Prospettive assistenziali, n. 37, gennaio-marzo 1977

 

 

EVANGELIZZAZIONE, PROMOZIONE UMANA E I PROBLEMI DEGLI EMARGINATI IN ITALIA

GIORGIO PAGLIARELLO

 

 

Il documento della Commissione N. 6 su «E­vangelizzazione, promozione umana e i problemi degli emarginati in Italia» (1) richiede un giudizio sostanzialmente positivo: l'attenzione è diretta chiaramente alla realtà delle persone e ai loro di­ritti, al dovere di ascolto, di partecipazione e di servizio che la Comunità cristiana è chiamata a compiere.

- Positiva e coraggiosa è l'analisi interna, an­che se è appena accennata con l'affermazione del­la centralità del problema per la Chiesa italiana e con la constatazione della mancanza al Conve­gno di Roma dei protagonisti del cammino di li­berazione, cioè di coloro che vivono o hanno su­perato lo stato di emarginazione.

Così pure è esatta l'analisi del fenomeno, poi­ché individua le fasce prevalenti e ne indica, sia pure sommariamente, le cause.

Si constata inoltre il cammino culturale, legi­slativo e politico che va facendo la Comunità ita­liana e si dichiara che questo è visto dalla Chie­sa con simpatia.

- Però delle cause dell'emarginazione e del cammino che si va compiendo si prende atto, ta­cendo anche solo in accenno le proprie respon­sabilità sia nell'avere accettato e spesso favorito l'emarginazione (si pensi per esempio alla seletti­vità operata nelle scuole cattoliche anche prima della accettazione degli allievi e alla derespon­sabilizzazione delle famiglie e delle comunità con la creazione e la conservazione acritica delle strutture assistenziali) sia nel considerarsi in qualche modo spettatori del disegno sociale oggi emergente, quasi che le Chiese locali siano di­sincarnate e al di fuori della comunità più ampia che è la nostra società.

- Se poi la prima proposta: «riportare i pove­ri al centro dell'attenzione e dell'impegno pasto­rale» e la terza: «individuare una presenza ope­rativa delle comunità ecclesiali nel campo assi­stenziale in sintonia con il Vangelo e significati­va per l'attuale società» ci trova completamente consenzienti, nel corso della seconda: «coinvol­gere pienamente le comunità ecclesiali» ci la­scia perplessi il concetto di preparazione e for­mazione permanente di operatori cristiani: se l'e­spressione vuol significare la necessità di una preparazione e formazione cristiana di quegli ope­ratori che si motivano evangelicamente nella scelta e nell'attuazione del servizio (così come si dice nel punto 3) relativamente ai cristiani im­pegnati nella politica e nell'amministrazione) lo riteniamo accettabile; siamo di diverso parere nel caso in cui si prospetti la preparazione anche tecnica degli operatori; in questa ipotesi dovrem­mo prevedere un dualismo di scuole di formazio­ne funzionale ad un dualismo di servizi (quelli realizzati dalla comunità civile e le strutture assi­stenziali cristiane), in contrasto con la necessità di un'integrazione dei servizi e della preparazione degli operatori verso cui ci si deve orientare, an­che in vista di una sempre più chiara riscoperta della Chiesa-lievito che tende a rinunciare alle proprie opere di supplenza per animare dall'inter­no ciò che la comunità civile realizza per la sicu­rezza sociale di tutti i cittadini.

Dove poi sembra esistere addirittura contrad­dizione è quando si sollecita «la promozione e l'utilizzazione delle Caritas quale strumento pa­storale privilegiato per realizzare il coinvolgimen­to e la corresponsabilizzazione della comunità cristiana intorno all'emarginazione»: se il pro­blema degli emarginati va posto al centro dell'at­tenzione e dell'impegno pastorale e in questo vanno coinvolte pienamente le comunità ecclesia­li, è la stessa Chiesa in tutte le sue componenti volute da Cristo stesso che «è caritas», è che deve attuare, senza escludere né privilegiare al­cuno, questo impegno.

- Nella parte finale il documento risente evi­dentemente della volontà di non caratterizzarsi troppo su di una linea di tendenza, data la realtà composita nel settore assistenziale italiano e l'e­sistenza di una preoccupazione in certi ambienti ecclesiali di difesa di diritti, di istituzioni e di tradizioni.

Sarebbe stato più lineare con i contenuti pre­cedenti indicare:

- la necessità del rinnovamento di ciò che esiste solo durante la fase attuale di un'evoluzio­ne che è programmata, iniziata, ma non certo at­tuata e sufficiente a coprire i bisogni più diffusi;

- la prospettiva di maturare verso una realtà di sicurezza sociale esigita per giustizia e realiz­zata in forma integrata e partecipata nel territo­rio;

- la doverosità di creare una sensibilità e una disponibilità nelle comunità cristiane verso le risposte di tipo familiare e parafamiliare, da indi­carsi non come alternative soltanto ma sostitu­tive degli interventi istituzionalizzati;

- le definizioni di «provvisorietà» e «profe­zia» orientate verso gli spazi scoperti dove la co­munità civile non ha la possibilità di intervenire, nella individuazione di quelli che sono storica­mente «i nuovi poveri» da servire per testimo­niare le predilezioni dell'amore cristiano.

 

 

TESTO APPROVATO DALLA COMMISSIONE N. 6

«Chi è stato molto amato» diverrà capace di testimoniare la presenza dell'amore perché i po­veri evangelizzati nell'amore saranno a loro volta annunciatori.

Con queste indicazioni, raccolte in uno degli ultimi interventi, si è chiusa la 6ª Commissione, che ha lavorato con serietà e con serenità, cer­tamente ai margini del chiasso giornalistico che il Convegno sta ottenendo, ma forse per questo esemplare per lo stile e le scelte di tutta la Chie­sa.

Più di cento partecipanti, in prevalenza laici, hanno testimoniato, attraverso un'ottantina di in­terventi, la volontà decisa e qualificata presente in molte componenti delle chiese locali d'Italia che operano nel campo dell'emarginazione.

Non sono mancati i limiti dati sia dalla scarsa partecipazione in proporzione ai delegati del Con­vegno e al numero dei partecipanti alle altre commissioni (e ciò evidenzia la non centralità del problema per la chiesa italiana); sia dalla mancanza di alcuni dei protagonisti del cammino di liberazione (ex carcerati, tossicomani,...) che sarebbe stato esemplare fossero attivi e presenti al Convegno per non dare alcun tono paternali­stico ai nostri interventi, ma soprattutto per ren­dere evidente la visione del Corpo mistico che la chiesa deve acquisire.

La Commissione ha rilevato tre fasce preva­lenti nell'attuale fenomeno dell'emarginazione:

a) Quella dettata dall'ambiente, con forti spro­porzioni nelle nostre città tra quartieri residenzia­li e popolari, che sono vere e proprie segrega­zioni edili più evidenti nel Meridione esso stesso emarginato rispetto alla nazione.

b) Quella relativa alle fasce sociali della popo­lazione, che vede emergere gruppi umani già noti e quantitativamente sviluppati: handicappati fisi­ci e psichici, emigrati (6 milioni all'interno; 5 mi­lioni all'estero); carcerati, denunciati per proces­so penale che coinvolgono 2 milioni di persone; il disadattamento giovanile e le varie emargina­zioni date dalla malattia. Accanto a queste fasce emergono gruppi umani più deboli ma di più spic­cata emarginazione: i nomadi, persone coinvolte nel fenomeno della prostituzione e della droga, studenti stranieri.

c) Un'ultima fascia di emarginazione meno ma­nifesta richiama però maggiormente la respon­sabilità della Chiesa: sono i gruppi di studenti civilmente promossi, ma cristianamente abban­donati, i preti e gli ex preti soli e privi di mezzi, le ex suore, i divorziati, gli analfabeti, i dimessi dagli ospedali psichiatrici, i profughi politici stra­nieri.

Accanto alle forme, però, vanno individuate le varie cause che sono all'origine dell'emargina­zione perché sia chiaro a tutti che non si posso­no dare risposte se non si analizzano i problemi.

Tra le cause dipendenti dalle strutture è stato individuato un certo tipo di sviluppo industriale, il progresso scientifico e di crescita economica che alimentano emarginazioni a catena. Rientra qui il fenomeno dell'emigrazione, dello sfrutta­mento edilizio, dei quartieri ghetto, delle rispo­ste assistenziali e sanitarie realizzate in termini burocratici e spersonalizzanti. Le cause di tipo sociologico si radicano nel comportamento e ne­gli atteggiamenti che si concentrano sulla cura anziché privilegiare la prevenzione, si esprimono nel rifiuto dell'inserimento degli handicappati nel­le strutture e nel reinserimento degli ex carce­rati e malati psichici.

Inoltre esiste un linguaggio che esclude costan­temente i più deboli di istruzione dal quale non è estranea la comunità ecclesiale nel suo momen­to di annuncio.

Infine è causa di emarginazione la mancanza di amore che isola, la deresponsabilizzazione dei giovani registrabile nelle attuali strutture edu­cative, la inadeguata preparazione di operatori sociali, anche di quelli che operano in campo ecclesiale.

La Commissione inoltre ritiene doveroso pren­dere atto del cammino culturale, legislativo e po­litico che va facendo la comunità italiana e nel quale deve inserirsi la presenza della chiesa. Questo processo sociale è scandito dal decentra­mento dei poteri decisionali, dall'esaltazione del territorio, dalla promozione della partecipazione, dal privilegiare la prevenzione, dalla tecnicizza­zione dei servizi, dall'affermazione di un plurali­smo istituzionale di tipo territoriale più che di istituzioni assistenziali; dalla presenza di un vo­lontariato di matrice diversa. E se questo è il di­segno sociale emergente, la chiesa deve prender­lo in considerazione per rendere efficace e signi­ficativa la sua presenza.

La Commissione ha analizzato criticamente il cammino della comunità cristiana nel mondo dell'emarginazione e nel contesto della società ci­vile concentrando sostanzialmente le proposte attorno a tre filoni:

1) riportare i poveri al centro dell'attenzione e dell'impegno pastorale;

2) coinvolgere pienamente le comunità eccle­siali;

3) individuare una loro presenza operativa nel campo assistenziale in sintonia con il Van­gelo e significativa per l'attuale società.

1) Mettere i poveri al centro significa: assicu­rarsi che siano:

- presenti protagonisti nelle strutture di par­tecipazione pastorale;

- trattare con priorità i problemi che li riguar­dano nelle programmazioni pastorali, nelle scelte operative, nella qualità e quantità di distribuzio­ne dei bilanci economici;

- impostare la vita delle comunità a partire dalle esigenze dei più deboli, per cui: la cateche­si e la liturgia vanno realizzate in termini e for­me accessibili a tutti, semplici e minorati vanno chiamati all'esercizio dei vari ministeri; la pre­ghiera dei fedeli va articolata così da proporre i più deboli come responsabilità di una comunità consapevole del suo far eucaristia;

- centralità è coinvolgere tutti i settori della vita ecclesiale: ad esempio: la commissione per l'arte sacra deve approvare progetti architettoni­ci che rendono accessibili ai minorati e agli an­ziani gli edifici del culto e del servizio pastorale.

Ancora, nel trattare i problemi della famiglia la si deve educare a tenere presso di sé handi­cappati e anziani, a considerare testimonianza altamente evangelica sia l'adozione di minori che l'affidamento di disadattati.

Infine nel trattare i problemi della scuola si de­ve accentuare l'educazione all'accettazione dei diversi evitando umilianti diversificazioni.

È in questa prospettiva che la Commissione chiede che una delle scelte qualificanti del loro convegno sia la definitiva eliminazione di ogni differenza tra ricchi e poveri nella amministrazio­ne dei sacramenti.

2) Il secondo filone di riflessioni e proposte della commissione ha riguardato l'esigenza di coinvolgere la comunità cristiana nei problemi dell'emarginazione; il rispondere infatti alle sof­ferenze degli emarginati non va considerato un compito da delegare a singoli gruppi o operatori assistenziali (religiosi o laici) ma va considerato un dovere che investe la comunità cristiana nel suo insieme perché è la comunità che deve ren­dersi credibile per la sua attenzione ai poveri. In concreto questo significa che la comunità cri­stiana locale deve essere messa in grado di co­noscere i bisogni presenti nel suo territorio; deve farsi carico della preparazione e della formazione permanente di operatori cristiani che operano sia nei servizi civili sia nelle strutture assistenziali cristiane; va dato particolare impulso alle forme del volontariato che esprime per sua natura l'a­more come condivisione.

Per questo la commissione chiede al convegno di fare propria la proposta di farsi carico della promozione del servizio civile sostitutivo di quel­lo militare nella comunità italiana come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani e di allar­gare le proposte di servizio civile anche alle donne.

È emersa ancora l'esigenza che gli ordini reli­giosi maschili e femminili inseriscano la loro scelta di presenza e testimonianza nel campo della prevenzione e dell'assistenza, nella pro­grammazione della chiesa locale consapevoli che il carisma di ciascuno va vissuto e adeguato alle realtà dove si opera.

Infine la commissione ha sollecitato la promo­zione e l'utilizzazione delle Caritas quale stru­mento pastorale privilegiato per realizzare il coin­volgimento e la corresponsabilizzazione della co­munità cristiana intorno all'emarginazione.

3) Per il terzo filone è stato sottolineato che la chiesa vede con simpatia il cammino che va fa­cendo la comunità civile per la sicurezza socia­le: esso considera l'estendersi dei servizi socia­li per tutti come un'attuazione della giustizia e della solidarietà.

- I cristiani devono accompagnare allora que­sto cammino non come spettatori estranei ma da protagonisti attivi. Hanno perciò il dovere di inse­rirsi là dove matura il progetto nuovo di società: comitati di quartiere, unità sanitarie e sociali, di­stretti scolastici, assicurando con ciò che digni­tà, uguaglianza e diritti degli ultimi siano salva­guardati e venga impedita qualsiasi strumenta­lizzazione dei bisogni degli emarginati.

- La comunità cristiana deve valorizzare cate­chesi e liturgia per educare i fedeli a praticare i doveri sociali e la giustizia come primo gradino della carità (Paolo VI).

- La commissione ha rilevato l'esigenza che la comunità cristiana attui rapporti più funzionali con i propri membri che sono impegnati nella po­litica e nell'amministrazione, perciò chiede come frutto del convegno che vengano individuate sedi e momenti di informazione, di stimolo, di forma­zione e di sostegno non elettorale ma morale con lo scopo di orientare questi nostri fratelli a realiz­zare un impegno sociale rispondente ai bisogni degli ultimi.

Infine la commissione ha sottolineato l'oppor­tunità che la Chiesa sia presente nel mondo an­che con mezzi propri. Essi sono di loro natura te­stimonianza di concretezza dell'amore costante segno dell'amore del Signore per i fratelli. Ma proprio per questo le nostre opere devono realiz­zarsi o rinnovarsi secondo alcuni criteri preferen­ziali:

- esprimere in sé il senso della provviso­rietà. Le opere assistenziali sono solo in funzio­ne dei bisogni reali e devono modificarsi in rap­porto alla modificazione dei bisogni che ne han­no suggerito la nascita;

- le opere assistenziali devono concretarsi verso gli spazi umani dei più poveri e dei più e­marginati, scegliendo i bisogni scoperti là dove la presenza dei cristiani assume chiaramente il carattere della profezia. In ogni caso dobbiamo accettare di inserirsi nella programmazione civi­le attuata nel territorio perché anche il «nostro» è un servizio pubblico.

Le opere della Chiesa devono articolarsi secon­do le caratteristiche di esemplarità: ciò significa eliminare discriminazioni tra ricchi e poveri, rive­lare la preoccupazione di agire sempre per una vera promozione umana degli ospiti eliminando i criteri del profitto.

- va collocata in questo contesto l'esigenza di orientarsi a creare alternative ai grandi istituti che sono spesso emarginanti, attraverso espres­sioni che facilitino i rapporti personali e il clima di famiglia. In tale prospettiva vediamo come se­gni concreti sorgere in molte città, di case fami­glia, comunità alloggio e del moltiplicarsi dell'ac­coglienza dei minori e dell'affidamento.

In ogni caso, concludendo, la sperimentazione del nuovo e l'aggiornamento del tradizionale van­no sempre considerati all'interno del programma pastorale, perché tutta la comunità sia e si senta responsabile di quanto viene attuato nel nome del Signore al servizio dei fratelli.

 

 

(1) Convegno indetto dalla C.E.I. su «Evangelizzazione e promozione umana» e tenutosi a Roma dal 30 ottobre al 3 novembre 1976.

 

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