Prospettive assistenziali, n. 40, ottobre-dicembre 1977

 

 

Specchio nero

 

 

SORELLE D'ITALIA: LE PUNITE, LE PERDONATE, LE UMILIATE, LE OFFESE, NEL DISEGNO DI UNA APOCALITTICA CROCIATA

 

Con richieste di pene che vanno per la donna da uno a quattro anni, con concessioni di perdono giudiziario alla penitente, come nel medioevo, con desolanti proposte di adottabilità prenatale che sconfessano tutta una politica di adozione consapevole, una nuova (o vecchia) organizzazio­ne antiabortistica definitasi «Movimento per la vita» si accinge ad una raccolta di firme a so­stegno di una proposta popolare (?) sul tema dell'aborto.

È impossibile anche per chi non se la sente di approvare la legislazione sull'aborto, di non giu­dicare disgustosa questa proposta per la sua di­scriminazione repressiva versa la donna, per la sua violenza contro la vita che pure afferma di voler difendere.

Anticostituzionale in quanto esclude qualsiasi possibilità di aborto, anche quello ammesso dalla Corte Costituzionale, la proposta, patrocinata dal Cardinale Benelli, rivela la sua intransigenza in­tegralista contro lo Stato, al quale però chiede il concorso spese quando propone (art. 6) l'istitu­zione di «centri di accoglienza e di difesa della vita umana», centri in cui la parola aborto non dovrà essere pronunciata neppure in caso di pe­ricolo per la donna. Saranno infatti le Regioni a sovvenzionare questi centri dove la donna, og­getto di beneficenza e di assistenza subita, sarà aiutata a portare avanti la gravidanza non voluta o impossibile.

A lei gravida, magari ad alto rischio, saranno devolute «le cure assidue», quelle che mancano negli ospedali per tutte, come ben sanno le don­ne che vi partoriscono. Saranno inoltre le Regioni a pagare (art. 5) le «residenze per gestanti», che vogliono tener nascosta la loro maternità, residenze per donne bene, perché alle altre, quel­le che lavorano, sarà difficile nascondersi con il frutto proibito per un così lungo tempo (dovran­no pur dare al datore di lavoro un certificato me­dico plausibile).

Neppure Carolina Invernizio era mai giunta a tanto nel suo continuo contrabbando del figlio del peccato tra gentiluomini e fiammiferaie. Lei, nei suoi romanzi di donne umiliate e quindi col­pevoli, non si sarebbe permessa, come nell'arti­colo 16, di consigliare ai genitori naturali di non denunciare la nascita del figlio per farlo scrivere immediatamente con il cognome degli adottandi già deliberatamente scelti. Rinuncia del figlio che, in un paese burocratico dove tutto viene scritto e riscritto, si potrà fare anche col telefo­no, tanta è la fretta di questo «movimento per la vita», di questo esercito della salvezza, di re­dimere le peccatrici.

Infatti ci si muove in gran fretta quando non si vuol lasciare spazio critico a chi diventi attento alle componenti sociali dei problemi: potrebbe essere esplosivo lasciare alle donne l'analisi del condizionamento sociale a cui sono sottoposte, e lasciarle ricercare autonomamente il loro ruolo. Per la loro storia di subalterne non è quindi ca­suale che esse non siano chiamate a decidere né come gestanti né come madri, ma siano altri a farlo dall'alto con una sicurezza autoritaria, una assenza di dubbi, una sordità degna di un «Mo­vimento» intransigente ed oscurantista.

 

 

DISSACRATI GODIMENTI SESSUALI: PER L'ON. GAVA LE STREGHE SON TORNATE!

 

Bocciata al Senato la legge sull'aborto, la so­luzione del problema ritorna al Parlamento: così mentre nei partiti continuano le bizantine pole­miche, una parte dell'opinione pubblica soprat­tutto quella femminile, già protagonista di anni di lotta per la sua emancipazione e per la parità dei diritti, ha ricominciato la denuncia dell'abor­to clandestino. Mentre in ambienti cattolici pro­gressisti si avverte il bisogno di un chiarimento, in parità giuridica e morale, delle diverse posi­zioni ideologiche, tesi avverse e conservatrici si rilanciano da parte di certa stampa.

In un articolo su La Rota (anno VIII, n. 4-5) l'on. Silvio Gava affronta il problema dell'aborto con spirito preconciliare, dividendo le madri in buone e cattive, e offendendo la donna in nome di una verità dogmatica e di una Chiesa ritornata alla Controriforma.

«... La storia della Chiesa è piena di esempi di tante madri, quasi sempre ignorate dal mondo le quali, consapevoli del significato e del destino soprannaturale della vita alimentata nel loro grembo, hanno accettato di sacrificarsi per apri­re al figlio la via sicura della salute eterna. Sono esempi di mirabile altruismo, quanto ammonitori verso gli squallidi egoismi di un tipo odierno di femminismo privo di amore e solo bramoso di dissacrati godimenti sessuali...».

Nello stesso articolo l'autore si scaglia contro l'aborto terapeutico.

«Neanche l'aborto terapeutico è permesso dal­la religione cattolica perché la vita della madre e quella del nascituro, egualmente innocenti, sono egualmente sacre e perciò non è lecito operare col preciso e diretto intento di salvare l'una a prezzo dell'altra: anzi, nel conflitto tra le due vite, la madre battezzata è fruente già della promessa del Cristo, deve sacrificarsi, ove necessario, per consentire al nascituro di ricevere il battesimo».

Consentiamo la salvezza del nascituro perché, nello stesso clima medioevale venga poi venduto per centoventimila lire, proprio a pochi passi dal­la Cattedrale dove è stato battezzato? (Asta in piazza ad Altamura, Bari, per vendere i bimbi­-pastori: La Repubblica, 18 agosto 1977).

 

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