Prospettive assistenziali, n. 41, gennaio-marzo 1978

 

 

I CENTRI DI QUARTIERE, COINVOLGIMENTO E PARTECIPAZIONE PER L'ATTUAZIONE DELLE UNITÀ LOCALI

DONATA MICUCCI NOVA e LILIANA MARELLI

 

 

Riportiamo qui di seguito, un episodio esem­plare, ma purtroppo non unico, di come funzio­nano a Monza i Servizi sociali e in particolare quelli sanitari.

In data 21-10-77 il sig. A.M., residente a Mon­za, veniva dimesso dopo circa tre mesi di de­genza dall'Ospedale «Villa Serena» di Monza con una diagnosi di «cirrosi epatica ascitogena e diabete mellito».

Sul foglio di dimissione dell'ospedale «Villa Serena» veniva indicata la terapia che il sig. M. doveva necessariamente seguire a domicilio. Secondo il parere del medico curante di «Villa Serena» sì trattava di una normale terapia di routine e di contenimento nel trattamento del paziente.

Veniva sottolineato da parte del medico cu­rante di «Villa Serena» la necessità di garanti­re quotidianamente al sig. M. la somministrazio­ne giornaliera dell'insulina, nelle modalità e quan­tità indicate sul foglio di dimissione. Dopo qual­che giorno dalla dimissione, il sig. M., accompa­gnato dalla sig. Micucci si reca dal dott. F.B., medico condotto della 1ª Condotta medica del Comune di Monza - e suo medico curante - per farsi conoscere e per farsi consigliare ade­guatamente circa la terapia e la dieta da seguire. Il dott. F.B. invece, non visita il paziente, affer­ma di non essere d'accordo con i suoi colleghi di «Villa Serena» circa la possibilità, per il sig. M. di seguire una terapia a domicilio, non vuole prendere contatti con i suoi colleghi di «Villa Serena», ritiene grave la situazione sanitaria del sig. M., indica come unica soluzione possibile il ricovero in Istituto o in Casa di Riposo.

Egli non dà alcuna indicazione circa la terapia, circa le scadenze per i necessari controlli am­bulatoriali, circa la dieta da seguire. Egli non provvede neppure ad un nuovo ricovero ospe­daliero, pur continuando a sostenere che la si­tuazione «è seria, grave e preoccupante». E poi, «per avere la coscienza pulita» e per confer­mare di non voler prendersi «alcuna responsa­bilità per questo paziente», rilascia un certifica­to, scritto e firmato di suo pugno, in cui si dice testualmente: «Io dott. F.B. non ritengo di se­guire domiciliarmente il sig. A.M. perché le con­dizioni fisiopatologiche, mentali e ambientali non sono idonee nel modo più assoluto al caso. Ri­tengo pertanto utile il ricovero in ambiente qua­lificato».

Secondo il dott. F.B. il suo compito, con la stesura di questo certificato, era definitivamente terminato.

Solo successivamente, dopo una dura presa di posizione da parte di alcuni cittadini, il dott. F.B., suo malgrado, ha dovuto rivedere le sue posizioni e prendersi comunque in carico il pa­ziente... bene o male!

Da questa vicenda si possono, secondo noi, trarre una serie di considerazioni e di puntualiz­zazioni circa il reale funzionamento - o meglio, non funzionamento dei Servizi socio-sanitari a Monza. Innanzitutto precisiamo che, prima delle dimissioni del sig. M. dall'ospedale «Villa Sere­na», l'A.S. che conosce il sig. M., ha chiesto ripetutamente all'ospedale stesso che continuas­se a seguire ambulatoriamente il paziente, prov­vedendo a quanto era strettamente necessario sotto il profilo medico, tenuto conto anche che il sig. M. necessitava di un'iniezione di insulina giornaliera e di controlli periodici assidui e abi­tava vicino all'Ospedale.

Non sembrava questa, una richiesta illogica soprattutto se si tiene conto che, nell'ottica del­la «riforma sanitaria», l'Ospedale deve anche prevedere strutture ambulatoriali aperte al ter­ritorio.

Tra l'altro, si poteva, in questo modo, garan­tire al sig. M. - e ai cittadini in genere - una continuità terapeutica che poteva essere, e di fatto, lo è stata, seriamente compromessa. «Vil­la Serena» ha negato decisamente questa pos­sibilità, affermando che «altrimenti si sarebbe creata un'abitudine!...».

Non abbiamo capito, ma forse alludevano alla possibilità di un'abitudine malsana a richiedere servizi più adeguati o più rispondenti ai bisogni emergenti!

Comunque, vista l'impossibilità di utilizzare la struttura ospedaliera, e di fronte alla necessità di garantire al sig. M. l'iniezione giornaliera di insulina lenta 25 unità, si è dovuti ricorrere ad un'organizzazione privata e volontaristica - nel caso specifico l'UNITALSI - in quanto non esi­ste, a Monza, neppure in via sperimentale od embrionale, un servizio infermieristico a domi­cilio.

A Monza esiste unicamente un servizio di «as­sistenza domiciliare» riservato agli anziani per il quale sono utilizzate sei A.G. - colf (Assistenti geriatriche) per una popolazione anziana com­plessiva di circa 20.000 unità.

È evidente che sei operatori sono insufficienti anche solo se si pensa ad un servizio riservato agli anziani, e a maggior ragione se si ritiene, come pensiamo sia indispensabile, che tale ser­vizio a domicilio debba essere polivalente e uti­lizzabile «da tutte le persone in situazione di bisogno».

Inoltre, questo personale non ha, sul territo­rio, nessuna possibilità di riqualificazione ed o­pera al di fuori di ogni collegamento con gli al­tri operatori socio-sanitari.

Ritornando, per un momento, all'episodio so­pra riportato, vorremmo precisare, tra l'altro, co­me il sig. M., fruitore dell'assistenza sanitaria comunale, debba necessariamente ed unicamen­te rivolgersi al medico condotto operante nella condotta medica alla quale territorialmente egli appartiene.

Ciò significa che il Sig. M., di fronte alla rigida posizione assunta dal medico condotto e, d'altro canto, da «Villa Serena» stessa, di fatto restava assolutamente privo di assistenza sanitaria.

Ora, al di là del fatto che la figura del «medi­co condotto», deve essere necessariamente su­perata dalla emananda «riforma sanitaria», ci sembra utile precisare che a Monza, nello spe­cifico, funzionano (si fa per dire!) n. 3 Condotte mediche con 6 ambulatori e gli assistiti - tipi­ci delle condotte - sono circa 180 persone nell'arco dell'intero anno.

Sembra evidente quindi, senza ulteriori speci­ficazioni, quale spreco economico costituiscono le attuali realtà delle Condotte mediche, e que­sto non solo a livello di Monza.

Inoltre, a nostro avviso, la «Condotta» è vis­suta come realtà tipicamente «assistenziale» in quanto il cittadino che la utilizza è uno «iscrit­to all'elenco dei poveri»: questo cittadino, pri­vato di ogni diritto, e a maggior ragione del «di­ritto alla salute», può essere tranquillamente ignorato, bistrattato, negato, soggiogato dalla superiorità del tecnico, ricacciato ancora più ai margini.

La prova è che il dott. F.B. in questione ha cambiato atteggiamento, come riportavamo in precedenza, solo dopo la presa di posizione pre­cisa e documentata e pubblicizzata da parte di cittadini al di fuori del rapporto di utenza e co­munque capaci di sostenere e controbattere an­che in termini verbali, l'inadeguatezza e lo squal­lore, umano e politico, di un simile atteggia­mento.

Crediamo valga anche la pena di sottolineare, quasi a completamento del quadro, come di fron­te alla necessità di reperire l'insulina, assoluta­mente necessaria al sig. M., si è dovuti ricorrere all'Ufficio di igiene, ma non certo in virtù di un diritto acquisito, ma piuttosto utilizzando canali e conoscenze, tipicamente «clientelari».

Solo, cioè, in virtù di conoscenza si è riusciti ad avere dall'Ufficio d'igiene le dosi d'insulina necessarie per superare almeno ì primi giorni (festivi) dopo le dimissioni e in attesa che po­tesse essere redatta la regolare prescrizione me­dica.

«Villa Serena» da parte sua, pur sapendo che il paziente non poteva rimanere senza insulina neppure per un giorno, si è ben guardata dal ri­lasciare al sig. M., al momento delle dimissioni, la dose di insulina necessaria per i primi due o tre giorni. E questo nonostante l'assistente so­ciale ne avesse fatta esplicita richiesta.

Aggiungiamo, ancora, che l'Ufficio d'igiene, ci consegnò fiale dì insulina di 400 unità, scam­biandole e conteggiandole come fiale da 40 uni­tà! E chi si accorse dell'errore, grave perché po­teva costare la morte al M., non fu l'Ufficio d'i­giene, ma l'infermiera volontaria dell'UNITALSI.

Anche se nel caso specifico, ricorrendo all'aiuto di volontari si è potuto trovare una solu­zione che permettesse al sig. M. di restare a casa sua, di condurre la vita che voleva con la garanzia dì un'assistenza infermieristica conti­nuativa, non si può essere soddisfatti e accon­tentarsi di tamponare le continue falle registra­te, vissute e pagate, dei servizi sociali pubblici.

È necessario che queste situazioni, queste realtà siano conosciute, dibattute e denunciate, diventino cioè, «problema politico», quale, di fatto, sono da sempre.

A noi è sembrato corretto quindi denunciare l'atteggiamento del dott. F.B. non solo attraver­so la stampa cittadina, ma coinvolgendo e inte­ressando gli organi competenti e che riteneva­mo fossero tenuti a prendere posizione contro quanto era successo.

A noi è sembrato corretto, soprattutto, per­ché crediamo alla necessità di procedere, spe­ditamente, nella prassi di demitizzazione del tec­nico e di svuotamento del suo ruolo di potere quale indiscusso ed unico mediatore tra il biso­gno e la risposta che l'ente decide di dare.

E la risposta, che in questo caso l'Ente attra­verso il dott. F.B. aveva deciso di dare, era an­cora una volta una risposta di emarginazione.

Il sig. M., paziente sicuramente da seguire at­tentamente e costantemente, «pesava troppo» al medico condotto che, nei fatti, affermava sgar­batamente e forte della sua autorità, che l'M. doveva andare al ricovero... «alla Baggina», noi diciamo, pensando al «Pio Albergo Trivulzio» di Milano.

E se il sig. M. a soli 50 anni, riusciva ad infi­larsi alla Baggina era sicuramente fortunato! Infatti, prescindendo, per un attimo, dall'im­proponibilità circa una soluzione emarginante to­tale quale il ricovero, precisiamo che a Monza non esistono «case di riposo» per anziani e che quindi gli anziani e gli invalidi monzesi vengono confinati in istituzioni lontane dalla città e, spes­so, difficilmente raggiungibili con i mezzi di tra­sporto pubblico: S. Angelo Lodigiano, Vimodro­ne, Brugora, ecc.

A Monza esiste, invece, un unico stabile adi­bito a monolocale per anziani - soli o coppie di coniugi -: in sé l'aver previsto case a basso prezzo per gli anziani ci sembra cosa buona; non ci sembra però cosa positiva l'aver collocato i monolocali per anziani tutti in un unico stabile, ricreando di fatto, una situazione di ghetto, falsa rispetto alla realtà quotidiana che è, innegabil­mente, realtà eterogenea.

Crediamo che sia più corretto reperire alloggi, a basso costo, in stabili di civile abitazione (per esempio attraverso convenzioni), in stabili di edilizia economica o popolare, distribuiti su tut­to il territorio cittadino senza creare strutture, seppure migliorative rispetto al «ricovero», co­munque e ancora emarginanti.

A Monza, viene ventilata in questi giorni da parte dell'Amministrazione comunale l'ipotesi di riprendere in considerazione il progetto, che sembrava definitivamente accantonato, di ristrut­turare un vecchio stabile del centro storico per adibirlo, ancora una volta, a monolocali per an­ziani.

Questo tipo di progetto non trova d'accordo né i movimenti di base esistenti sul territorio né il «Coordinamento degli operatori socio-sanita­ri», e sarà oggetto di trattative (o di scontro) con l'Ente locale affinché quello stabile - ed al­tri - oggetto di ristrutturazione nel «Centro storico», diventino di proprietà pubblica e i lo­cali siano assegnati democraticamente, rispet­tando modalità eterogenee.

Riferendoci, ancora una volta, a quanto acca­duto al sig. M., vorremmo cogliere e richiamare in questa sede, seppur brevemente, la proposta fatta dal «Coordinamento degli operatori socio­sanitari» circa la realizzazione a Monza dei Cen­tri di quartiere, intesi come primo passo per il superamento dell'attuale realtà. Precisiamo che Monza ha circa 120.000 abitanti e che i quartieri del decentramento sono n. 8 - quelli che noi chiamiamo Centri di quartiere possono in qual­che misura essere paragonati ad «aree elemen­tari».

Il «Coordinamento degli operatori socio-sani­tari», ha redatto una piattaforma complessiva, che sarà oggetto a breve scadenza di vertenza con l'Ente locale, e che è stata pienamente ac­colta dal Consiglio unitario di zona di Monza, dal Consiglio dei delegati del Comune, dei Co­mitati di quartiere del decentramento ammini­strativo e dalle realtà di base esistenti sul ter­ritorio.

Quando parliamo di «Centri di quartiere» in­tendiamo riferirci alla proposta «politica-orga­nizzativa» che prevede almeno inizialmente, un utilizzo diverso degli operatori socio-sanitari di Monza, prevedendo gli operatori «sul territorio» e non legati a configurazioni specifiche di «cate­gorie di bisogni».

I «Centri di quartiere» operano quindi in ter­mini di intervento polivalente ed onnicompren­sivo, sganciati da strutture specifiche, stretta­mente collegati con il territorio e la sua realtà, per un intervento qualitativamente diverso e ca­ratterizzato in senso partecipativo.

L'incidenza del lavoro dei «Centri di quartie­re», a livello di coinvolgimento e partecipazione popolare diretta, è strettamente e direttamente dipendente dalle capacità dì essere, nel quartie­re, realtà viva e vivacizzante, punto di riferimen­to stabile e coinvolto nella dinamica sociale.

I lavoratori del «Centro di quartiere» man­tengono un minimo di autonomia tecnica di or­ganizzazione del lavoro, in quanto il lavoro stes­so deve emergere dal confronto e dal rapporto dialettico con le forze sociali, politiche e sinda­cali di base del territorio.

I «Centri di quartiere» sono collegati con le strutture di «2° livello» non capillarmente de­centrate sul territorio e con funzioni di coordi­namento tra i centri di quartiere affinché si pos­sano impostare, a livello cittadino, interventi il più possibile omogenei, pur salvaguardando la specifica realtà e problematica di ogni singolo quartiere.

Si prevedono come operatori dei «Centri di quartiere» utilizzabili subito le assistenti socia­li del «Servizio sociale comunale», quelle del Servizio sociale dell'ECA, le assistenti sociali visitatrici dell'Ufficio d'Igiene, le assistenti ge­riatriche - Colf attualmente adibite all'assistenza agli anziani e, seppur non a brevissima scadenza, gli operatori dei Servizi specialistici per handi­cappati, nonché il personale scolastico di «aiu­to educativo» o «sostegno didattico».

Evidentemente a monte del discorso relativo alla realizzazione dei Centri di quartiere occor­rerà determinare, a livello cittadino, in modo cre­dibile, documentabile ed omogeneo, il minimo vi­tale, aggiornato di anno in anno in base ai tassi di svalutazione.

È evidente che i Centri di quartiere non sono, e non potranno mai essere, così come sono con­figurati, l'Unità locale dei servizi. L'U.L.S. è, ne­cessariamente, realtà territorialmente più ampia, Centro di governo, comprensiva di «tutti» i servizi esistenti sul territorio.

I Centri di quartiere, così come previsti dalla piattaforma del «Coordinamento degli operatori socio-sanitari», si collocano però nell'ottica dell'U.L.S. in quanto propongono la gestione demo­cratica e partecipata dei servizi sociali e sani­tari, l'aggancio diretto e immediato con la pro­blematica sul territorio, l'intervento di base e polivalente degli operatori socio-sanitari.

Noi crediamo che, anche nell'ottica dell'U.L.S., i Centri di quartiere continuano ad avere ragio­ne d'essere, proprio come realtà di base, capil­lari sul territorio, in grado di allargare la parte­cipazione democratica, in grado di essere mo­mento e sede d'analisi, dibattito ed elaborazione di proposte e risposte alternative rispetto a quel­le attualmente erogate.

Noi crediamo non sia utopia prevedere un'or­ganizzazione futura dove realtà di base, forte­mente partecipate e gestite democraticamente, possano trovare proprio nell'U.L.S., il loro mo­mento di coordinamento e di contrattazione.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it