Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno 1978

 

 

SULLA PROPOSTA DI PROGETTO A MEDIO TERMINE DEL PCI

 

 

Pubblichiamo le parti della proposta di proget­to a medio termine del PCI (1) relative alla sa­nità, all'assistenza, agli enti locali, al decentra­mento e alla partecipazione.

Per quanto riguarda la sanità e l'assistenza le proposte sono del tutto condivisibili anche se molto generiche e tali da non aggiungere nulla alle elaborazioni note da anni.

Stupisce tuttavia che nessun riferimento ven­ga fatto alle unità locali dei servizi finora indivi­duate da tutti come la struttura assolutamente indispensabile per riformare la materia.

Osserviamo inoltre che mentre il piano a me­dio termine pone come obiettivo da raggiungere la soppressione degli enti inutili, l'accordo rag­giunto dal PCI con la DC in sede parlamentare ha consentito, in occasione della discussione per l'attuazione della legge 382, il salvataggio di cen­tinaia, se non di migliaia di IPAB (2), la privatiz­zazione di enti nazionali di assistenza, la perma­nenza a livello statale delle competenze relative agli appartenenti alle forze armate, all'arma dei carabinieri, ai corpi di polizia e dei vigili del fuo­co, la sopravvivenza dell'Ordine Mauriziano e dell'Ente Galliera di Genova, e di altri organismi pubblici.

Non solo; purtroppo, il PCI è disponibile ad ul­teriori cedimenti; lo constatiamo come emerge ad esempio dall'articolo «L'assistenza, gli enti pubblici e quelli privati» apparso sull'Unità del 27-10-1977 e dall'affermazione fatta da Minucci, direttore di Rinascita, che in un dibattito con Pa­dre Sorge, direttore della Civiltà cattolica, ha di­chiarato che il partito comunista è d'accordo sul­la formula «pluralismo nelle istituzioni e plurali­smo delle istituzioni» (v. l'Unità del 30-10-1977).

Resta infine da vedere, soprattutto per l'assi­stenza, quali iniziative assumerà il PCI nei ri­guardi dei propri militanti (amministratori com­presi) che troppo spesso si disinteressano dei problemi dell'emarginazione sia sul piano poli­tico che su quello operativo.

 

Enti locali

Le proposte relative agli enti locali sono, a no­stro avviso, insoddisfacenti e anche abbastanza demagogiche; riteniamo infatti che non si possa seriamente affermare che i Comuni così come sono attualmente, devono essere considerati «istanza di rappresentanza generale, con funzio­ni relative non solo al territorio e ai servizi, ma anche al campo dello sviluppo economico e con un ruolo primario nella programmazione», né che essi (tutti? anche quelli con poche migliaia di abitanti?) possano e debbano essere decentrati nei quartieri.

L'attuale polverizzazione dei Comuni (si veda la tabella nell'editoriale del n. 40 di Prospettive assistenziali) pone la stragrande maggioranza di essi nell'impossibilità assoluta di dare una qual­siasi risposta alle esigenze della popolazione. Crediamo pertanto che, senza una loro riorganiz­zazione, anche proposte giuste come le deleghe e la riforma della finanza locale non possano con­seguire risultati di rilievo.

Al riguardo segnaliamo che la rifondazione dei Comuni è stata affrontata in altri Paesi, ad esem­pio in Polonia (3) e in Belgio. In quest'ultimo pae­se, a seguito del decreto 17-9-1975 dei 2359 co­muni esistenti, ne sono rimasti alla data del 10­-10-1976 solamente 596 e pertanto ne sono stati soppressi 1763. Altri sette Comuni scompariran­no l'1-1-1980. Dei 942 Comuni inferiori a 1000 abi­tanti ne è rimasto uno solo; quelli fra i 1000 ed 12500 sono scesi da 576 a 31; la fascia dai 2500 ai 5000 si è ridotta da 394 a 77 e infine il numero dei Comuni con una popolazione compresa fra i 5000 ed i 10.000 cittadini è diminuito da 244 e 197. È invece leggermente aumentato (da 203 a 283) il numero dei Comuni superiori ai 10.000 abitanti.

Anche in merito alla istituzione dei Consigli di quartiere la proposta del PCI è generica. Da parte nostra ribadiamo che la loro istituzione dovrebbe avvenire solo nei Comuni comprendenti più unità locali (4) e con elezione diretta da parte dei cit­tadini.

Al riguardo è molto preoccupante la presa di posizione del PCI che, ancora una volta in accor­do con la DC, ha portato al rinvio delle elezioni dirette dei consigli di quartiere fino al 1980.

 

Partecipazione

Circa la partecipazione il progetto a medio ter­mine esprime una linea che non trova sempre ri­scontro dove il PCI è al potere (Regioni, Provin­ce, Comuni).

Spesso l'informazione - che è il presupposto di una effettiva partecipazione - alle forze so­ciali ed ai cittadini è fornita dalle Amministra­zioni di sinistra in modo scarso e spesso è in­completa.

La partecipazione, invece di essere concepita come rapporto dialettico con le forze sociali - il che richiede la loro assoluta autonomia rispet­to alle istituzioni - è intesa come coinvolgi­mento nella gestione (cogestione o gestione co­siddetta sociale).

A causa di ciò vi è stata e vi è una consistente diminuzione degli attivisti nei movimenti di base e si registra una assenza preoccupante di inizia­tive di lotta, assenza non giustificata certamente da reali cambiamenti della situazione a livello nazionale, regionale e locale.

 

Organo intermedio fra Regione e Comuni

Il progetto a medio termine propone la sop­pressione dell'ente Provincia e la costituzione dei comprensori (ad elezione diretta? organi del­la Regione o dei Comuni?).

Da parte nostra ribadiamo che i problemi di tondo sono la rifondazione dei Comuni e, come momento intermedio, la costituzione delle unità locali di tutti i servizi (5).

La questione delle funzioni delle unità locali è fondamentale non solo per l'attuazione delle funzioni attribuite alla Regione con la legge 382, ma anche per poter affrontare il problema, diven­tato di viva attualità con il recente accordo di governo, dell'unico organo intermedio fra Regio­ne e Comuni.

Attualmente tali organi sono: le Province, i Comprensori, le Comunità montane ed inoltre le istituende unità locali le quali dovrebbero coin­cidere con i Consigli di quartiere, da prevedere solo nelle città metropolitane.

Il dibattito si è incentrato sulla proposta di sop­pressione o delle Province o dei Comprensori oppure nella unificazione dei due enti.

Noi riteniamo invece che la discussione debba essere ampliata tenendo conto di tutte le strut­ture intermedie che abbiamo sopra elencato.

Se l'unità locale venisse intesa come l'abbia­mo definita nell'editoriale del numero scorso, si avvierebbe il processo - certamente lungo e dif­ficile - per sostituire gradualmente gli 8056 Co­muni italiani con 9000-1500 unità locali.

Siffatta costruzione delle unità locali consen­tirebbe inoltre l'inserimento in esse, con moda­lità da individuare caso per caso, delle Comunità montane.

Tale prospettiva consentirebbe, a nostro avvi­so, la soppressione delle Province (6) e rende­rebbe inoltre superflua la creazione di un altro organo intermedio di governo (il Comprensorio). Infatti, se è vero che la programmazione deve partire dal dato economico e perciò deve tenere conto delle aree di sviluppo, non necessariamen­te tale riferimento conduce alla creazione di un organismo apposito (il Comprensorio).

In altre parole la programmazione comprenso­riale può essere un metodo scelto che non com­porta l'istituzione di un altro ente.

 

 

PROPOSTA DI PROGETTO A MEDIO TERMINE DEL P.C.I.

 

Con la pubblicazione del progetto a medio ter­mine il P.C.I. ha presentato al pubblico una sua «proposta aperta ad ogni positivo apporto di valutazioni critiche e di suggerimenti, sia di ca­rattere generale che di carattere specifico» per «il rinnovamento e la trasformazione della so­cietà italiana».

Nella prima parte viene proposto «uno svilup­po delle forze produttive che sia capace di con­trastare non solo la miseria che nasce dalla in­giustizia e dalla disoccupazione, ma anche le nuove forme di impoverimento umano e lo squal­lore, la povertà ideale e morale dei modelli di vita finora prevalsi».

La proposta di progetto a medio termine tocca anche i problemi dell'emarginazione nei seguenti termini: «Nell'ambito di una più ricca e solidale vita comunitaria vanno anche affrontati i proble­mi del rapporto con i diversi e del superamento dei fenomeni di emarginazione degli anziani, così come í problemi della dolorosa condizione degli handicappati».

Nel capitolo relativo al «risanamento e riquali­ficazione della finanza pubblica» la proposta co­sì si esprime nei riguardi dei settori sanitario e assistenziale: «Il risanamento della finanza pub­blica passa attraverso il contenimento e la gra­duale riduzione dei disavanzi degli enti di assi­stenza sanitaria e di previdenza. Per i primi van­no attuate misure immediate di riduzione della spesa farmaceutica e ospedaliera, nel quadro di una rapida attuazione della riforma sanitaria e quindi di un mutamento e miglioramento quali­tativo del "modello" di assistenza e di tutela del­la salute. Per quanto concerne la previdenza so­ciale occorrerà provvedere all'eliminazione dei pesanti disavanzi di alcune gestioni pensionisti­che, attraverso l'adeguamento e la riscossione unificata dei contributi, e avviare un'opera di più generale riordinamento e risanamento, anche at­traverso il superamento di gravi deformazioni come quella rappresentata dall'inflazione delle pensioni di invalidità.

«Altri elementi essenziali di un programma di risanamento della finanza pubblica sono da con­siderarsi: la rigorosa attuazione della legge che prescrive la liquidazione degli enti inutili; la dra­stica riduzione degli sprechi nel caotico settore della pubblica assistenza, attraverso una riforma che preveda lo scioglimento di tali enti e il pas­saggio delle rispettive funzioni alle regioni e agli enti locali.

«Occorre infine evitare che la spesa per il per­sonale cresca, in tutta l'area pubblica, al di fuori di qualsiasi sforzo di previsione e programmazio­ne complessiva, fino a sfuggire a ogni possibilità di controllo. Il tasso di espansione del numero dei dipendenti pubblici va nei prossimi anni con­tenuto, al fine di evitare un ulteriore peggiora­mento nella composizione della spesa pubblica e nel rendimento del settore pubblico. Vanno in­vece adottate misure volte a garantire la mobi­lità settoriale e territoriale del personale dello Stato, del parastato, delle regioni e degli enti lo­cali, assicurando a tal fine un più omogeneo trattamento economico, procedure di riqualifica­zione e l'unificazione delle normative contrattua­li; già è aperto, d'altronde, il problema di una di­versa utilizzazione del personale che si renderà libero sulla base delle leggi per lo scioglimento degli enti inutili, per lo scioglimento delle mu­tue e per il trasferimento di poteri alle regioni. In rapporto a queste prospettive, va decisa la so­spensione delle assunzioni e delle richieste di nuovi concorsi nelle amministrazioni statali e in altre amministrazioni pubbliche, fino a quando non sia stata effettuata una verifica e, se neces­sario, una revisione degli organici e sempre che la riapertura delle assunzioni risulti indispensa­bile per soddisfare esigenze di personale non altrimenti risolvibili».

Un apposito capitolo riguarda la sanità e l'as­sistenza che riportiamo integralmente:

«a) Tra le finalità dello sviluppo è fondamen­tale la promozione del benessere fisico, psichico e sociale dei singoli individui e della collettività. Finora, sanità e assistenza - sebbene estese a gran parte dei cittadini, anche come risultato di pressioni popolari - hanno spesso nascosto e assorbito, aggravandole, iniquità sociali e defor­mazioni nei rapporti umani e ambientali. Adesso la politica sanitaria e previdenziale deve mirare, oltre che a risanare istituzioni che sono diven­tate un intollerabile onere dal punto di vista dell'economia, del costume, della democrazia, ad elevare globalmente la qualità della vita e il mo­do di vivere assieme dei cittadini, ad abbattere barriere discriminatorie, a consentire maggiore uguaglianza e valorizzazione delle capacità per­sonali.

«b) Una fondamentale distorsione in questo campo, come pure nella previdenza sociale, è stata quella per cui, ad ogni bisogno emergente si è fatto sempre più fronte con trasferimenti monetari e con proliferazione di leggi e di nuovi enti. Questo é accaduto per valide richieste, co­me l'estensione dell'assistenza mutualistica a categorie che ne erano prive, ma anche per spin­te speculative (come mostra la diffusione dei farmaci), per pressioni corporative, per giochi di potere. Questo ha consolidato le incongruità sociali e ambientali dell'Italia: anziché lottare contro le malattie, si è moltiplicata un'attività te­rapeutica sempre meno efficace; anziché pro­muovere la solidarietà verso i deboli, gli anziani, gli handicappati, si è estesa la pratica di eroga­zioni monetarie, fonte di soggezione e corruzio­ne; anziché accrescere il salario diretto e il nu­mero degli occupati, si è sviluppato uno dei si­stemi previdenziali più costosi del mondo.

«Questa crescita quantitativa delle prestazio­ni, della spesa, delle istituzioni ha visto, anziché l'attenuazione delle ingiustizie, il prevalere del­le categorie più forti e l'accrescimento delle spe­requazioni fra i cittadini; ha prodotto, invece di una maggiore socializzazione, una chiusura egoi­stica ed un'ulteriore scomposizione del tessuto sociale, dei rapporti familiari, della convivenza tra le generazioni: ha stimolato non già l'inte­grazione, ma l'emarginazione e la segregazione dei soggetti considerati improduttivi.

«Questa crescita quantitativa non è riuscita a far fronte ai nuovi e vecchi bisogni dei cittadini: frutto non solo di antiche arretratezze, ma anche di uno sviluppo distorto e di nuove esigenze, ma­turate col progresso culturale e politico del pae­se. Nel campo sanitario, si è ancor più aggrovi­gliato l'intreccio fra malattie tipiche del sottosviluppo (elevata mortalità infantile, malattie in­fettive e parassitarie, denutrizione), malattie de­rivanti dallo sfruttamento dell'uomo e dalla spo­liazione dell'ambiente (infortuni e malattie pro­fessionali, patologia da inquinamento), e malat­tie collegate all'incongruità dei rapporti e dei comportamenti umani (nevrosi, alcoolismo, dro­ga, violenza) : ma al tempo stesso, le lotte per la salute, soprattutto nelle fabbriche e nelle cit­tà, si sono moltiplicate ed hanno favorito lo svi­luppo della coscienza sanitaria e dello spirito collettivo fra la gente. Nel campo sociale, si sono ingigantiti i bisogni emergenti dall'urbanizzazio­ne forzosa, dalla scomposizione delle famiglie, dall'insicurezza generale: ma al tempo stesso, sono emerse linee rinnovatrici nei rapporti fra i sessi e le generazioni, nella concezione della ma­ternità, nel rifiuto dell'emarginazione e dell'iso­lamento, nella partecipazione ai servizi. Gli orien­tamenti che qui si propongono non sono, perciò, elaborazioni astratte, bensì il frutto di una vasta maturazione collettiva.

«c) I criteri essenziali - politici o culturali - sui quali basare la sanità e l'assistenza sono: 1) che l'uomo e la donna non hanno valore solo in quanto produttori: 2) che la salute e la sicu­rezza sociale hanno significato decisivo ai fini di una società ordinata, di una ricomposizione del tessuto sociale, dello stesso pieno esplicar­si delle capacità di lavoro; 3) che la politica sa­nitaria e assistenziale, come è stata spesso stru­mento e veicolo di distorsioni, può divenire sti­molo per il miglioramento dell'ambiente lavora­tivo ed extralavorativo, per la partecipazione alla vita democratica, per il risanamento dell'am­ministrazione pubblica.

«Gli obiettivi principali, in tale quadro, sono i seguenti:

«1) la tutela della salute nell'ambiente (lavo­ro, città, zone depresse) in modo da incidere so­stanzialmente sui livelli di infortuni e malattie del lavoro, da ridurre drasticamente le principa­li malattie infettive, da attenuare i fenomeni di inquinamento dell'aria, delle acque, del suolo, degli alimenti:

«2) la maternità, che va affrontata come pro­blema non solo privato ma sociale, come scelta libera e consapevole, non deformata dall'igno­ranza e dal bisogno. A questi fini va sviluppata la regolazione delle nascite, come ricerca scienti­fica e come diffusione delle conoscenze; la tutela della maternità nell'ambiente di lavoro e nelle zone di maggiore miseria: lo sviluppo delle atti­vità dei consultori; le cure prima, durante e dopo il parto;

«3) il benessere e la salute dei bambini, che non possono essere un esclusivo carico delle fa­miglie, ma richiedono un impegno di tutta la col­lettività. Si deve tendere a ridurre la mortalità prenatale e infantile dell'1-2% annuo, in modo da raggiungere entro 5-10 anni i paesi più pro­grediti, portare a termine il piano degli asili nido, sviluppare la scuola materna pubblica, particolar­mente nel sud, generalizzare i servizi sanitari per la scuola, potenziare le attività sportive e cultu­rali di massa dei ragazzi e dei giovani;

«4) le esigenze degli anziani e dei vecchi, cui vanno garantite non solo entrate monetarie (già assicurate, peraltro, in misura insufficiente e di­seguale, dall'estensione della previdenza socia­le) e una stentata sopravvivenza, ma forme civili e umane di vita. A questo fine va sviluppata l'as­sistenza e il servizio domiciliare, incentivando il rapporto con la famiglia, affrontato il tema dell'abitazione degli anziani, reso possibile un im­pegno sociale e forme di attività idonee alle ca­pacità psicofisiche degli anziani;

«5) i bisogni degli handicappati, dei sogget­ti gravemente minorati, degli emarginati, dei ma­lati di mente. Si deve tendere al massimo di re­cupero e di integrazione, valorizzando anche il minimo delle capacità e combattendo ogni for­ma di isolamento e di segregazione istituzionale.

«d) Questi obiettivi possono essere raggiunti non solo mediante atti politici, legislativi, ammi­nistrativi; richiedono mutamenti nel comporta­mento individuale e nella cultura; richiedono il rinnovamento del rapporto fra uomo e donna, fra genitori e figli, fra giovani e vecchi, sulla base di un'effettiva collaborazione tra famiglia e società.

«Questi obiettivi implicano leggi, fra le quali assumono rilevanza fondamentale la creazione del Servizio sanitario nazionale e la riforma dell'assistenza; e implicano applicazioni rigorose di leggi esistenti, fra le quali la n. 382 che prevede il passaggio di poteri assistenziali e sanitari alle regioni ed agli enti locali, e la n. 70 che prevede lo scioglimento degli enti inutili.

«È necessario spostare l'asse dell'intervento pubblico dal sistema dei trasferimenti monetari a quello di prestazioni "in natura" mediante ser­vizi aperti a tutti e finanziati in modo da favorire i ceti meno abbienti, mediante la qualificazione tecnico-scientifica dell'attività pubblica nel cam­po sanitario e assistenziale e, in particolare, l'ac­centuazione delle fasi di prevenzione e di recu­pero rispetto a quelle di carattere riparativo.

«Sul piano economico, si deve tendere a com­primere prestazioni superflue o dannose e di­storte, particolarmente nei seguenti campi: a) la riduzione dei consumi farmaceutici dall'attuale numero di 20 prescrizioni annue per cittadino a 5-10, come accade in altri paesi; b) la riduzione della durata della degenza ospedaliera dagli at­tuali 13-14 giorni fino a 10-8 e lo spostamento della tutela sanitaria verso attività domiciliari e ambulatoriali; c) la riduzione del numero delle pensioni di invalidità, che oggi sono spesso sup­plenza di altre forme previdenziali, sia attraverso un'opera di prevenzione sanitaria, sia attraverso il miglioramento delle pensioni di vecchiaia per i redditi più bassi; d) la qualificazione degli stan­dards dei servizi assistenziali, particolarmente per l'infanzia, gli anziani, gli handicappati, con­centrando i mezzi sulle situazioni più acute e combattendo sprechi e parassitismi.

«Sul piano politico, è essenziale puntare sul decentramento dei poteri, sulla partecipazione della popolazione, sull'estensione e potenziamen­to del volontariato, sulla congiunzione dei servizi specializzati (sanitari e assistenziali) con l'insie­me dell'ambiente e della vita collettiva».

In merito alla partecipazione nel territorio le proposte sono le seguenti: «La ricerca di forme originali della democrazia all'interno delle impre­se deve accompagnarsi allo sviluppo di tutte le forme di democrazia di base. Molto importanti sono state in questo senso le esperienze e ac­quisizioni degli ultimi anni: il più intenso colle­gamento dei comuni con la società civile attra­verso il decentramento in consigli di quartiere; le prospettive di democratizzazione delle strut­ture sanitarie e assistenziali; l'avvio degli orga­ni collegiali della scuola; le forme, sperimentate nelle regioni amministrate dalle sinistre, di ge­stione sociale dei servizi. Si è di fronte a un pro­cesso di espansione della democrazia che si attua attraverso molteplici istanze di partecipa­zione popolare.

«Il decentramento delle decisioni e dei con­trolli, fino ai consigli di quartiere, deve essere perseguito sia come uno dei principali strumenti per fondare il confronto politico non solo sui rapporti di vertice tra i partiti, ma su una ricca attività democratica di base, sia come metodo per una rigenerazione della vita pubblica. Esso va concepito come lo strumento vitale di una -più ampia partecipazione popolare alla direzione del­lo Stato.

«Il comune, decentrato nei quartieri e asso­ciato nei comprensori, può diventare sempre più un punto di raccordo e di unificazione delle va­rie forme di partecipazione di base, di cui sono protagoniste molteplici organizzazioni sociali, sindacali, culturali, e che trovano espressioni or­ganiche nella fabbrica e nella scuola.

«Così si delinea il ruolo nazionale dei comuni, quali istanze di rappresentanza generale, con funzioni relative non solo al territorio e ai ser­vizi, ma anche al campo dello sviluppa economi­co e con un ruolo primario nella programmazio­ne, in un corretto rapporto di dialettica demo­cratica».

Circa l'articolazione regionale dello Stato e del­le autonomie locali e la partecipazione, il piano a medio termine così si esprime: «Il problema di una verifica e valorizzazione delle molteplici forme in cui è possibile sviluppare la partecipa­zione popolare alla gestione della cosa pubblica va visto nel quadro di uno sforzo teso a congiun­gere - nella vita dello Stato - efficienza e de­mocraticità. Dinanzi ai sempre più gravi e urgenti problemi posti dalla crisi economica, dalla cri­minalità comune e dal terrorismo politico, ogni cittadino ha diritto di chiedersi qual è la produt­tività del sistema politico e amministrativo ita­liano, ha il diritto di appuntare la critica sui tempi e sulle forme di produzione delle decisioni poli­tiche e di misurare il tempo occorrente a varare una decisione con tempestività, il tempo di discu­terla coi partiti e coi sindacati, di approvarla nei due rami del parlamento. Le popolazioni che han­no lottato per strappare una legge difficilmente riescono a comprendere il significato dei nume­rosi e complicati passaggi burocratici che ven­gono fissati per attuarla.

«La riforma dello Stato - sulla base della piena attuazione del modello costituzionale, - come strada maestra per il superamento dell'at­tuale crisi di funzionalità delle strutture pubbli­che, diventa un'esigenza quotidiana e concreta per milioni di uomini. Il paese ha bisogno di uno Stato che non proceda in modo disorganico, ma che sappia coordinare tutto l'arco dei suoi inter­venti, esprimendo le potenzialità democratiche del paese.

«La realizzazione del dettato costituzionale ri­chiede, accanto all'effettivo riconoscimento del comune come istanza di base dell'ordinamento democratico, il rilancio delle regioni attraverso il superamento degli ostacoli finora frapposti alla piena esplicazione delle loro funzioni, il concre­to avvio - attraverso misure significative, anche se parziali - di un processo di riforma della pub­blica amministrazione, la soppressione o il rior­dino degli enti inutili.

«In questo contesto le regioni devono assol­vere a un preminente ruolo legislativo e pro­grammatico, di propulsione e sostegno del siste­ma autonomistico di base, prevedendo un nuovo livello intermedio di gestione amministrativa che si ponga sostanzialmente come prolungamento e potenziamento del potere comunale per l'eser­cizio coordinato degli interventi nell'economia e sul territorio in relazione alla politica di piano.

Ciò richiede:

«1) che sia riconosciuta alle regioni la pie­nezza dei poteri loro conferiti dalla Costituzione e che si attribuiscano loro per delega determi­nate altre funzioni e cioè - senza indulgere a criteri estensivi - quelle che servono a snellire gli apparati centrali e a rendere organico l'eser­cizio dei poteri regionali;

«2) che le regioni portino rapidamente a con­clusione il processo di delega agli enti locali ed assumano quindi essenzialmente un ruolo di "enti di governo", di indirizzo, programmazione e alta amministrazione;

«3) che si assicuri ai comuni la piena respon­sabilità, nel quadro degli indirizzi regionali, di tutti gli interventi che si operano nel loro terri­torio;

«4) che attraverso una riforma della legge co­munale e provinciale si giunga alla rapida elimi­nazione della provincia e al definitivo supera­mento di enti, uffici, ed organismi burocratico­-corporativi (o in taluni casi, alla loro trasfor­mazione in enti strettamente legati alle assem­blee regionali, comprensoriali, comunali) quali le camere di commercio, i consorzi di bonifica, gli enti turistici, ed altri organismi - ricono­scendo così nei comprensori e nelle comunità montane - cui danno vita i comuni associandosi tra loro - sedi essenziali di una articolata e uni­taria programmazione democratica che trovi nel­le regioni un primo momento di sintesi;

«5) che si realizzi una riforma della finanza lo­cale tale da assicurare ai comuni, nell'unitarietà della finanza pubblica, e nel rispetto degli indi­rizzi di programmazione regionale e nazionale, le risorse finanziarie adeguate ai compiti sopra indicati.

«In sintesi, lo Stato democratico deve fondar­si - superando i pesanti residui di un'organiz­zazione per corpi burocratici e amministrazioni parallele - su una corretta ripartizione di com­piti e responsabilità tra le assemblee elettive comunali, regionali e nazionali, legate insieme da una direzione politica nazionale unitaria e da una programmazione democratica che dia forza e coe­renza agli interventi pubblici.

«Il parlamento deve essere sempre più chia­mato a lavorare attorno alle grandi linee della politica di sviluppo del paese e ad elaborare le leggi di riforma e di principio (...) .

« In questo contesto i partiti devono organiz­zare la partecipazione politica delle masse evi­tando di confondere le loro funzioni di direzione politica e ideale con le responsabilità proprie de­gli organi dello Stato democratico. Le funzioni essenziali dei partiti potranno essere assolte con maggiore efficacia se essi contribuiranno al processo di formazione delle decisioni nella sede delle istituzioni elettive stimolandone e garan­tendone la libera dialettica.

«Va in questo spirito affrontato il problema, importante e complesso, della definizione di un rapporto tra sindacati e istituzioni democratiche che eviti le strettoie del puro confronto con l'ese­cutivo e le contraddizioni che ne possono nasce­re per l'esercizio di un potere di scelta e di sin­tesi generale che spetta al parlamento e alle regioni. Si tratta di trovare - nel pieno rispetto dell'autonomia e della funzione contrattuale dei sindacati, e nella considerazione degli importar ti compiti di carattere generale che essi svolgono in alcuni settori della vita sociale - procedure che garantiscano un equilibrio tra le fondamen­tali istanze di progresso sociale di cui si fanno portatrici le organizzazioni dei lavoratori e le compatibilità complessive di una politica di pro­grammazione».

 

 

(1) Proposta di progetto a medio termine, Editori Riuniti, Roma, 1977, pag. 122, L. 1.000.

(2) Sono quelle che «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa». V. l'editoriale del n. 39 di Prospettive assistenziali.

(3) V. Prospettive assistenziali n. 38.

(4) V. Prospettive assistenziali n. 39.

(5) V. la bozza di proposta di legge regionale di iniziativa popolare «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assisten­ziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi», in Prospettive assistenziali, n. 39.

(6) In occasione di un incontro sulla proposta di legge di iniziativa popolare «Competenze regionali in materia di ser­vizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali», il PCI si era opposto al trasferimento delle competenze dalle Province ai Comuni. Siamo lieti che la posizione sia mutata.

 

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