Prospettive assistenziali, n. 40, ottobre-dicembre 1977

 

 

Libri

 

 

R. ROSSI E COLL., Terapia della droga: illusione o realtà?, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1975, pag. 123, L. 5.000.

 

«Questo libro raccoglie una serie di esperien­ze, di tentativi di interventi terapeutici fatti da noi in diverse direzioni nel campo delle tossico­manie. Abbiamo affrontato pressoché tutti i mo­di, uno per ciascun capitolo, un esempio per cia­scuno, in cui si può intervenire sul drogato al di fuori del ricovero: trattamento psicanalitico, ospedalizzazione domiciliare, rapporto con la fa­miglia, trattamento attraverso enti pubblici, trat­tamento farmacologico. Chi leggerà il libro vi troverà prevalentemente dubbi, incertezze, alcu­ni fallimenti terapeutici (...); la nostra opinione rimane che la soluzione del problema della dro­ga è solo preventiva a livello socio-politico e non terapeutico ambientale...» (1).

Noi da parte nostra avremmo trovato più con­vincente tale affermazione - che condividiamo - se i descritti tentativi di terapia fossero stati essi stessi più permeati e collegati con iniziati­ve socio-politiche e con interventi preventivi. Ci spieghiamo con un esempio (2): a New York nel 1971 un folto gruppo (qualche decina) di por­toricani tossicomani occuparono, d'accordo con l'équipe medica, un reparto di un ospedale zo­nale e si sottoposero con successo alla disintos­sicazione con metadone.

A distanza di 2 anni uno solo di essi era ritor­nato tossicomane cioè metadon-dipendente. La «tecnica» era farmacologica, ma nel caso ave­va un valore tutto sommato secondario, strumen­tale. La motivazione, infatti, era il vero agente terapeutico: si trattava di una analisi politica condotta in comune con i medici del reparto, sfociata nell'intuizione collettiva che l'emargina­zione e la ghettizzazione di cui come portorica­ni soffrivano, trovava nella droga il rinforzo de­finitivo.

Su questo problema di fondo, cioè «da che parte sta l'operatore» sia individualmente (cioè della verità e profondità del rapporto interper­sonale instaurato indipendentemente dalla clas­se sociale di appartenenza del drogato), che po­liticamente (di classe), il volumetto in esame presenta invece un atteggiamento elusivo ed estetizzante: «Abbiamo espresso delle opinio­ni (circa le modalità di intervento, n.d.r.) pessi­mistiche. Saremo ben felici di essere smentiti e di avere torto perché questa è una scommessa che ci piacerebbe perdere...» (3).

Eppure proprio nella esperienza sull'ospedaliz­zazione domiciliare presentata da alcuni giovani collaboratori del Rossi, ci si avvicina a cogliere il profondo coinvolgimento che il tossicomane esige; è il contributo a nostro giudizio più ric­co di importanti implicazioni: «Nessuno di noi, credo, immaginava l'entità dell'impegno (si trat­tava di una coppia di eroinomani, n.d.r.) ma la disponibilità era totale.

Avevamo due oralità a confronto, anche se di­verso era l'oggetto dell'appetizione: un bisogno da ambo le parti, unico modo forse per mettere in moto il rapporto, ma anche una trappola nar­cisistica».

Ci pare che il non approfondimento di questo dilemma nel quale si viene a trovare ogni ope­ratore (anche in campi diversi dalle tossicoma­nie: si pensi ad esempio alle psicosi) e al qua­le più volte ci si affaccia lungo i vari contributi del volume sia la mancanza principale che esso presenta. La soluzione non ci pare infatti quel­la più volte adombrata, ma non sufficiente, di una migliore professionalizzazione, ma di un la­voro di tutti, per primi gli stessi operatori, af­finché il «sintomo» droga sia realmente assun­to nel collettivo. Infatti la nostra cultura di tipo tecnocratico contiene già in sé, a priori, le pre­messe sia per l'esclusione del drogato che per la comparsa della tossicomania come sintomo collettivo.

Concludiamo segnalando rapidamente al let­tore alcune altre cose:

- l'eccellente lavoro di compilazione e di sin­tesi riportato nel capitolo sulla terapia far­macologica;

- la ricchezza di spunti e di suggestioni del contributo (la psicoterapia analitica), benché trattandosi di cliente tossicomane «legge­ro» esso sia più utilizzabile per un orienta­mento verso alcune costanti di un certo ti­po di personalità che per una introduzione alla terapia col vero tossicomane;

- l'attualità e l'interesse che il volume ha so­stanzialmente mantenuto, nonostante sia sta­to pubblicato prima della legge sulla droga (che è del dicembre del 1975). Mancano tut­tavia gli aggiornamenti che dall'incrocio fra le esperienze attuate e la nuova legge certa­mente sarebbero emersi.

BEPPE ANDREIS

(1) Dalla introduzione.

(2) Peraltro non verificato personalmente nella sua autenticità: ci è stato raccontato da MONI ELKAIN, a Roma, al convegno di psicoterapia della famiglia del 1974.

(3) Dall'introduzione.

 

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