Prospettive assistenziali, n. 26, aprile-giugno 1974

 

 

NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE

 

 

LA CORTE COSTITUZIONALE CONTRO L'ADO­ZIONE SPECIALE

 

Con la sentenza n. 76 del 7 marzo 1974, la Corte Costituzionale (Presidente Bonifacio, re­latore Oggioni) ha respinto la richiesta di ille­gittimità costituzionale presentata dal tribunale per i minorenni di Messina dell'art. 314/4 della legge 5-6-1967 n. 431 per la parte in cui esclude la dichiarazione dello stato di adottabilità quando l'abbandono del minore sia dovuto a forza mag­giore.

La richiesta di illegittimità costituzionale avan­zata dal tribunale per i minorenni di Messina si fondava sull'affermazione, a nostro avviso giu­sta, che la situazione di bisogno del minore ab­bandonato per comportamento comunque attri­buibile a coloro che sarebbero tenuti a prestargli assistenza non si differenzia assolutamente da quella del minore privo di assistenza materiale e morale per causa di forza maggiore.

Ne deriva, sempre secondo il tribunale per i minorenni di Messina, che l'esclusione dalla di­chiarazione di adottabilità dei minori in situa­zione di abbandono per cause di forza maggiore si concretizza in una discriminazione ingiusti­ficata.

Nel respingere l'istanza del Tribunale per i minorenni di Messina, la Corte costituzionale avanza argomentazioni del tutto inaccettabili e in contrasto con la lettera e lo spirito della legge sull'adozione speciale. Nell'art. 314/20 della legge suddetta è affermato che deve essere te­nuto conto dell'interesse preminente del minore; in vari articoli (314/6, 314/10 primo e secondo comma, 314/18) si fa esplicito riferimento all'interesse del minore.

Tutta la legge sull'adozione è impostata sul preminente interesse del minore e non appare pertanto giustificata l'affermazione della Corte costituzionale che nel pronunciare la dichiara­zione di stato di adottabilità «deve tenersi anche conto dell'esigenza, di evidente contenuto uma­no e sociale, di conservare sino al limite i legami naturali con la famiglia di origine».

L'unico «limite» riconosciuto dalla legge sull'adozione speciale e l'unico, «limite» rispon­dente alle esigenze del bambino è quello di non essere in situazione di abbandono materiale e morale.

Non sono pertanto nemmeno accettabili le altre affermazioni della Corte costituzionale che «non risponde pertanto ad una necessità co­stante che, nel conflitto gli interessi del minore debbano prevalere in modo assorbente su quelli della famiglia d'origine» e che «elemento de­terminante, ai fini della prevalenza fra l'esigenza di intervenire a favore del minore da una parte, e quella di salvaguardare i diritti della predetta famiglia, dall'altra, è stato razionalmente identi­ficato, dal legislatore, nella esistenza di consta­tati motivi di forza maggiore alla base del com­portamento omissivo. Motivi di tal natura, in­vero, che escludono la riferibilità dell'abbandono alla volontà degli obbligati, conferirebbero al previsto distacco definitivo, secondo la valuta­zione politico-sociale del legislatore, il carattere di un rigorismo eccessivo e, come tale, da re­spingere».

A tali affermazioni la Corte costituzionale è, arrivata solo perché non conosce o non ricono­sce i deleteri effetti della carenza di cure fami­liari che, come ormai da tempo accertato in tutti i paesi, fin dai primissimi mesi di vita dete­riorano progressivamente la personalità dei bambini.

La giustificazione contenuta nella sentenza, che possano avere «finalità concorrenti o co­muni» uguali all'adozione speciale «le norme circa l'assistenza pubblica all'infanzia abbando­nata» non solo non regge in quanto la legge sull'adozione speciale venne presentata e fu approvata dal Parlamenta proprio per dare una effettiva tutela ai minori a causa dei risultati distruttivi degli interventi della pubblica assi­stenza.

Non regge nemmeno il riferimento fatto dalla Corte costituzionale agli altri istituti quali l'affi­damento, l'affiliazione e l'adozione ordinaria in quanto da un lato le finalità degli istituti sud­detti non sono quelle di dare una famiglia ai bambini che ne sono privi. Ci stupisce anche che la Corte costituzionale e il Tribunale per i mino­renni di Messina non abbiano rilevato che l'ar­ticolo 314/11, punto 2 consenta la dichiarazione dello stato di adottabilità anche nei casi in cui la mancanza di assistenza sia dovuta a forza maggiore, nei casi in cui «l'audizione dei me­desimi (dei genitori) ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la impossibilità di ovviarvi».

Dunque solo quando vi è stata (fino al mo­mento della convocazione dei parenti al giudice) mancanza di assistenza materiale e morale do­vuta a forza maggiore e il giudice accerta che vi è la possibilità di ovviarvi, il giudice non deve procedere alla dichiarazione dello stato di adot­tabilità.

 

 

LETTERA AL MINISTRO DEL LAVORO BERTOLDI

 

Oggetto: Richiesta di modifica della circolare del Ministero del lavoro del 2-7-1973 n. 2839/33/12, Direz. Gen. del collocamento della mano­dopera, Div. VIII.

 

Con la circolare in oggetto e con quella n. XIV/ 1493/33/12 del 5-4-1972, il Ministero del lavoro ha disposto l'erogazione di un contributo nella misura del 50% o comunque per una cifra non eccedente le 30.000 lire per il pagamento delle rette mensili corrisposte dai lavoratori emigrati per i loro figli ricoverati in istituti, asili e bre­fotrofi.

A questo riguardo si segnala che tutte le ri­cerche scientifiche condotte in Italia e all'estero (famosa quella eseguita dal Bowlby per conto delle Nazioni Unite) hanno dimostrato che i rico­veri in istituti (compresi quelli con personale adeguato e specializzato) provoca nei bambini dei danni gravi e durevoli che intaccano profon­damente la loro personalità.

Questa associazione Le chiede pertanto di re­vocare la disposizione suddetta che da un lato costituisce una incentivazione dei ricoveri e d'altro lato non fornisce nessun aiuto ai lavo­ratori emigrati che provvedono ai loro figli in modo adeguato affidandoli al coniuge o a parenti o a conoscenti o portandoli con sé all'estero.

Si chiede che i contributi per il pagamento di rette agli istituti di ricovero siano sostituiti da un assegno versato a tutti i lavoratori emigrati che abbiano figli minori degli anni 18 (oppure degli anni 15). L'erogazione di tale assegno - uguale per tutti - è giustificata dalle maggiori spese che i lavoratori emigranti incontrano per l'educazione dei loro figli sia nei casi in cui li conducano con loro all'estero, sia nei casi in cui li lascino in Italia.

 

Torino, 29 marzo 1974.

 

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