Prospettive assistenziali, n. 24, ottobre-dicembre 1973

 

 

DOCUMENTI

 

DOCUMENTI SUGLI HANDICAPPATI

 

 

Fra le varie attività svolte dal Gruppo unitario sull'assistenza, costitui­to dalla Federazione provinciale CGIL, CISL, UIL di Torino, un'attenzione particolare è stata rivolta al problema degli handicappati fisici, psichici e sensoriali.

Pubblichiamo al riguardo due documenti del 7 giugno 1973 delle Segre­terie provinciali CGIL, CISL, UIL e la delibera approvata il 24 luglio 1973 dal Consiglio Provinciale di Torino.

 

 

I.

 

CGIL, CISL, UIL - PROBLEMI POLITICI E SINDACALI IN MERITO AGLI HANDICAPPATI

 

1. Premessa

1.1. Con il termine handicappati si intendono i mutilati e invalidi del lavoro, di servizio e di guerra, i ciechi, gli ampliopici, i sordi, i sordastri, gli spastici, i distrofici, gli sclerotici, gli insuffi­cienti mentali, i malati cronici, ecc.

1.2. Esiste una legislazione diversa per cia­scuna categoria allo scopo politico ben preciso di dividere le categorie.

Fra le varie categorie si segnalano:

- gli handicappati di guerra e per cause con pensioni in genere molto elevate;

- gli handicappati per cause di lavoro (i co­siddetti infortunati) ;

- gli handicappati per servizio;

- i ciechi;

- i sordi;

- i tubercolotici;

- gli altri handicappati per cause generiche di malattia o per incidenti non dovuti al lavoro o al servizio o alla guerra. A questa categoria si applica la legge 30-3-71 118;

- i malati cronici;

- i lavoratori nei casi di malattia, per il pe­riodo che oltrepassa nell'anno i 180 giorni.

 

2. Legge 30 marzo 1971 118 sugli handicappati fisici e psichici

2.1. La legge 118 considera mutilati e invali­di civili i cittadini affetti da minorazioni congeni­te o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico o per insuf­ficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione per­manente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.

Sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi e i sordo­muti per i quali provvedono altre leggi.

2.2. Quando un invalido civile non gode della pensione di invalidità dell'INPS (o perché non ha abbastanza contributi o perché non ha mai potu­to lavorare), ottiene dal Ministero dell'interno la pensione di inabilità sempreché la sua capacità lavorativa sia inferiore a un terzo rispetto a quel­la normale (inabilità superiore al 66%). La pen­sione di inabilità è di L. 18.000 mensili per tredi­ci mensilità e la sua erogazione esclude dal col­locamento obbligatorio al lavoro.

2.3. Quando la capacità lavorativa è compre­sa fra un terzo e i due terzi, è riconosciuto il di­ritto al collocamento obbligatorio, diritto quasi sempre eluso.

Sono comunque esclusi dal collocamento ob­bligatorio gli handicappati psichici.

2.4. Quando l'avente diritto al collocamento obbligatorio è disoccupato, riceve un sussidio mensile di L. 12.000.

 

3. Commissioni mediche provinciali

3.1. Gli accertamenti relativi a quanto sopra e per gli altri interventi (ricovero presso i cen­tri di recupero, assegnazione di carrozzine, pro­tesi ecc.) sono affidati a Commissioni mediche provinciali, di cui fanno parte rappresentanti di associazioni di invalidi.

Commissioni analoghe esistono per i ciechi e i sordomuti.

3.2. Notevole, anche due anni, è il tempo ne­cessario perché le Commissioni accertino il di­ritto alla pensione, al collocamento, ecc.

 

4. Le associazioni di invalidi

4.1. Le associazioni, sorte per tutelare gli in­validi, si sono ben presto trasformate, salvo alcu­ne rarissime eccezioni, in centri di potere clien­telare ed elettorale. Molte di esse sono presie­dute da parlamentari e tutte portano avanti riven­dicazioni corporative e di fatto in netto contrasto con le richieste fatte dai Sindacati sulle riforme.

4.2. Al riguardo si citano le conclusioni della commissione permanente istituita presso l'Ope­ra Nazionale Invalidi di Guerra e composta dai presidenti dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, dell'Associazione Naziona­le Mutilati e Invalidi di Guerra, dell'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, dell'Unione Nazionale Mutilati per Servizio, della Libera As­sociazione Mutilati e Invalidi Civili:

a) «la generalità dei cittadini invalidi costitui­sce un insieme nettamente distinto del popolo italiano»;

b) «addita pertanto come indispensabile ed indilazionabile una radicale e completa riforma di strutture nel settore degli invalidi che, prescin­dendo dalla causa invalidante, sia attuata diffe­renziando chiaramente i cittadini portatori di in­validità permanenti dai cittadini sani o inciden­talmente malati, distinguendosi sotto questo aspetto dalle riforme che oggi lodevolmente (sic) la Repubblica affronta nei campi del lavo­ro, dell'assistenza sanitaria, della istruzione e della casa»;

c) è stato pertanto richiesto che la riforma di struttura «preveda la delega dello Stato ad un unico Ente di diritto pubblico di ogni azione di pubblico intervento, e quindi dell'istruzione e l'addestramento professionale degli invalidi e del loro collocamento al lavoro, dell'assistenza sani­taria, limitatamente agli esiti dell'invalidità per­manente, di quella sociale, morale e giuridica e della cura e di ogni altra provvidenza che possa essere a loro rivolta».

4.3. Pertanto le associazioni suddette, che raggruppano circa un milione di iscritti, voglio­no anche occuparsi dell'assistenza sanitaria de­gli invalidi del lavoro, per scindere fra l'altro gli aspetti curativi e riabilitativi da quelli preventivi.

Cioè sono in definitiva contrarie al collega­mento evidente dell'ambiente e dell'organizzazio­ne del lavoro con gli infortuni e pertanto anche ad una partecipazione dei lavoratori alla gestione della loro salute.

La stessa cosa vale per quanto concerne il rapporto fra ambiente di lavoro e ambiente so­ciale in relazione ad esempio al verificarsi di handicaps fisici, psichici e sensoriali prodotti dalle condizioni del parto, dell'infanzia, della vec­chiaia, ecc.

4.4. Sul piano più generale è evidente la pe­ricolosità di un ente nazionale che si occupi del­la cura e della riabilitazione di un consistente numero di persone separandole di fatto dalla ge­neralità dei cittadini.

4.5. Questa impostazione può produrre altre separazioni, come ad esempio un ente nazionale per gli anziani (V. le iniziative dell'O.N.P.I.) e per altre «categorie», e cioè di fatto dirette ad affossare la riforma sanitaria.

 

5. Il problema politico dell'assistenza

5. 1. Alcuni dati possono dare l'ampiezza del settore assistenziale:

- 1.500 miliardi di spese, escluse quelle per le pensioni;

- numero degli assistiti che oggi si può cal­colare almeno nel 16% della popolazione (di­soccupati, sottoccupati, handicappati, anziani, minori privi di sostegno familiare, ecc. Se non intervengono cambiamenti il numero degli assi­stiti fra 20-30 anni sarà del 25% della popola­zione;

- attribuzione delle più importanti competen­ze al Ministero dell'interno a causa della consi­derazione che l'assistenza costituirebbe un cam­po importante per il mantenimento dell'ordine pubblico.

5.2. Del resto il fatto che il settore assisten­ziale costituisca un problema politico di grande importanza è dimostrato anche dal fatto che es­so rappresenta uno dei mezzi, e non il più trascu­rabile, di cui la classe dominante si serve per mascherare le disfunzioni dei diversi settori so­ciali (casa, scuola, sanità, ecc.) e le conseguen­ze più vistose della mancata realizzazione delle riforme.

Da notare anche che gli investimenti nel set­tore dell'assistenza procurano altissimi profitti.

5.3. Per la classe operaia e le sue organizza­zioni si pone quindi il problema politico di fondo della solidarietà di classe (e non solo umanita­ria) con gli assistiti che oggi si configurano co­me sotto proletariato.

5.4. Ovviamente le iniziative devono tener conto della situazione oggettiva di passività, di dispersione e di sottomissione del sottoproleta­riato in generale e degli handicappati in partico­lare. Tali iniziative non devono produrre sul pia­no rivendicativo divisioni ad esempio fra ex la­voratori infortunati e handicappati dalla nascita.

5.5. A differenza degli altri settori (sanità, scuola, casa, ecc.) per il campo assistenziale l'obiettivo non può essere quello di una riforma, qualunque essa sia, ma deve invece essere quel­lo del superamento delle condizioni che provo­cano le richieste di assistenza.

I problemi dell'assistenza vanno quindi affron­tati con iniziative specifiche nel quadro del cam­biamento sociale e delle riforme della sanità, della casa, della scuola, ecc.

Infatti le iniziative che non tendano al progres­sivo estinguersi dei bisogni che provocano la richiesta di assistenza sono dirette, anche al di là delle intenzioni, solamente alla razionalizzazione dell'esclusione e al mantenimento, se non al raf­forzamento dell'attuate assetto della società.

5.6. Le rivendicazioni da portare avanti come obiettivo intermedio sono:

- pensioni adeguate e rapportate non alla ca­tegoria ma alla effettiva situazione. La pensione in ogni caso non potrà essere una monetizzazio­ne dell'handicap o un alibi per la non creazione di servizi. Il diritto alla pensione non potrà in ogni caso limitare il diritto al lavoro;

- assegnazione di alloggi individuali e di pic­cole comunità alloggio in applicazione dell'art. 27 della legge 30-3-1971 118. Gli alloggi e le co­munità alloggio (per 6-10 posti al massimo) do­vranno essere inseriti in modo sparso nelle co­muni case di abitazione;

- assegnazione di un accompagnatore per co­loro che non sono in grado di spostarsi da soli. Ciò deve essere considerato un servizio civile per coloro che non intendono svolgere il servi­zio militare;

- inserimento degli handicappati nelle co­muni strutture formative: asili nido, scuole ma­terne e dell'obbligo, scuole superiori, centri di addestramento professionale, con erogazione delle prestazioni specialistiche e abilitative all'interno di dette strutture;

- inserimento degli handicappati nelle comu­ni strutture lavorative e progressiva eliminazio­ne dei cosiddetti laboratori protetti;

- abbattimento delle barriere architettoniche come da documento specifico predisposto al ri­guardo;

- predisposizione degli altri servizi necessa­ri per gli invalidi. Questi servizi devono essere strutturati in modo da non essere emarginanti;

- controllo democratico dei servizi da parte di tutte le forze sociali del territorio.

 

6. Gli handicappati, i sindacati e i patronati

6.1. È pertanto necessario che nelle iniziative specifiche delle organizzazioni della classe ope­raia, e in particolare dei sindacati, sia sempre tenuta presente la dimensione «anti-emargina­zione».

Ciò risulta acquisito, sul piano delle enuncia­zioni, dal convegno di Torino del 3-7-71 «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti», organizzato dalle Segreterie provinciali CGIL, CISL, UIL, da associazioni e da comitati di quartiere.

6.2. Una prima iniziativa è rappresentata dal­la accettazione delle iscrizioni al sindacato de­gli invalidi che hanno ottenuto la pensione o che sono in attesa che le pratiche si concludano.

Gli invalidi, per motivi di omogeneità, possono aderire al sindacato pensionati che pertanto dovrebbe ampliare il suo campo d'azione.

Naturalmente gli invalidi che prestano attivi­tà lavorativa aderiscono al loro sindacato di ca­tegoria.

6.3. In base a quanto detto nei punti prece­denti, i problemi generali e specifici degli inva­lidi sono portati avanti non solo dal sindacato pensionati, ma a tutti i livelli nell'ambito delle riforme e in particolare nei consigli di zona per la saldatura fra problemi dell'ambiente di lavoro e dell'ambiente sociale.

6.4.  Le OO.SS. invitano i patronati INAS, INCA, ITAL ad assumere tutte le necessarie iniziative perché al più presto assicurino lo svolgimento delle pratiche necessarie per gli handicappati di qualsiasi tipo.

Ciò allo scopo:

- da un lato di consentire agli handicappati di ottenere il riconoscimento dei diritti acquisiti;

- di indirizzarli al proprio sindacato perché partecipino alle lotte per le riforme;

- di indebolire le associazioni di categoria di invalidi i cui scopi di potere elettorale e clien­telare sono stati illustrati nei punti precedenti;

- di saldare le lotte dei lavoratori in attività con quelli che a causa di handicap di qualsiasi natura ed origine oggi sono emarginati.

 

 

II.

 

CGIL, CISL, UIL - SERVIZI PER HANDICAPPATI FISICI, PSICHICI E SENSORIALI CON PARTI­COLARE RIGUARDO ALLE BARRIERE ARCHI­TETTONICHE

 

1. Dal convegno di Torino del 3-7-71 (1) «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti» organizzato da CGIL, CISL, UIL, ACLI, Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotto contro l'emarginazione sociale, Associazione per la lotta contro le malattie mentali, Comitati di quartiere, era emerso che l'azione da perseguire contro l'emarginazione so­ciale, nell'ambito di un radicale cambiamento delle strutture sociali, doveva essere orientata nei brevi e medi tempi verso i seguenti obiettivi:

a) rendere accessibili a tutti i cittadini cia­scun servizio sanitario, abitativo, scolastico, so­ciale, culturale, ricreativo, ecc.

b) gestione dei servizi a livello locale (Unità locale dei servizi e Comprensori) come risposta alle esigenze della popolazione che si manifesta­no nelle zone;

c) controllo democratico dei servizi, con rifiu­to di ogni tentativo di cogestione. In particolare le Segreterie regionali CGIL, CISL, UIL avevano richiesto, con il documento dell'11-4-72, alla Re­gione Piemonte iniziative immediate a tutti i li­velli rivolte a:

- accertare le cause di ricovero per la pro­gressiva eliminazione delle istituzionalizzazioni (ospedali psichiatrici compresi);

- bloccare la costruzione e l'acquisto di nuo­vi istituti par minori, anziani, handicappati (gerontocomi, psicogerontocomi, convitti per spa­stici, per subnormali, per ciechi, ecc.);

- istituire servizi alternativi non dopo ma contestualmente allo sviluppo coordinato dei ser­vizi di base, assicurando la continuità delle pre­stazioni necessarie.

2. Per quanto concerne la scuola, essa deve essere un momento di informazione e formazio­ne a carattere permanente e globale.

In tale quadro si colloca l'esigenza della scuo­la a tempo pieno, di una edilizia scolastica rin­novata, di un preciso rapporto con il territorio, della riduzione del numero di allievi per classe, dell'abolizione delle classi differenziali, dell'in­serimento nelle scuole comuni degli handicappa­ti fisici, psichici e sensoriali, ecc. (2).

L'inserimento degli handicappati potrà avveni­re sia nelle classi comuni sia, specialmente nel periodo iniziale e nei casi gravi, in classi inte­grate presso le scuole comuni.

Ciò implica non solo un profondo cambiamen­to delle finalità della scuola (da selettiva come oggi a formativa), ma anche l'approntamento di particolari strutture in modo, ad esempio, da consentire che siano fornite, all'interno della scuola, le prestazioni specialistiche e riabilitati­ve necessarie agli handicappati.

3. Per quanto concerne la casa, essa deve es­sere concepita come servizio sociale a disposi­zione di tutti i cittadini. In particolare occorre provvedere da un lato che gli alloggi per i lavo­ratori siano costruiti in modo da essere utilizza­bili anche quando essi saranno diventati anziani: d'altro lato occorre che una quota degli alloggi (individuali o per le piccole comunità) dell'edi­lizia economica siano predisposti per le perso­ne e gruppi che intendono usufruirne. In partico­lare gli alloggi per gli anziani, per gli handicap­pati, le comunità alloggio (6-10 posti) per an­ziani, per minori privi di sostegno familiare, per le persone che intendono vivere comunitariamente devono tutti essere inseriti nelle normali case di abitazione.

Le comunità ed anche una quota degli alloggi individuali dovranno avere servizi collettivi per pasti, per lavaggio biancheria, ecc.

4. Tutte queste rivendicazioni, e quelle riguar­danti i servizi sanitari, ricreativi, culturali, pre­suppongono un diverso riassetto ed uso del ter­ritorio, per cui diventa importante il discorso urbanistico.

Sono infatti di primaria importanza l'organiz­zazione delle città, la facilità delle comunicazio­ni, la possibilità effettiva delle relazioni di ogni genere fra i membri della comunità.

Tutto ciò può essere strutturato in modo di­verso:

- nel sistema capitalistico anche la disposi­zione della città è condizionata dal modo di pro­duzione, distribuzione e consumo delle merci;

- l'interesse della classe operaia è invece quello di avere una città a misura dell'uomo, in cui il complesso delle attrezzature sociali abbia importanza rispetto al contesto della residenza e delle attività produttive e non viceversa.

Ciò è possibile solo nella misura in cui si in­dividui un modello alternativo di sviluppo urba­no fondato sul riequilibrio sostanziale delle tipo­logie di insediamento, secondo una diversa logi­ca dei rapporti sociali o della distribuzione delle risorse.

Le persone giovani e attive sentono ovvia­mente meno le conseguenze della organizzazio­ne della città che affatica, che è causa di inci­denti, che presenta barriere anche edilizie, che impedisce o rende difficili i rapporti sociali. Tut­tavia ciò provoca in tutti un logoramento che è particolarmente più sentito dalle persone anzia­ne, dagli invalidi, dai cardiopatici o da tutti co­loro che hanno difficoltà a spostarsi.

Pertanto l'abbattimento delle barriere archi­tettoniche non viene richiesto per costruire cit­tà a misura degli handicappati e degli anziani, ma è un problema pratico che investe tutti nella lotta per una diversa organizzazione del terri­torio.

5. L'amministrazione di una città deve porre la massima cura nella compilazione del Regola­mento Edilizio, che deve essere uno strumento capace di venire veramente incontro a tutte le esigenze di tutte le categorie di cittadini.

Si osserva in particolare che non sono elimina­te le cosiddette «Barriere Architettoniche», cioè quegli ostacoli che limitano o negano la possibi­lità di movimento all'esterno e all'interno, delle costruzioni. La società produce invalidità di ogni genere e gli handicappati, fisici e psichici, gli spastici sono circa 2% della popolazione. Ad es­si occorre aggiungere gli anziani, i malati, ecc.

Nel Consiglio d'Europa del 1960 in seno al Co­mitato misto per il riordinamento e l'impegno de­gli invalidi, è stata votata una risoluzione che raccomanda ai Governi di prendere misure pra­tiche in cooperazione con gli organi competenti per rendere più accessibili gli edifici pubblici agli invalidi e agli handicappati fisici.

Presso di noi nel campo dell'edilizia sociale, vale a dire dell'edilizia pubblica e di uso pubbli­co, fin dal 1968 è in vigore la circolare n. 4809 del 19-6-1968 dei LL.PP. che riporta le «Norme per assicurare l'utilizzazione degli edifici pubbli­ci da parte dei minorati fisici e per migliorarne la godibilità generale».

Il 30-3-1971 è stata approvata la legge n. 118 contenente le nuove norme in favore dei mutila­ti ed invalidi civili; l'art. 27 tratta l'argomento delle barriere architettoniche, trasporti pubblici e dell'assegnazione di alloggi e precisa: «Per facilitare la vita di relazione dei mutilati e inva­lidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovran­no essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante la eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già co­struiti all'entrata in vigore della presente legge; i servizi di trasporti pubblici ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere acces­sibili agli invalidi non deambulanti; in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere vietato l'accesso ai minorati; in tutti i luoghi do­ve si svolgono pubbliche manifestazioni o spet­tacoli, che saranno in futuro edificati, dovrà es­sere previsto e riservato uno spazio agli invali­di in carrozzella; gli alloggi situati nei piani ter­reni dei caseggiati dell'edilizia economica e po­polare dovranno essere assegnati per preceden­za agli invalidi che hanno difficoltà di deambu­lazione, qualora ne facciano richiesta.

Le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo saranno emanate, con de­creto del Presidente della Repubblica su propo­sta dei Ministri competenti, entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge.

Le norme di attuazione delle disposizioni di cui al suddetto articolo di legge dovevano esse­re emanate, con decreto dal Presidente della Re­pubblica su proposta dei Ministri competenti, entro un anno dall'entrata in vigore della legge e cioè entro l'aprile 1972.

Da parte nostra si richiede non solo che ven­gano rispettate immediatamente queste norme, ma anche che la loro attuazione preveda tempi di inserimento e di attuazione non come elenco di sterili articoli, ma come presa di posizione da parte delle autorità preposte.

Un punto che va sottolineato è che nella cir­colare n. 4809 si prevede, nella premessa, che dette norme possono essere modificate alla luce delle nuove esperienze man mano che le scoper­te scientifiche e tecnologiche aprono nuove vie nell'evoluzione della conoscenza dei problemi sa­nitari, sociali ecc. degli handicappati.

Per i vari tipi di edilizia, (residenziale, uffici pubblici, ecc.) i regolamenti edilizi dei Comuni devono intervenire con una normativa che pre­veda il godimento totale degli spazi comuni co­me atrii, ascensori, cortili, passaggi pedonali, autorimessa, cortili, giardini, spazi adibiti a ver­de, attrezzatura privata di uso pubblico ecc.

A nostro parere, per comodità di consultazio­ni, le proposte e le osservazioni che seguono i progetti dei nuovi regolamenti edilizi dovranno essere raggruppate in un capitolo che parli del­le «barriere architettoniche» suddivise nei vari articoli, da esaminare di volta in volta a secondo del problema da risolvere, fermo restando che dette proposte devono essere discusse ed esa­minate in modo da trovare nuove eventuali so­luzioni in alternativa a quelle suggerite.

 

6. Proposte per il capitolo «barriere architetto­niche»

a) Piante dei vari piani e delle aree coperte e scoperte.

Tutti i progetti dovranno essere corredati del­le piante quotate in scala 1/100 dei piani sotter­ranei, del piano terreno e le dimensioni delle aree scoperte e coperte con la previsione dell'impiego, dei piani superiori, del sottotetto e di tutte le coperture ivi compresi i volumi tecnici.

b) In tutti i progetti a più piani dovranno esse­re sviluppati nei particolari in scala opportuna le piante degli ascensori, indicate le aperture e i meccanismi in modo da avere gli elementi da po­ter approvare le cabine, sia come accesso, che come uso pratico di fruizione. Inoltre dovranno essere indicati sui progetti in modo leggibile i vani scala, i pianerottoli, i corridoi e le varie aperture degli alloggi.

c) Rampe interne ed esterne.

Onde aiutare il progettista in quel lavoro, che sembra difficile, ma che con un po' di buona vo­lontà può essere facilmente superabile, vi sa­ranno nel progetto indicato tutte le rampe even­tuali interne con indicazione di direzione, pen­denze e larghezze a partire dal raccordo vertica­le (rampe autoveicoli, rampe carrelli spazzatura, rampe carrozzine) in modo da trovare una solu­zione combinata anche per gli invalidi.

d) Ingressi interni esterni del fabbricato.

Molto importante sarà la presentazione quota­ta dell'ingresso del fabbricato e degli ingressi veicolari con relativi passi carrabili ed eventuali scivoli con indicazione della pendenza e delle larghezze e l'indicazione dei passaggi pedonali degli edifici.

e) Atrii

Indicazione ed agibilità degli atrii degli edifici che dovranno avere logicamente una rampa per le carrozzine degli handicappati.

f) Marciapiedi

Lungo le proprietà poste a confronto di spazi pubblici comunali, l'Amministrazione del Comu­ne provvederà a far sistemare i marciapiedi pre­vedendo che gli stessi abbiano opportuni scivo­li in corrispondenza di vie traverse, attraversa­menti pedonali di raccordo e dei passi carrai o scivoli anche in raccordo agli ingressi pedonali degli edifici a diverso uso.

Negli edifici con portici questi dovranno es­sere opportunamente raccordati in modo da non avere dei gradini di interruzione, come purtrop­po avviene ad esempio in Via Roma, Torino. Si potrebbe risolvere con scivoli di larghezza ri­dotta anche se in corrispondenza di incroci ed a distanza inferiore a 10 m.

Un'altra soluzione potrebbe essere quella di costruire i marciapiedi quasi allo stesso livello della strada (qualche centimetro in più per lo scolo dell'acqua) prevedendo un cordolo ad e­sempio di un 20 x 20 per impedire l'accesso agli autoveicoli.

g) Cortili

Le pendenze dei marciapiedi o rampe non do­vranno superare l'8% per lo meno negli spazi di passaggio per handicappati, limite massimo pre­visto per una carrozzella in movimento. I tratti dovranno non essere più lunghi di m. 9 con piaz­zole di riposo, i marciapiedi dovranno essere previsti e costruiti con materiale antisdruccio­levole e una cordonatura che li protegga alta al­meno 10 cm. Potrebbe essere inoltre applicata la soluzione prospettata nell'ultima parte del punto f) .

Negli spazi interni dei quartieri residenziali ove vi sia promiscuità fra passaggi pedonali e piste ciclabili dovrà essere eliminata; si sconsi­glia la pavimentazione per detti passaggi a ghia­ietto ed a opus incertum.

Gli spazi destinati ad autorimessa sotterranea dovranno essere collegati agli ascensori o al montacarico con la possibilità di accesso come spazio interno e come manovra.

Per i parcheggi esterni rampe laterali con il massimo dell'8% di pendenza, passaggi possi­bilmente coperti fatti con materiale antisdruc­ciolevole protetti da cordonature e non più lun­ghi di 9 m.

La raccolta dei rifiuti in idoneo spazio dovrà essere raggiungibile con carrelli a mano con rampe non rigide in modo da uniformare i pas­saggi anche per gli invalidi.

I parapetti non dovranno essere inferiori a 1.10. Il materiale di esecuzione dei parapetti do­vrà essere idoneo; se con bacchette di ferro l'interrasse non sarà superiore a 7 cm., se con magli di ferro almeno 5 x 5 lo spessore maglia e se in cristallo dovranno avere il certificato di collaudo di sicurezza.

h) Locali

Negli edifici prospettanti su spazi interni de­stinati a verde il dislivello con il marciapiede sarà contenuto al minimo e sarà quindi risolto al massimo con una rampa.

Tale soluzione permetterà di destinare questi alloggi, ove ne esistano le premesse, alle per­sone invalide. Accessibili a tutti dovranno esse­re anche le guardiole dei portieri.

Per gli atrii, oltre alla presentazione della do­cumentazione relativa come sopra riportato, si dovrà evitare una planimetria troppo spezzettata con andamento e sviluppo irregolare.

I corridoi di raccordo sia interni che esterni dovranno essere il più possibile piani con even­tuale rampa a fianco dei gradini con pendenza massima del 20% non molto lunga e larghezza non inferiore a m. 1.00.

I locali di seminterrato e sotterranei adibiti a servizio pubblico dovranno essere raggiungibili con rampe secondo le norme già dette, e con ascensori o montacarichi.

i) Gabinetti

Le porte di accesso nei locali di servizio a qualsiasi uso devono avere una luce almeno 75 cm. con spazio opportuno per i movimenti all'in­terno del locale.

l) Ascensori

Almeno un ascensore o un montacarichi (1.20 x 2.00) dovrà scendere nei sotterranei se sono previsti dei servizi comuni.

L'ascensore deve avere una cabina con il lato più lungo di almeno 130 cm. ed il lato corto di 90 cm. Le porte dovranno essere a scorrimento laterale, meglio se automatiche e le porte do­vranno essere poste sul lato più corto con una luce minima di 75 cm.; dovrà essere previsto uno spazio pianeggiante di manovra davanti all'ascensore di m. 1.50 di profondità e gli ascenso­ri o montacarichi destinati a questo ufficio do­vranno essere dotati del sistema di autolivella­mento ai piani.

m) Scale

La larghezza minima di ciascuna rampa di sca­le deve essere non inferiore a cm. 110 e quella dei pianerottoli 150 cm. Sconsigliata la forma triangolare o altre a forma irregolare; è tollera­ta la forma trapezoidale purché l'imposta interna non sia inferiore a cm. 30.

Il gradino deve essere preferibilmente a dise­gno continuo a spigolo arrotondato con alzata di 16 cm. e pedana minima di cm. 30.

Per le scale di grandi dimensioni come lar­ghezza sarà previsto un corrimano basso in mez­zo sostenuto da parapetto.

Per scale di larghezza maggiore a cm. 110 do­vrà essere previsto oltre al corrimano sul pa­rapetto anche un corrimano alla parete, magari di altezza leggermente inferiore.

Lo spazio antistante la scala non potrà essere inferiore a cm. 1,50.

Se nell'atrio è prevista una piccola alzata (non oltre 3 o 4 gradini) la scala permetterà (non in­feriore a 3 m.) una rampa con corrimano di lar­ghezza non inferiore a 1,00 di pavimentazione antisdrucciolevole e pendenza massima del 20%.

n) Lottizzazione sulla base del P.R.G.

I quartieri e le lottizzazioni progettati e finan­ziati dall'intervento privato con dotazioni di attrezzature e d'uso pubblico dovranno essere edi­ficati in norma alla Circolare del Ministero LL.PP. n. 4809 e della legge n. 118 ed una relazione di accompagnamento in cui vengono illustrate le caratteristiche che hanno ispirato la realizzazio­ne dell'opera in rispetto alla eliminazione delle «barriere architettoniche» in favore dei mino­rati fisici.

 

7. Norme tecniche sull'edilizia scolastica

Con D.M. 21-3-70 (supplemento ordinario alla G.U. n. 134 dell'1-6-1970) sono state emanate le «norme tecniche relative all'edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità di­dattica, edilizia ed urbanistica, da osservarsi nel­la esecuzione di edilizia scolastica».

Tali norme, di cui occorre rivendicare con for­za la piena applicazione, prevedono fra l'altro:

- che gli edifici siano tali da assicurare la loro utilizzazione anche da parte degli alunni handicappati fisici, con l'obbligo dell'osservanza delle disposizioni della circolare del Ministero dei lavori pubblici 4809 del 15-6-68;

- locali e spazi necessari per lo svolgimen­to dei programmi di insegnamento dell'educazio­ne fisica (palestre coperte, campi e attrezzature sportive, ecc.) ;

- piscine per esercitazioni di nuoto;

- locali per la ginnastica differenziata per alunni che presentano anomalie nella crescita;

- locali per le attività di medicina scolastica a norma del decreto del Presidente della Repub­blica 22 dicembre 1967, n. 1518;

- locali per la mensa scolastica quando sia­no riconosciuti necessari dal Provveditore agli studi (ma la richiesta dovrebbe essere quella di ottenerli presso tutte le scuole, in linea con la richiesta del tempo pieno) .

 

 

III.

 

DELIBERA DEL CONSIGLIO PROVINCIALE DI TORINO DEL 24-7-1973 - «LINEE PROGRAM­MATICHE PER L'ASSISTENZA A FAVORE DEI SUBNORMALI PSICHICI »

 

Relazione

In adunanza 19 luglio corr., la Giunta provincia­le ha sottoposto al Consiglio, per quanto di com­petenza le opportune determinazioni per l'appli­cazione della deliberazione consiliare 22 marzo 1973, n. 71/1389 (Co.Re.Co. 13-4-73 n. 749/39/6), in relazione al programma di assistenza a favo­re di subnormali psichici per l'anno 1973-74;

Poiché in ordine alla materia di cui trattasi le sezioni sindacali della Provincia aderenti alla C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L. hanno proposto a que­st'Amministrazione un documento che approfon­disce il programma di cui trattasi con riferi­mento ai seguenti punti:

1) rapporti con le strutture provinciali già ope­ranti nel settore dell'assistenza psichiatrica;

2) collegamento del programma di cui tratta­si in rapporto alla prospettiva della prevista en­trata in vigore del servizio sanitario nazionale fondato sulle unità sanitarie locali, anche in rap­porto all'eventuale prospettiva dell'istituzione delle unità locali dei servizi;

3) articolazione dell'assistenza di cui sopra nelle varie specie di servizi: riabilitativi; di assistenza familiare e di affidamento familiare; co­munità alloggio e focolari;

4) orientamento per una nuova disciplina del rapporto di impiego del personale addetto ai ser­vizi di cui trattasi con specifico riferimento agli impegni che lo stesso personale è chiamato ad assolvere, all'orario lavorativo, alla definizione del contenuto delle mansioni inerenti, alla qua­lificazione professionale, alla riqualificazione e formazione permanente del suddetto personale.

Il documento, discusso in apposita riunione con la competente Commissione consiliare con­sultiva sui problemi dell'assistenza, è stato re­datto nello schema definitivo che può essere rassegnato al Consiglio provinciale per le oppor­tune determinazioni, che dovranno costituire l'o­rientamento di politica amministrativa che la Provincia di Torino si propone di attuare nel set­tore di cui trattasi, pur in aderenza alle norme legislative e regolamentari vigenti che l'Ammi­nistrazione si propone di applicare con partico­lare sensibilità e modernità di intenti, secondo criteri gradualistici di cui lo stesso documento si è responsabilmente fatto carico;

Quanto sopra, in stretto collegamento con l'im­postazione risultante dai documenti che la Giun­ta propone all'esame del Consiglio nella prossi­ma sessione del 23-24 luglio in merito alla con­venzione 26 gennaio 1973 con l'Opera Pia Ospe­dali psichiatrici di Torino, e cioè il protocollo ag­giuntivo alla convenzione stessa e il regolamen­to speciale dei servizi psichiatrici che ne forma parte integrante.

 

Testo approvato

1) Il programma di assistenza agli insufficien­ti mentali ultraquattordicenni e adulti deve pre­vedere:

a) la ristrutturazione ed il progressivo decen­tramento, nel quadro del piano di zonizzazione di cui all'art. 2 del protocollo aggiuntivo alla Con­venzione Provincia-Opera Pia OO.PP., di strutture provinciali già esistenti e cioè:

- Laboratorio Protetto e Centro Occupazionale di corso Toscana;

- Centro di Addestramento Professionale di Grugliasco - via Baracca;

- Comunità Alloggio di via Giolitti, via dei Mil­le, via Sostegno;

- Istituto del Mainero;

- Servizi del C.I.M. per l'assistenza economica, la consulenza in internato (Istituti Lauro, Ce­res, Rubiana, Uliveto), la consulenza scola­stica, l'assistenza ambulatoriale, l'affidamen­to familiare.

Va sottolineato che il riferimento alle zone psichiatriche viene fatto non per «psichiatrizza­re» i servizi in questione, ma per garantire l'in­tegrazione in piani coordinati di tutti gli inter­venti assistenziali che via via vengono realizza­ti, nella prospettiva di assorbimento degli stessi nelle Unità Sanitarie Locali e nelle Unità Locali dei Servizi, come espressamente previsto dal già cita.to art. 2 del Protocollo aggiuntivo, ed in ana­logia con le richieste che contemporaneamente vengono rivolte al Comune di Torino circa i pro­grammi di decentramento dei servizi di medici­na scolastica e dei servizi assistenziali;

b) l'apertura di nuovi servizi decentrati in ba­se a criteri di coordinamento con le altre strut­ture di zona via via costituite;

c) adeguati coordinamenti con altri servizi provinciali direttamente ed indirettamente inte­ressati dal programma: zone psichiatriche, comunità alloggio previste in sostituzione dell’Istituto di Ceres, I.P.I.M., servizi di medicina scola­stica, unità territoriali sportive recentemente isti­tuite dall'Assessorato allo Sport; e ciò in confor­mità a quanto previsto nel Protocollo aggiuntivo siglato con le Organizzazioni Sindacali C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L. in data 13 luglio 1973;

d) programmi di realizzazione con scadenze legate a quelle previste per le altre strutture, se­condo i medesimi criteri di suddivisione del ter­ritorio ed i tempi di massima previsti dall'art. 3 del citato Protocollo aggiuntivo (entro il '75 isti­tuzione di 21 servizi di zona in Torino e cintura; entro il '77 istituzione dei rimanenti 23 nei paesi della provincia).

2) All'interno delle quattro direzioni operative indicate al punto precedente, che saranno più compiutamente sviluppate in provvedimenti suc­cessivi secondo tempi e modalità da trattare con le OO.SS. provinciali, si ritiene di dover dare corso immediato ad alcuni provvedimenti parziali, utilizzando in particolare locali già disponibili da parte dell'Amministrazione Provinciale in via Vian, in via Mongina di Moncalieri, in via Barac­ca in Grugliasco e in Piazza Massaua in Torino.

3) Le ipotesi di funzionamento dei servizi con­tenute nel presente programma, come quelle che saranno oggetto di programmi successivi do­vranno essere messe in discussione, prima di di­ventare esecutive, in assemblee dei servizi pro­vinciali interessati, con la partecipazione di rap­presentanti dei Sindacati provinciali e degli utenti.

Le Commissioni tecniche di cui la Provincia si avvale per la consulenza sui programmi di assistenza dovranno essere integrate con operato­ri inseriti nei servizi provinciali a diversi livelli di responsabilità.

Dovranno inoltre essere riconosciuti dalla Pro­vincia organismi di consultazione e di controllo sistematico rappresentativi degli utenti, delle forze sociali organizzate nelle diverse zone, e delle organizzazioni sindacali.

4) Il programma si propone di creare struttu­re operative che dovranno in prospettiva essere assorbite nelle Unità Locali dei Servizi Sanitari ed Assistenziali, non appena queste saranno ope­ranti.

È necessario quindi, nel periodo transitorio in­tercorrente fino alla realizzazione delle suddette Unità, che:

a) gli operatori e le équipes attualmente di­pendenti gerarchicamente da strutture verticali scoordinate fra loro (CIM., Ente Comunità Al­loggio, ecc.) vengano comandati a prestare la loro attività in zona, e messi in condizione di ope­rare in stretto collegamento con le strutture sa­nitarie, scolastiche, assistenziali, ecc. della zo­na ed in particolare con le équipes psichiatriche già costituite, ai fini di un coordinamento degli interventi di prevenzione, assistenza e cura, ria­bilitazione;

b) l'unitarietà di indirizzo sia garantita dal la­voro di équipe fra gli operatori responsabili del­le singole unità operative;

c) il rapporto funzionale con gli uffici ammini­strativi della Provincia, in previsione di un loro decentramento a livello di zona, così come è pre­visto per i servizi psichiatrici, sia garantito dalla collegialità di consultazione fra le équipes ed i funzionari provinciali interessati.

5) L'assistenza ai soggetti di cui al presente programma deve essere attuata mediante servizi e strutture che non comportino l'internato, e cioè:

a) servizi riabilitativi;

b) servizi di assistenza familiare e di affidamen­to familiare;

c) comunità alloggio e focolari.

È prevista una preventiva selezione solo nei casi con danni organici estesi e permanenti, tali da impedire qualsiasi tipo di vita di relazione, per i quali l'assistenza più idonea può essere for­nita soltanto in organizzazioni paraospedaliere interzonali per cronici.

La decisione sulle ammissioni e dimissioni ri­spetto ai singoli servizi viene presa collegial­mente dall'équipe di zona e dagli operatori dei servizi stessi, con il consenso delle famiglie in­teressate.

La risposta negativa alle domande di ammis­sione alle prestazioni dei vari servizi deve esse­re documentata formalmente.

6) Devono essere previste rotazioni di perso­nale fra i diversi servizi, ed in particolare fra i servizi per cronici e gli altri servizi, in rapporto alle necessità dei servizi stessi e con modalità da definirsi di volta in volta, sentiti i delegati del personale.

7) Servizi riabilitativi:

a) addestramento professionale

- Vi si dovrà provvedere mediante inserimen­to nei normali C.A.P., evitando la creazione di strutture «speciali» e generalizzando gli espe­rimenti già in atto per iniziativa del Comune (via Genè, Pastore), che hanno dimostrato la possi­bilità ed il vantaggio dell'inserimento di handi­cappati in strutture normali (l'inserimento è av­venuto attraverso un primo anno propedeutico, a seguito del quale è stato possibile il passaggio direttamente nei corsi normali anche di soggetti con diagnosi gravi formulate sia nella scuola che in centri specialistici).

- Sono necessarie a questo proposito inizia­tive della Provincia per garantire un progressivo incremento della disponibilità di posti presso i C.A.P. normali, attualmente assai limitata (da parte dell'Assessorato al Lavoro del Comune di Torino si prevede di portare gli attuali 30 posti complessivi dei due Centri di via Genè e del Pastore a 60 nell'anno 1973-1974, 90 nell'anno 1974-­1975, 120 nell'anno 1975-1976).

- Ciò attraverso contatti con la Regione, competente ad emanare la delega a favore del Comune per l'apertura di nuovi C.A.P., a dispor­re i finanziamenti (tenendo presente a questo proposito i fondi di cui dispone la C.E.E., che ammontano a miliardi e miliardi) a disciplinare l'intera materia.

- Nei tempi brevi, per far fronte alla doman­da immediata che non può trovare risposta nel­le strutture attualmente disponibili (circa 150 minori stanno per essere licenziati dalle scuole speciali e differenziali), si potrà ricorrere alla istituzione di corsi propedeutici per handicappati che non abbiano trovato posto nelle strutture normali, con la finalità di preparare ad un inseri­mento successivo.

- Solo all'interno di questo orientamento, che deve tradursi in impegni precisi con scadenze definite, può trovare una funzione corretta l'at­tuale Centro di addestramento che la Provincia gestisce in via Baracca, in termini di soluzione transitoria e limitatamente alla gestione di corsi propedeutici. Si rende però urgente il suo trasfe­rimento in locali che rispondano a requisiti edi­lizi e di attrezzatura che mancano assolutamente nell'attuale sede di via Baracca.

- Per quanto riguarda la dimensione che do­vrebbero avere i Centri di addestramento pro­fessionali si indica, a titolo orientativo, e come limite massimo, quello di 40 soggetti, nell'inte­sa che, qualora l'Amministrazione fosse costret­ta per esigenze contingenti a superare tale limi­te, assumerà in futuro provvidenze intese a rien­trare nel limite medesimo.

Il servizio di addestramento professionale do­vrà avere il compito, non solo della organizzazio­ne dei corsi, ma anche della ricerca di colloca­zioni lavorative esterne, in collaborazione con l'Ufficio Provinciale del lavoro ed in applicazio­ne delle norme legislative concernenti il colloca­mento obbligatorio degli invalidi civili, nonché l'individuazione delle necessarie condizioni di protezione del lavoro.

Circa la possibilità di rendere concretamente operanti le norme legislative di cui sopra, le Amministrazioni Provinciali e Comunali dovranno assumere precise iniziative politiche per garan­tire l'assunzione dei propri assistiti presso ditte ed enti, privilegiando quelli con caratteristiche artigianali e garantendo anche in relazione ai pro­blemi del lavoro la continuità dell'assistenza da parte delle équipes specialistiche, al fine di ri­durre al minimo le possibilità di insuccesso dell'inserimento lavorativo.

- Va quindi posto fine alla consuetudine di la­sciare la ricerca di collocazione lavorativa all'ini­ziativa spontanea ed alla buona volontà dei sin­goli operatori, senza dar loro quegli strumenti che comportano una precisa assunzione di re­sponsabilità politica da parte delle Amministra­zioni locali.

Ritenuta peraltro la necessità che la nostra legislazione preveda esplicite provvidenze per garantire secondo modalità che potranno essere definite anche sulla scorta dell'esperienza ma­turata all'estero ed ormai acquisita nella norma­tiva di diversi Stati, gli opportuni collegamenti tra le attività produttive ed i presidi per l'adde­stramento professionale degli insufficienti men­tali, si auspica che a tal fine sia costituito con apposito provvedimento della Giunta Provincia­le uno specifico gruppo di studio composto da amministratori e funzionari provinciali e rappre­sentanti delle organizzazioni sindacali partecipi a questa problematica;

b) Centri occupazionali

Strutture nelle quali dovranno essere in pro­spettiva realizzati specifici collegamenti e com­penetrazioni tra gli attuali Centri occupazionali ed i Laboratori protetti, secondo le modalità il­lustrate nelle proposizioni che seguono.

Destinati a soggetti per i quali sia stato speri­mentato senza successo l'inserimento lavorati­vo esterno, o constatata l'impossibilità di collo­cazione lavorativa esterna in condizioni adatte alle loro particolari esigenze.

L'inserimento nel Centro occupazionale dovrà comunque essere costantemente aperto al rein­serimento lavorativo e sociale normale.

Attualmente sono inseriti nel Laboratorio Pro­tetto soggetti sostanzialmente privi di un accu­rato e precedente «dépistage», sia rispetto al­la gravità dell'handicap, sia rispetto alla possibi­lità di recupero e di inserimento. Questo fa sì che siano presenti nell'attuale Centro di Lavoro protetto anche soggetti con possibilità lavorati­ve (dal punto di vista tecnico) «normali» (la­vori di falegnameria, carte geografiche, gioielle­ria, ecc.).

È necessario perciò, anche in questo caso co­me già detto per il Centro di addestramento pro­fessionale, sviluppare un'azione di ricerca di po­sti di lavoro in ambienti normali, in cui possano essere istituiti reparti protetti con istruttori ido­nei a seguire questi soggetti.

Nella misura in cui si comincia a realizzare questo, è possibile ridurre progressivamente il numero di soggetti inseriti nei Centri di lavoro protetto, fino a riservare queste strutture a co­loro per i quali non sia pensabile un inserimento lavorativo esterno.

Per questi il Laboratorio deve avere uno sco­po prevalentemente terapeutico e anche le «at­tività lavorative» devono essere inserite in que­sta prospettiva.

In questa linea di tendenza la funzione dei La­boratori protetti viene ad identificarsi con quella dei Centri occupazionali, e possono essere pre­viste le misure di cui al 1° comma della presente lettera. Il limite massimo di queste strutture sembra doversi individuare nei 50 soggetti circa, nell'intesa di cui all'ultima parte del 6° comma della lettera a) dell'art. 7.

c) Consulenza specialistica e terapie specifiche

Dovranno essere assicurate dalle équipes di zona (psichiatriche e no).

8) Servizi di assistenza familiare e di affida­mento familiare.

Provvedono a garantire ai soggetti ed alle fa­miglie l'aiuto necessario perché l'assistenza sia possibile senza fare ricorso all'istituzionalizza­zione.

Il servizio viene realizzato mediante decentra­mento del personale del C.I.M. e stretto coordi­namento con le attività svolte nella zona dagli operatori di altri servizi già decentrati, sia del Comune che della Provincia, in modo da utilizza­re i servizi già previsti per la generalità della po­polazione evitando i settorialismi, le sovrapposi­zioni, ecc.

9) Comunità alloggio.

Da considerare non come unico possibile sur­rogato alla famiglia, ma come alternativa, da va­lutare caso per caso, all'affidamento a famiglie o a comunità educative di tipo spontaneo, basa­to cioè su rapporti di tipo non professionistico.

Da strutturare in unità differenziate a seconda dei diversi tipi di compiti, e cioè:

- Centri base, con caratteristiche di pronto soccorso sociale, per situazioni che richiedono un inserimento immediato con carattere di prov­visorietà, in attesa di soluzioni definitive sia nell'ambito della famiglia naturale, sia mediante col­locazione eterofamiliare;

- Strutture sostitutive del nucleo familiare (quindi per l'inserimento a tempo illimitato).

In sede di coordinamento fra comunità della stessa zona o di zone diverso, deve essere indi­viduata la dislocazione di strutture differenziate in relazione a queste diverse esigenze, e deve essere possibile il trasferimento di soggetti da una comunità all'altra in relazione a condizioni oggettive e soggettive più favorevoli ad un inse­rimento positivo.

Deve essere anche prevista la possibilità di rotazione di personale da un servizio all'altro (v. precedente punto 6).

In linea di massima è da evitarsi la comunità per soli subnormali, ed in ogni caso deve essere esclusa la dipendenza da Centri di lavoro protet­to o da altri servizi settoriali, che potrebbe co­stituire una condizione limitativa rispetto alle fi­nalità educative e di reinserimento in ambiente normale.

La composizione numerica ottimale sembra do­versi individuare in un minimo di 5 ed in un mas­simo di 10 soggetti, a seconda delle caratteristi­che dei soggetti stessi.

Si dovrebbe tendere alle comunità miste (ma­schi e femmine): questa condizione è legata ad un abbassamento dei limiti di età per l'accesso alle comunità.

Ciascuna comunità dovrebbe essere destinata a servire la popolazione della zona in cui è inse­rita, prevedendo però la riserva di una percen­tuale di posti ai casi da risolvere con criteri di­versi da quelli della residenzialità.

Nella fase attuale, in cui si prevede la costitu­zione di nuove comunità (considerando anche quelle necessarie al decentramento degli istituti di Ceres e del Mainero), dovrebbero essere adot­tati i seguenti criteri:

- evitare la concentrazione di più unità nella stessa zona;

- scegliere una ubicazione vicina ad altri ser­vizi complementari (scolastici, di tempo libero, ecc.);

- per quanto concerne l'uso dei locali già di­sponibili in via Vian, via Baracca di Grugliasco, ecc. si propone ci adibirne non più di uno per edificio a comunità alloggio, destinando gli altri a servizi di tipo diverso (ambulatori, centri occu­pazionali, ecc.); nell'intesa già richiamata nell’ultima parte del 6° comma della lett. a) dell'art. 7 del presente documento;

- stabilire un collegamento immediato tra ciascuna comunità e la zona corrispondente (via Vian: Torino sud, via Giolitti e via dei Mille: To­rino-Centro, ecc.).

Anche per le comunità alloggio, come per i servizi riabilitativi e di assistenza familiare, la consulenza tecnica deve essere assicurata dalle équipes di zona.

10) Organici

a) La composizione numerica dell'organico de­ve essere fissata, per ciascun tipo di servizio, tenendo conto delle caratteristiche del servizio stesso, delle infrastrutture locali utilizzabili, del­la gravità dell'handicap dei soggetti assistiti.

L'organico deve essere sufficiente a garantire il rispetto, per tutto il personale (compreso quel­lo delle comunità alloggio, attualmente soggetto alle maggiori difficoltà sotto questo profilo) dell'orario lavorativo regolamentare, riducendo l'ef­fettuazione di lavoro straordinario ai casi di rea­le necessità ed eccezionalità (e provvedendo in questi casi ai relativo compenso).

Per le comunità alloggio deve essere previsto un minimo di 5 unità di personale ciascuna (4 con funzioni di educatori, ed uno con funzioni di governante, con la precisazione che quest'ultima non è la «donna delle pulizie», ma una persona che, pur avendo il compito di provvedere a tutte le incombenze materiali: pulizia, cucina, ecc., ha anch'essa un rapporto con i soggetti assistiti, rapporto che deve essere di tipo educativo e ri­chiede quindi specifiche caratteristiche profes­sionali assimilabili a quelle delle «collaboratrici domestiche»).

Questo numero minino di personale è neces­sario per garantire, con i turni di presenza dei singoli operatori nell'ambito dell'orario lavora­tivo regolamentare per ciascuno di essi, la co­pertura dell'orario settimanale complessivo di 168 ore.

b) La copertura dei posti previsti in organico deve avvenire in via prioritaria, utilizzando per­sonale già in servizio alle dipendenze della Pro­vincia, al quale deve essere data la possibilità di opzione. In via subordinata si dovrà procedere a nuove assunzioni.

c) L'organico deve tenere conto anche della necessità di provvedere alla sostituzione tempo­ranea del personale assente per ferie, malattia, maternità, ecc.

d) Le qualifiche previste nell'organico devono corrispondere ad altrettante funzioni individuate come necessarie nell'ambito di ciascun servizio.

A funzioni con contenuti professionali uguali od assimilabili devono corrispondere uguali li­velli retributivi (eliminando quindi le attuali di­scriminazioni tra istruttori ed aiuto istruttori, tra educatori ed aiuto educatori); e a tal fine l'Am­ministrazione Provinciale dovrà dare prioritaria applicazione per il settore di cui trattasi ai prin­cipi enunciati nella deliberazione n. 74/1389 del Consiglio Provinciale del 22-3-1973 (CO.RE.CO. 16-4-1073 n. 749/39/10).

Le funzioni di coordinamento devono essere assolte, nell'ambito di ciascuna unità di servizio, dall'équipe nel suo complesso, che potrà ricorre­re a forme di rotazione per l'attribuzione di responsabilità specifiche.

11) Qualificazione professionale, riqualifica­zione, formazione permanente.

La Provincia si impegna ad assumere specifi­che iniziative a questo proposito, nell'ambito del programma attualmente all'esame della Commis­sione per l'istituzione della scuola per tecnici della riabilitazione.

 

 

(1) V. Gli atti relativi sono disponibili a L. 1.500 presso la Camera del Lavoro di Torino e l'Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale, Via Artisti 34 - Torino.

(2) Vedasi: «Le ragioni per le quali si respinge lo schema di decreto delegato sull'assistenza predisposto dal Gover­no» in quaderno sindacale CGIL, CISL, UIL «Esperienze di lavoro e di lotta sui problemi dell'assistenza» disponibile a L. 500 agli indirizzi indicati nella nota 1.

 

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