Prospettive assistenziali, n. 23, luglio-settembre 1973

 

 

NOTIZIARIO DELL'UNIONE ITALIANA PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI DEL MINORE E PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

 

LABORATORI PROTETTI

 

Lettera inviata il 26-6-1973 all'Assessore all'as­sistenza della Provincia di Torino, alla Sezione di Torino dell'A.N.F.Fa.S e ai Sindacati Provinciali CGIL, CISL, UIL

 

Come una delegazione di questa Unione ha avuto modo di illustrarLe a voce il 24 maggio, Le confermiamo il nostro punto di vista sul proble­ma dei laboratori protetti.

Il laboratorio protetto è una struttura che oggi si deve subire a causa dell'impossibilità assoluta di inserire gli handicappati gravi nel lavoro nor­male.

Mentre per gli handicappati medio-lievi occor­re premere per il loro inserimento nel lavoro nor­male anche mediante il collocamento obbligato­rio, riteniamo che devono poter accedere al la­boratorio protetto solo gli handicappati gravi per i quali, anche a medio termine, non è prevedibile l'inserimento nel lavoro normale.

Al riguardo vi è da rilevare che uno dei para­metri per l'accesso al lavoro normale è quello del rendimento normale. Poiché detto rendimento «normale» viene stabilito dall'industria, e non certo in base a criteri favorevoli agli handicappa­ti, vi è il grosso rischio che tale parametro venga continuamente innalzato (come già attualmente si fa) allo scopo di risolvere, con l'esclusione delle persone meno efficienti, il problema della piena occupazione.

Altri esempi dimostrano come strutture create per un preciso scopo, come è avvenuto per gli ospedali psichiatrici, abbiano poi in concreto ac­colto anche persone che, come nel caso in esa­me, la legge stessa impediva venissero ricove­rate: almeno un terzo infatti dei ricoverati negli ospedali psichiatrici non è mai stato malato men­tale e sarebbe immediatamente dimissibile se vi fossero idonee strutture esterne.

Occorre pertanto fare in modo che la stessa cosa non avvenga per i laboratori protetti: occor­re cioè evitare che vengano formalmente istituiti solo per handicappati gravi per i quali anche a medio termine non è prevedibile il loro inseri­mento nel lavoro normale, e poi accolgano anche handicappati lievi o addirittura persone normali (vedasi al riguardo anche l'esperienza delle scuo­le o classi speciali).

Ciò premesso e stante la necessità di creare delle strutture per gli handicappati gravi, questa Unione propone che i laboratori protetti siano di ridotte capacità (al massimo di 20 posti) o siano previsti come servizi di zona (future U.L.S.) o di interzona, di modo che da un lato accolgano solo gli handicappati del territorio (con opportuni adattamenti nel breve periodo) e d'altro lato usu­fruiscano dell'intervento dell'équipe di quartiere e siano facilmente controllati dalle forze sociali del territorio.

Questa Unione ribadisce inoltre la necessità che venga modificata l'attuale impostazione dei laboratori protetti. Essi infatti oggi imitano le fabbriche normali, a volte anche in modo carica­turale, con lavori che rischiano di rendere sempre più passivi gli handicappati specialmente median­te lavorazioni ripetute, orari rigidi, ecc.

In sostanza riteniamo che occorra passare con urgenza, sia pur con la necessaria gradualità, dal suddetto concetto di laboratorio protetto al con­cetto di centro occupazionale con l'inserimento all'interno del centro, e soprattutto all'esterno, di tutte quelle attività formative, comprese se del caso anche quelle lavorative, che possono stimo­lare gli handicappati e anche i non handicappati.

Per quanto concerne infine l'obiezione che non sono reperibili locali per dette attività, si unisce copia de «La Stampa» del 20, 21, 22 e 23 giu­gno in cui nella rubrica «offerte locali» vi sono ben 27 annunci relativi a locali liberi di cui alcuni potrebbero essere idonei allo scopo.

La disponibilità di locali dimostra che è possi­bile, purché la Provincia lo voglia, istituire in bre­vissimo tempo i centri occupazionali (o laborato­ri protetti) come servizi di zona o interzona.

 

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