forme periodiche e continue di con­trollo della qualità dell'assistenza in Campania e di studiare una cartella clinica pediatrica unica per la regione, in cui sia obbligatorio scrivere con chiarezza cosa si fa e perché.

4) Bisogna istituire i centri sanitari nei termini e con i programmi previsti due anni fa dal coordi­namento della salute del postcolera, perché rap­presentano le forme più avanzate di programma­zione sanitaria espresse in questi anni dalle lotte per la salute a Napoli.

Napoli non è così come è apparsa nella cro­naca dei giornali e della televisione in queste ul­time settimane.

A Napoli esiste una pratica sanitaria, soprattut­to una pratica di lotta per la salute, che nelle in­dicazioni e nei contenuti pone una opzione fon­damentale all'applicazione della legge di riforma sanitaria. E questa pratica ha dei nomi che sono: Centro di Medicina Sociale di Giugliano, Centro Socio-sanitario di Ponticelli, Centro di Medicina Sociale di Traiano, Mensa Bambini Proletari, e collettivi sanitari di quartiere come quello di Por­tici e di Secondigliano o altri ancora; tutte realtà che operano da diversi anni.

Al «male oscuro» non si può rispondere con oscure disinfezioni, con oscuri osservatori epi­demiologici, con oscuri centri, ma quando si parla di fare medicina preventiva si devono intendere cose molto precise e cioè:

1) fare prevenzione significa porre il territorio come priorità assoluta nel piano socio-sanitario regionale;

2) fare prevenzione significa non riportare nel territorio la divisione specialistica che impera negli ospedali e che, nel sezionare il malato di fatto non lo cura, non solo lo opprime e lo violen­ta: ma significa fare dei centri di medicina di base nei quali siano coordinati in una sola équipe almeno il servizio di medicina del lavoro, il ser­vizio consultoriale materno infantile, il servizio di prevenzione psichiatrica, come peraltro è previ­sto dalla riforma sanitaria;

3) fare prevenzione non significa sommare spe­cialisti, a consulenza o con altri dieci incarichi, ma costruire un nucleo di operatori a tempo pie­no, al quale possa venire fatta la aggregazione del preesistente (*);

4) fare prevenzione significa dare gli strumenti amministrativi e politici perché la popolazione possa in forma assembleare non solo essere con­sultata, ma incidere nella scelta di politica sani­taria della struttura di base, partendo dall'analisi dei propri bisogni;

5) fare prevenzione significa risanare il rappor­to fra la medicina preventiva, i servizi di base e la medicina specialistica, ospedaliera, nel senso che è alla medicina di base che l'utente deve fare sempre riferimento, trovando proprio nella inte­grazione dei servizi la possibilità di vedersi ri­composto come unità fisica e come unità sociale all'interno della propria famiglia e nel rapporto fra la casa e il luogo di lavoro;

6) fare prevenzione significa esercitare il con­trollo sulla produzione e soprattutto sull'uso dei farmaci, attraverso la stesura di un prontuario farmaceutico territoriale che tenga conto dei reati bisogni che deve coprire la medicina di ba­se, della reale efficacia dei principi attivi conte­nuti nei farmaci, e della loro sperimentata non nocività.

Attuale scadenza politica è il controllo che si deve esercitare sulla Regione nella fase di ap­plicazione della legge di riforma sanitaria e di riforma dell'assistenza psichiatrica imponendo:

a) il rispetto delle scadenze, la prima delle quali è l'approvazione del piano socio-sanitario entro il 30 ottobre 1979;

b) la valorizzazione fra le preesistenze di quel­le che hanno operato ed operano nella direzione della medicina preventiva e di base, quale sopra indicato;

c) l'unificazione dei provvedimenti che riguar­dano un singolo territorio, in modo da permettere una integrazione dei servizi e non il loro frazio­nato e settoriale modulo operativo;

d) l'immediata indicazione delle strutture di medicina di base a cui devono essere addetti per­sonale a tempo pieno;

e) la priorità da dare ai territori dove vi sia un forte sviluppo demografico; una forte concentra­zione industriale o artigianale anche con presu­mibile impiego di lavoro nero o a domicilio.

Tutto questo deve far parte di una vertenza salute in Campania che intende imporre i con­tenuti sopra ricordati, articolandosi in precise scadenze di lotta con le forze politiche e sinda­cali disponibili a sostenerle.

 

Napoli, 24 febbraio 1979.

 

 

 

 

(*) Legge 833 di Riforma Sanitaria art. 47 «le unità sani­tarie locali, per l'attuazione del proprio programma di atti­vità ed in relazione a comprovate ed effettive esigenze assi­stenziali, didattiche e di ricerca previa autorizzazione della Regione, individuano le strutture, le divisioni ed i servizi cui devono essere addetti sanitari a tempo pieno». Intesa 23 dicembre 1978 per il contratto dei lavoratori degli Enti locali art. 14/3 «ai medici biologi e chimici del laboratorio provinciale di igiene e profilassi, ai medici degli istituti Provinciali di Protezione ed Assistenza all'infanzia nonché agli uffici sanitari ai veterinari comunali e ai medici igie­nisti, scolastici e del lavoro e psicologi assunti in ruolo ed ai quali per effetto della normativa vigente è inibita l'at­tività libera professionale, viene attribuita una indennità di aggiornamento scientifico».

 

www.fondazionepromozionesociale.it