Prospettive assistenziali, n. 34, aprile-giugno 1976

 

 

STUDI

 

ASILI NIDO: LEGGI E APPUNTI PER UN DIBATTITO

 

 

Oggi viene prestata una forte attenzione agli asili nido; lo dimostra anche il fatto che molte aziende sono state costrette dai lavoratori a ver­sare contribuzioni per la loro costruzione. Tutta­via tale attenzione è orientata solo sugli aspetti quantitativi, come se fosse scontata la validità degli asili nido per i primi 12-18 mesi di vita del bambino (1). Anche se, per esperienza diretta, ci rendiamo conto delle notevoli difficoltà che esistono per introdurre il discorso sulla validità o meno degli asili nido (2), riteniamo tuttavia che il dibattito debba essere aperto al più presto an­che perché moltissimi sono gli asili nido che stanno per essere aperti.

 

L'asilo nido: un luogo di custodia?

La legge nazionale n. 1044 del 6 dicembre 1971 sugli asili nido afferma all'art. 1: «L'assistenza negli asili nido ai bambini di età fino a 3 anni, nel quadro di una politica per la famiglia, costi­tuisce un servizio sociale di interesse pubblico. Gli asili nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l'accesso, della donna al lavoro nel qua­dro di un completo sistema di sicurezza sociale». Questo concetto di custodia è stato condizio­nato da vecchi modelli di assistenza all'infanzia che vedono il bambino come oggetto dell'inter­vento esclusivamente in funzione della lavora­trice madre.

Ecco perché la legge 1044 ricalca, cambiando­le di poco le proposte di legge già presentate. Infatti nella proposta di legge di iniziativa po­polare n. 1043 presentata dall'UDI al Senato il 26-2-1965: «Istituzione del servizio sociale degli asili nido per i bambini fino ai tre anni» non ve­niva fatto cenno alla linea evolutiva del bambino nel suo rapporto affettivo con l'ambiente ma so­lo a quello di assistenza igienico-sanitaria (3). La posizione dell'UDI era stata precisata nel convegno nazionale di Roma del 3-4 luglio 1962 « Il lavoro della donna e la tutela della prima in­fanzia».

Nella relazione tenuta dall'On. Marisa Rodano, della presidenza nazionale dell'UDI, si arrivava addirittura ad affermare: «L'educazione dei figli è compito fondamentale della donna. Ora vale la pena a nostro avviso di smitizzare un poco questa parola prestigiosa - educazione - e di cercare di vedere che cosa si intenda più precisamente con tale termine; quando si parla genericamente di educazione dei bambini, infatti, questa parola comprende tutto: dal fatto di insegnare al bambi­no a lavarsi i denti al mattino e alla sera, ai fatto di apprendergli le preghiere, dal fatto di occupar­si della sua alimentazione e della sua crescita fi­sica, all'insegnamento delle norme igieniche. Dalla morale alle aste, tutto è compreso, insom­ma, entro il termine generico di “educazione ma­terna”. Cerchiamo invece di vedere singolarmen­te i vari aspetti di cui questa educazione si com­pone. Si tratta dell'insegnamento di norme igieni­che, del fatto che nell'alimentazione del bambino si debbano seguire i dettami di una dietetica par­ticolare, delle cure, un allevamento speciale? Non c'è dubbio, questo elemento c'è, soprattutto nel­la prima infanzia. Ma non vi è dubbio altresì che oggi, senza l'ausilio del pediatra, del puericulto­re, senza l'aiuto del personale specializzato, que­ste norme spesso non possono essere applicate; che comunque saranno applicate meglio da per­sonale esperto e specializzato che non da mam­me spesso inesperte o prive delle condizioni e del tempo per applicarle. Si tratta di nozioni ele­mentari di cultura e di comportamento? Ma non vi è dubbio che in questo campo la madre può es­sere opportunamente e meglio sostituita dall'in­segnante, dalla maestra giardiniera».

È ben vero che nel convegno suddetto A. Mas­succo Costa nella relazione «L'organizzazione di un servizio di tute-la alla prima infanzia sotto il profilo psico-pedagogico» precisò: «Ma perché questo avvenga, è indispensabile che gli asili ni­do siano organizzati bene, con quadri ben scelti. Non istituirei mai asili nido se non fossi sicura che ci sono, per operarvi, assistenti sanitarie pre­parate psicologicamente, capaci di portare i bam­bini verso quella liberazione, quello stato di equi­librio, di indipendenza, che ho visto con molto piacere programmati negli asili nido della Ceco­slovacchia».

Tuttavia le sue considerazioni sugli aspetti psi­co-pedagogici non vennero accolte: infatti nella proposta di legge (come in quella presentata dai parlamentari sindacalisti) non si fa cenno a scuo­le o corsi per la formazione del personale da as­sumere e per la riqualificazione di quello in ser­vizio.

Anche le proposte di legge (identiche) n. 796 e 805/Camera «Piano quinquennale per l'istitu­zione di asili nido comunali con il concorso dello Stato», presentate il 23-12-1968 dai deputati sin­dacalisti della CGIL e della CISL (4), non si oc­cupavano dell'educazione del bambino, ma preci­savano solo che i 2.500 asili nido richiesti per il quinquennio 1970-1974 dovevano essere costruiti per i bambini sino ai tre anni di età e solo per i figli delle lavoratrici (5).

 

Cenni sulla legislazione regionale

Oggi le leggi regionali hanno cercato di allar­gare il concetto di asilo nido come pura custodia con enunciazioni più generali (6), ma nella realtà l'asilo nido viene ancora concepito come struttu­ra rigida e settorializzata e nessuna nuova espe­rienza (spesso la tipologia edilizia degli asili è ri­masta la stessa) viene proposta tenendo conto dei problemi psico-sociali della famiglia e delle nuove conoscenze dello sviluppo infantile.

È noto, ad esempio, il forte condizionamento esercitato dalle strutture edilizie delle scuole materne, e dell'obbligo, fondate sul principio del­la classe-aula. Oggi si tende a superare tale con­cetto progettando le scuole sulla base di attività di piccoli, medi e grandi gruppi e prevedendo per­ciò i relativi spazi. Dove è stato trasposto il concetto di classe-aula, anche agli asili-nido sono stati imposti distinti reparti per divezzi, semi-di­vezzi lattanti, come nelle leggi delle Regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Puglia e Umbria. No­tiamo invece che le regioni Calabria, Lazio, Mar­che, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trenti­no Alto Adige, Val d'Aosta e Veneto sono meno ossessive, prevedendo la suddivisione nei soli due gruppi dei lattanti e dei divezzi.

Solo le leggi delle Regioni Basilicata e Campania non hanno regolamentato questo aspetto, ma la prima ha riservato alla Giunta l'approvazione dei progetti degli asili nido; la seconda ha previ­sto che l'idoneità degli asili nido deve essere ac­certata da una commissione tecnica istituita presso l'ufficio del genio civile. Questo aver sta­bilito norme così dettagliate nelle leggi regio­nali dimostra una estrema sfiducia nelle capaci­tà dei comuni e una non curanza della partecipa­zione dei cittadini; mentre proprio la legge nazio­nale 6 dicembre 1971 n. 1044 lasciava amplissime possibilità alle Regioni. Si trattava infatti di una legge - rarissimo se non unico caso - che in­dicava solo gli obiettivi che dovevano essere rag­giunti e non scendeva a stabilire norme regola­mentari:

Stabiliva infatti l'art. 6: «La regione, con pro­prie norme legislative, fissa i criteri generali per la costruzione, la gestione e il controllo degli asi­li nido, tenendo presente che essi devono:

1) essere realizzati in modo da rispondere, sia per localizzazione che per, modalità di funzio­namento, alle esigenze delle famiglie;

2) essere gestiti con la partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazio­ni sociali organizzate nel territorio;

3) essere dotati di personale qualificato suf­ficiente ed idoneo a garantire l'assistenza sani­taria e psico-pedagogica del bambino;

4) possedere requisiti tecnici, edilizi ed orga­nizzativi tali da garantire l'armonico sviluppo del bambino».

Le regioni, invece, come abbiamo visto, non si sono limitate a indicare i criteri generali, come previsto dal sopra citato art. 6, ma hanno definito spesso con estrema pignoleria burocratica ogni aspetto, compresi quelli marginali.

Alcune regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Mar­che, Toscana, Veneto), addirittura, hanno emana­to oltre alla legge anche un regolamento, intro­ducendo, fra l'altro, questo principio, che si era già dimostrato deleterio a livello nazionale. Per­ché l'emanazione di regolamenti toglie spazio po­litico alternativo e possibilità di sperimentazione agli enti gestori, condizionando l'applicazione del­le leggi, che sono approvate dai Consigli regio­nali in cui sono presenti maggioranza e minoran­za, all'entrata in vigore del regolamento e delle sue norme (7), che è invece approvato dalla Giun­ta regionale comprendente solo la maggioranza.

 

Partecipazione alla gestione dell'asilo nido

Gli asili nido, in base alla legge statale 6 di­cembre 1971 n. 1044, sono gestiti dai Comuni e dai consorzi di Comuni.

Solo la legge della Regione Veneto prevede la possibilità di erogare contributi prelevati da un proprio fondo speciale di 300 milioni all'anno, per asili nido non comunali.

I contributi agli asili nido non comunali sono versati per la costruzione o il riadattamento, l'im­pianto e l'arredamento, nonché per le spese di gestione, funzionamento e manutenzione.

Quasi tutte le leggi regionali hanno interpreta­to il dettato della legge statale secondo cui gli asili nido devono «essere gestiti con la parteci­pazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territo­rio», in base al principio della cogestione.

La cogestione è stata assunta da tutte le leggi regionali. Alcune sono più restrittive e preve­dono la composizione del consiglio di gestione e la sua durata; altre (Emilia-Romagna, Lombar­dia, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto) lascia­no ai Comuni e loro consorzi la definizione della composizione dei consigli di gestione.

La legge della Regione Campania si distingue per la completa sfiducia nelle capacità del Consi­glio di gestione e stabilisce che l'indirizzo peda­gogico dell'asilo nido debba essere stabilito «con l'assistenza di un collegio di esperti di no­toria competenza da istituirsi presso l'ammini­strazione regionale e composto da: un neuro-psi­chiatra infantile, un endocrinologo, un sociologo, uno psicologo e un esperto in pedagogia».

 

Personale

La presenza di personale qualificato è condi­zione indispensabile per assicurare un funziona­mento accettabile dagli asili nido.

Una seria qualificazione è tanto più necessaria in quanto molte leggi regionali prevedono che minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali nei bambini non possono essere causa di esclu­sione.

Attualmente la formazione del personale degli asili nido (puericultrici, vigilatrici d'infanzia, as­sistenti vigilatrici) è disciplinata dalla legge 19 luglio 1940, n. 1098.

Poche sono le Regioni che sono intervenute per ovviare a questa grave carenza di preparazione, istituendo corsi di aggiornamento e riqualificazio­ne, dimostrando in tal modo, nei fatti, disinteres­se nei confronti dei bambini, oltre che verso il personale.

Quanto poi alle strutture degli asili nido, esse vengono irrigidite ancor più dalle costruzioni pre­fabbricate.

La Giunta della Regione Lombardia con delibe­razione del 21 marzo 1975 ha approvato tre pro­getti di asilo nido con strutture prefabbricate:

A) per 30 bambini della Soc. Nuovo Pignone; B) per 45 bambini della Cons. Cocel; C) per 60 bambini della Soc. Nuovo Pignone. Questa scelta comporta una rigida suddivisione dei bambini in reparti appositi a seconda dell'età e rende estre­mamente difficili, se non addirittura improponibi­li, sperimentazioni che, superando il concetto di asilo nido come luogo di custodia, tendano al soddisfacimento delle esigenze reali dei bambini.

 

Ricerche scientifiche

Un altro punto fondamentale da sottolineare in merito agli asili nido riguarda la quasi assoluta mancanza, in Italia, di ricerche scientifiche circa le conseguenze positive e negative dell'asilo nido sui bambini e in particolare di quelli di età infe­riore ai 12-18 mesi (8).

Tutti parlano di asilo nido, ma a nostro avviso non abbiamo trovato nella documentazione esi­stente in materia, d'altra parte scarsissima, un riferimento a ricerche scientifiche sull'argo­mento svolte in Italia o all'estero.

Il solo dato di fatto che ci è sempre sembrato di cogliere ,è la necessità dell'asilo nido come l'u­nica soluzione possibile per la custodia dei bam­bini delle lavoratrici.

 

Collegamento asilo nido e scuola materna

Un altro aspetto di cui poco si parla è quello del collegamento, o meglio dell'unificazione dell'asilo nido con la scuola materna. In questo sen­so segnaliamo la legge della Regione Umbria n. 11 del 28 gennaio 1974 «Provvedimenti per la realizzazione di strutture edilizie per la prima e la seconda infanzia, asili nido e scuole materne» che prevede l'erogazione di contributi regionali ai Comuni singoli o associati che «si orienteran­no alla realizzazione contestuale dell'asilo nido e della scuola materna».

Questa legge è molto importante, soprattutto poiché è un avvio concreto verso l'unificazione delle strutture per bambini da zero a 6 anni, uni­ficazione che auspichiamo si diriga non solo alle strutture ma anche ad un unico servizio con iden­tico personale.

È necessario dunque che tutto il problema de­gli asili nido venga rivisto e dibattuto sia sotto gli aspetti teorici che pratici, partendo da una analisi reale delle esigenze dei bambini e delle loro fa­miglie. Per promuovere questo dibattito ripubbli­chiamo il documento del collettivo di Torino così com’è stato pubblicato nel quaderno sindacale dei Comitati regionali piemontesi CGIL, CISL, UIL «Esperienze di lavoro e di lotta sui problemi dell'assistenza».

 

 

APPUNTI SUL PROBLEMA DEGLI ASILI NIDO

(A cura del Collettivo intersindacale e interas­sociativo per i problemi dell'assistenza - Grup­po minori - Camera del Lavoro di Torino)

 

In questi ultimi decenni, la scienza ha messo sempre più in luce l'importanza dei primi anni di vita sullo sviluppo psicologico del bambino e l'importanza dell'apporto affettivo e sensoriale (essenzialmente fornito dalla madre, almeno nel primo periodo della vita) che il bambino riceve nei primi mesi ed anni. D'altra parte, la sviluppo della nostra società con l'inserimento della don­na in campo produttivo, la emigrazione, l'inurba­mento con la conseguente disgregazione dei gruppi familiari e sociali, ecc., hanno creato una situazione in cui il bambino è spesso privato del­le cure materne.

Se il modo in cui il bambino viene allevato nei primi anni è così importante da incidere sullo svi­luppo dell'intelligenza, del carattere, sul compor­tamento sociale dell'individuo e pertanto dell'in­tera collettività; così importante da determinare e favorire l'insorgenza di malattie mentali e psi­cosomatiche, d'altra parte, le scelte educative coinvolgono l'intero assetto della società.

Ad esse infatti sono collegati problemi relativi all'organizzazione del mondo del lavoro, alla emancipazione ed al lavoro femminile, alla riva­lutazione della funzione sociale della maternità, all'istituzione familiare, al problema della casa ecc. Per tutti questi motivi il problema dell'alle­vamento dei bambini nei primi tre anni di vita non può essere senz'altro risolto con la semi-isti­tuzionalizzazione dei bambini in asili nido di tipo tradizionale ma va visto alla luce del più ampio problema della tutela della salute, nella sua ac­cezione di completo benessere psico-fisico, della prevenzione delle malattie, del problema peda­gogico e dei problemi sociali ad essi collegati.

Le scelte non possono essere delegate ai tec­nici, ai burocrati, ai politici, ma richiedono la partecipazione dell'intera collettività.

Presupposto fondamentale è la conoscenza del­lo sviluppo infantile e dei bisogni relativi ad ogni singola età, dei bisogni della madre e delle fami­glie che, in realtà diverse ed in continua evolu­zione, affrontano il difficile compito dell'alleva­mento del bambino ed infine la conoscenza della realtà delle istituzioni per l'infanzia esistenti oggi in Italia e le possibili alternative. Per fare questo è necessario l'apporto dei tecnici (medici, psico­logi, personale degli asili nido ecc.) affinché so­cializzino le loro conoscenze tratte dalla lettera­tura e dalla esperienza, e l'apporto delle madri e delle famiglie interessate.

Ci limiteremo ad occuparci del bambino fino ai tre anni di vita, perché l'allevamento del bambino a questa età, e al di fuori del contesto familiare tradizionale (famiglia allargata), è particolarmen­te difficile proprio perché, soltanto verso i tre an­ni, i bambini hanno in genere acquisito la matu­rità necessaria per, affrontare, traendone vantag­gio, una vita collettiva di gruppo con i coetanei, assistiti per gran parte della giornata da figure extrafamiliari ed in un rapporto numerica adulto­bambino che si discosta notevolmente da quello primario (rapporto madre-bambino: 1/1; rapporto auspicabile a tre anni, maestra-bambini: 1/15).

L'istinto, il senso comune, e l'esperienza uma­na hanno quasi sempre (evidentemente con dif­ferenze legate alle varie culture) condotto le ma­dri ad occuparsi dei loro bambini, a nutrirli, dan­do loro tutta la tenerezza e le esperienze senso­riali necessarie per il loro primo sviluppo, senza che esse possedessero nessuna conoscenza scientifica. Invece, soltanto in questi ultimi de­cenni la scienza ufficiale ha confermato che il bambino piccolo non è una macchina e che per­tanto ha bisogno, oltre che di cure fisiche, (nu­trimento, igiene ecc.) di tutto l'apporto affettivo sensoriale che in genere riceve dalla madre.

Soprattutto durante la seconda guerra mondia­le, si sono cominciati a studiare gli effetti cata­strofici della carenza materna in bambini ricove­rati in istituti. Spitz, per esempio, osservò che bambini allattati per tre mesi dalle loro madri e poi ricoverati in un orfanotrofio che offriva sod­disfacenti cure fisiche, (vitto, alloggio, condizioni igieniche), ma in cui ogni balia doveva occuparsi di un numero eccessivo di bambini, presentavano sintomi di depressione sempre più grave fino a rimanere sdraiati completamente inerti. L'indice di sviluppo diminuiva continuamente. Alcuni di questi bambini morivano entro i primi due anni di vita ed altri a quattro anni non erano in grado di parlare, stare in piedi né camminare. Se la man­canza di cure materne durava pochi mesi il bam­bino ritornava alla normalità, se si prolungava ol­tre un certo limite i danni erano irreversibili.

Altri quadri sintomatologici più o meno gravi sono stati descritti da molti autori, e nel com­plesso pur tra divergenze di opinioni, soprattutto sulla gravità ed irreversibilità del danno, è stato messo sufficientemente in evidenza come un rap­porto materno (o di un sostituto materno) ca­rente o inadeguato, soprattutto nei primissimi anni di vita, sia fonte di deviazioni comportamen­tali che investono sia la sfera intellettiva che la sfera affettiva e sociale.

Quando si parla di carenza di cure materne, ci si riferisce alla insufficienza o assenza di quelle cure che il bambino in genere riceve dalla ma­dre, ma che può benissimo ricevere da una per­sona diversa dalla madre, che si occupi di lui, e che pertanto costituisca una «figura materna». Inoltre, quando si parla di carenza di cure ma­terne, evidentemente non ci si riferisce soltanto ai bambini delle istituzioni ma anche ai bambini le cui madri per motivi di ordine psicologico, eco­nomico, culturale, sociale, non danno ai figli quel­la di cui hanno bisogno.

Elenchiamo alcune delle più frequenti conse­guenze a livello intellettivo, affettivo e sociale osservate nei bambini che vivono nelle istitu­zioni (L.Y. YARROW).

1° - Deficit intellettivi: la cui causa princi­pale è ritenuta la mancanza di adeguata stimola­zione, che si manifestano soprattutto nelle defi­cienze del pensiero astratto, nella difficoltà di or­ganizzare stimoli differenti ed elaborare concetti; ritardi nel linguaggio, dovuti all'insufficiente rap­porto con l'adulto e soprattutto alla mancanza del «rinforzo» gratificante durante l'apprendimento.

2° - Ritardi e disturbi motori: dovuti essen­zialmente alla monotonia dell'ambiente fisico e della routine quotidiana che ben poco stimolano l'esercizio fisico del bambino.

3° - Disturbi sociali e della personalità: si riscontrano spesso disturbi contraddittori: da una parte apatia, mancanza di iniziativa sociale, atteg­giamenti di ritiro o risposte apatiche alla stimola­zione sociale, incapacità di stabilire rapporti per­sonali con il prossimo; dall'altra, bisogno smisu­rato di affetto e sua ricerca incessante ed insa­ziabile, spesso fonte di gravi disordini psichici. Si osservano inoltre deviazioni del comportamen­to versa tendenze di tipo impulsivo ed aggressivo che indicano un mancato sviluppo della capacità di autocontrollo.

I danni (ritardi di sviluppo ecc.) osservati nelle istituzioni a pieno tempo (tipo orfanotrofi, nido dell'I.P.I.) sono più gravi di quelli osservati nei nidi giornalieri.

Gli specialisti, anche quelli appartenenti a pae­si in cui gli asili nido non sono certamente nelle disastrose condizioni in cui sono in Italia, lamen­tano sempre una carenza degli asili nido per quan­to riguarda l'igiene mentale. I grandi pericoli che minacciano la salute mentale dei bambini che fre­quentano gli asili nido sono: il clima d'insicurez­za, la monotonia, la mancanza di attività precise.

Naturalmente non tutti i bambini osservati nel­le istituzioni presentano dei disturbi, sia perché la loro storia individuale è diversa, è diverso il grado di carenza di cure materne e di stimoli, sia perché esistono delle differenze individuali co­stituzionali o acquisite. Questa constatazione non deve portarci a negare (come spesso avviene) la esistenza del rischio. Così come non negheremo che il bacillo di Koch dà la tubercolosi soltanto perché, pur venendone tutti a contatto, non tutti diventiamo tubercolotici.

Le ricerche, a livello individuale ed istituziona­le, e lo studio sistematico dello sviluppo infantile hanno reso possibile un miglioramento della co­noscenza dei bisogni dei primi anni di vita, dei quali diamo alcuni accenni.

 

Bisogni dei bambini

Per comprendere i bisogni del bambino descri­veremo sommariamente alcune linee evolutive della sua personalità ed i bisogni relativi agli sta­di raggiunti, che a noi interessano (A. Freud) .

La linea evolutiva fondamentale che serve da prototipo per tutte le altre è quella che conduce «dalla completa dipendenza dalle cure materne all'autonomia affettiva e materiale del giovane adulto».

Quando il bambino nasce, per lungo tempo non è in grado di riconoscere il proprio corpo, di di­stinguere se stesso dal mondo esterno; questo processo di differenziazione è una lenta conqui­sta legata, sia allo sviluppo dei suoi apparati per­cettivo-motori, sia agli stimoli, carichi di implica­zioni affettive, che gli provengono dal mondo esterno, essenzialmente costituito dalla madre.

A tre mesi il bambino sorride specificatamente al volto umano, egli è perciò in grado di ricono­scerlo, ma soltanto all'ottavo mese raggiunge la tappa fondamentale di riconoscere la madre distinguendola dagli estranei; egli manifesta del­le visibili emozioni all'allontanamento della ma­dre ed alla comparsa di persone sconosciute.

Questa tappa è fondamentale perché evidenzia in modo esplicito che il bambino non vede più la madre come un oggetto funzionale, ossia un es­sere che provvede ai suoi bisogni, e che cessa di esistere in assenza di bisogni, ma come una immagine che il bambino ormai porta dentro di sé, costantemente. Questa tappa evolutiva è il frutto di un continuo scambio di messaggi tra ma­dre e figlio senza il quale il bambino può andare incontro a gravi disturbi psico-fisici.

Per rendersi conto dell'importanza strutturale delle cure materne, basta pensare (Lebovici) al pianto del neonato che acquista il significato di richiamo della madre, nella misura in cui questa risponde soddisfacendo il bisogno sottostante; pertanto, una manifestazione puramente espres­siva e non significativa da parte del neonato acquista il valore di informazione da parte della madre e di richiamo per il bambino. Bisogna dun­que concepire gli effetti della comunicazione tra madre e bambino nel quadro di una evoluzione a due, in cui ciascuno dei due partners influenza l'altro che a sua volta reagisce e modifica il com­portamento del primo. Fondamentale pertanto un rapporto stabile e continuato tra madre e bam­bino anche per l'effetto formativo che esso ha sulla madre. Troppo spesso si dimentica che il bambino, anche quando non è ancora in grado di comunicare verbalmente, non deve essere tratta­to come un oggetto (come avviene generalmen­te nelle istituzioni) ; ma rischia di considerarlo un oggetto anche la madre che ha delegato trop­po presto un'altra persona ad allevarlo, senza es­sersi arricchita di un rapporto per lei così forma­tivo.

Sembra che la mancanza della possibilità di sperimentare un legame affettivo stabile con una persona, possa incidere su tutto lo sviluppo futu­ro e che il bambino, al quale non é stata offerta questa esperienza fondamentale, possa correre il rischio di non riuscire a costruirsi una perso­nalità adulta stabile, come se, per tutta la vita, andasse in cerca di un rapporto che gli è man­cato.

Solo verso i 18 mesi, dopo importanti acquisi­zioni sul piano della socievolezza, dell'autonomia fisica, e sul piano intellettuale, il distacco dalla madre è meno drammatico, il bambino è in grado di sperimentare che anche se perde la madre, poi la ritrova.

Non è detto che il bambino debba manifestare esplicitamente dopo l'ottavo mese il dolore per il distacco dalla madre con pianti; spesso i bambini portati al nido tra l'ottavo e il diciottesimo mese diventano tristi, quasi indifferenti rifiutano il ci­bo, presentano disturbi gastro-intestinali, o altre manifestazioni.

Secondo l'esperienza di Davidson e Maguin, l'inserimento al nido in questo periodo crea mol­ti problemi nel personale perché il bambino ri­chiederebbe che una sola persona si occupasse costantemente di lui.

D'altra parte, a circa nove mesi, se il bambino è relegato solo con la madre, (come spesso avviene nelle città), comincia ad annoiarsi, (spes­so anche la madre comincia a soffrire per una troppo protratta situazione di isolamento), e ri­schia di restare troppo dipendente, di diventare timido; è pertanto importante che gli siano offer­te nuove esperienze e la possibilità di frequen­tare adulti e bambini in compagnia della madre.

Come abbiamo già detto, solo a tre anni il bambino è in grado di stare lontano dalla madre per un rapporto numerico che si discosta notevol­mente da quello primario; fino a questa età se la madre non può occuparsi di lui, una persona adul­ta deve costantemente sostituirla e ovviamente questa persona non potrà occuparsi che di un numero molto piccolo di bambini (è auspicabile un rapporto di 1 adulto per 3 bambini) .

Per quanto riguarda la «linea evolutiva che va dall'egocentrismo alla socievolezza» possiamo dire che il bambino passa da uno stadio in cui gli altri bambini non esistono del tutto o vengono percepiti come elemento di disturbo, a quello in cui sono visti come elementi di aiuto per portare a termine uno scopo desiderato, ma la durata dell'associazione è determinata dallo scapo prefis­sato e secondaria ad esso, a quello in cui vengo­no visti come oggetti a sé stanti. A circa 9 mesi il bambino sembra gradire la compagnia degli al­tri bambini. Soprattutto nei bambini che hanno potuto sperimentare un buon rapporto con la ma­dre, ricco di scambi sul piano fisico ed affettivo, si è osservato che «messi a tappeto» essi co­minciavano a toccarsi, ad esplorarsi, ad avere cu­riosità uno per il corpo dell'altro, a scambiarsi sorrisi, ossia si nota un primo abbozzo di rappor­to che sembra essere fondamentale per lo svilup­po della socialità.

A 18 mesi circa i bambini incominciano vera­mente a giocare tra loro, anche se sono poco in grado di collaborare ed hanno pertanto bisogno di un continuo controllo da parte dell'adulto, e solo a due anni sono in grado di giocare per un certo tempo in gruppo, non più di dieci, e con l'aiuto di un adulto.

Per quanto riguarda la «linea evolutiva che va dall'allattamento all'alimentazione razionale», ri­corderemo soltanto che per il bambino «il cibo equivale alla madre» e che questa equazione du­ra a lungo; di qui l'importanza delle modalità con cui il bambino viene nutrito: al seno, artificial­mente, svezzato, nutrito con il cucchiaio ed in se­guito aiutato ad imparare ad alimentarsi da solo (tappa raggiunta in genere a 18 mesi). Lo svez­zamento non graduale, l'essere abbandonati nella culla con il poppatoio, l'essere nutriti in modo ri­gido, meccanico, ansioso, con premura o addirit­tura ingozzati, non essere più tardi aiutati a man­giare da soli, avere imposto un cibo che non si desidera, viene vissuto dai bambini in modo ca­rico di implicazioni affettive, fondamentali per l'immagine che il bambino si costruisce della ma­dre (madre rigida, severa, aggressiva, soffocan­te, cattiva, penetrante o dolce, buona,ecc.) e che si ripercuoterà sui suoi rapporti con il mondo esterno (gli altri) e interno (se stesso).

Per dare un'esemplificazione dell'equazione madre-cibo basta pensare alla situazione dram­matica dell'anoressico (persona che rifiuta co­stantemente il cibo) che, per il conflitto incon­scio con la madre, giunge al punto di lasciarsi morir di fame. È evidente che i lattanti o i bambi­ni che non sanno ancora mangiare da soli, sono nelle istituzioni quasi sempre frustrati, costretti a lunghe attese, abbandonati con il poppatoio ecc. anche se il rapporto adulto-bambino è basso, men­tre in genere, anche nelle famiglie con tanti figli, il bisogno di cibo del bambino molto piccolo ha generalmente il sopravvento su ogni altra ne­cessità della casa o dei figli più grandi.

Per quanto riguarda «la linea evolutiva che va dall'incontinenza al controllo sfinterico» (rag­giunto in genere tra i 18 e i 24 mesi per l'intesti­no e 24 e 36 mesi per la vescica) ricorderemo l'importanza fondamentale di un adeguato siste­ma educativo a causa del suo ruolo fondamentale sulla formazione del carattere. Il bambino non ha nessuna tendenza spontanea a tenersi pulito. Egli rinuncia a questa libertà perché la madre glielo chiede. Le modalità con cui avviene questa rinun­cia, ossia se per far piacere alla madre o per pau­ra (se per scelta o per imposizione) si rifletteran­no sui suoi rapporti immediati e futuri con l'auto­rità. Nelle istituzioni, una disciplina collettiva ri­gida che non tiene conto delle esigenze individua­li induce spesso i bambini a tenersi puliti preco­cemente, non per una partecipazione volontaria ma per una sottomissione passiva, spesso soltan­to apparente, che può generare, anche in futuro conflitti con l'autorità e la morale, nel senso di una rivolta o una obbedienza irrazionali, e favo­rire l'insorgenza di disturbi caratteriali e di com­portamento o malattie mentali.

Potremmo inoltre considerare altre linee evolu­tive quali quelle relative al linguaggio, allo svilup­po fisico, motorio, intellettuale, al gioco, ecc.; ri­corderemo soltanto l'importanza del gioco so­prattutto nei bambini delle istituzioni, proprio per­ché attraverso al gioco si deve compensare la mancanza di quella moltitudine di stimoli ambien­tali che il bambino in genere riceve in famiglia. Alle diverse tappe del suo sviluppo il bambino ha bisogno di mettere in azione le sue forze e le sue possibilità nuove e gli devono essere offerte le condizioni adeguate e gli stimoli necessari.

È importante tenere presente che lo sviluppo infantile non è continuo e progressivo, ma, di fronte a nuove difficoltà, si possono avere regres­sioni a uno stadio precedente. Esempio frequente il caso del bambino che, quando si sente trascu­rato dalla madre per la nascita di un fratellino o perché viene portato all'asilo nido, ricomincia a fare pipì a letto ossia ritorna piccolo perché la madre si occupi di nuovo di lui.

È anche importante ricordare che nello svilup­po esistono sensibili differenze individuali e che pertanto, le età relative ai bisogni ed allo svilup­po da noi indicate, possono variare da caso a ca­so, che non si devono decidere provvedimenti educativi in base all'età ma in base alla tappa evolutiva raggiunta.

Nella valutazione dello sviluppo infantile, è inoltre fondamentale tenere conto dell'intera per­sonalità, ossia delle tappe raggiunte nelle varie linee evolutive. Per esempio: come abbiamo già visto, non possiamo considerare positivo lo svi­luppo di un bambino, e pertanto un tipo di educa­zione, considerando soltanto il fatto che il bam­bino controlla precocemente gli sfinteri e mangia da solo, senza considerare anche gli altri aspetti.

Non abbiamo mai parlato della figura paterna, perché, nei primi stadi dello sviluppo, il bambino a causa del suo totale stato di dipendenza, ha es­senzialmente bisogno di cure di tipo materno; è ovvio che nella misura in cui egli diventa più au­tonomo, la figura del padre acquista sempre mag­giore importanza fino a diventare fondamentale per un normale sviluppo psico-affettivo. Nel primo periodo della vita del bambino, ovviamente il pa­dre può costituire un valido aiuto per l'alleva­mento del bambino, per le cure dirette che può offrire al figlio, e per l'aiuto e l'appoggio che può offrire alla madre.

 

Bisogni delle madri

Per una seria indagine sui bisogni delle madri è fondamentale non dedurre i bisogni esclusiva­mente in base al ruolo che esse hanno nella so­cietà, perché spesso questo non è stato scelto, ma tenere presente che, oltre ai bisogni legati al ruolo imposto dalla situazione di vita, esistono altri bisogni esprimibili ed appagabili soltanto in una situazione reale diversa in cui vi siano possibilità di scelta. Per esempio, l'essere lavo­ratrice o casalinghe, è una situazione spesso de­terminata da fattori che prescindono dai bisogni affettivi delle donne, come la mancanza di qualcu­no che accudisca ai figli, istituzioni insufficienti ed inadeguate che non danno alcuna garanzia di assolvere bene il loro compito, la mancanza di controllo delle nascite per cui ogni attività lavo­rativa è per molti anni impossibile, oppure la ne­cessità di lavorare per motivi economici o per in­sufficiente coscienza del valore fondamentale del­la funzione del ruolo materno e infine per l'igno­ranza dei rischi che comporta la delega dell'alle­vamento dei figli.

Farsi interprete dei bisogni altrui pone sempre il rischio di proiettare negli altri i propri bisogni, senza tenere conto delle diversità di ordine psi­cologico, economico, culturale e sociale.

Di qui varie posizioni estremiste:

1) Quelli che identificandosi esclusivamente con una madre che può offrire al figlio tutte le cure e gli stimoli necessari, negano il bisogno di qualunque provvedimento statale per l'allevamen­to dei bambini piccoli, senza tenere conto di real­tà sociali diverse, legate alla situazione economi­ca, alla necessità di lavorare, all'urbanizzazione con frequenti situazioni di solitudine per le ma­dri e per i bambini, alloggi sovrappopolati ecc.

2) Quelli che considerano il lavoro manuale, non qualificato, come un lavoro che qualunque donna, se ne avesse la possibilità economico ri­fiuterebbe e pertanto pensano che la soluzione consista sempre nel pagare il lavoro casalingo delle madri escludendole dal mondo lavorativo.

3) Quelli che pensano, che qualunque donna, per sentirsi emancipata e produttiva, debba ne­cessariamente lavorare fuori casa, anche quando i bambini sono molto piccoli, facendo qualunque lavoro anche faticoso e frustrante e considerano l'attività materna come dequalificante.

4) Quelli che non capiscono che l'emancipazione femminile non deve necessariamente muti­lare la donna di una funzione sociale così im­portante e di una esperienza così vitale quale quella di allevare e godere la compagnia dei figli, finché questi hanno bisogno di lei.

Noi pensiamo che per conoscere i bisogni delle madri sia indispensabile, dopo aver fornito loro le conoscenze relative allo sviluppo ed ai bisogni infantili, e alla realtà delle istituzioni, per l'alle­vamento dei bambini, esistenti in Italia, o a pos­sibili diverse soluzioni, fare partecipare diretta­mente le madri e le famiglie interessate al pro­blema (gruppi di fabbrica, gruppi di caseggiato, gruppi di quartiere, di paese, ecc.) perché espri­mano i loro bisogni individuali e di gruppo, sug­geriscano soluzioni immediate e a lunga sca­denza, relative sia alle varie modalità di alleva­mento dei bambini che alla emancipazione della donna, alla rivalutazione del suo ruolo materno, come ruolo sociale retribuito, al problema dell'o­rario ridotto ecc.

Perché i sindacati siano veramente il canale portante dei bisogni della classe operaia, è ne­cessaria la partecipazione dal basso e la presa di coscienza del fatto che problemi quali, per esem­pio, quelli della giornata corta e settimana lunga, giornata lunga e settimana corta (imposti dalla produttività industriale e dall'utilizzazione degli impianti) coinvolgano tutto l'assetto familiare e le modalità di allevamento dei bambini e pertanto la loro evoluzione psico-affettiva. Se si rivendica la soluzione degli asili nido in nome dell'eman­cipazione femminile, senza capire che l'emanci­pazione non deve necessariamente mutilare la donna della funzione materna e che la precocissi­ma semi-istituzionalizzazione di asili nido di tipo tradizionale vuol dire la discriminazione, dalla na­scita, dei figli dei lavoratori, si imposta una società in base ad una gretta e miope logica pro­duttivistica, anziché in base alla logica dei biso­gni psico-affettivi dell'uomo.

Attraverso i Sindacati Ungheresi abbiamo ap­preso che recentemente in Ungheria, visto , l'alto costo degli asili nido con personale numerica­mente adeguato ai bisogni dei bambini (rapporto 1/3) e vista la difficoltà di disporre di personale ben preparato, lo Stato ha scelto la soluzione di fare allevare i bambini dalle madri fino all'età di tre anni. Queste non perdono il posto di lavoro e sono retribuite il 100% il primo anno, il 90% il secondo anno, l'85% il terzo anno.

Da fonte non ufficiale, abbiamo appreso che in Svezia è in discussione al Parlamento uno legge per la conservazione del posto di lavoro e per il permesso retribuito, fino al 18° mese di vita del bambino, per la madre lavoratrice.

Abbiamo saputo da una specialista inglese di problemi educativi della prima infanzia, che negli asili sovietici da lei visitati, parte del personale era costituito dalle madri stesse dei bambini. Ossia le madri di uno o più bambini, anziché lavo­rare per esempio in fabbrica e affidare i propri figli ad estranei, o rinunciare al lavoro, accuden­do i figli in casa propria, hanno la possibilità di lavorare, anche per pochi anni, negli asili e di ri­prendere eventualmente in seguito la loro attività precedente.

Per quanto riguarda il grave problema delle ma­lattie dei bambini, non risolto dagli asili nido, in Russia la malattia del bambino viene riconosciu­ta come elemento sufficiente per giustificare l'as­senza dal lavoro della madre.

Se la programmazione degli asili nido non è le­gata alla sicurezza che si disponga dei mezzi ne­cessari per farli funzionare bene (numero e qua­lifica del personale ecc.), si spaccia per conqui­sta dei lavoratori un nuovo tipo di sfruttamento della mano d'opera, pagato col prezzo della salute dei bambini e con l'inganno delle famiglie.

Ciò resta valido nonostante che esistano si­tuazioni particolari nelle quali il bambino picco­lo è allevato in famiglia in condizioni tali di ab­bandono per cui qualsiasi asilo nido può rappre­sentare un'alternativa favorevole.

Queste situazioni non soltanto non ci devono fare accettare la soluzione degli asili nido attuali, ma devono stimolarci per modificarli, e trovare nuove soluzioni.

 

Soluzioni

 

Differenti tipi di nido

In base alla localizzazione si possono distin­guere in nidi di quartiere e nidi sul luogo di la­voro (es. i nidi di fabbrica).

I nidi di fabbrica sono in genere controindica­ti per la lontananza dalle abitazioni e la fatica e i rischi che il viaggio comporta.

In certi settori della vita sociale in cui gli ora­ri di lavoro sono meno rigorosi e le interruzioni più facili (es. Amministrazioni), i nidi sul luogo di lavoro possono essere consigliabili perché of­frono maggiori possibilità di rapporto tra madre e figlio. Anche se i frequenti distacchi possono pro­vocare reazioni negative nel bambino, sembra che col tempo costituiscano un'esperienza più positiva che la lunga assenza della madre.

In base al tempo di permanenza si possono di­stinguere i nidi giornalieri aperti dal mattino alle 7,30 circa, alla sera alle 17,30 circa (se l'orario è troppo lungo ci si avvicina sempre più ai rischi della istituzionalizzazione), e i nidi settimanali, notturni e stagionali.

I nidi settimanali sono pericolosi perché, men­tre un bambino si può adeguare ad un ritmo gior­naliero, la settimana è per lui un'unità di tempo non misurabile, e ogni separazione da lunedì è vissuta con un'intensità assai drammatica. Inol­tre l'apporto affettivo fondamentale offerto la se­ra dal contatto con i parenti non è rimpiazzabile.

Non prendiamo neanche in considerazione i ni­di notturni perché una madre che lavora di notte non può ovviamente offrire di giorno al figlio le cure necessarie.

 

Asili nido stagionali

Sono utilizzati in alcuni paesi per i lavori agri­coli, in Italia erano stati prospettati per le mon­dine. Essi offrono i rischi se pur ridotti dell'istitu­zionalizzazione. Prenderemo in considerazione soltanto gli asili nido giornalieri.

 

Asili nido giornalieri

Non è possibile stabilire a priori le norme in base alle quali va costruito, organizzato e gestito un asilo nido, perché ogni istituzione ha una sua fisionomia e un tipo di organizzazione propria che si deve modificare in base al mutare delle esigenze. Ci limitiamo a dare alcune sommarie informazioni relative ad alcuni parametri fonda­mentali in relazione all'angolo visuale dal quale siamo partiti.

 

Popolazione

In base a un'indagine fatta dall'Assessorato al­la Sicurezza Sociale, Servizi Sociali e Problemi dell'immigrazione, si ritiene che la popolazione da 0/3 anni in Piemonte superi le 160.000 unità. Soltanto 4.755 bambini di cui 1.061 lattanti e 3.696 divezzi trovano posto negli asili nido ONMI, Aziendali, Privati o Comunali funzionanti nella Regione al 31 dicembre 1971. Pertanto la percen­tuale dei posti disponibili è circa il 3% dei po­tenziali frequentanti. Nella Provincia di Torino i posti asili nido disponibili sono 3.024. In base al censimento del 1961 i bambini dai 0/3 anni era­no 72.011.

 

Capienza

Gli asili nido di 40, massimo 60 posti, sono i più consigliati dagli specialisti, soprattutto fran­cesi (gli asili di Parigi hanno 40 posti circa). An­che se il costo di gestione dei nidi di capacità superiore è minore, questi non sono raccomanda­bili per le maggiori possibilità di contagio (è un dato accertato che i bambini degli asili nido so­no più frequentemente ammalati degli altri bam­bini), e perché è più facile che si trasformino in istituzioni di tipo ospedaliero in cui le cure fisi­che, il nutrimento e la semplice sorveglianza so­no assicurate ma lo sviluppo psico-affettivo è per­turbato per il carattere anonimo e poco familiare dell'istituzione, per i frequenti passaggi di sezio­ne, cambio del personale ecc.

I piccoli nidi (diffusi in Inghilterra) per es. quel­lo del a Villaggio della madre e del fanciullo » di Milano, sono da alcuni sconsigliati per il costo (tesi che pare non valida soprattutto se realiz­zandone molti, alcuni servizi fossero centralizza­ti), e per i maggiori problemi che possono creare te assenze del personale. Noi ne vediamo soprat­tutto i vantaggi, ossia: la rapida realizzazione di una normale casa di abitazione, senza spese di costruzione; il loro carattere familiare, per cui il passaggio da un piccolo sottogruppo di età a un altro non comporta volti sconosciuti; il personale è meno burocratizzato, più coinvolto emotivamen­te e probabilmente meno assente. Le possibilità di collaborazione nella gestione, e di rapporti tra le famiglie e il personale è facilitato; il rischio dell'allevamento tipo «catena di montaggio» del­le medie e grosse istituzioni, in uso nei nidi dell'ONMI è più facilmente scongiurato. I casi di emergenza per assenze del personale potrebbe­ro essere risolti con la collaborazione delle fami­glie, mentre nelle altre istituzioni, la burocratiz­zazione impedisce queste soluzioni e il bambino, per mancanza di personale cosiddetto specializ­zato è abbandonato a sé (evenienza normale nei nidi d~ell'ONMI) con un numero di personale an­cora inferiore a quello già basso previsto dall'or­ganico, senza che la famiglia se ne renda conto.

 

Locali

Gli asili nido possono costituire una costruzio­ne indipendente o essere inclusi in caseggiati adibiti ad altre funzioni.

Nelle case di abitazione sono particolarmente indicati i piccoli asili nido, nei quali è possibile usufruire di normali appartamenti con una mini­ma spesa di lavora di riadattamento (evenienza frequente in Inghilterra) ; sono consigliati i piani terra, possibilmente con giardino, o gli ultimi pia­ni con terrazzo. L'ubicazione deve essere la più prossima possibile all'abitazione dei bambini.

Per quanto riguarda la scelta architettonica e la distribuzione dei locali rimandiamo alle opere specializzate; noi ci limitiamo a ricordare che troppo spesso tale scelta viene fatta senza una sufficiente conoscenza dei bisogni dei bambini, delle famiglie, del personale, e delle diverse mo­dalità con cui può essere organizzato un asilo nido.

Solo prevedendo la funzione, il tipo di popola­zione, l'età dei bambini, la composizione dei grup­pi, è possibile stabilire i locali adatti. Essendo il tipo di popolazione variabile in base alle neces­sità del quartiere (è augurabile che presto i bam­bini di età inferiore ai 18 mesi, salvo casi ecce­zionali, non abbiano più bisogno di frequentare regolarmente il nido senza la compagnia della madre), la composizione dei gruppi e la funzio­ne del nido ancora molto discussa, è secondo noi importante che la disposizione dei locali sia fa­cilmente modificabile.

L'edilizia dei nidi italiani, spesso con grandi lo­cali in cui i bambini vivono in una situazione di branco indifferenziato, non offre una dimensione adatta al bambino e un clima familiare e spesso non consente la suddivisione dei bambini in pic­coli gruppi secondo l'età e le attività.

 

Ammissione e orario

Salvo casi eccezionali in cui la madre non vuo­le o non può dare al figlio tutte le cure necessa­rie, noi pensiamo che in una società in cui venga riconosciuto economicamente il valore sociale dell'allevamento dei figli, i bambini dovrebbero essere lasciati al nido soltanto verso i 18 mesi, e possibilmente, fino almeno a due anni, per mez­za giornata soltanto.

L'inserimento dovrebbe essere graduale e la madre dovrebbe poter stare con il figlio per un certo periodo per aiutarlo ad adattarsi al nuovo ambiente.

Nel nido del «villaggio della madre e del fan­ciullo» di Milano, per almeno una settimana le mamme restano con i bambini; all'ingresso e all'uscita sono sempre le madri che li svestono e li rivestono. L'orario non dovrebbe essere rigido ma adeguato alle esigenze del bambino e variare in relazione all'età e alle differenze individuali. Per i bambini fino ai 18 mesi, il nido dovrebbe essere un'istituzione aperta che permetta alla madre di allontanarsi dal figlio per breve tempo e le offra la possibilità di uscire dall'isolamento (soprattut­to nelle grandi città) e di trovare un aiuto nell'allevamento del bambino, e uno scambio con le altre madri e il personale. Per i bambini dai 9 ai 18 mesi il nido dovrebbe offrire soprattutto la possibilità di un inizio di socializzazione con al­tri bambini in compagnia della madre.

Gli asili nido e gli asili (scuole materne) per bambini dai 3 ai 6 anni, dovrebbero appartenere allo stesso Ente ed essere in stretta relazione per permettere che i bambini non ancora maturi pos­sano continuare a frequentare l'asilo nido anche oltre i 3 anni, e possano ritornarvi nel caso in cui non siano riusciti ad adattarsi alla scuola mater­na e perché vi siano un'uniformità di metodi edu­cativi, uno scambio di informazioni relative ai bambini tra il personale dei due istituti. In molti paesi (Inghilterra ecc.) gli asili ospitano bambi­ni fino all'età scolastica e pertanto non esiste la suddivisione tra asilo nido e scuola materna (ne vedremo in seguito alcuni vantaggi).

 

Composizione dei gruppi

In Italia la composizione in sezioni è prescritta per i lattanti e i divezzi.

Il criterio in base al quale devono essere divisi i gruppi è ancora molto discusso.

In Francia, per legge, i bambini vengono divisi in gruppi omogenei rispetto allo sviluppo moto­rio. I gruppi sono composti:

- gruppi di 10 bambini che non camminano (lattanti) ;

- gruppi di 10 bambini «rampanti o quadru­pedi» che imparano a camminare;

- gruppi di 20 bambini che camminano (fino all'età di 3 anni).

Si è però visto che se si tiene conto del solo criterio di sviluppo motorio, si rischia per esem­pio, di far passare troppo precocemente nella se­zione dei grandi un bambino precoce nel cammi­nare ma troppo giovane ed incapace di adattarsi alla vita degli altri; pertanto nei nidi francesi, ora si tiene conto delle diverse tappe rispetto alle varie linee evolutive. La divisione dei bambini in sezioni, soprattutto nei nidi «grandi» e «medi», comporta l'inconveniente di non mantenere una continuità di rapporto con l'adulto.

In Inghilterra, invece, è diffusa la suddivisione in gruppi «familiari», non omogenei, compren­denti 8 bambini fino ai 5 anni di età assistiti da due persone. Questo sistema avrebbe il vantag­gio di richiedere meno personale, una minor mo­notonia dei compiti e una maggior possibilità di soddisfare i bisogni dei bambini. Ciò è facilmente comprensibile, basta immaginare la drammatici­tà dell'ora del pasto per una madre con 4 gemelli che, nello stesso momento esigono il cibo, e in­vece a una madre di 4 figli, dei quali i più grandi­celli sono già in grado di aiutare o di aspettare che i più piccini abbiano mangiato.

Il sistema dei gruppi familiari avrebbe anche il vantaggio di sostituire parzialmente attraverso il tipo d'i vitae di rapporti che si creano nel grup­po, gli stimoli che negli altri gruppi vengono ar­tificialmente dati dall'adulto e di garantire una continuità di rapporto.

Nei piccoli nidi 12-14 posti (tipo «Villaggio del­la madre e del fanciullo» di Milano) si possono avere sia i vantaggi del gruppo non omogeneo, «familiare» che quelli del gruppo omogeneo.

La suddivisione delle sezioni in piccoli gruppi è fondamentale per svolgere le attività di gioco, indispensabili soprattutto nei bambini dei nidi. Infatti attraverso il gioco si cerca di compensare quella moltitudine di stimoli ambientali che il bambino riceve spontaneamente in famiglia.

Nei nidi dell'ONMI, i bambini vivono in genere in branco, in uno stato di monotonia, solitudine, attesa e noia, senza svolgere nessuna attività or­ganizzata.

Nei nidi dell'ONMI di Milano (A. Mallardi Cor­bascio, P. Bregani) è stato proposto l'introduzio­ne del gioco secondo un criterio che tenga conto delle necessità relative all'età dei bambini e di bisogni particolari di determinati soggetti (ritar­di di una area particolare: linguaggio, deficit mo­tori, timidezza, tendenza all'isolamento ecc.): ciò richiede una divisione in piccoli gruppi facenti ca­po ad un'assistente. Per realizzare questo è ne­cessario un aumento del personale ed è stata proposta la suddivisione dei locali con bassi di­visori o armadietti porta oggetti, ai fini di con­tenere i gruppi e di permettere l'eventuale scam­bio di bambini da un gruppo all'altro.

L'Amministrazione del Comune di Milano ha provveduto all'acquisto di materiale per il gioco che ha la funzione di stimolare i bambini a vari livelli: motorio, immaginativo, sociale e verba­le, aspetti tutti fondamentali per un normale svi­luppo. Il 1° aprile 1969 il materiale era stato con­segnato soltanto a un nido.

Da fonte attendibile, abbiamo appreso che in certi asili nido italiani, come in certe scuole ma­terne, non è contemplata l'usura dei giocattoli più costosi e pertanto degli eventuali danni ri­sponde il personale, con l'ovvia conseguenza che i giocattoli vengono accuratamente conservati negli armadi o usati come soprammobili da non toccare.

 

Personale

L'art. 6 della legge sugli asili nido del 6-12-1971 dice: «gli asili nido devono essere dotati di per­sonale qualificato, sufficiente ed idoneo a garan­tire l'assistenza sanitaria e psico-pedagogica del bambino».

In Italia è prescritta una puericultrice alla dire­zione del nido e una assistente ogni 6 lattanti e una assistente ogni 12 bambini divezzi. Pur es­sendo questa prescrizione assolutamente insuf­ficiente ai bisogni del bambino e inadeguata allo spirito della nuova legge, la situazione reale di rapporto numerico è assolutamente diversa da quella prescritta. Non siamo riusciti ad ottenere i dati relativi ai nidi ONMI di Torino.

Nella «Relazione sul programma del servizio psicologico nei nidi di Milano» dell'1-4-69 delle dott. A. M. Mallardi Crobascio e P. Bregani leg­giamo: «la situazione di tatto nei nidi da noi visi­tati è di solito, di un'assistente per 30-36 bambini divezzi e due assistenti per 15-17 lattanti. Ciò è dovuto al fatto che esiste la tendenza a dare mag­gior peso alle pulizie dei locali a cui questo per­sonale deve attendere che all'assistenza dei bam­bini, sia al fatto che si verificano altissime per­centuali di assenze... D'altro canto può verificarsi per es. la situazione di una puericultrice assegna­ta al nido- il 1° febbraio mentre di fatto la stessa è in ospedale per un'operazione che prolungherà la sua assenza fino al 1° aprile».

In Inghilterra il rapporto numerico adulto-bambino era 1 ogni 3 bambini inferiori ai due anni, e 1 ogni 8 bambini superiori ai due anni; attual­mente sono diffusi i nidi e gruppi non omogenei con un rapporto numerico di un adulto per 4 bam­bini; in Svezia 1 ogni 5; in Francia 1 ogni 5 bam­bini che non camminano e 1 ogni 8 che cammi­nano.

Questi rapporti si riferiscono all'effettivo rap­porto numerico adulto-bambino e non è compresa la direttrice e il personale di servizio (cuoca, portiere ecc.).

Nell'asilo nido del «Villaggio della madre e del fanciullo» il rapporto è 1 adulto ogni 4 bambini. Una madre provvede però alla sorveglianza dei bambini nelle ore del sonno per permettere al personale ]'intervallo del pasto; inoltre i bambi­ni, fino all'età di un anno, sono assistiti dalla ma­dre e solo a questa età vengono portati al nido.

Ricordiamo che il bambino ha bisogno di con­tinuità e stabilità di rapporto con l'adulto e di cu­re individualizzate, pertanto pare che il rapporto non debba essere inferiore a 1 adulto per 3 bam­bini, se si includono anche i bambini inferiori a 1 anno.

Per quanto riguarda la qualifica del personale esso deve avere innanzitutto le qualità umane adatte al compito, e secondariamente una quali­ficazione, tecnica che in Italia è assolutamente in­sufficiente. Il bambino dell'asilo nido rischia sem­pre di mancare di stimoli, contatti e scambi af­fettivi. Tutto ciò che riceve spontaneamente in famiglia (basti pensare ai parenti che ogni tanto lo prendono in braccio, gli sorridono, giocano, con lui, che vede vivere e che impara a imitare, ai ru­mori, agli oggetti ed alla vita della casa), gli de­ve essere dato artificialmente da un personale che conosca i bisogni di ogni età e disponga de­gli strumenti adatti. Invece generalmente nei ni­di dell'ONMI, il personale numericamente insuf­ficiente ed impreparato non può che limitarsi a provvedere ai bisogni fisici più urgenti del bam­bino ed a sorvegliare che non si faccia male.

Una trasformazione della situazione attuale non potrà realizzarsi che con la presa di coscienza da parte del personale, dell'importanza fondamenta­le del suo ruolo e con la rivendicazione di condi­zioni di lavoro (orari, organico ecc.) diverse e in­dispensabili perché si renda possibile una tra­sformazione del loro ruolo attuale di guardiane di bambini, a vice-madri e tecniche dell'educa­zione.

Fondamentale è, inoltre, una trasformazione della rigida struttura autoritario-gerarchica degli asili nido, con una divisione delle competenze spesso assurde per cui per esempio, soltanto chi è più «in alto» nella scala gerarchica ha il diritto di avere rapporti con le madri.

Perché l'asilo nido svolga una funzione di tute­la della salute, prevenzione e cura, è necessario un assiduo controllo da parte del medico e dello psicologo. La loro opera, perché sia veramente utile, non deve limitarsi ad una azione diagnosti­co-terapeutica individuale, senza incidere mini­mamente sulle strutture delle istituzioni, (aval­lando una situazione che molto spesso è la cau­sa stessa dei danni) ma deve invece tendere a modificare l'istituzione stessa.

 

Rapporti tra famiglie e personale. Gestione

La nuova legge sugli asili nido, art. 6, stabili­sce che: «gli asili nido devono essere gestiti con la partecipazione delle famiglie e delle rappre­sentanze delle formazioni sociali organizzate del territorio». Nella provincia di Torino la popola­zione interessata e le organizzazioni non soltan­to non partecipano alla gestione, ma non posso­no essere informate sulla gestione, l'organizza­zione, l'andamento degli asili nido, né è favorito il rapporto fra le madri e il personale. Il bambi­no viene consegnato e restituito come un «pac­co» e generalmente, vi è una completa scissio­ne tra la vita del bambino in famiglia e all'asilo nido. La collaborazione, lo scambio continua di informazioni, l'integrazione e l'accordo tra i mo­delli educativi familiari e istituzionali, la presa di coscienza e la reciproca modificazione delle reazioni emotive spesso conflittuali e concorren­ziali tra madri e vice-madri (spesso la vice-ma­dre non esiste neppure per la mancanza di con­tinuità di rapporto), sono indispensabili e fonda­mentali per la salute fisica e soprattutto psichi­co-affettiva del bambino. Essi inoltre impedisco­no un rapporto di delega totale da parte della madre, spesso vissuto con ansia e senso di colpa.

 

Altre soluzioni

Come abbiamo detto, in Italia soltanto il 3% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici e privati, è pertanto -evidente che le famiglie in cui la madre lavora e che non dispongono di pa­renti, o lasciano i bimbi piccoli in uno stato di semi abbandono (magari affidati ai fratelli), o risolvono il problema affidandoli a pagamento a persone che si offrono di accudire a casa propria uno o più bambini, o pagano una persona che venga a svolgere questa funzione a domicilio. Le scelte sono legate alla disponibilità economi­ca delle famiglie ed alle possibilità offerte dal mercato. L'ONMI contempla, in rarissimi casi, l'affidamento di un singolo bambino fino ai 3 anni di età, a una balia autorizzata per la quale è ri­chiesto un certificato di sana costituzione fisica rilasciato dall'ufficio sanitario, e un controllo medico annuale.

In alcuni paesi, i cosiddetti «asili-nido a do­micilio» o piazzamenti familiari, (consistenti nell'affidare il bambino a una persona abitante generalmente nel quartiere), vengono organiz­zati da un Ente che predispone un assiduo con­trollo da parte di puericultrici, assistenti sociali, medici. In questo modo la scelta delle persone che accudiscono i bambini e le modalità di alle­vamento, igiene ecc., non sono casuali, ma of­frono una maggiore garanzia.

In Inghilterra si incomincia a disporre di per­sonale che per esempio, nei giardini pubblici, accudisce i bambini permettendo alle madri di assentarsi.

Come nei paesi stranieri, in Italia sono nate spontaneamente esperienze comunitarie molto interessanti. Gruppi di madri dello stesso ca­seggiato, o dello stessa quartiere o paese sono associate e alcune di esse più disponibili, prov­vedono ad allevare i bambini in gruppo per un certo periodo della giornata oppure li affidano a persone scelte e pagate dal gruppo.

A Cinisello Balsano un'iniziativa di quest'ulti­mo tipo è stata in un secondo tempo appoggiata e sovvenzionata dal Comune.

Queste esperienze di piccoli asili sorti per iniziativa della comunità, sono, secondo noi, mol­to importanti perché potrebbero diffondersi ra­pidamente e in parte risolvere il problema dell'allevamento dei bambini. Infatti, per almeno molti anni, la disponibilità dei posti nido tradi­zionali sarà irrisoria rispetto al fabbisogno della popolazione. Queste esperienze, potrebbero an­che servire a far riassumere alla collettività la responsabilizzazione per l'allevamento dei bam­bini, con la rinuncia ad una delega totale; po­trebbero favorire la presa di coscienza della ne­cessità di una rivalutazione economica e sociale del ruolo femminile e infine potrebbero favorire la ricostruzione di un tessuto sociale, scompar­si nelle città, avente come centro d'interesse i bisogni dei bambini e delle famiglie.

Tutte queste iniziative spontanee dovrebbero essere incentivate, appoggiate e sovvenzionate dai Comuni, i quali dovrebbero fornire, assisten­ti sociali, medici, psicologi e personale specia­lizzato.

Il poter disporre di un Ente nel quartiere, ge­stito con la collaborazione della popolazione che renda possibile una centralizzazione delle richie­ste e delle offerte di servizi, oltreché appoggiare la creazione di asili nido spontanei, potrebbe aiu­tare a risolvere rapidamente anche la necessità di una sorveglianza per poche ore, pochi giorni, anche a domicilio dei bambini (es. nel caso che il bambino sia ammalato e la madre non possa occuparsene).

 

Concludendo

Come abbiamo visto, il problema dell'alleva­mento del bambino piccolo, al di fuori del conte­sto famigliare tradizionale, è assai complesso; le soluzioni possibili sono tante, molte delle qua­li ancora da inventare, e non possono essere scelte che con la partecipazione cosciente della classe operaia. È fondamentale che la nuova leg­ge sugli asili nido, per tanti aspetti innovatrice, rispetto a quella di altri paesi, ottenuta sotto la spinta sindacale, non si risolva nella semplice realizzazione di 3.800 asili nido di tipo tradizio­nale. Ciò vorrebbe dire semistituzionalizzare, con tutti i danni che ne derivano, e discriminare, i figli dei lavoratori, proprio nel momento in cui in Italia, con molto ritardo rispetto ad altri pae­si, si tende a togliere dalle istituzioni per rimet­tere nelle famiglie o in piccole comunità a carat­tere famigliare, i malati di mente, i ragazzi degli istituti correzionali, gli orfani ecc., ossia tutte le persone che come i bambini hanno bisogno di cu­re individualizzate e di un clima affettivo favo­revole.

 

Torino, 28 febbraio 1972

 

 

 

 

 

(1) In Bulgaria secondo quanto riportato su «L'Unità» del 5 agosto 1975 da F. Mautino, le lavoratrici madri hanno di­ritto a «una licenza di quattro, cinque o sei mesi (a seconda che si tratti del primo figlio o di successivi) con la correspon­sione del salario normale; una licenza supplementare di sei, sette od otto mesi con il minimo del salario alla quale si può rinunciare percependo ugualmente il salario minimo in aggiunta a quello normale; una licenza, facoltativa, fino a che il bam­bino abbia raggiunto l'età di tre anni, non retribuita ma riconosciuta come anzianità di lavoro a tutti gli effetti, congedi e pa­ghe per l'assistenza a figli malati e altre forme di premi e sussidi».

(2) Vedasi la polemica su «Rassegna di medicina per i lavoratori», Supplemento al n. 5 - 1972 di «Assistenza sociale» sul documento «Appunti sugli asili nido» del Collettivo di lavoro di Torino, documento che pubblichiamo in questo numero.

(3) Nella proposta di legge dell'UDI era scritto:

- «Non c'è chi non veda, infatti, che un'adeguata e moderna protezione delle lavoratrici madri esige l'istituzione di un'am­pia rete di nidi»;

- «esso (l'asilo nido) va concepito come un'istituzione che da un lato può consentire la custodia dei bambini delle lavora­trici nelle ore lavorative e di quelli delle casalinghe durante le ore da queste dedicate alle faccende domestiche;

- dall'altro può raccogliere in locali igienici, ariosi e salubri bambini che sarebbero altrimenti destinati a crescere in am­bienti angusti e inadatti»;

- «il lavoro extradomestico della donna non è però il solo motivo di richiesta di sviluppo di una rete di asili nido. Dispon­gono a favore di questa richiesta anche improrogabili esigenze di carattere sanitario»;

- «Rimane da affrontare il problema della tutela del bambino dopo il terzo mese di vita, nel momento in cui la lavoratrice madre torna al lavoro. Occorre cioè predisporre forme di protezione sanitaria del bambino, di carattere preventivo, orga­nico, efficiente e completo. Un tale tipo di protezione non può essere assicurato efficacemente e razionalmente se non in istituzioni ove i bambini siano seguiti giorno per giorno da personale medico specializzato, dove tabelle dietetiche, igie­ne, cure preventive, alternarsi delle ore del gioco, del riposo, dell'alimentazione siano regolati secondo un ordine pre­ciso»;

- «la direttrice è responsabile del funzionamento dell'asilo nido e del personale addetto. Essa deve essere in possesso del diploma di infermiera professionale»;

- «per il personale addetto alla vigilanza diretta dei bambini si richiede la presenza di una governante e di un'inserviente possibilmente ogni 5 bambini e, in ogni caso, per mai più di 10. La governante deve essere in possesso dei requisiti di­dattici per l'assistenza e l'educazione della prima infanzia e del diploma di puericultrice e di infermiera diplomata».

(4) Proposta n. 796 della CGIL (presentata dagli On.li Novella, Gessi, Alini, Ballardini, Fibbi e Ognibene). Proposta n. 805 della CISL (presentata dagli On.li Storti, Scalia, Biaggi, Citti e Pisicchio).

(5) L'art. 13 delle proposte di legge sindacali prevede «Fino a quando non sarà diversamente disposto, l'accoglimento dei bambini negli asili-nido per i quali lo Stato eroga gli speciali contributi di cui alla presente legge, dovrà avvenire dando assoluta precedenza:

1) ai figli delle lavoratrici dipendenti da terzi che siano occupate per l'intera giornata e nella cui famiglia non vi siano pa­renti o affini conviventi di età superiore ai 26 anni, ovvero, qualora esistano, prestino una attività lavorativa quali lavora­tori alle dipendenze di terzi o autonomi;

2) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che non siano occupate per l'intera giornata e nella cui famiglia non vi siano pa­renti o affini conviventi di età superiore ai 26 anni, ovvero quando esistano, prestino una attività lavorativa quali lavora­tori alle dipendenze di terzi o autonomi;

3) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che si trovino nelle condizioni indicate al punto 1) e che prestano la loro opera in aziende distanti oltre quattro chilometri dal proprio domicilio;

4) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che si trovino nelle condizioni indicate al punto 2) e che prestano la loro opera in aziende distanti oltre quattro chilometri dal proprio domicilio;

5) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che siano occupate per l'intera giornata e che hanno figli di età inferiore ai 18 anni;

6) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che siano occupate per l'intera giornata;

7) ai figli di lavoratrici dipendenti da terzi che siano occupati per una parte solamente della giornata;

8) ai figli di coloni e mezzadri;

9) ai figli di lavoratrici autonome».

(6) - «Servizio sociale di interesse pubblico che, nel quadro della politica della famiglia, concorre efficacemente all'educazione e formazione del bambino» (art. 1 della legge della Regione Lazio) ;

- «L'asilo nido concorre allo sviluppo e al progresso civile della società apprestando a favore dell'infanzia, nel qua­dro di un articolato e completo sistema educativo e di sicurezza sociale, un servizio di interesse pubblico capace di inter­venire nel momento formativo del bambino avendo come fine il pieno sviluppo della sua personalità » (art. 1 della legge del­la Regione Emilia-Romagna);

- «L'asilo nido è un servizio sociale, inteso a integrare l'opera della famiglia, a favorire l'equilibrato sviluppo psico-so­matico del bambino da zero a tre anni, senza riguardo ed eventuali minorazioni psico-fisiche; a consentire la partecipazione della donna all'organizzazione politica, sociale ed economica del paese» (art. 1 della legge della Regione Molise);

- «L'asilo nido è un servizio sociale volto ad assicurare al bambino un equilibrato e armonico sviluppo psico-fisico. Esso concorre alla soluzione dei problemi della famiglia e, in particolare, consente alla madre lavoratrice il migliore adempimento dei nuovi compiti» (art. 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia).

(7) Vi sono molti casi in cui le norme previste dal regolamento sono in contrasto con le norme della legge a cui si ri­ferisce il regolamento stesso.

(8) Le uniche ricerche che abbiamo trovato sono quelle di P. Benedetti e G. De Giorgi «Semicarenza materna nei nidi residenziali» in Infanzia anormale, n. 32, maggio-giugno 1959 e di G. Grasso e C. Giubertori «Risultati dell'indagine sulle con­dizioni psicologiche dei bambini frequentanti gli asili nido di Novara e Provincia», in Minerva Nipiologica, n. 3, luglio-set­tembre 1972, ricerche che segnalano disturbi della personalità dei bamb-ini ospiti in asili nido.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it