Prospettive assistenziali, n. 31, luglio-settembre 1975

 

 

DOCUMENTI

 

OSSERVAZIONI DELLA FEDERAZIONE CGIL - CISL – UIL AL DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO DI RIFORMA SANITARIA

 

 

La Federazione CGIL-CISL-UIL intende innan­zitutto chiamare l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla estrema urgenza con la quale si pone l'attuazione di una reale Riforma Sanita­ria, sia per la precaria situazione sanitaria del Paese, sia per l'aggravarsi della crisi nella quale versano le strutture sanitarie, mutualistiche e prevenzionistiche, sia per gli inconvenienti gravi ai quali sta dando luogo la scissione, tra assi­stenza ospedaliera e gli altri aspetti della pro­tezione sanitaria, operata con il trasferimento alle Regioni della sola assistenza ospedaliera.

Da qui - ad avviso della Federazione CGIL­CISL-UIL - la necessità che il Parlamento ap­provi con la massima sollecitudine possibile la legge di riforma senza dar luogo a provvedimen­ti-stralcio, e che il d.d.l. governativo venga mo­dificato in alcune sue parti.

Il d.d.l. governativo che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale - pur corrispondendo nelle sue grandi linee generali alla proposta del sin­dacato - aderisce solo in parte alle esigenze di un moderno servizio pubblico di sanità. Il sinda­cato non può non sottolineare la genericità di al­cune sue norme; la esistenza di 26 deleghe al Governo, su materie di grandissima importanza; il carattere mercantile che la medicina continue­rebbe ad avere; il mancato recepimento di solu­zioni che a problemi di grande rilievo sono sta­te più volte prospettate dal sindacato e che, ne­gli incontri sindacati-Governo del 4 giugno 1974, furono accolte dall'allora Ministro della Sanità, on. Vittorino Colombo.

Fra le questioni più rilevanti la Federazione CGIL-CISL-UIL indica all'attenzione del Parla­mento e del Governo le seguenti:

1) - La prevenzione. Il tema della prevenzio­ne - che deve considerarsi l'asse portante del nuovo assetto sanitario - è affrontato nel d.d.l. governativo in termini del tutto insufficienti.

La Federazione CGIL - CISL - UIL ritiene che la legge di Riforma debba precisare il concetto di prevenzione; i relativi servizi; i poteri delle Re­gioni e delle U.S.L.; gli strumenti dell'attività prevenzionistica.

In particolare:

a) Per quanto attiene il concetto di preven­zione occorre che la legge di Riforma affermi il principio che l'attività prevenzionistica ha, fra l'altro, come obiettivi fondamentali, quelli di:

- ricercare ed analizzare, in modo sistemati­co e con il concorso determinante dei lavoratori e dei cittadini interessati, i fattori di pericolosi­tà e di nocività presenti negli ambienti di lavoro e di vita;

- rendere pubblici i risultati delle indagini e delle rilevazioni effettuate, privilegiando le strut­ture di base del sindacato per ciò che attiene l'ambiente di lavoro;

- rimuovere i fattori di pericolosità e noci­vità, imponendo quei mutamenti tecnologico-or­ganizzativi necessari per prevenire rischi gravi e i loro effetti sulla salute e sulla sicurezza.

b) In ordine ai servizi prevenzionistici, è ne­cessario che lo Stato, attraverso una delega ge­nerale e permanente, trasferisca alle Regioni, in base all'art. 118 (secondo comma) della Costitu­zione, tutti i servizi e le funzioni di carattere pre­venzionistico. Ciò comporta il trasferimento alle Regioni non solo delle funzioni prevenzionistiche dell'ENPI e dell'Ispettorato del Lavoro, ma anche di quelle dell’ANCC, dei vari Ministeri, del Comitato Elettrotecnico Italiano, del Comitato Italiano Gas, ecc.

Alla base di questa richiesta, v'è la necessità che le Regioni e le USL siano messe in grado di avere una visione globale e complessiva dei pro­blemi della prevenzione e che tutte le attività prevenzionistiche siano svolte da quegli stessi organismi preposti alla cura e alla riabilitazione, in modo da realizzare la più stretta integrazione, sia sul piano funzionale che organizzativo, delle attività prevenzionistiche con quelle rivolte alla cura e alla riabilitazione. I motivi di ciò sono fa­cilmente intuibili. Non si può affrontare in modo serio il problema della prevenzione senza consi­derare globalmente le possibili cause - sem­pre multifattoriali - delle malattie, degli infor­tuni, dei disturbi, ciò che nessun ente od organi­smo specialistico e settoriale può fare. Né si può rinunciare ad utilizzare ai fini della prevenzione il momento della diagnosi e della malattia, che può rappresentare un campanello di allarme per far scattare l'attività di prevenzione.

Inoltre ciò significa:

- indicare - senza ledere l'autonomia orga­nizzativa dell'USL - almeno i più importanti ser­vizi di prevenzione che devono operare presso ogni USL e che, ad avviso del sindacato, sono al­meno quelli dei seguenti settori: ambiente di la­voro, scuola, medicina perinatale. 1 primi due con ramificazioni nei luoghi di lavoro e nella scuola, al fine di dotare la struttura pubblica di una articolazione capace, fra l'altro, di sostituir­si agli attuali servizi sanitari di fabbrica gestiti dai datori di lavoro;

- unificare in un Istituto di Ricerca del SSN sia i compiti di ricerca bio-medica, che quelli tec­nico-scientifici e quelli prevenzionali funzional­mente non decentrabili a livello regionale e di USL. Il disegno di legge governativo moltiplica invece a livello centrale gli attuali organismi tec­nico-scientifici.

Unico istituto di ricerca, dunque, che, ad av­viso del sindacato, deve essere individuato nell'attuale Istituto Superiore di Sanità, concepito come servizio e non come centro direzionale, e che deve poter commissionare studi e ricerche anche ad altri organismi pubblici (quali, ad esem­pio, il CNR e le Università).

c) Per quanto riguarda i poteri, è necessario che la legge di Riforma conferisca alla USL reali capacità di intervento, in tutte le fasi dell'azione preventiva, che consentano ad essa non solo e non tanto di manifestarsi nel momento repres­sivo e di elevare contravvenzioni, quanto anche e soprattutto in quello della ricerca e della rimo­zione delle cause di pericolosità e nocività, im­ponendo - se del caso - i necessari mutamen­ti tecnologico-organizzativi, anche con procedu­re di urgenza, e con provvedimenti nei cui con­fronti può essere ammessa facoltà di ricorso al­le istanze regionali.

Sempre in materia di poteri, inoltre, è neces­sario che la legge di Riforma affidi alle Regioni, a norma dell'art. 117 (ultimo comma) della Co­stituzione, il potere di emanare normative tecni­che specifiche, in attuazione delle leggi nazio­nali a carattere prevenzionistico.

d) Per ciò che concerne gli strumenti attra­verso i quali si attua l'azione prevenzionistica è necessario che - pur nella salvaguardia dell'autonomia delle Regioni e delle USL - siano indicati nella legge di riforma almeno i più im­portanti strumenti dell'azione prevenzionistica, che, ad avviso dei sindacati, sono le ricerche e gli osservatori epidemiologici, i registri dei dati ambientali e biostatistici e i libretti di rischio, cosa ben diversa, questi ultimi, dai tradizionali libretti sanitari, ai quali il d.d.l. governativo fa riferimento, ignorando così la ricca esperienza operaia di questi ultimi anni e le stesse inizia­tive assunte al riguardo da alcune Regioni.

2) - La cura. Non è sufficiente prevedere una generica e imprecisata unificazione dei livelli as­sistenziali, che viene per giunta rinviata ad un successivo decreto ministeriale.

La Federazione CGIL - CISL - UIL formula le seguenti proposte:

a) occorre affermare il principio che la cura viene erogata in forma diretta e completamente gratuita al più alto livello consentito dal progres­so tecnico e scientifico. Solo in tal modo, infat­ti, sarà possibile unificare correttamente, e cioè sulla base degli «standards» più elevati, gli at­tuali differenti livelli di cura;

b) le attività rivolte alla cura si devono arric­chire di nuovi servizi, alternativi al ricovero ospedaliero, quali, ad esempio, quelli infermie­ristici a domicilio, che devono essere presenti a livello di USL e la cui assenza costituisce oggi una delle cause principali dell'elevato e talora ingiustificato ricorso all'assistenza ospedaliera, con conseguente intasamento degli ospedali, al­lungamento della durata media di degenza e for­te lievitazione dei costi;

c) le stanze singole presso gli ospedali pubbli­ci devono essere esclusivamente riservate ai ca­si di effettivo bisogno, con abolizione, quindi, delle camere a pagamento e delle attuali classi­ficazioni all'interno degli ospedali. Analoghi cri­teri dovranno essere previsti nelle convenzioni per le case di cura private;

d) l'assistenza medico-specialistica deve es­sere estesa, nei casi di urgenza, anche a domi­cilio;

e) l'abolizione di tutti i limiti temporali, i re­quisiti contributivi, i periodi di attesa che sono attualmente richiesti per alcune categorie di la­voratori e per alcune malattie;

f) fino a quando l'assistenza sanitaria non sa­rà estesa a tutti i cittadini, dovranno considerar­si assistiti, con pari diritti, tutti i lavoratori di­pendenti, i coltivatori diretti, gli artigiani, i com­mercianti, i pensionati di qualsiasi tipo e natura, i lavoratori che comunque si trovino in stato di disoccupazione e di sospensione dal lavoro, non­ché tutti i familiari oggi protetti dal regime più favorevole.

g) l'eliminazione della norma, prevista nel d.d.l. governativo, che fa obbligo all'assistito di avvalersi solo delle strutture sanitarie esistenti nella propria Regione;

h) le case di cura private possono essere con­venzionate solo alla condizione che esercitino una funzione integrativa rispetto ai posti-letto degli ospedali pubblici e che si assoggettino a rigorose misure di controllo.

I vari aspetti di tale materia possono trovare chiara regolamentazione nella legge di Riforma.

3) - La riabilitazione. Il sindacato ritiene ge­nerico il d.d.l. governativo che riduce la riabilita­zione ad «assistenza sanitaria riabilitativa». Al riguardo la legge di riforma dovrebbe tra l'altro indicare i principali servizi, e le loro caratteristi­che, preposti all'attività di recupero a livello na­zionale, regionale e di USL. Vanno inoltre tra­sferite alle Regioni e alle USL tutte le funzioni riabilitative, oggi esercitate da enti e da organi­smi pubblici, nonché tutte le strutture pubbliche che operano in questo campo, come ad esempio quelle dell'INAIL e i centri pubblici di cure bal­neo-termali ed idropiniche. Infine occorre preci­sare che gli apparecchi di protesi e i presidi or­topedici vengono forniti gratuitamente sulla ba­se di standards da stabilirsi. Ad esempio, l'USL dovrebbe essere dotata di servizi di odontopro­tesia in gestione diretta o convenzionata.

4) - La partecipazione e la struttura del nuo­vo assetto sanitario. Il grande tema della parte­cipazione dei lavoratori e dei cittadini alla ela­borazione e all'attuazione dei programmi di poli­tica sanitaria, al controllo sull'efficienza dei ser­vizi, nel rapporto con i vari operatori della Sa­nità è trattato, nel d.d.l. governativo, in modo in­sufficiente. Nel complesso appare poco incisiva la partecipazione dei lavoratori, la quale, ad av­viso della Federazione CGIL CISL UIL, costituisce invece elemento decisivo per la riuscita della Riforma. L'efficienza e l'economicità di un ser­vizio pubblico è direttamente proporzionale al grado di partecipazione degli utenti; e ciò, spe­cie in un servizio pubblico di sanità, dove in set­tori chiave - come ad esempio quello della pre­venzione - l'esperienza operaia e la partecipa­zione attiva dei lavoratori nella ricerca e nella rimozione delle cause di pericolosità e di nocivi­tà è elemento determinante.

Ma anche su altri aspetti relativi alla struttu­ra del Servizio Sanitario Nazionale, il d.d.l. gover­nativo - pur recependo largamente le indicazio­ni del sindacato - richiede modifiche e miglio­ramenti. Più esattamente:

a) I compiti dei Consigli sanitari vanno ride­finiti, sì da rendere possibile un più efficace e costante intervento dei lavoratori e dei cittadini. In primo luogo attribuendo a tali Consigli la fa­coltà di proposta e di iniziativa volta a suggeri­re provvedimenti in materia di politica sanitaria. In secondo luogo conferendo ai Consigli il di­ritto ad essere obbligatoriamente consultati sul­le questioni di politica sanitaria di maggior ri­lievo e in modo da consentire utili confronti ed un più largo apporto di idee ed esperienze. Inol­tre, attribuendo ai Consigli la facoltà di inter­vento, il più globale possibile, per il controllo sulla efficienza dei servizi, soprattutto in sede di Unità Sanitarie Locali.

In questa logica va considerata l'opportunità di procedere alla scelta dei rappresentanti dei Consigli sanitari locali anche attraverso forme di democrazia diretta.

b) Al nuovo assetto sanitario vanno attribuite tutte le funzioni oggi esercitate in materia di prevenzione, cura e riabilitazione da organismi pubblici. Ne consegue la necessità che nella leg­ge di riforma non compaiano formule non chiare come quelle che lasciano al Ministero della Sa­nità «funzioni non trasferite né delegate alle Regioni».

c) La fissazione dei minimi assistenziali e i criteri di ripartizione dei fondi tra le Regioni vanno stabiliti inizialmente dalla legge di Rifor­ma, e successivamente da leggi nazionali, e non già dal CIPE.

d) La gestione dei presidi sanitari va affidata alle USL nell'ambito delle quali i presidi stessi sono ubicati, indipendentemente dall'«inter­land» che servono. Vanno comunque corrette le formulazioni contenute nel d.d.l. governativo che prevedono l'affidamento «ad enti locali» (la pro­vincia?) o ad appositi «Comitati eletti dalle USL interessate costituite in appositi consorzi», di tutti quei presidi sanitari «riferibili a compren­sori la cui estensione comprenda il territorio di più USL». Tali formulazioni, verrebbero di fatto a sottrarre alle USL la gestione della stragrande maggioranza degli ospedali pubblici, nonché dei laboratori di igiene e profilassi, impedendo o rendendo più difficile quello armonico e coordi­nato funzionamento a livello di base dei vari pre­sidi sanitari che deve invece costituire uno de­gli obiettivi di fondo della riforma. Parimenti, de­ve essere chiarito senza possibilità di equivoci che tutti gli ospedali, senza alcuna esclusione, perdono la personalità giuridica che oggi hanno e la loro natura di enti autonomi per diventare strutture sanitarie direttamente gestite dalle USL.

e) Le cliniche universitarie e gli istituti pub­blici di ricovero e cura a carattere scientifico de­vono diventare strutture sanitarie del SSN, diret­tamente gestite, al pari delle altre, dalle USL. Vanno, quindi, modificate quelle norme del d.d.l. governativo che lasciano in questo campo so­stanzialmente immutata la situazione attuale, ob­bligando addirittura le USL a convenzionarsi con tali cliniche ed istituti e mantenendo la retta di degenza e un assurdo distacco di tali presidi sa­nitari pubblici dal SSN.

f) La presenza nei Consigli dei rappresentan­ti delle categorie sanitarie deve avvenire trami­te le organizzazioni sindacali di categoria, e non tramite Ordini Professionali. La presenza nei Consigli delle rappresentanze degli operatori sa­nitari non deve inoltre costituire una ipoteca per una gestione di interessi corporativi. Ciò deve essere garantito dalla assoluta preponderanza numerica della rappresentanza degli utenti.

g) Deve essere prevista la struttura diparti­mentale quale strumento rivolto ad armonizzare e coordinare le attività ospedaliere con quelle esterne.

h) Va rivista la composizione del Consiglio Sa­nitario Nazionale, in modo da renderlo meno ple­torico. A tal fine deve essere riconsiderata la presenza degli «esperti». Opportuna sembra an­che una più puntuale e meno generica definizio­ne dei compiti di tale organismo.

5) - Il trasferimento delle prestazioni econo­miche e dei servizi medico-legali. Anche tale te­ma - al quale il sindacato è particolarmente in­teressato per gli elementi di connessione che ha con un'altra grande riforma, quella della Pre­videnza - è trattato in modo non convincente. La decisione circa il trasferimento o all'INPS o all'amministrazione dello Stato delle cosiddette gestioni residue degli enti previdenziali, cioè di quelle che non siano di carattere sanitario, è ri­messa, in modo inaccettabile, ad un provvedi­mento delegato, mentre sembrano coinvolti nell'operazione solo gli «Enti mutualistici» (formu­la peraltro assai poco chiara), e non anche altri enti, quali, ad esempio, l'INAIL.

La Federazione CGIL CISL UIL formula le se­guenti proposte:

a) analogamente a quanto avviene per qual­siasi datore di lavoro, è necessario trasferire allo Stato e agli enti locali il compito di erogare ai dipendenti che cessano dal servizio le relati­ve indennità di quiescenza, le quali attualmente sono invece erogate dall'ENPAS e dall'INADEL. Parallelamente occorre trasferire all'INPS il com­pito di erogare tutte quelle prestazioni economi­co-previdenziali sia di natura temporanea (come le indennità di malattia, di infortunio, di mater­nità, ecc.), sia di natura permanente (come, ad esempio, le pensioni oggi erogate dall'ENPALS; le rendite di infortunio erogate dall'INAIL e dal­le Casse Marittime; gli assegni vitalizi erogati dall'ENPAS e dall'INADEL; ecc.).

In tal modo, il riordinamento del settore sani­tario, con la istituzione del Servizio Sanitario Na­zionale, deve mettere ordine anche nel settore previdenziale, evitando che alcuni enti coinvolti nella Riforma sanitaria continuino a rimanere in vita con compiti previdenziali modesti e che co­munque non giustificano la loro sopravvivenza e facendo invece dell'INPS l'unico Ente erogatore delle prestazioni economico-previdenziali.

b) Prendere spunto dal trasferimento delle prestazioni economiche per razionalizzare ed uni­ficare le quattro indennità economiche di tem­poranea (indennità di malattia, di maternità, di infortunio, per tubercolosi) in una unica presta­zione, pari all'80% della retribuzione, sì da ri­muovere l'assurda situazione attuale che vede tali indennità (alla cui base v'è un unico evento: la temporanea incapacità al lavoro dei prestato­re d'opera) erogate in misura diversa e con di­versi criteri di calcolo, da differenti enti, il che genera complicazioni burocratiche e talora inam­missibili conflitti di competenza.

e) Correggere e semplificare la norma che prevede il trasferimento alle Regioni dei servizi sanitari dell'INAIL, dell'INPS e dell'amministra­zione dello Stato, affidando alle USL tutti quegli accertamenti medici, che costituiscono uno dei presupposti per l'erogazione di determinate pre­stazioni economiche (pensioni di invalidità, ren­dite di infortunio, pensioni di guerra, pensioni di invalidità civile, ecc.).

6) I rapporti con il personale medico. I rap­porti tra le varie istanze del SSN e il personale medico coinvolge questioni di grande rilievo, che generano peraltro, per il modo come sono affron­tate nel d.d.l. governativo, alcune forti perples­sità.

Ad avviso del movimento sindacale l'obiettivo di fondo che la legge di Riforma deve prefigger­si è quello di favorire un nuovo modo di essere del medico, attraverso il suo reale inserimento - e indipendentemente dal tipo giuridico di rap­porto - in una USL capace di soddisfare la do­manda di salute dei lavoratori e dei cittadini, e quindi, attraverso la generalizzazione del lavoro di «equipe», l'introduzione del dipartimento, l'attività interdisciplinare, lo sviluppo delle at­tività di prevenzione.

Decisivo, a questo fine, sarà il modo con cui la USL sarà capace di realizzare il coordinato ed armonico funzionamento delle strutture e dei servizi sanitari e prevenzionistici e di esprimersi a livello di direzione e di organizzazione di tutto il lavoro medico. Tale opera di direzione ed or­ganizzazione dovrà peraltro rifuggire da metodi e prassi burocrati co-amministrative per stabili­re, invece, anche sulla base della esperienza, un colloquio e un confronto collegiale, diretto e si­stematico con i vari operatori medici, e indipen­dentemente dal tipo di rapporto giuridico che li lega al SSN. Il movimento sindacale ritiene inol­tre pretestuosa la campagna, promossa da alcu­ne organizzazioni mediche e da alcuni esponenti della FNOOM contro pretese intenzioni «puni­tive» nei confronti della categoria medica. Ciò sembra nascondere solo la volontà di conserva­re posizioni di aperto privilegio di ristretti grup­pi e di mantenere intatte le enormi e non giusti­ficate posizioni di lucro che il sistema mutuali­stico ha fino ad oggi consentito. Al riguardo, la Federazione CGIL-CISL-UIL propone che:

a) I medici con funzioni direttive ed organiz­zative nonché quelli che intendono prestare la loro opera presso gli ospedali, debbono essere esclusivamente a rapporto di lavoro pubblico e che, di conseguenza, deve essere vietato l'eser­cizio della libera professione all'interno degli ospedali pubblici.

b) Con le eccezioni più avanti espresse, per qualsiasi tipo di attività medica, sia mantenuta la possibilità prevista nel d.d.l. governativo, di svolgersi o attraverso un vero e proprio rappor­to di lavoro pubblico o attraverso un rapporto di prestazione professionale. La possibilità di sce­gliere tra questi due tipi di rapporto significa, infatti, garantire i più elementari principi di li­bertà.

c) Deve essere mantenuto il principio previsto nel d.d.l. governativo dell'unicità del rapporto che lega il medico al SSN.

La unicità del rapporto prescelto non deve con­sentire il cumulo tra il rapporto di lavoro pubbli­co e quello a prestazione professionale; non de­ve però precludere la utilizzazione della presta­zione medica in attività anche diverse (ad esem­pio, in ospedale e in ambulatorio; ovvero come medico-generico e medico-specialista; ovvero presso più USL, ospedali, ambulatori, ecc.).

d) Il rapporto di lavoro pubblico e il rapporto a prestazione professionale devono essere rego­lati da accordi nazionali da stipularsi tra le Re­gioni e i sindacati nazionali di categoria interes­sati e con esclusione, quindi, sia degli ordini dei medici e della FNOOM (che vanno ricondotti al corretto esercizio dei loro compiti istituzionali) sia dei ministeri della Sanità e del Lavoro (che potranno assolvere alla loro funzione di media­zione). Tali accordi devono, fra l'altro, prevedere la mobilità di tutto il personale e favorire lo spo­stamento dei medici nelle zone carenti.

e) In aderenza al principio della unicità del rapporto che lega il medico al SSN, sia l'accordo relativo al rapporto di lavoro pubblico che quel­lo relativo al rapporto a prestazione professio­nale, dovranno regolamentare globalmente, e in modo quanto più possibile uniforme, il rapporto medico, indipendentemente dal tipo di attività (medico-generico; medico-specialista, ecc.). Si tratta cioè di evitare che vi siano tanti differenti accordi quante sono le varie caratteristiche del lavoro medico, le cui peculiarità dovranno trova­re invece adeguate soluzioni nei relativi accordi.

f) I compensi previsti nell'accordo regolante il rapporto a prestazione professionale non devo­no superare, a parità di prestazione, i livelli con­templati nell'accordo regolante il rapporto di la­voro pubblico.

g) L'esercizio della libera professione dovrà comunque essere vietato nell'ambito dell'USL o del Comune (qualora questo sia suddiviso in più USL) nei quali il medico opera per effetto del rapporto che instaura con il SSN. Inoltre, occor­re operare affinché l'esercizio della libera pro­fessione si accompagni ad una prestazione a favore del SSN, in limiti da stabilirsi.

h) Vanno confermati i principi - contenuti nel d.d.l. governativo - secondo i quali la liber­tà di scelta del medico generico opera a ciclo di fiducia e con il sistema della quota capitaria.

7) - I farmaci. La Federazione CGIL-CISL-UIL giudica negativamente i termini con i quali viene affrontato, nel d.d.l. governativo, il problema dei farmaci.

E ciò sia per quanto attiene alle norme relati­ve all'intervento pubblico nel settore della pro­duzione farmaceutica, sia per la prevista tan­gente di L. 200 che dovrebbe essere posta a ca­rico dell'utente sui preparati farmaceutici inclu­si in un particolare elenco, rimanendo gli altri a completo carico del lavoratore.

Il sindacato è consapevole degli sprechi che caratterizzano tale settore e che hanno risvolti rovinosi, sia dal punto di vista sanitario (com­parsa di malattia iatrogene), sia dal punto di vi­sta economico. Ma è parimenti convinto che oc­corre procedere, non già con misure burocrati­co-amministrative - che, come la tangente di L. 200 sui farmaci, l'esperienza nazionale ed in­ternazionale conferma essere inefficaci - ma rimuovendo le cause che sono all'origine di tali sprechi.

La Federazione CGIL-CISL-UIL, non ritenendo la prevista finanziaria pubblica uno strumento adeguato per un efficace intervento nel settore, riafferma la esigenza che la programmazione del­la produzione dei farmaci debba essere assicu­rata dalla presenza di una grande intesa pubbli­ca capace di promuovere adeguati livelli di ri­cerca e di assicurare la produzione di farmaci fondamentali, il contenimento dei prezzi, ecc.

Inoltre, la Federazione CGIL-CISL-UIL sostiene che:

a) La propaganda farmaceutica sia non già li­mitata come è previsto nel d.d.l. governativo, ma vietata e sostituita da adeguati mezzi di in­formazione scientifica curati direttamente dal SSN.

b) si proceda ad una drastica revisione e ri­duzione della farmacopea ufficiale, sì che in es­sa siano compresi solo farmaci a denominazione rigorosamente scientifica e di comprovata effi­cacia terapeutica da erogarsi gratuitamente agli utenti. La revisione della farmacopea dovrà ap­prodare, da un lato al divieto di produrre come farmaci prodotti che non sono tali mentre, dall'altro, dovrà collocare, al di fuori della farmaco­pea, classificandoli in una apposita categoria, i cosiddetti preparati di conforto, da porsi in ven­dita con una dicitura che chiaramente ne indichi la natura.

c) Sia abolito ogni sorta di «prontuario» od «elenco» di farmaci per gli assistiti del SSN. Opportuna, invece, appare la trasformazione dell'attuale prontuario in una guida farmacologica per i medici.

d) I cosiddetti «uffici fiduciari» siano aboliti, con conseguente trasferimento delle loro funzio­ni e del loro personale alle Regioni.

8) - Il finanziamento. Il sindacato condivide l'impostazione, secondo la quale il finanziamen­to del SSN debba avvenire attraverso «incre­menti» al fondo comune previsto a favore delle Regioni dalla legge n. 281 del 1970. Ma parlare di fiscalizzazione degli oneri sociali, così come se ne parla nel d.d.l., senza cioè stabilire alcuna data per la sua pratica e graduale realizzazione, non è il modo di affrontare il problema, del qua­le non si vogliono certo nascondere le difficoltà.

Ma ciò che più preoccupa è che gli «incre­menti» al fondo comune saranno costituiti - es­senzialmente - dai contributi previdenziali e da­gli stanziamenti attualmente destinati all'assi­stenza sanitaria; e che tali contributi e le altre risorse affluenti a tal fine al fondo (utilizzazione degli avanzi della gestione tbc; concorso dello Stato limitato ad un massimo di 100 miliardi l'an­no; tangente sui farmaci di lire 200) appaiono nel complesso gravemente insufficienti a coprire l'in­tera spesa sanitaria. Basterà qui ricordare come nel 1973 la spesa sanitaria complessiva è stata, infatti, superiore di oltre 800 miliardi alle entra­te contributive degli enti, mentre le altre risor­se affluenti al fondo avrebbero sfiorato nell'anno appena i 300 miliardi e il disavanzo, per il com­plesso delle Regioni, sarebbe stato di 500 miliar­di. Inoltre, per il 1975 - nonostante il trasferi­mento dell'assistenza ospedaliera alle Regioni - il solo INAM ha previsto un disavanzo di eser­cizio di circa 600 miliardi. Ed è ormai general­mente acquisito che anche il fondo ospedaliero nazionale non riuscirà a coprire la reale spesa ospedaliera che nel 1975 sopporteranno le Re­gioni.

Gli «incrementi» al fondo comune hanno, quindi, bisogno di un più congruo e crescente concorso dello Stato, che copra la reale spesa sanitaria, sì da avviare in concreto il processo di fiscalizzazione degli oneri sociali. Altrimenti, si riverserà sulle Regioni la drammatica situa­zione finanziaria nella quale versano le mutue.

La Federazione CGIL-CISL-UIL è convinta che, partendo dall'attuale spesa sanitaria, si possa dar vita ad un efficiente Servizio Sanitario Naziona­le. Il sindacato è però altrettanto consapevole che tale misura sarebbe insufficiente se non fos­se accompagnata da una riconversione dell'at­tuale spesa e da una politica sanitaria che favo­risca nuovi modelli di comportamento. Solo la eliminazione di rendite parassitarie e di sprechi potrà consentire una evoluzione normale della spesa sanitaria, e la liberazione di risorse da im­piegare in settori oggi pressoché sconosciuti, quali ad esempio, la prevenzione, l'ammoderna­mento ed il potenziamento delle strutture sani­tarie, soprattutto nelle Regioni dell'Italia meri­dionale e nelle periferie delle grandi città.

 

Roma, 18 Marzo 1975.

 

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