Prospettive assistenziali, n. 22, aprile-giugno 1973

 

 

ATTUALITÀ

 

ALLA POLIZIA FEMMINILE NUOVI COMPITI IN MERITO ALL'OBBLIGO SCOLASTICO? (1)

PIERO ROLLERO

 

 

Il Ministero della pubblica istruzione in data 19 febbraio 1973 inviava ai Provveditori agli stu­di la seguente circolare (n. 44, prot. n. 15678/109/SC) che ha per oggetto «Inosservanza dell'obbligo scolastico - Collaborazione delle au­torità scolastiche con la polizia femminile ope­rante nel settore»:

«È nota alle SS.VV. l'opera che da alcuni anni sta svolgendo il Ministero dell'Interno a mezzo della polizia femminile, per cercare di individua­re ed eliminare le cause della inosservanza dell'obbligo scolastico. Tale opera si concretizza in indagini capillari effettuate da personale specia­lizzato inviato in missione continuativa nelle zo­ne nelle quali più accentuato è il fenomeno e in interventi preventivi di carattere assistenziale e sanitario, nonché, in casi estremi, in provvedi­menti di denuncia all'Autorità Giudiziaria per l'applicazione delle vigenti disposizioni di legge in materia.

Tenuto conto dell'importanza sociale delle pre­dette attività e del particolare interesse che es­se rivestono per la scuola, si pregano le SS.VV. di invitare i Direttori Didattici ed i Presidi delle scuole medie ad agevolare le rappresentanti del­la polizia femminile nello svolgimento dei compi­ti loro affidati, fornendo alle stesse tempestiva­mente i dati aggiornati che vengano richiesti sui contingenti degli obbligati, degli iscritti e dei frequentanti ed ogni altro elemento utile per l'espletamento delle indagini, collaborando, inol­tre, attivamente nello studio e nell'effettuazione degli interventi ritenuti più opportuni».

Lo stupore (a dir poco) di fronte a questa cir­colare è aggravato dal fatto che essa si apre con una notizia finora ignota agli uomini di scuola. «È noto alle SS.VV. l'opera che da alcuni an­ni sta svolgendo il Ministero dell'interno...» . Quindi da una parte è bene che «dopo alcuni anni» si conosca, sia pure vagamente, questa azione della polizia femminile, d'altra parte stu­pisce che il Ministero della pubblica istruzione ne accetti ufficialmente l'impostazione, senza in­dicare come tale azione (e le relative norme non note) si concilino con le disposizioni vigen­ti per i dirigenti scolastici.

Noi vorremmo pensare che la situazione ipo­tizzabile sia la seguente: che la polizia femmini­le, nell'esplicazione dei suoi compiti istituziona­li verso i minori, venga a conoscenza anche di casi di inadempimento dell'obbligo scolastico, e che si premuri di avvertirne l'autorità scolastica competente per territorio, la quale a sua volta, con altri eventuali elementi già in suo possesso, deve mettere in atto tutti quei procedimenti pre­visti dalle disposizioni vigenti.

La conoscenza di un reato (ma fino a quando per la coscienza moderna sarà ancora reato l'ina­dempienza dell'obbligo scolastico?) (2) da par­te di un pubblico ufficiale, in questo caso un membro della polizia femminile, lo obbliga ad agire senza interpellare le autorità scolastiche e comunali che per legge sono preposte a tale funzione e che possono avere elementi di cono­scenza più ampi al riguardo? Quali non note di­sposizioni del Ministero dell'interno possono aver invertito questa prassi? per cui non la poli­zia femminile, se del caso, «collabora» con le autorità scolastiche e comunali, ma le autorità scolastiche sono invitate a collaborare con la polizia femminile?

 

Evoluzione delle norme sull'obbligo scolastico

Un esame sia pure sommario delle norme ema­nate in materia ci conferma che nulla è mutato circa le precise competenze dei dirigenti scola­stici (e delle autorità comunali) e le precise procedure ad essi richieste. Tali norme, nel lo­ro complesso, non risultano decadute, ma suc­cessivamente confermate e perfezionate dal Mi­nistero della P.I., fra le principali:

- Testo Unico 5 febbraio 1928, art. 182-184; e art. 731 del Cod. Pen.;

- Circolare ministeriale 16 gennaio 1954, n. 337/7;

- Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, istitutiva della scuola media unica;

- Circolare ministeriale 13 novembre 1967, n. 400.

Nel loro complesso, se mai, si può osservare che le competenze e le procedure subiscono una trasformazione in senso sempre meno repressi­vo e più democratico, mentre si accompagnano sempre più a indicazioni operative per facilitare l'adempimento dell'obbligo.

La circolare ministeriale 16 gennaio 1954 ri­chiama le precise competenze delle autorità scolastiche e comunali, e stabilisce delle proce­dure che fanno larga parte alla «prevenzione», come un'ampia opera di persuasione, di sensibi­lizzazione e di persuasione sulla popolazione (anche se in senso piuttosto moralistico e indi­vidualistico, come quando si additano «esempi di maestri che, con profondo senso di responsa­bilità e con vivo amore alla propria missione in­tesa nel più ampio significato, hanno svolto nel loro piccolo centro un'azione personale effica­cissima, che ha portato all'adempimento, per il cento per cento, dell'obbligo scolastico»). Inol­tre, prima della denuncia, impone alle autorità scolastiche e comunali il dovere di rivolgere «avvertimenti» alle persone responsabili, con opportune esortazioni ad adempiere all'obbligo scolastico. La denuncia è poi riservata, in pra­tica, all'ispettore, e in merito ad essa si richia­mano i casi di «giusto motivo» che non possono dare luogo alla denuncia.

Ma il passo più decisivo si compie con la leg­ge istitutiva della scuola media unica, legge che all'articolo 8 prevede l'inadempimento scolasti­co e le relative procedure, ma subito dopo all'ar­ticolo 9 prevede «facilitazioni all'adempimento scolastico»: «Per agevolare la frequenza alla scuola media degli alunni appartenenti a famiglie di disagiate condizioni economiche i Patronati scolastici sono autorizzati a concedere contribu­ti, a distribuire gratuitamente libri di testo, ma­teriale didattico, refezioni e altre forniture ne­cessarie e ad organizzare servizi di trasporto gratuita di alunni, (...)». Intanto la legge 24 lu­glio 1962 prevedeva l'elevazione dei contributi dello Stato (sempre più aumentati di anno in anno) per l'assistenza agli alunni bisognosi fre­quentanti le scuole elementari e per il comple­tamento dell'obbligo, con particolare riguardo a quelli appartenenti a famiglie numerose. La stes­sa legge autorizzava i Comuni a intervenire con loro contributi al fine di facilitare l'attuazione del piano di trasporti.

La più recente circolare del 13 novembre 1967, emanata congiuntamente dalla Direzione Gene­rale dell'Istruzione Secondaria di I Grado e dalla Direzione Generale dell'Istruzione Elementare, impartisce ai presidi e ai direttori didattici dispo­sizioni che fanno largo spazio a ispirazioni di na­tura «preventiva» e «causale» del fenomeno dell'inadempimento dell'obbligo scolastico. Per esempio, si accenna alla «opera di persuasio­ne», a notizie «sulla presumibile causa della mancata iscrizione» alla scuola media; e pre­scrive che «i presidi convocheranno i responsa­bili dell'obbligo scolastico degli alunni risultati non iscritti per accertare i motivi della mancata iscrizione e svolgeranno opera di persuasione nei confronti di coloro che risultassero inadem­pienti senza giustificato motivo; procureranno altresì di assumere o promuovere quelle forme di assistenza scolastica idonea a rimuovere al­cune delle cause di evasione, avvalendosi degli enti competenti (Casse scolastiche, Patronati scolastici, ecc.)». Viene poi riservata al Provve­ditore agli Studi l'iniziativa di altri provvedimen­ti assistenziali e di eventuali denunce.

Questa duplice evoluzione, in senso meno re­pressivo e di interventi assistenziali «causali» e «preventivi», è ormai acquisita in modo de­finitivo alla scuola e non può subire inversioni di rotta: « I migliori risultati per il rispetto dell'obbligo, come ha più volte rilevato lo stesso Ministero della P.I., si possono ottenere soltanto attraverso una capillare azione di persuasione e di promozione sociale, nonché una efficace assi­stenza. Questo principio riteniamo debba esser saldamente radicato nelle coscienze dei dirigen­ti come dei docenti. In difetto di tale convinzio­ne la loro azione assumerebbe l'aspetto di una inutile fatica o, peggio, di una sterile attesa» (E. RENDA, La scuola elementare, Ordinamento, strutture, stato giuridico del personale, ed. a cu­ra di C. Ranucci e L. Molinari, Roma, Armando, 1971, p. 203).

D'altra parte tale evoluzione si fonda sulle conclusioni di due documenti ufficiali che hanno avuto una larga influenza sul progresso della scuola in questi ultimi anni: la Relazione sullo stato e sullo sviluppo della pubblica istruzione in Italia (1963) e le Linee direttive del piano di sviluppo della scuola (1964). In essi, come sem­pre più chiaramente in altri documenti ufficiali più recenti, si prende coscienza dei motivi dell'inadempimento dell'obbligo scolastico, ravvisa­ti anche nel grave stato di bisogno di alcuni stra­ti della popolazione, e si suggeriscono i mezzi idonei per eliminare tali fenomeni.

 

L'ideologia degli interventi poliziesco-assistenziali

Ma vi è un aspetto più grave che si nasconde dietro questa circolare, al di là delle intenzioni degli stessi compilatori. Qualcuno potrebbe sbri­garsela chiamandola politica della repressione, ma sarebbe superficiale e ingiusto, anche per­ché riverserebbe sugli esecutori materiali le in­tenzioni che risalgono invece agli ispiratori, an­che lontani nel tempo, di una tale prassi, e non svelerebbe la «ideologia» che presiede a que­sti e ad altri simili provvedimenti di polizia.

Tale «ideologia» sembra amaramente espri­mersi, ad esempio, in questa affermazione fatta dal Ministero degli interni nella relazione del bi­lancio di previsione dello Stato del 1969: «L'as­sistenza pubblica ai bisognosi (...) racchiude in sé un rilevante interesse generale, in quanto i servizi e le attività assistenziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».

Di fatto, per compiti istituzionali, che devono ritenersi ormai superati, un unico ministero, quel­lo dell'interno, assomma praticamente le due funzioni di polizia e di assistenza sociale (man­tenimento dell'ordine con modalità più repressi­ve e conservazione dell'emarginazione con me­todi «assistenziali»). Questa duplice funzione è tenacemente conservata dal Ministero dell'inter­no, contro le tendenze più moderne della assi­stenza sociale che propongono la via delle auto­nomie locali (in questo appoggiandosi anche all'art. 117 della Costituzione) e della distinzione fra mantenimento dell'ordine e promozione uma­na e sociale. È ben nota l'azione condotta dal Mi­nistero dell'interno durante l'emanazione dei de­creti delegati sull'assistenza alle Regioni, decre­ti che risultano molto restrittivi; come pure è no­to che si è trovato l'appoggio di parlamentari che nella scorsa legislatura hanno presentato un pro­getto di legge in cui si proponeva una riforma dell'assistenza e si chiedeva la trasformazione del Ministero dell'interno in Ministero dell'inter­no e dell'assistenza sociale.

Questo problema ideologico evidentemente non è solo italiano, ma è comune a molte società moderne. Un'interpretazione ampia, acuta e co­struttiva del problema, com'è nel suo stile di la­voro, si trova nella rivista Esprit (aprile-maggio 1972) che dedica un nutrito numero unico al te­ma «Pourquoi le travail social?». Soprattutto molto illuminante è la «tavola rotonda» diretta da J.M. Domenach, nella quale diversi esperti si interrogano, fra l'altro, sul problema «Lavoro sociale e controllo poliziesco». (Confronta Pro­spettive assistenziali, n. 20, pag. 14 e segg.).

In chiave d'interpretazione storica, economica e sociale, si sottolinea che, senza postulare «un soggetto trascendentale che manipolerebbe que­sta società in questo modo (...) tutto il sistema dell'assistenza che aveva una relativa autonomia, è adesso sistematicamente collegato al giudizia­rio e al poliziesco». In concreto, gli stessi ope­ratori sociali (assistenti sociali, educatori e, in parte, gli insegnanti) svolgono un lavoro sociale che si inscrive all'interno di una più ampia fun­zione, la quale «da secoli ha continuato a pren­dere dimensioni nuove, ed è la funzione sorveglianza-correzione. Sorvegliare gli individui, e correggerli, nei due significati del termine, ossia punirli o pedagogizzarli».

Il problema cruciale è proprio quello, nella so­cietà moderna, di rendere autonomo il più possi­bile il «lavoro sociale», e portare a livello di istituzione quello che è ora un laborioso tenta­tivo degli individui più avvertiti; anche se que­sta «autonomia» sarà sempre relativa, come confermano gli esperti di Esprit.

 

Per un'efficace azione sociale

Rileggendo ora nella circolare ministeriale espressioni come le seguenti: «individuare ed eliminare le cause della inosservanza dell'obbli­go scolastico, (...) indagini capillari effettuate da personale specializzato, (...) interventi pre­ventivi di carattere assistenziale e sanitario, (...) importanza sociale delle predette attività, (..) studio ed effettuazione degli interventi ritenuti più opportuni»: risulta ora più chiara la grave confusione fra attività di polizia ed azione so­ciale.

Non è il caso di diffondersi sulle radici sociali lontane e recenti dell'inadempimento scolastico. Chiunque vive nella scuola, ne soffre ogni gior­no, e nonostante i tentativi più generosi, deve spesso dichiararsi sconfitto di fronte a problemi così gravi che al di là del caso singolo chiamano in causa il sistema sociale, economico e politico. Proprio per la vastità del problema e per la delicatezza delle situazioni umane, delle vite umane che vi sono coinvolte, non crediamo nell'efficacia della repressione né nell'azione equi­voca «repressione-assistenza», come è adom­brata nella circolare ministeriale. Fra l'altro, non vorremmo che, con la collaborazione della scuo­la, alla ricerca degli alunni inadempienti si as­sociasse la ricerca di genitori sospetti o ricer­cati dalla polizia, come sembra sia avvenuto in alcuni casi.

In tutt'altra direzione, ci aspettiamo nuove norme e nuovi strumenti in materia. Nella circo­lare ministeriale del 23 settembre 1955, n. 5104/75 già si leggeva: «È noto che le norme in vigo­re, relative all'osservanza dell'obbligo scolasti­co, non rispondono adeguatamente al fine cui tendono. Il Ministero non mancherà pertanto di promuovere l'emanazione di nuove norme in ma­teria, come curerà di fornire i mezzi necessari perché sia eliminato entro il più breve tempo possibile il doloroso e antisociale fenomeno dell'evasione dall'obbligo scolastico».

Da allora qualcosa si è fatto, soprattutto in coincidenza con l'istituzione della scuola media unica, come si è visto. Ma permangono l'incer­tezza e l'incompletezza delle norme e dei mezzi, a testimoniare la cattiva coscienza di uno Stato che da una parte commina pene e dall'altra non vorrebbe che si applicassero, mette a disposi­zione insufficienti mezzi di assistenza e scarica di fatto sui dirigenti scolastici compiti superiori alle loro effettive possibilità, senza compiere quell'esame completo e generale delle reali re­sponsabilità, e investire del problema il più am­pio sviluppo sociale, economico e politico del paese.

Almeno un mezzo dovrebbe essere messo al più presto a disposizione: un servizio di assi­stenti sociali che collaborino efficacemente con la scuola. Prendendo lo spunto dalle competenze (sia pure ridotte) che le norme assegnano an­cora ai Comuni in materia di obbligo scolastico, proponiamo che si estendano tali norme in modo che i servizi sociali si inquadrino nei più ampi servizi di «medicina scolastica», affidati appun­to ai Comuni come compito istituzionale.

Questi servizi dei Comuni singoli o di consor­zi fra Comuni sono infatti anche a carattere pre­ventivo e di terapia sociale: «(...) l'assistenza sociale volta a ridurre le carenze della famiglia e dell'ambiente in genere» (art. 34 del D.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518, Regolamento di medicina scolastica) .

Di fatto, dove hanno operato servizi di assi­stenti sociali, soprattutto in lavoro d'équipe con medici, psicologi e insegnanti, i risultati in ordi­ne all'obbligo scolastico, anche se non miraco­listici, sono stati gradualmente positivi, anche perché inseriti in modo organico nell'azione edu­cativa e rieducativa propria della scuola, e ope­ranti nel territorio a mezzo di persone che ben conoscono le cause sociali del fenomeno.

Quindi, sì, «indagini capillari», «interventi preventivi a carattere assistenziale e sanitario», per «individuare ed eliminare le cause dell'ina­dempienza dell'obbligo scolastico», - ma ad opera di personale veramente specializzato, che già opera sul territorio, e in organico collega­mento con la scuola nel perseguimento di fini comuni socio-educativi.

 

 

(1) Da Scuola Italiana Moderna, 1973, n. 17, per gentile concessione della Direzione della Rivista.

(2) Si può segnalare che tre degli Stati dell'Unione americana, in omaggio a un concetto negativo della libertà, hanno addirittura abrogato le leggi sull'obbligo scolastico che avevano a suo tempo formulato, riconoscendone l'ovvietà.

 

www.fondazionepromozionesociale.it