Prospettive assistenziali, n. 23, luglio-settembre 1973

 

 

LIBRI

 

GRUPPO TEATRO QUARTIERE DI OREGINA, E tu che ne fai di tuo fratello?, Ed. Lanterna, Geno­va, 1973, pagg. 130, L. 1500

A. MAGIONCALDA, Punti 2: niente casa, disegni di C. Turbino, Ed. Crovetto, Genova, 1972

 

Alla volontà di procedere «controcorrente» dobbiamo i due libri segnalati: il primo alla ri­cerca di un teatro «democratico» in cui l'impe­gno, sofferto e autentico, va al di là dell'attività creatrice; il secondo libro «a programma», do­ve per incentrare l'attenzione su un grosso pro­blema, quello della vita dell'anziano e quindi dell'abitazione, ci si avvale del disegno, che già ha trovato in molti artisti impegnati il linguaggio più adatto a parlare di un mondo continuamente at­tualizzato e vissuto.

Il gruppo teatro quartiere di Oregina di Genova ha cercato, presentando il libro: «E tu che ne fai di tuo fratello?», di precisare il proprio interes­samento al mondo degli handicappati inteso non come «manifestazione di assistenza o di com­passione cristiana», ma come relazione con es­so, stando dalla sua parte, dalla parte «di Abele», cioè degli handicappati.

«L'handicappato testimonia l'invalidità, la lacu­na, la malattia, il male; tutti aspetti che apparten­gono ad ognuno di noi, solo che queste “parti cattive”, che comunque ci appartengono (come individuo e società), ci angoscia ammetterle, per­ciò ci estraniamo da esse e le proiettiamo sugli altri con operazioni emarginanti» (dalla lettera di uno psicologo al gruppo).

«L'operazione sana consiste invece nel riap­propriarci di questi limiti che comunque ci appar­tengono, responsabilizzarcene, farne un problema comune da affrontare tutti insieme senza esclu­sioni, che è l'unico modo di uscire dall'alienazione (...) perché solo così facendo torna in nostro possesso un capitale di sensazioni, di emozioni, di esperienze che era nostro ma che è stato alie­nato» (pag. 84). Perché questo interessamento agli emarginati sia condiviso e capito da tutti, il gruppo di Oregina ha riscoperto il metodo della rappresentazione corale, realizzando attraverso questo strumento di diffusione un «obiettivo» di impegno militante ed una «nuova relazione con il prossimo». Noi non esamineremo qui l'oppor­tunità di usare un certo linguaggio più adatto ad una discussione che a battute teatrali, in quanto che, quello che ci interessa, è la novità di una rappresentazione spontanea che parli alla gente, così da liberarla da modi di pensare consueti si­no a rovesciare certi valori ed atteggiamenti ed inserirla nelle latte come è appunta questa a fa­vore degli emarginati.

Teatro inteso non come competizione divisti­ca, ma come strumento di dialogo, di ricerca col­lettiva, di riflessione e partecipazione; teatro aperto, dalla parte dell'uomo, di controinforma­ziane, di cultura alternativa, perché «soltanto guardando in faccia quello che ogni giorno calpe­sti per costruire il tuo grattacielo, troverai la tua liberazione e non sarai più solo».

In questa ricerca di qualcosa di diverso, di an­tiretorico, gli autori attraverso vari personaggi ed un coro si rivolgono al pubblico enunciando le varie forme di emarginazione presenti nella no­stra società: - alberghi che respingono distrofi­ci e paraplegici; - bambini meridionali emargina­ti nelle classi differenziali, perché parlano in dia­letto e si vedono ridicolizzati per la loro cultura; - immigrati ammassati in quartieri periferici tri­sti e poveri; - minori handicappati respinti dalle scuole e vaganti alla ricerca di servizi inesistenti; - privati che con i pochi e cattivi servizi che of­frono speculano sul personale e sugli utenti; - scuola basata sulla meritocrazia e selezione: - équipes medico-psico-pedagogiche malate di «misuromania» e test per selezionare ed inviare minori in istituti o scuole speciali; - minori di­visi in legittimi ed illegittimi, normali e non nor­mali, le cui adozioni non vengono favorite a cau­sa di situazioni ed istituzioni di comodo e di egoi­smo che vanno contro «l'uomo ed a favore di molti tornaconti»; istituti di rieducazione dove impera la violenza. Traumatizzante l'accostamen­to tra lager nazista e manicomio per l'annulla­mento dell'uomo, costretto a vivere in un ambien­te malvagio dove, per mancanza di rapporti uma­ni, il dialogo, di speranza e di amore, egli perde la sua capacità e personalità umana. Sino alla conclusione che tutti noi, «malati e sani, se re­stiamo chiusi in noi stessi, nella nostra solitudine, intolleranti del diverso» potremmo ritrovarci poi complici «delle prigioni e dei cantieri che odora­no di morte».

Così la domanda di Caino: «Sono forse io cu­stode di mio fratello?» non può avere che una risposta: ogni uomo è in custodia degli altri, ogni uomo è custode degli altri.

Il libro di Magioncalda affronta invece con sa­gacia ed ironia una situazione seria, dando modo anche ad un lettore pigro di interessarsi, senza annoiarsi, a due grossi problemi: l'emarginazione degli anziani e la mancanza della casa, in una so­cietà che ha preferito creare le grosse autostra­de a misura di macchina, piuttosto che le case a misura d'uomo.

È la storia di Peo e Pea, due coniugi anziani in cerca di casa per «sfuggire all'ospizio» (unica soluzione offerta a chi non è più attivo), raccon­tata anche attraverso il disegno. Sono immagini semplici e umoristiche che parlano di problemi spiccioli e di elementari esigenze che vengono frustrate dalla mancanza di «punteggio», ma che celano la violenza messa in atto verso chi non può difendersi. L'abbandono, la massificazione, la solitudine, la mancanza di cure riabilitative creano il quadro debilitante della vecchiaia più dell'età stessa. Evocando immagini e fatti quoti­diani del dramma di questi due anziani coniugi, si cerca di richiamare il lettore a nuovi valori: pluralità e varietà nei rapporti umani, diversità (anche per l'età) che significhi ricchezza di emo­zioni, di esperienze, di sentimenti.

I disegni vengono poi ripresi dal testo che richiama l'autorità alla realizzazione di nuove forme di assistenza ed ai suoi impegni (legge n. 865) e guida il lettore, attraverso ad autori co­me la Mead e la De Beauvoir che hanno trattato scientificamente questo problema, al ripensamen­to che gli anziani come gli altri emarginati «fan­no parte di noi».

 

 

AA.VV., Les modes de garde des enfants de 0 à 3 ans, Ed. E.S.F., Paris 1972, pag. 117.

 

Il compito che si sono prefissi gli autori di que­sto «cahier de recommandations» (pediatri, psi­chiatri e psicologi infantili) è di farsi «avvoca­ti» di una nuova politica di assistenza nella pri­ma infanzia, «una assistenza ai bambini che su­bordinata ai loro bisogni effettivi ed immediati abbia un carattere essenzialmente preventivo, permettendo così di evitare i costi umani e so­ciali che a lungo andare porta con sé il disadat­tamento mentale e sociale». Per fornire dei mo­delli validi per una società in trasformazione che volendo accrescere il suo potenziale evolutivo, si preoccupi di offrire ai bambini condizioni ade­guate sin dalla più tenera età, un gruppo di esperti, diretti dal Dottor Soulè (1) si è riunito regolarmente dal settembre 1971 all'aprile 1972, mettendo in comune le proprie esperienze e par­tendo dalle premesse che: «è in questo primo periodo, la nascita, i primi mesi, i primi anni, che si stabiliscono le basi dell'equilibrio mentale e della personalità dell'adulto». Considerato quin­di che l'allevamento del bimbo nella sua famiglia, da parte della madre naturale o adottiva è la co­sa migliore e più naturale, e costituisce quindi un vantaggio, nella prospettiva d'igiene mentale del bimbo, gli esperti passano ad uno studio che ten­ta di determinare a che prezzo questa assistenza, sino al termine del periodo interessato, possa divenire soddisfacente per la madre e la fami­glia; congedi di maternità, modelli d'aiuto transi­torio e parziale, lavoratrici familiari, aiuti mate­riali e psicologici alla madre sono le prime misu­re da valutare per facilitare il mantenimento del bimbo nella propria famiglia.

Un altro studio considera il collocamento del bimbo in altra famiglia; ciò può esser scelto dal­la famiglia liberamente o controllato dall'Opera Maternità ed Infanzia: sono quindi esaminati i problemi inerenti alla scelta e alla difficoltà di questa scelta in una grande città, dove non si possono raccogliere sufficienti informazioni e quindi i limiti di questo controllo e la ragione per cui molti ora sono contrari a questa soluzio­ne che può tenere il bimbo in una carenza sani­taria, educativa e affettiva. Ecco così aperto il discorso sui nidi e sugli asili. A che età il bimbo può entrarvi senza pregiudicare il suo sviluppo? Non nel periodo tra i cinque e quindici mesi che è sconsigliabile per il suo sviluppo. E quali nidi? Non grandi costruzioni dove si è constatata caren­za affettiva, ma piccoli nidi nel quartiere tenuti da educatrici; non nidi di fabbrica e soprattutto non nidi notturni che non possono portare al bim­bo una regolarità di assistenza che è fondamen­tale e necessaria (è bene quindi che «i sindaca­listi ottengano l'esonero delle madri dal turno notturno») .

Si analizza quindi con interesse l'esperienza pilota già in atto in alcuni paesi oltre che in Francia, di asili nido associati alle scuole mater­ne in un unico edificio, ciò che permette «una continuità geografica e umana e una certa elasti­cità nella progressività educativa in funzione del­la maturità del bambino». Asili e scuole mater­ne. Una prospettiva assai valida per i prossimi anni, poiché le recenti statistiche in Francia (ed anche in Italia) hanno visto un aumento del tas­so di scolarizzazione del 18% per la popolazione dei bambini dai due ai tre anni, tasso che dovreb­be aumentare ancora sia per la richiesta di lavo­ro delle madri, sia per la mancanza di spazio ne­gli alloggi, sia perché le attività e le distrazioni nella vita degli adulti restringono sempre di più la sfera d'azione dei bambini; si aggiunga anche, oggi, la richiesta dell'immigrato che richiede l'ammissione alla scuola di bambini in tenera età sia per superare difficoltà materiali sia per facili­tare ai figli l'acquisizione della lingua.

Ecco allora per evitare di creare per bambini di famiglie modeste la consegna ad altri, al di fuori delle ore scolastiche (mentre bambini for­tunati troverebbero nelle loro famiglie un am­biente accogliente) la necessità di un servizio a tempo pieno in ogni scuola materna.

Dall'esame di tutti questi tipi di collocamento del bambino dai 0 ai 3 anni si arriva a mettere a fuoco il problema centrale che è quello di opera­re con soluzioni di aiuto al fine «di riportare il problema a dimensioni umane e sociali» sia geo­graficamente: quartiere, sia tecnicamente: una «azione comune» a tutti i differenti tecnici im­plicati, operatori sociali, lavoratrici familiari, pediatri, psichiatri, ginecologi per evitare il rico­vero in ospedale se non per il tempo indispensa­bile, per evitare ogni deportazione inutile di bam­bini (Le ricerche sul maltrattamento dei bimbi in Francia dimostrano che più del 90% di bimbi picchiati erano stati precocemente allontanati dai loro genitori o istituzionalizzati, mentre i loro fratelli o sorelle non maltrattati, erano quelli ri­masti in famiglia).

La lettura di questi vari modelli, l'esame di cia­scuna di queste formule proposte da medici, psi­cologi e operatori sociali non propone delle no­vità, ma è una guida «flessibile» alla scelta del collocamento del bambino dai 0 ai 3 anni che mette soprattutto a fuoco l'importanza del «cli­ma di relazione che dovrebbe esistere tra la fa­miglia e l'ambiente dove il bimbo verrà ad esse­re accolto». Da qui una politica assistenziale che eviti differenti amministrazioni per l'infanzia (in Italia I.P.I., ONMI, Asili nido, scuole materne) che sono fonti permanenti di difficoltà e di rottu­ra, che mantengono ed aggravano per tutti quei bambini di cui i genitori, per difficoltà finanzia­rie o culturali, non possono soddisfare i bisogni, quei danni iniziali che già provengono da una si­tuazione sociale sfavorevole; una politica esi­stenziale che si organizzi in un servizio locale che veda rappresentati oltre agli operatori dell'assistenza all'infanzia, famiglie, sindacati e tut­ti quelli che possono sensibilizzare l'opinione pubblica a questo problema.

 

 

(1) Michel Soulé, Ex Médécin Chef du Centre d'Orientation du Service de l'Aide Sociale à l'Enfance de Paris, Méde­cin Chef de l'Equipe de Psychiatrie Infantile et d'Hygiène Mentale du Secteur du 14e Arr., Paris.

 

 

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