Prospettive assistenziali, n. 29 bis, gennaio-marzo 1975

 

 

RELAZIONE DELLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE (1)

 

 

Le ragioni della proposta di legge

Vi sottoponiamo questa proposta di legge di iniziativa popolare, che ha lo scopo di cambiare radicalmente la situazione del settore assisten­ziale, esercitando il diritto riconosciuto ai cit­tadini (almeno 50.000 elettori) dall'articolo 71 della Costituzione.

Prendiamo questa iniziativa pur sapendo che da anni sono stati presentati in Parlamento, dalle maggiori forze politiche, dei progetti di legge di riforma dell'assistenza. Questi progetti però, non si traducono in leggi per la ragnatela di interessi clientelari e di potere che blocca ogni tentativo di riforma. In conseguenza siamo convinti che solo da una forte spinta popolare potrà venire lo stimolo necessario per consentire finalmente al Parlamento di predisporre una legge quadro che elimini dal settore assistenziale gli arcaismi e il parassitismo e dia finalmente al Paese una giusta ed efficiente risposta ai problemi sociali.

Una iniziativa quanto mai urgente dato che l'enorme numero di enti assistenziali e il com­pleto scoordinamento esistente, appesantisce sempre più la situazione, a tutto danno della po­polazione che non riceve i benefici corrispon­denti al cospicuo impiego di risorse economiche impegnate nel settore assistenziale.

È questo, infatti, uno dei nodi da sciogliere nella riforma dell'assistenza, sul quale la pre­sente legge di iniziativa popolare ha voluto sol­lecitare l'attenzione.

 

Spreco di 1.500 miliardi all'anno

Attualmente la spesa globale dell'assistenza è di 1.500 miliardi all'anno che vengono dispersi dai 62.000 uffici pubblici e privati esistenti nel nostro Paese.

Ad esempio i patronati scolastici nel 1970 han­no speso 30 miliardi 831 milioni ed hanno assi­stito 2.038.489 ragazzi. La spesa media per ra­gazzo è stata pertanto di L. 41 al giorno.

Gli enti comunali di assistenza nel 1970 hanno assistito 1.618.000 persone con una spesa di 37 miliardi 652 milioni di cui 10 miliardi 831 milioni per spese di amministrazione. Pertanto ogni assi­stito ha ricevuto in media L. 45 al giorno.

 

Numero degli enti, organi e uffici di assistenza

   8050 Enti comunali di assistenza (ECA): uno in ogni comune;

   7038 Patronati scolastici (stima);

      94 Comitati provinciali dei patronati scola­stici;

   8050 Comitati comunali dell'ONMI: uno in ogni comune;

      95 Comitati provinciali dell'ONMI, più la sede nazionale;

   8050 Comuni;

      14 Ministeri (tutti, compresa la Presidenza del Consiglio dei Ministri, si occupano di assi­stenza);

      20 Assessorati regionali all'assistenza; 94 Assessorati provinciali all'assistenza;

      94  Uffici di assistenza presso le prefetture;

      94  Comitati provinciali di assistenza e bene­ficenza pubblica;

      95 Uffici provinciali dell'AAI (Amministrazione per le attività assistenziali italiane e inter­nazionali) più la sede nazionale;

      95 Sedi provinciali del Commissariato gioven­tù italiana (ex GIL) più la sede nazionale;

      95  Sedi provinciali dell'Ente nazionale per la protezione morale del fanciullo più la sede nazionale;

   2375  (stima) Sedi provinciali e nazionali dei 25 enti nazionali per gli orfani e assimilati;

    142  Case di rieducazione, riformatori, uffici di­strettuali di servizio sociale;

    154 Consigli di patronato per i liberati del car­cere e per l'assistenza alle famiglie dei de­tenuti;

   9407 Istituzioni pubbliche di assistenza e benefi­cenza (IPAB), le ex opere pie;

   5718 Centri assistenza dipendenti da enti pub­blici.

Pertanto gli enti, organi e uffici di assistenza pubblici esistenti nel nostro Paese (salvo le ine­vitabili omissioni) raggiungono l'incredibile cifra di 49.774. A questi si debbono aggiungere le 13.027 istituzioni caritative ed assistenziali ope­ranti nella sfera d'azione della Chiesa cattolica e istituzioni private, la cui regolamentazione non viene peraltro presa in esame in questa proposta di legge.

 

Numero degli assistiti

È impossibile conoscere il numero comples­sivo degli assistiti poiché:

- non esistono dati statistici al riguardo;

- le stesse persone possono essere assistite contemporaneamente da più enti;

- la discrezionalità degli interventi ne modifica continuamente il numero.

Riferiamo soltanto in base ai dati dell'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) i dati relativi ai sei enti più importanti:

1.891.070 sono gli iscritti negli elenchi dei co­muni per l'assistenza gratuita;

1.618.000 sono gli assistiti dagli ECA;

2.038.489 sono gli assistiti dai patronati scola­stici;

1.470.653 sono gli assistiti dall'ONMI;

1.243.522 sono gli assistiti dall'AAI; 404.348 sono gli assistiti dalle province.

I presenti nel 1970 in istituti di ricovero erano 330.922 così suddivisi:

- 149.619 minori anormali;

- 126.017 anziani;

- 24.756 handicappati psichici;

- 9.980 handicappati sensoriali;

- 6.023 handicappati fisici;

- 24.137 altre categorie.

Vi sono inoltre i ricoverati nei manicomi (circa un terzo dei soggetti sono anziani spesso privi di qualsiasi disturbo mentale) ed i minori rinchiusi nei riformatori, nelle case di rieducazione e negli istituti di osservazione (l'intervento rieducativo spesso viene preso dai tribunali per i minorenni per le carenze degli enti assistenziali).

Il ricovero in istituto di minori, anziani e han­dicappati spesso assume le caratteristiche di una vera e propria deportazione, in quanto i soggetti sono inviati in istituti distanti anche centinaia di chilometri dal luogo di origine.

 

Competenze degli enti attuali

Come dimostra chiaramente l'elenco prece­dente, vi è una proliferazione assurda di enti nazionali e territoriali.

Le Province sono competenti per intervenire nei confronti degli illegittimi, dei ciechi, dei sor­domuti, dei malati mentali. A volte intervengono anche nei confronti degli insufficienti mentali.

Gli ECA, di cui ne esiste uno in ogni comune e che sono autonomi rispetto ai consigli comunali, hanno il compito di assistere gli individui e le famiglie in condizione di particolari necessità.

I comuni hanno l'obbligo di provvedere al man­tenimento degli inabili ai lavoro che sono per definizione i minori degli anni 15 e gli anziani, ol­tre agli inabili veri e propri (handicappati fisici e psichici).

Il Ministero della Sanità provvede al ricovero e alla riabilitazione degli invalidi civili mediante convenzioni con enti pubblici e privati (Legge 30 marzo 1971, n. 118).

Poiché le rette del Ministero della Sanità sono molto convenienti (7.000 - 10.000 lire al giorno), molti enti fanno passare per invalidi ragazzi per­fettamente normali.

Per l'assistenza agli orfani vi è una valanga di enti. In primo luogo l'ENAOLI che assiste gli or­fani di padre e di madre fino al 21° anno di età purché uno dei genitori abbia versato le assicu­razioni obbligatorie ed è finanziato dai contributi dei lavoratori e delle aziende (INAIL 2%, Casse marittime 2%, INPS 0,19%). Le entrate nel 1973 sono state di oltre 67 miliardi. Gli assistiti nello stesso anno sono stati 149.440 in famiglia, 12.462 in istituti convenzionati e 881 in collegi ENAOLI.

Vi sono poi l'Opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani, l'Ente nazionale di assistenza agli orfani degli agenti di custodia, l'Opera nazionale di assistenza per gli orfani dell'arma dei carabinieri e gli altri enti indicati nell'articolo 3 della proposta di legge.

L'ONMI, istituita dal fascismo nel 1925, com­prende una sede nazionale e comitati in ogni pro­vincia e in ogni comune. Ha lo scopo di assistere gestanti e madri bisognose e i bambini di qual­siasi età appartenenti a famiglie povere, di inter­venire contro le malattie infantili, di vigilare nell'applicazione delle leggi in vigore per la prote­zione della maternità e dell'infanzia, di control­lare tutte le istituzioni pubbliche e private di as­sistenza all'infanzia, di istituire servizi per l'in­fanzia (asili nido, consultori, ecc.).

I numerosi scandali degli istituti di assistenza all'infanzia, i processi all'ex presidente nazionale dell'ONMI e a presidenti di comitati locali, l'alta percentuale della mortalità infantile, la scarsità degli asili nido ONMI e la loro impostazione di semplice custodia dei bambini, tutto ciò dimostra ampiamente che l'ONMI è un ente non solo paras­sitario, ma anche e soprattutto estremamente dannoso.

I patronati scolastici hanno il compito di for­nire agli alunni bisognosi cancelleria, indumenti, medicinali e di istituire doposcuola. I patronati scolastici sono nati nel 1888 e sono stati riorga­nizzati nel 1958.

Le IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), istituite in sostituzione delle opere pie, sono regolamentate dalla vecchissima legge del 1890. Pur essendo pubbliche (sono soggette agli stessi controlli formali dei Comuni), la loro gestione è essenzialmente privatistica, costi­tuendo normalmente una rete di attività cliente­lari e di sottogoverno. Le IPAB possiedono ingen­ti risorse, soprattutto in forma di patrimoni im­mobiliari, la cui gestione è sottratta ad ogni se­rio controllo.

Tutti i Ministeri e la Presidenza del Consiglio dei Ministri svolgono attività assistenziali nei confronti di minori, anziani e handicappati (Mini­stero dell'Interno), di assistenza agli handicap­pati e di vigilanza sull'ONMI (Ministero della Sa­nità), di assistenza ai fanciulli cosiddetti disa­dattati (Ministero di Grazia e Giustizia), di vigi­lanza dell'ONPI e dell'ENAOLI (Ministero del la­voro e della previdenza sociale).

Dal Ministero dell'interno dipende anche l'AAI (Amministrazione per le attività assistenziali ita­liane e internazionali).

Lo scioglimento di tutti gli enti pubblici nazio­nali (ONMI, ONPI, ENAOLI, ecc.) e territoriali (ECA, Patronati scolastici, IPAB, ecc.) è la condi­zione essenziale per attuare la riforma dell'assi­stenza e per evitare gli sprechi esistenti.

 

Che cosa è oggi l'assistenza

Innanzitutto vi è da osservare che esiste anco­ra oggi uno stretto collegamento fra assistenza e ordine pubblico. Infatti svolgono compiti di as­sistenza anche la pubblica sicurezza e la polizia femminile.

L'art. 154 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) prevede: «Le persone riconosciute dall'autorità locale di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi proficuo la­voro (nota: e cioè gli anziani, i minori degli anni 15 e gli invalidi) e che non abbiano mezzi di sus­sistenza né parenti tenuti per legge agli alimenti e in condizioni di poterli prestare, sono proposti al prefetto (nota: oggi alle Regioni), il quale ne dispone il ricovero in un istituto di beneficenza del luogo o di altro comune».

A sua volta l'art. 202 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento delle leggi di pubblica sicu­rezza) stabilisce: «Qualora l'inabile, di cui sia stato ordinato il ricovero, non intenda stabilirsi nell'istituto o se ne allontani arbitrariamente, vi è accompagnato con la forza».

Non per niente il Ministero che ancora oggi continua ad avere le maggiori competenze in campo assistenziale é quello dell'Interno. Nel 1969 (non nel 1869!) il Ministero dell'Interno con­fermò degli stretti rapporti fra assistenza e ordi­ne pubblico e precisò: «L'assistenza pubblica ai bisognosi racchiude in sé un rilevante interesse generale in quanto i servizi e le attività assisten­ziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».

La verità invece è che finiscono per diventare «assistiti»:

- i disoccupati ed i sottoccupati;

- gli ex lavoratori con pensioni insufficienti;

- i ragazzi respinti dalla scuola perché «inca­paci» o perché disadattati o perché handi­cappati;

- le persone aventi malattie che sono dichiara­te, spesso arbitrariamente, come croniche;

- le famiglie prive di casa e che non sono in grado di pagare gli alti affitti della specula­zione privata.

Davanti ai problemi di queste persone, legati ad un certo tipo di realtà sociale ed economica, si tende a distorcere il senso della realtà delle cose, interpretando i bisogni come esigenze na­scenti da un comportamento deviante dell'indi­viduo e della famiglia a cui viene data una rispo­sta elemosiniera e segregativa. Lo sforzo è ri­volto ad isolare il problema delle persone in dif­ficoltà dalla situazione sociale complessiva per­ché si è consapevoli che i bisogni di queste per­sone sono soltanto la punta di un iceberg sotto la quale non c'è solo la situazione di una cate­goria particolare ma problemi ed esigenze più generali della società.

Pertanto, pur essendo indilazionabile la rifor­ma dell'assistenza per assicurare le prestazioni immediate rispondenti ai bisogni vitali di coloro che sono costretti oggi a ricorrere agli interventi assistenziali, è necessario intervenire per rimuo­vere le cause che provocano le richieste di assi­stenza.

È quindi impossibile parlare di riforma dell'as­sistenza senza entrare contemporaneamente nel merito dei problemi del lavoro, della salute, del­la casa, della scuola, dell'assetto del territorio, di tutti quei bisogni la cui mancata soddisfazione porta alla richiesta individuale di prestazioni di immediata riparazione.

Appare allora evidente come in questo quadro è il concetto stesso di assistenza che deve es­sere superato, capovolgendo i termini della que­stione ed esigendo per tutti una attuazione ade­guata di quei servizi che consentono all'uomo la piena realizzazione di sé.

Presupposto di questo processo di demistifica­zione dell'assistenza e fondamento essenziale per una impostazione e gestione dei servizi ri­spondente alle esigenze delle persone, delle fa­miglie e delle comunità è l'effettiva partecipazione dei cittadini e delle forze sindacali e sociali. Questa premessa porta ad una ristrutturazione globale che faccia perno sull'unità locale intesa non come un nuovo ente, ma come il complesso dei servizi gestito dai comuni e consorzi di co­muni.

Solo attraverso la rottura della logica verticistica e categoriale dell'attuale organizzazione dell'assistenza e la riconduzione all'ente locale della gestione delle risorse e dei servizi è pos­sibile operare quel necessario collegamento pro­grammatico tra tutte le politiche sociali, presup­posto per l'auspicato superamento della doman­da di interventi assistenziali.

Il controllo diretto della popolazione, di cui l'ente locale è l'espressione democratica, costi­tuisce d'altra parte la migliore garanzia per un autentico rinnovamento.

 

I contenuti della legge

A questi principi si ispira la legge di iniziativa popolare che, appunto, stabilisce all'art. 1 che i servizi sociali devono essere organizzati in mo­do da: rispondere alle esigenze delle persone, famiglie e comunità; intervenire per la preven­zione e rimozione delle situazioni di bisogno; assicurare a tutti i cittadini, compresi quelli han­dicappati, la fruizione dei normali servizi scola­stici, abitativi, sanitari, ricreativi, culturali e di altro genere esistenti o da istituire nell'ambito della zona di residenza dei cittadini, evitando qualsiasi forma di segregazione, emarginazione, di esclusione o di beneficenza; provvedere al re­inserimento sociale delle persone ricoverate in istituti.

Avendo presente la giusta preoccupazione di chi attualmente riceve prestazioni dagli enti esi­stenti, viene inoltre stabilito il principio che ven­ga ad essi garantito almeno l'attuale livello di assistenza.

 

Competenze delle Regioni

Tra le competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni vi è l'assistenza, ma i trasferimenti di funzioni e finanziamenti finora effettuati sono molto parziali.

Di conseguenza le Regioni sono impossibili­tate a compiere interventi globali e risolutivi. Lo scioglimento degli enti comporta il pieno trasferimento di tutte le competenze in materia alle Regioni. A loro volta le Regioni dovranno esercitare le funzioni legislative (art. 1 della pro­posta) e delegare ai Comuni le funzioni operative i quali eserciteranno a livello dell'unità locale (art. 2 della proposta).

Riguardo agli enti da sciogliere, viene effet­tuata una distinzione in tre categorie: nella prima compaiono tutti gli enti pubblici nazionali di as­sistenza che vengono sciolti; nella seconda, gli enti pubblici locali per lo scioglimento dei quali sono previste apposite normative delle Regioni, dato che la competenza relativa a questi enti è stata già trasferita dallo Stato alle Regioni; in ultimo ci sono gli organismi assistenziali degli invalidi, per i quali si prevede un rilancio in rap­porto alla loro natura originaria e cioè di associa­zioni libere volte alla tutela e alla promozione dei diritti degli associati, sottraendo ad essi quelle funzioni assistenziali che hanno contribuito non poco ad alterare la fisionomia delle associazioni, trasformandole in complesse macchine burocra­tiche.

 

I problemi del personale

La proposta di legge prevede la conservazione del posto di lavoro, dei livelli salariali e norma­tivi e della progressione di carriera per tutto il personale trasferito dai vecchi enti.

È previsto inoltre che le Regioni debbano prov­vedere alla formazione, aggiornamento e riqua­lificazione del personale addetto ai servizi, di mo­do che sia effettivamente possibile realizzare servizi non emarginanti.

Il passaggio del personale dagli enti e servizi attuali a quelli nuovi dell'unità locale è la con­dizione indispensabile per evitare, come sta in­vece avvenendo, che i servizi alternativi vengano istituiti assumendo solo nuovo personale, perché in questo modo restano le vecchie strutture af­fiancate da quelle nuove e il personale attual­mente in servizio presso gli enti corre il rischio in un domani di trovarsi senza lavoro.

 

Scopo della proposta di legge di iniziativa popolare

L'iniziativa popolare non si propone tanto di aggiungere una nuova proposta di legge a quelle già presentate alla Camera e al Senato, ma di indicare al Parlamento i punti essenziali sui qua­li deve fondarsi una vera riforma dell'assistenza che sia conforme alle esigenze reali dei cittadini.

 

 

(1) Questa relazione riprende in alcune parti quella redatta da Prospettive assistenziali e riprodotte in questo numero con il titolo «La nostra posizione in merito alla proposta di legge d'iniziativa popolare».

 

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