Prospettive assistenziali, n. 42, aprile-giugno 1978

 

 

Specchio nero

 

 

LA CATENA DEI CIECHI

 

La lettera che qui riportiamo è un'altra prova di cosa possano diventare, snaturandosi, riven­dicazioni settoriali, ristrette in logiche interne di categoria. Poiché siamo sempre più convinti che ai bisogni emergenti si debba rispondere con servizi formulati e controllati da tutti i cittadini, misurandoli sulla domanda della comunità, è ora che vengano corrette le ideologie arcaiche e mo­ralizzanti, gli impulsi rivendicativi e pietistici di certe associazioni che sotto l'orgogliosa ban­diera di non perdere la propria autonomia na­scondono, anche nei casi di riconosciuta buona fede, una incapacità culturale a cambiare.

Questa lettera che parla di meravigliose tradi­zioni, di sacrifici, di sangue che ci circola dentro, contiene in realtà indicazioni di principio parti­colarmente gravi.

Considerata per legge ente inutile, l'Unione Italiana Ciechi tenta di proliferare, noncurante dei suoi obblighi. Senza riconoscere che oggi deve essere assunto con chiarezza un dato fon­damentale: che all'attuale sistema assistenziale devono essere contrapposte iniziative per il su­peramento dell'intervento assistenziale.

 

Lettera del presidente dell'Unione italiana ciechi (1)

Questa lettera è rivolta a tutti i quadri diri­genti sezionali, regionali e nazionali dell'Unione Italiana dei ciechi per una sottoscrizione eccezio­nale ed urgente.

Dopo l'emanazione della legge n. 382 è ini­ziata una nuova era per la nostra Associazione ed è nostro dovere prendere ogni precauzione al fine di creare tutte le condizioni per essere più liberi, più indipendenti, più forti.

La 382 doveva essere la nostra tomba, per chi ci vedeva già morti. Invece siamo riusciti a sal­vare l'Associazione e ad aprirle una vita più esal­tante e più degna delle nostre meravigliose tra­dizioni.

Stato, Regioni, Province e Comuni non dove­vano più finanziarci: così era scritto in un primo momento. Patrimoni e beni dovevano passare ad altri e il nostro destino era l'annientamento.

Tutto questo è stato scongiurato con un'azione che ci ha fatto tremare e soffrire per due anni. Posso confermare che tutta la struttura perife­rica esce rafforzata nelle prospettive e questo non è poco giacché nelle Sezioni c'è il passato glorioso della nostra storia; c'è il presente ricco d'impegni; c'è l'avvenire che insieme dovremo costruire alla luce dei tempi nuovi.

La 382, nella sua prima stesura, affermava che nessun contributo dello Stato doveva essere ero­gato alle Associazioni. Oggi la legge, viceversa, afferma che lo Stato può finanziare le Associa­zioni. E' chiaro che questa possibilità dev'essere conquistata in Parlamento perché tutto è più difficile che nel passato.

Le condizioni del bilancio statale sono falli­mentari e a chiedere siamo in tanti. Passeranno alcuni anni, due o tre che io chiamo di emer­genza ed è per questa emergenza che io lancio un appello ai più fortunati tra noi.

A mio avviso sono fortunati coloro che come me hanno avuto dal nostro Movimento, dalla no­stra Unione: istruzione, lavoro, dignità e possi­bilità di occuparsi dei propri fratelli attraverso l'atto di donare sensibilità e solidarietà.

Per coprire l'emergenza ciascuno di noi perso­nalmente deve sottoscrivere un contributo di al­meno 50.000 lire che devono costituire «il fon­do per la difesa e la libertà dell'Unione Italiana dei ciechi», amministrato a Roma da tre nostri compagni.

Il fondo deve garantire tutte quelle spese che non possono passare nelle contabilità ufficiali come la possibilità di muoverci, viaggiare, avere le collaborazioni più indispensabili, fare la pro­paganda necessaria per aumentare il prestigio associativo, offrire dei pranzi e fare dei doni a chi ci aiuta, dare dei premi a quei collaboratori che vivono al nostro fianco la lunga giornata di lavoro, ecc.

Pensate, per esempio, al mio autista che per regolamento non può fare più di 20 ore di stra­ordinario al mese; le fa in meno di una settima­na, il resto l'ufficio non le può pagare.

Fin qui abbiamo salvato la situazione con con­tributi personali io e Kervin, ma nel futuro que­sto si aggraverà. La Sede Centrale da 47 impie­gati, passerà a sei, sette unità e dovremo lavo­rare sempre di più noi dirigenti. Le collaborazioni saranno più preziose e a chi ci sta al fianco fino a mezzanotte non possiamo distribuire solo sor­risi e ringraziamenti.

Entro un paio d'anni tutto il problema del finan­ziamento delle strutture centrali sarà risolto, ma intanto dobbiamo garantirci la massima libertà operativa possibile.

E' un grosso impegno, ma è indispensabile. Ciascuno di noi deve inoltre trovare una de­cina di parenti e amici disposti a sottoscrivere una somma anch'essa di 50.000 lire.

Dobbiamo dar vita alla «CATENA DELLA LI­BERTA'».

Per essere liberi dobbiamo essere indipenden­ti. Con i contributi che riusciremo ad avere dallo Stato garantiremo il costo degli uffici e del per­sonale, ma con i nostri contributi personali ci garantiremo mille occasioni di maggiore indipen­denza.

Se fa sottoscrizione sarà rilevante suggerire­mo ai tre compagni amministratori del fondo di acquistare buoni del tesoro e utilizzeremo solo gli interessi del capitale, viceversa, dovremo con saggezza spendere ciò che occorre.

Dando uno sguardo alla mia vita e alla Tua, caro amico, questo è il sacrificio minore che si fa per l'Unione.

L'Unione è ormai noi stessi, è parte del sangue che ci circola dentro, è motivo di vita che ci fa esultare e soffrire come ogni amore contrastato. Ma è anche linfa di vita, occasione di impegno, meravigliosa realtà che ci chiama a lottare per traguardi che non sono più nostri, ma di chi at­tende ancora quello che noi abbiamo raggiunto.

«IL FONDO PER LA DIFESA E LA LIBERTA' DELL'UNIONE ITALIANA DEI CIECHI» è stato costituito con atto notarile ed i versamenti van­no effettuati sul c/c bancario n. 22507/4 tratto sul Banco di Santo Spirito - P.zza del Parlamento n. 18 - Roma.

In attesa di una Tua concreta risposta, Ti ab­braccio con affetto.

 

 

 

 

(1) La lettera è datata 3 dicembre 1977.

 

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