Prospettive assistenziali, n. 28, ottobre-dicembre 1974

 

 

DOCUMENTI

 

GLI ZINGARI SENZA DIRITTI, PERSEGUITATI E SCACCIATI (1)

RENZA SASSO e SECONDO MASSANO

 

 

Il problema dell'emarginazione di interi gruppi umani nella nostra società non si presenta solo col volto dell'oppressione e dello sfruttamento economico, ma anche con le caratteristiche del genocidio etnico e culturale. La difesa dell'uomo ci chiede allora di essere attenti a tutte le situa­zioni in cui il diritto alla libertà di vita viene cal­pestato ed ingiustamente limitato, sia in nome della tranquillità e dell'ordine, che in nome delle usanze e dei valori della società borghese. È per questo che, sollecitati da alcuni amici, pubbli­chiamo l'ampia ed interessante documentazione che la Sezione torinese dell'Opera Nomadi ci ha cortesemente fornito sulla difficile situazione in cui si trovano oggi gli Zingari.

 

La civiltà contemporanea europea è solita lot­tare contro le forme di genocidio etnico che via via appaiono nel mondo. Si levano voci commos­se e vibranti per i Negri d'America, costretti in una cultura estranea che tende a distruggerli co­me gruppo originario; per i Pellerossa ridotti a recitare la pantomina del passato nelle riserve; per popoli africani od orientali che vanno scom­parendo nella tragica avanzata del progresso.

Nessuno si accorge che proprio qui viene di­sprezzata, oppresso, ucciso un popolo che può essere considerato come l'unica minoranza euro­pea «di colore»: gli Zingari.

Cronache vecchie di 6 secoli già ci parlano di loro, per cui non possiamo non considerarli parte della nostra storia.

 

Validità di una cultura e genocidio etnico

Lo zingaro è il superstite di un modo di vita armai scomparso e dimenticato: è nomade. No­madi furono molti popoli per la cui cultura è una­nime un profondo rispetto. Nomadi furono gli Ebrei, e questa loro caratteristica non impedì  che fossero «il popolo di Dio». Il nomadismo, quale modello culturale, non può certo essere considerato da meno rispetto alle civiltà seden­tarie, eppure fino ad ora i sedentari hanno agito nei confronti degli zingari, essenzialmente noma­di, perseguitandoli e sottoponendoli a fortissima pressione perché si integrassero nel sistema.

Il nostro sistema, basato sul gioco produzione­-consumo, non sa accettare una cultura che pone i suoi valori originari altrove.

Nello scontro fra le due culture, il mondo zin­garo sta per avere la peggio. Evidenti sono or­mai i segni di un processo di deculturazione e de­strutturazione, avviato dalla perdita dei mestie­ri tradizionali e dall'impossibilità di mantenere la coesione della famiglia estesa.

Per lo zingaro erano valori essenziali l'essere uomo, la centralità della famiglia. In un contesto ove invece è essenziale il possedere, il produrre, lo zingaro non trova più sostegno. Chiusi nel loro modo di vivere e di pensare, incapaci di co­municare con il mondo circostante per l'analfa­betismo e l'emarginazione, sottoposti al continuo martellamento dei mass-media, sempre più per­suasi di essere inferiori perché tali noi li giudi­chiamo, vedono aumentare la frattura fra i vec­chi, sempre più irrigiditi nello sforzo di conser­vare la tradizione, e i giovani che assumono mo­delli puramente esteriori e vanno a ingrossare le file del sottoproletariato.

Il mondo zingaro è in piena tragedia.

Se è vero che la società contemporanea si di­spone al pluralismo culturale ed etnico, divenen­do capace di accettare la presenza di gruppi di­versi non come un ostacolo ma come un arric­chimento, ci sarà salvezza anche per il popolo zingaro che ha tanto da insegnarci.

«Condizione imprescindibile è la libera volon­tà e perciò l'unico vero servizio di cui lo zingaro ha bisogno in questo momento drammatico della sua esistenza, è che lo aiutiamo a realizzarsi nel­la libertà e nella autenticità. ... Senza questo ri­schio (di una libertà creatrice) gli zingari non avranno altra soluzione che di adattarsi passiva­mente a mimetismi più o meno colorati di una buona coscienza per conquistare la benevolenza di una società che si il1ude di averli integrati in torme regolari di vita» (B. Nicolini, in «Lacio Drom» n. 1-2-1973).

 

Uomini senza diritti

Recentemente, Andreotti, rispondendo alle ri­chieste avanzate dall'Ente che si occupa degli zingari, ed avendo interessato i competenti uffici del Ministero dell'interno, scriveva: «... nell'ordinamento giuridico italiano non esistono dispo­sizioni che vietano il nomadismo né norme parti­colari alle quali (gli zingari) debbano sottostare a causa del loro modo di vita: sono valide pertanto nei loro confronti come nei confronti di tutti i residenti nel territorio dello Stato, le co­muni norme vigenti in materia legale, civile ed amministrativa. Essi pertanto possono circolare liberamente nel territorio nazionale senza alcu­na limitazione, restrizione o speciale autorizza­zione...» (16-7-73 Camera dei deputati).

Quanto poco la realtà rispecchi le righe su ci­tate, lo constatiamo tutti i giorni, a tal punto che le parole dell'ex Presidente del consiglio suo­nano come sferzante ironia. O forse dovremmo intenderle alla lettera: «diritto di circolare», non già «diritto di fermarsi»! Nella periferia infatti continuano ad aumentare di numero i cartelli con la dicitura «Vietata la sosta ai nomadi», «Vie­tata la sosta alle carovane». Evidentemente, qua­lora un Comune avesse predisposto un terreno per la sosta, potrebbe proibirla sul restante ter­ritorio, ma questo non è certo il caso di Torino, né dei Comuni confinanti.

Quello della sosta non è l'unico diritto non ri­conosciuto agli zingari.

In effetti vi sono Comuni che rifiutano l'iscri­zione anagrafica (contravvenendo alla legge 24­12-1954, n. 228) e in tal modo il nomade viene ad essere privato della stessa esistenza giuridica.

Sono negate licenze ed autorizzazioni per l'e­spletamento delle caratteristiche attività (im­pianto giostre, commercio ambulante).

Manca qualsiasi forma di assistenza e previ­denza sociale.

Abbondano in compenso le misure di repres­sione e discriminazione. La Pubblica sicurezza con frequenza agisce nel confronto dello zingaro in modo tale da provocare in lui inevitabili rea­zioni antisociali. Che dire delle perquisizioni, ve­re violazioni di domicilio, attuate nel cuor del­la notte coi mitra e i mandati di perquisizione in bianco? Esistono precise denunce di alcuni zin­gari meno sprovveduti, a questo proposito. Che dire dei «censimenti» attuati con lo stesso si­stema, mitra spianati, all'alba, fuori tutti dalle carovane? E degli arbitrari arresti di gruppo, quando per cercare un ladro vengono portate al fresco 30-40 persone, fra cui donne che hanno in carovana un neonato da allattare? E dei provvedimenti di espulsione adottati - tout court - per­ché si tratta di zingari?

È chiaro che gli organi di P.S. hanno il com­pito di arrestare chi si è reso colpevole di reato, ma non si può colpire tutta una popolazione a causa di un colpevole. È ora che anche le forze di polizia si adoperino per la crescita effettiva di cittadini fra i più deprivati, anziché limitare l'in­tervento a cruda repressione che coinvolge tut­ti coloro che sono colpevoli d'essere nati zingari.

Ed è perfettamente inutile obiettare che gli zingari non lavorano, sono sporchi, si sottraggo­no all'obbligo scolastico: come può essere loro possibile inserirsi nel tessuto sociale, se è co­stantemente negata la sosta?

 

Il problema della sosta in Torino e Comuni limitrofi

Le trattative con il Comune di Torino per l'isti­tuzione di un campo sosta stabile per nomadi fu­rono avviate dalla sezione Opera Nomadi locale sin dal 1968. Nella primavera del 1970 dall'impe­gno generico si è passati alla progettazione di impianti essenziali per un campo sosta in zona Basse Stura: il progetto è stato abbandonato avendo la sezione manifestato opposizione per l'ubicazione troppo decentrata, oltre che per l'in­salubrità in senso lato della zona (umidità, vici­nanza di impianti industriali maleodoranti). Nel settembre 1970, in occasione del Convegno na­zionale dei Direttori didattici delle scuole per alunni nomadi, è stata ricordata al Sindaco la ne­cessità inderogabile di uno o più campi sosta in Torino: l'assessore al Patrimonio è stato conse­guentemente investito della ricerca di aree comu­nali idonee e sono state successivamente indica­te aree in zona Vallette, Sangone, Stura. Nel giugno 1972, non essendoci possibilità alternativa, viene ripreso il vecchio progetto di impianti essenziaki da realizzare su terreno comunale in zona Stura (strada Campagna, corso Vercelli). A tutt'oggi, non si è pervenuti ad altro che alla designazione dell'area, al progetto delle attrezzature, ai preliminari per l'allacciamento viario, idrico, fognature.

Il discorso sul campo di sosta in Torino, lungo e deludente per tanti motivi, non è finito e deve continuare con forme nuove e più incisive.

Nel frattempo si avvia al fallimento quello che sino ad ora era l'unico tentativo riuscito di azio­ne nel confronti degli zingari: la scolarizzazione dei bambini. Questo perché negli ultimi tempi si è intensificata l'opera di allontanamento delle carovane. Non c'è più terreno ove le famiglie no­madi possano stabilire la loro dimora.

Recentemente alcuni capifamiglia ci hanno ma­nifestato la loro seria preoccupazione per l'inver­no imminente. P.B., che possiede una giostra a catene, lamenta di avere sempre minori possibi­lità di esplicare la sua attività di giostraio: - Passano mesi senza che io possa montarla, e sempre in viaggio. Intanto non abbiamo più sol­di. Che facciamo? - Lo stesso problema tocca G.F., possessore di un tiro a segno: - Prima si facevano tutte le fiere, adesso passano mesi tra una volta e l'altra che impianto il «mestiere», intanto ai miei figli devo dare da mangiare -. D.G. accarezza da tempo il progetto di allevare polli e conigli, ma gli esperimenti sono disastro­si; fa in tempo ad installare pollaio e conigliera, poi gli arriva l’ordine di sloggiare e deve ven­dere tutto a poco prezzo per partire.

Sono famiglie con le quali da anni è stato av­viato il discorso scuola-lavoro; si trovano ora disorientate, preoccupate, impossibilitate a sosta­re stabilmente, frustrate nelle nuove ambizioni che abbiamo contribuito a far sorgere in loro.

Nessuna possibilità di mandare a scuola i bam­bini, di trovare occupazione agli adulti; nessuna possibilità di avviare un servizio sociale, di crea­re le condizioni per la maturazione culturale e so­ciale di questi uomini eternamente braccati; nes­suna probabilità di conoscenza e comprensione con la popolazione residenziale. La nostra società si irrigidisce nei pregiudizi classici, loro si irri­gidiscono nell'odio contro di noi.

A Collegno gli zingari hanno posto il loro in­sediamento l'inverno scorso, mandando regolar­mente i figli a scuola. Ci sono rimasti alcuni me­si, poi il 18 aprile i capi famiglia sono stati con­vocati presso il comando dei carabinieri per ri­cevere l'ordine di sgombero da parte del Sinda­co e per essere indirizzati sull'area «apposita­mente predestinata dal Sindaco stesso». L'ordine è stato eseguito. Le carovane, guidate dai vigili, si sono insediate nel nuovo terreno; ne erano contenti, ritenendo che quello fosse finalmente un luogo sicuro dove stare. Non erano passate due settimane che tutti quanti ricevevano l'ordi­ne di sgombero immediato dall'area «predestina­ta» e la diffida a fermarsi sul territorio di Collegno e Grugliasco. Pare sia stato dato il consiglio di andare a Pianezza! Si potrebbe ridere, ma è più facile piangerne, assistendo alle mosse stra­tegiche dei Comuni che si sballottano l'un l'al­tro un gruppo di esseri umani, persuasi che il problema sia risolto non appena allontanato dal­lo sguardo.

A Pinerolo invece dal settembre 1971 il campo è una realtà grazie alla iniziativa di un gruppo di giovani della parrocchia S. Lazzaro, decisi a fa­cilitare e promuovere l'elevazione umana e so­ciale di questa popolazione. Il Comune ha asse­gnato in uso gratuito alla sezione torinese dell'Opera Nomadi, un terreno incolto di proprietà comunale, per la sosta delle famiglie nomadi; ha provveduto nel contempo all'installazione di un lavatoio e di un gabinetto ed all'allacciamento idrico ed elettrico. Una certa sicurezza nel do­micilio (anche se relativa perché la concessione è da rinnovarsi - o revocarsi - di anno in an­no), ha contribuito all'incremento della scolarità dei bambini ed all'inserimento sul lavoro di al­cuni giovani e adulti.

Non sono però tutte rose. Anche a Pinerolo, come dappertutto, la cittadinanza vede con diffi­denza l'insediamento e abbonda in petizioni di­rette ad ottenere l'allontanamento delle famiglie zingare. L'intolleranza sfiora il ridicolo quando fra le accuse che si fanno ai nomadi c'è il fatto che «stendono il bucato all'aperto» costringendo i passanti a vedere maglie e mutande; «vanno per i loro bisogni organici nei campi vicini» (si pensi a un solo W.C. per 60-80 persone); «fan­no paura»; «rappresentano uno spettacolo disdicevole» per i funerali che debbono forzatamen­te percorrere la strada antistante. Per ovviare al­meno in parte agli inconvenienti, gli zingari ora stanno provvedendo a piantare un'alta siepe lun­go la strada. Solo se riescono a non farsi vedere né sentire possono sperare d'essere lasciati in pace.

 

Inutilità della Dichiarazione dei diritti dell'uomo

Il 10 dicembre 1948 veniva proclamata dall'As­semblea generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Furono de­lineate le libertà fondamentali della persona uma­na: diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona; diritto alla tutela da ogni interferenza arbitraria nella vita privata, nella fa­miglia, nella casa e nella corrispondenza; dirit­to a sposarsi e a fondare una famiglia; diritto della famiglia ad essere protetta; diritto alla pro­prietà personale; libertà di pensiero, di coscien­za, di religione; libertà d'opinione e d'espressio­ne, di riunione e di associazione pacifica; libertà di partecipare alla vita pubblica del proprio paese.

È a questi punti che fanno riferimento le orga­nizzazioni zingare ed i loro rappresentanti nel tentativo di veder garantiti i diritti degli zingari. Ma con quale esito?

La Dichiarazione dei -diritti non è vincolante sul piano legale, rappresentando soltanto i preli­minari di un disegno di legge che non è mai stato portato a compimento. Non esiste quindi una via per ottenere dalle Nazioni Unite un riconosci­mento in seguito alla violazione di un diritto.

La costituzione del Consiglio d'Europa rappre­sentò un passo in avanti. È previsto infatti che Stati o individui possano rivolgersi ad esso qua­lora ritengano di essere vittime di violazioni. La petizione però può essere accolta solo nel caso che il governo, contro il quale è presentata la de­nuncia, abbia accettato l'art. 25 che prevede il di:ritto di intervento. E non è il caso dell'Italia. È noto comunque che la più gran parte delle ri­chieste avanzate da cittadini di altri paesi, sono state respinte, per cui non si presentano miglio­ri possibilità per gli zingari non italiani.

Il problema zingaro è tuttavia divenuto così pressante che negli ultimi anni il Consiglio d'Europa se ne è occupato direttamente. Ad una pri­ma raccomandazione del 5 settembre 1969, in cui si chiede la concertazione dei governi membri, ha fatto seguito la formazione di un sottocomi­tato apposito, il quale ha avviato studi sul pro­blema. Entro l'anno è previsto che si giunga ad un progetto preliminare, accompagnato da un rap­porto esplicativo.

Difficilmente si può essere ottimisti nell'atten­dere la ripercussione dei lavori del Consiglio d'Europa sulla vita concreta degli zingari.

Purtroppo i diritti sono riconosciuti a chi è ab­bastanza forte da rivendicarseli da sé.

 

Dalla viva voce degli Zingari

P.F. (capofamiglia) - Dicono che siamo sudici, d'accordo, ma noi chiediamo acqua: senza acqua non ci si lava. Dicono che dobbiamo lavorare, e va bene, io voglio lavorare, è da tanto che cerco lavoro però nessuno me lo dà... Noi chiediamo di essere inseriti, e che ci insegnino a fare come voialtri, ma se non ci date la possibilità di capire questi valori, di capire che cosa vuol dire il la­voro, la Costituzione, io non posso capirlo; ma voi dovete darci una mano ad arrivare a questo. Non potete pretendere che dall'oggi al domani noi si arrivi a questo. La nostra gente cosa fa, non sa nemmeno leggere e scrivere. Lavoro non gliene danno, nemmeno l'acqua per lavarci, e come pretendete che siamo puliti, che si viva sa­ni se ci mettete nell'immondizia? Come preten­dete che si possa rispettare la legge, quando la legge, che è fatta per noi tutti, ci dà le mazzate sul capo e non ci permette nulla? O si risolve il problema o dovete sterminarci tutti.

G.N. (capofamiglia) - Il campo sosta non fa­rebbe piacere neppure a noi, ma per non distur­bare, per non andare a chiedere l'acqua alla gen­te. Avendo un campo comodo, con l'acqua, c'è tanta gioventù che io conosco perché ci vivo in mezzo e ci parlo e so come pensa, ci sarebbero tanti giovanotti che avrebbero passione, durante l'inverno, di trovare un lavoro, anche per comin­ciare, per dare inizio ad una vita diversa. Come faremo ad andare avanti quando, appena entri in un paese, dopo cinque minuti vengono a mandar­ti via, altrimenti ti fanno il verbale e la contrav­venzione, ti mettono anche dentro; ti fanno il fo­glio di via obbligatorio e ti mandano dove non si sa. Noi sappiamo lavorare, abbiamo anche buona volontà di lavorare, ma siamo perseguitati pro­prio per questa parola, perché noi ci chiamiamo zingari. Ma questo non è un nome che possa cam­biare carattere di un uomo; anche lo zingaro ha un carattere, anche lo zingaro facendo una cosa che non è giusta si vergogna, ma quando l'uomo è costretto per vivere... Chiedere è una vergogna, ma se io sono costretto, se i miei figlioli muoiono di fame, devo farlo.

E. B.  (giovanotto)     - Ero riuscito ad andare avanti una settimana o poco più nella mia posi­zione di aiutante macellaio; ma un brutto giorno una signora chiese al proprietario di che origine fossi. Lui mi dichiarò argentino, per giustificare il colore scuro della mia faccia. Ma qualche giorno dopo mi chiama in disparte e mi dice: «Senti, mi dispiace per te, ma ti debbo mandar via; mi di­spiace, anche per l'amicizia che ho con tuo pa­dre. Ma la gente qui si lamenta, sa ormai che sei uno zingaro e mi fa capire che il mio negozio va meglio se io mando via te». Me ne sono andato senza neanche accettare la paga.

M.G. (capofamiglia) - Io sono calderaio, devo svolgere la mia attività in una grande città. È giu­sto che dal momento che io cerco di associarmi alla vostra società voi mi scacciate? Sono nato dal grembo di una madre che mi ha portato nove mesi, come voi. Non è colpa nostra se siamo zin­gari. I nostri bambini vanno a prendere acqua: li scacciano... io sarei disposto a pagare giornal­mente la sosta, se ci fossero campeggi.

F.R. (capofamiglia) - Sono nato zingaro. Sto fermo sei mesi, me ne vado. Se uno ci prende, ci mette dentro una baracchetta, è finita. Noi cer­chiamo la nostra concezione di vita.

N.G. (capofamiglia) - Quando sanno che sono nelle giostre, che sono sinto, cominciano a ve­nire a indagare, come mi comporto, come si com­portano i miei figli. Basta che sanno che sei sin­to, sembra che hai la lebbra.

F.P. (capofamiglia) - Avere dei figli vuol dire diventare veramente uomo, perché uno zingaro senza figli non è facile da concepire. In modo par­ticolare perché ha paura e deve averli molto gio­vane, perché quando saranno grandi lui sarà an­cora giovane. Tutto è basato sulla forza. Se tu a trent'anni hai già dei giovinetti, hai già delle spalle buone su cui contare nella tua vecchiaia e non rimarrai solo. Forse è in relazione al fatto di essere stati perseguitati. È tutto basato sulla di­fesa, e tutto è fatto per la difesa... Il sinto è no­made, ma se avesse la possibilità di stare fermo si fermerebbe di più. Starebbero fermi d'inverno e si muoverebbero d'estate. Viaggiano per il loro istinto, ma il più delle volte sono obbligati.

L.R. (ragazzina, 12 anni) - ... se tu fossi zinga­ra, vedresti cosa ti fanno i carabinieri! Loro ci credono capaci di tutto, che ammazziamo i bam­bini... Loro conoscono che sono zingara, da come andiamo vestiti, come camminiamo, come abbia­mo le carovane, da tutto. Loro hanno le foto di tutti noi.

L.D. (ragazzina, 11 anni) - Noi rubiamo per mangiare, a noi zingari nessuno dà lavoro.

 

 

(1) L'articolo è stato riportato integralmente da «Il foglio», n. 28, gennaio 1974.

 

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