Prospettive assistenziali, n. 25, gennaio-marzo 1974

 

 

NOTIZIARIO DELL'UNIONE ITALIANA PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI DEL MINORE E PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

 

LETTERA INVIATA IL 5-12-1973 A IVO PINI, PRE­SIDENTE DEL CENTRO ECONOMI DI COMU­NITÀ

 

Che cosa resta dei clamorosi scandali sull'as­sistenza ai minori in istituto? Con questa do­manda Ella si rivolge ai lettori della rivista «In­sieme» del CNEC (n. 1/73 pag. 13): lettori «con­fusi, incerti, disorientati» e non per colpa nostra.

Abituati dal suo giornale, come già dalla radio e dalla televisione ad una pubblicità esasperante sulla cera-specchio pavimenti al limone, sulla verdura conservata Findus, sui frutti di mare Amati, immersi in «impianti di cucine con ar­madi frigoriferi ventilati, forni con bistecchiere», «problemi per la pulizia e l'igiene in collettività», non possono non pensare che anche per i «Ce­lestini» del nostro paese, con la pasta Barilla, sia sempre domenica. Anche se il fenomeno è più preoccupante di quello che si possa imma­ginare perché la linea di demarcazione fra la pub­blicità politica e la pubblicità commerciale è stata abolita da tempo, non solo sulla sua rivista, avremmo lasciato i suoi lettori a bearsi di elet­trodomestici superlativi ed insuperabili, bimbi paffuti e belli (purché vestiti da Leri e nutriti dalla bistecca argentina Siargen) se non fossimo stati chiamati da Lei in causa. Chiamati in causa, desidereremmo che Ella pubblicasse la nostra ri­sposta. Finché ci sarà uno che, ipocritamente o in buona fede, si chiederà che cosa resta dei clamorosi scandali sull'assistenza ai minori in istituto, bisognerà che altri scandali vengano pubblicizzati, ed il nostro impegno ad «elevare clamori» non cesserà. Persevereremo coeren­temente nell'opera intrapresa, nella denuncia sino a quando degenerazioni, abusi, sadismo, speculazione troveranno terreno fertile negli in­ternati dei fanciulli, sino a quando ci saranno piccole e grandi violazioni, arbitri, inadeguatezze ed inefficienza.

Denunceremo le mancate richieste di autoriz­zazione a funzionare (come avviene per la mag­gioranza degli istituti), le loro violazioni nell'ob­bligo di trasmettere al giudice tutelare gli elenchi trimestrali dei ricoverati.

Denunceremo il sistema assistenziale dell'in­fanzia così come è. E poiché il nostro mestiere non è quello di «vendere mense aziendali per comunità», ma quello di testimoniare il tipo di intervento che la nostra società offre ai minori e agli emarginati, lo testimonieremo attraverso le parole di quella bimba di tredici anni dell'isti­tuto di Caltagirone dette al giudice: «non posso lamentarmi del vitto, la cena consisteva in pa­tate bollite o marmellata con pane a volontà»; e non con notizie sofisticate da carosello.

Ma contrariamente a quello che Ella vuol fare intendere ai suoi lettori, a noi non interessa far punire individui determinati (in questo caso la Gotelli o Cini) . A noi interessa che si sappia che gli imputati in qualità di presidenti dell'ONMI «o nella vastissima gamma dei compiti da per­seguire, hanno focalizzato la loro attenzione su quelli da loro ritenuti più importanti (riorganiz­zazione dell'Ente, pagamenti delle rette) trascu­rando quelli ispettivi e di più assiduo controlla, ovvero versano in errore circa la titolarità dei compiti ispettivi, credendo che fossero di spet­tanza del Ministero dell'interno o del Ministero della Sanità» (1). Su questo volevamo che inda­gasse il giudice perché la carenza di vigilanza aumenta le piccole e grandi violazioni, gli arbi­tri, le inadeguatezze di un metodo di assistenza già di per sé negativo come l'istituto.

In ogni caso, sia la sentenza di primo grado, sia quella di secondo grado hanno confermato, contrariamente a quanto Lei scrive, che spetta all'ONMI la vigilanza e il controllo degli istituti di assistenza all'infanzia. L'assoluzione stabilita dalla sentenza di secondo grado è motivata dalla assenza del dolo.

Come Ella vede non si tratta «di buttarsi a capofitto in una questione quanto mai complessa di cui non si conoscono i termini essenziali », si tratta di dire no al modo con cui si soddisfa o si finge di soddisfare ai «bisogni» dei minori, alla incetta di questi compiuta nelle zone sotto­sviluppate del paese, alla sopravvivenza di isti­tuti che più che al servizio degli assistiti ser­vono come centro di potere o di influenza poli­tica.

Si tratta di sapere e far sapere come nasce un istituto, come funziona, come si finanzia e da chi è controllato, mentre il voler ridurre tutto ad «amarezza, scetticismo verso l'amministrazione pubblica, disorientamento nelle migliori coscien­ze, significati psicanalitici», ci sembra favorisca soltanto il gioco di chi confondendo e mescolan­do le carte, vuol che tutto rimanga come prima.

 

 

LETTERA INVIATA IL 6-12-1973 AL DIRETTORE DI ANNABELLA

 

Nell'articolo di Edgarda Ferri sugli anziani pub­blicato sul n. 48 (1-12-73) di Annabella è conte­nuta una grave inesattezza nel sottotitolo.

Infatti viene detto che gli anziani «che vivono dimenticati in ricoveri, cronicari e ospizi» sono «cinque milioni».

Invece, dai dati statistici ufficiali (Vedasi l'an­nuario statistico dell'assistenza e della previ­denza sociale, ISTAT, Roma), gli anziani ricove­rati sono soltanto 130.000 (centotrentamila).

Questa cifra indica pertanto che la stragrande maggioranza degli anziani vive fuori degli isti­tuti.

La maggior parte di essi inoltre, hanno pen­sioni da fame (anche di 18 mila lire al mese), ma continuano a vivere per l'aiuto di figli, o di parenti o di amici.

Vi sono sì dei figli che abbandonano i propri genitori, ma ciò costituisce una esigua mino­ranza.

La Ferri ha compiuto la sua indagine negli isti­tuti di ricovero ed è ovvio che la maggior parte degli anziani ivi ricoverati siano stati abbando­nati, ma il campione non è indicativo ed i dati non possono essere generalizzati.

Se si parte dal principio che le comunità fami­liare e civile sono «irrecuperabili» per l'integra­zione sociale degli anziani (come mi pare emerge dai servizi della Ferri), allora le soluzioni propo­ste sono di tipo emarginante: pensioni insuffi­cienti, case di riposo o case albergo, gerontoco­mi, ospedali geriatrici, assistenza domiciliare per gli anziani, e cioè strutture riservate esclusiva­mente agli anziani.

Se si ritiene invece, come credo, che la gente (non le autorità politiche o mediche) è dispo­nibile o almeno recuperabile al discorso dell'in­tegrazione sociale dell'anziano, allora le soluzioni sono completamente diverse: pensioni adeguate, alloggi individuali e per piccole comunità di 6-8 posti nelle comuni case di abitazione, assistenza domiciliare aperta a tutti i nuclei familiari e a tutte le persone che ne hanno l'esigenza (e non riservata ai soli anziani) , ospedali generali di zona aperti a tutta la popolazione del quartiere con prestazioni specialistiche all'interno di det­te strutture, idem per i poliambulatori, per gli ospedali generali provinciali e regionali, ecc.

È evidente che il problema è essenzialmente politico-sociale, ma proprio per tale ragione sa­rebbe necessario che la stampa di informazione spingesse per le soluzioni di integrazione.

 

 

(1) Sentenza del Tribunale di Roma del 29-11 1972.

 

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