Prospettive assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973

 

 

DOCUMENTI

 

SENTENZE DI RINVIO A GIUDIZIO DI DIRIGENTI DI ASSOCIAZIONI DI INVALIDI

 

 

Nell'editoriale del n. 11/12, luglio-dicembre 1970, avevamo riportato le conclusioni della commissione formata dai rappresentanti delle più im­portanti associazioni di invalidi, conclusioni che costituivano un tentativo per la definitiva esclusione sociale degli invalidi.

Nell'articolo di G. Selleri «Ruolo delle associazioni di categoria» (1) veniva evidenziato che «all'origine di questi movimenti vi è una condizio­ne di bisogno e di abbandono di cittadini minorati (...) e poiché molti di questi sodalizi ottengono un successo politico o economico (che pochi traducono in servizi e molti invece strumentalizzano), si verifica una vera e propria gara per accaparrarsi “la tutela” di qualche gruppo ancora senza sigla. Compaiono quindi i professionisti dell'assistenza, l'assistenza di­venta un affare economico ed elettoralistico».

Le affermazioni sopra riferite trovano una puntuale conferma nelle due sentenze di rinvio a giudizio che pubblichiamo. Anche se, com'è evi­dente, l'accertamento delle responsabilità compete alla magistratura. non possiamo non sottolineare la gravità delle accuse, il danno rilevante in­flitto agli invalidi, il ritardo con il quale il processo è stato iniziato e il pe­ricolo della sua prescrizione.

Sembra però che le gravi accuse contenute nelle sentenze costitui­scano un titolo di merito per l'On. Di Giannantonio (D.C.) che il 30 maggio 1972 ha presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge 170 concernente «Provvidenze a favore dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili», che prevede l'erogazione di un contributo annuo di 700 milioni all'A.N.M.I.C. poiché l'ente, come si legge nella relazione, «non ha mancato per il passato di esplicare le sue funzioni a favore della cate­goria»!

Da notare infine che il Sig. Quaranta, rinviato a giudizio è, a seguito di nomina ministeriale, l'attuale presidente dell'Ente pubblico A.N.M.I.C., in sostituzione del Sig. Lambrilli sospeso dalle sue funzioni dal giudice istruttore di Roma.

 

 

I

SENTENZA DI RINVIO A GIUDIZIO DELLA SEZIO­NE ISTRUTTORIA

DEL TRIBUNALE DI ROMA

 

Il 22-4-1969 in Roma - sez. 6a istruttoria il Giudi­ce Istruttore dr. Antonio Stipo ha pronunciato la

seguente sentenza nel procedimento penale contro:

- Lambrilli Alvido fu Amedeo e di Guidi Ar­gia n. in Magliano (GR) il 28-9-920, domiciliato in Roma V.le G. Cesare presso l'avv. Domenico Marafioti.

- Paramucchi Roberto di Paramucchi Pia, n. il 9-12-925 a Ferrara ivi residente V. Algeria n. 15.

- Riccoboni Antonio di Alfredo e di Burchi Nella n. a Venezia il 28-3-922 res. a Treviso V. Cattaneo 16.

- Masina Cesare fu Carlo e Guidi Elvira n. a S. Giorgio di Piano (BO) il 15-5-909, res. a Bologna V. Raimondi 37.

- Quaranta Franco di Nicola e fu Milazzo Renata n. a Taranto il 15-7-929, domiciliato in Roma V.le G. Cesare 61 presso l'avv. Domenico Mara­fioti.

- Rega Nicola di Raffaele e di Tortorella Filo­mena, n. a Bari il 29-10-924 domiciliato in Roma V. Dardanelli 13 presso l'avv. Giuseppe Zagarese.

- Bariletti Raimondo fu Anselmo e fu Assun­ta Cavalaglio, n. a Perugia il 26-8-905 domicilia­to in Roma V. della Conciliazione 44 presso l'avv. Giuliano Vassalli.

- Toscani Rosario fu Giorgio e fu Acciardi Adele n. a Oriolo Calabro il 2.6-12-902, domicilia­to in Roma V. Ciro Menotti 5 presso l'avv. Giu­seppe Sabatini.

E nei confronti della P.C. Russo Sebastiano, presidente della ONMIC, assistito dall'Avv. Vittorio Marotti.

Imputati

Lambrilli, Paramucchi, Riccoboni, Masina, Qua­ranta e Rega:

A) - del delitto di cui agli artt. 81 cpv. 110­-112 n. 1, 640-61 n. 9 C.P. perché, in concorso tra loro e con numerose persone non identificate (dipendenti della LANMIC e responsabili delle sedi provinciali della stessa), quale presidente della LANMIC il primo, membri del comitato di­rettivo gli altri e in ogni caso in numero superio­re a cinque, con artifizi e raggiri consistiti nel far prendere sede in tutta Italia alla ANMIC nei locali della LANMIC, con volantini pubblicitari, circolari, giornali e verbalmente, inducevano in errore gli invalidi civili facendo loro ritenere, contrariamente al vero, che la LANMIC e non la ANMIC, era l'ente di diritto pubblico, che solo iscrivendosi alla prima potevano godere di faci­litazioni e riconoscimento di diritti derivanti dal loro stato (pensione, collocamento a lavoro ed altro), dirottando così alla LANMIC coloro che l'iscrizione alla ANMIC o ad altre associazioni di categoria richiedevano procurandosi ingiusto profitto in danno degli invalidi, ognuno dei quali versava per l'iscrizione somma annua di L. 1.500 prima e 2.000 poi, essendo stati dalle assicura­zioni non rispondenti al vero indotti gli invalidi in errore, non godendo inoltre gli stessi, perché non spettanti, di quei diritti e agevolazioni che venivano loro fatti ritenere dovuti in caso di iscrizione alla LANMIC e dei quali in ogni caso avrebbero goduto anche se non iscritti ad asso­ciazione alcuna, commettendo il fatto con viola­zione di doveri derivanti dalla qualità di presi­dente il primo e membri del comitato direttivo gli altri, della ANMIC (ente di diritto pubblico) ed in numerose e non determinate occasioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, calcolandosi, secondo le loro stesse dichiarazio­ni, in almeno 700.000 gli aderenti alla LANMIC. In varie località e Roma fino all'aprile 1967.

Lambrilli, inoltre:

B) -del delitto di cui all'art. 324 C.P. per­ché, nella sua qualità di presidente dell'ente di diritto pubblico ANNIM1C (Associazione Naziona­le Mutilati Invalidi Civili), prendeva interesse privato in atti dell'ente, stabilendo la sede dello stesso in Roma Corso Rinascimento 81, in locali della LANMIC (Libera Associazione Nazionale Mutilati Invalidi Civili), della quale era ugual­mente presidente e che alla prima in nessun modo era interessata, stipulando con lo stesso e nella sua duplice qualità contratto di locazione contro corrispettivo di L. 125.000 mensili, da ver­sarsi dalla ANMIC alla LANMIC, mentre per la conduzione degli stessi locali di proprietà del Comune di Roma la LANMIC versava a quest'ul­timo corrispettivo mensile di L. 6.837.

In Roma, in data imprecisata dell'aprile-mag­gio 1965.

C) - del delitto di cui all'art. 319 pp. C.P. perché, abusando della sua qualità di presiden­te dell'ente di diritto pubblico ANMIC stipulava con le associazioni tra gli industriali della In­tersind e Confindustria un accordo in base al quale contro promessa di versamento della som­ma di lire 550 milioni, si impegnava a fare in mo­do che da parte delle associazioni tra invalidi si aderisse ad interpretazione più favorevole ai datori di lavoro della legge sul collocamento ob­bligatorio al lavoro degli invalidi civili e, sostan­zialmente perché il termine posto per la entrata in vigore di detta legge, venisse prorogato di ulteriori tre anni, impegnandosi allo scopo a non fare pressioni sugli uffici competenti per la co­pertura nelle aziende della percentuale obbliga­toria di invalidi prima del decorso di tale termi­ne; quale presidente della LANMIC apparente­mente stipulando l'accordo giustificandosi la promessa di denaro con la necessità di finanzia­mento di corsi di qualificazione professionale de­gli invalidi, mai peraltro effettivamente istituiti. In Roma il 23-2-66.

D) - del delitto di cui all'art. 328 C.P. per­ché nella sua qualità di presidente della ANMIC (ente di diritto pubblico) rifiutava che venissero inserite nel verbale assembleare del comitato centrale dell'Ente dichiarazioni di membri del co­mitato stesso.

In Roma, il 29-3-1967

Lambrilli e Rega:

E) - del delitto di cui agli artt. 81 cpv. 498 C.P. per essersi in più occasioni e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, arrogati abu­sivamente i titoli di professore e dottore.

In varie località e Roma fino all'aprile 1967

Bariletti e Toscani:

F) - del delitto di cui agli artt. 110, 319, 321 C.P. perché quali rappresentanti della Inter­sind e della Confindustria che con il Lambrilli stipularono l'accordo di cui al capo C) in questo reato concorrevano.

In Roma, il 23-2-1966.

Per il Lambrilli con la recidiva reiterata nel quinquennio.

 

Fatto

 

Il 10 maggio 1966 l'invalido civile Lissoni Ce­sare presentava al Procuratore della Repubblica di Roma una denuncia, corredata da numerasi do­cumenti, contro i dirigenti della Libera Associa­zione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili - L.A.N.M.I.C. - e della Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili - A.N.M.I.C. - lamen­tando l'esistenza di reiterati abusi e irregolarità nella gestione dei suddetti Enti.

Riferiva il denunziante che con legge del 23 aprile 1965 n. 458 era stata attribuita personalità giuridica pubblica all'Unione Generale degli In­validi Civili - U.G.I.C. -, costituita in Roma con rogito del Dott. Inzerilli del 15 marzo 1965 n. 9022 di repertorio, la quale aveva assunto la de­nominazione di Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili - A.N.M.I.C. -.

Di questo Ente, che confederava le associazio­ni nazionali di categoria degli invalidi e mutila­ti civili, non entrava a far parte la Libera Asso­ciazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili - L.A.N.M.I.C. - per volontà dei dirigenti di que­st'ultima, i quali, peraltro, in precedenza si era­no adoperati per il riconoscimento della perso­nalità giuridica pubblica al loro sodalizio privato.

Delle quattro associazioni nazionali confede­rate nell'ente pubblico ve n'è una, la Libera As­sociazione Nazionale Invalidi Civili - L.A.N.I.C. - costituita con rogito del dott. Inzerilli del 15 marzo 1965 n. 9021 di repertorio (lo stesso gior­no cioè della creazione dell'U.G.I.C.), i cui diri­genti nazionali sono gli stessi della L.A.N.M.I.C. e le cui caratteristiche sono quelle di una asso­ciazione di comodo, difettando completamente di iscritti.

Presidente nazionale dell'A.N.M.I.C. (Ente di diritto pubblico), della L.A.N.M.I.C. (persona giu­ridica privata) e della L.A.N.I.C. (associazione privata) è Alvido Lambrilli, il quale, ottenuta in seno al comitato centrale direttivo dell'ente pub­blico la maggioranza assoluta, ha posto in essere una serie di azioni dirette a sabotare il funziona­mento dell'A.N.M.I.C. ad esclusivo vantaggio del­la L.A.N.M.I.C.

In concreto:

- il Lambrilli ed i suoi collaboratori, sulla base di equivoci generati dalla somiglianza delle sigle e dalla presenza nelle cariche direttive dell'A.N.M.I.C. e della L.A.N.M.I.C. degli stessi dirigenti, usurpano le funzioni pubbliche della prima a favore della seconda, facendo credere, con comunicati stampa, circolari, volantini ed al­tro, agli invalidi civili che la personalità giuridica pubblica è stata attribuita alla L.A.N.M.I.C. e che l'iscrizione a questa è necessaria per poter usu­fruire di determinati diritti (quali ad es. il collo­camento obbligatorio al lavoro, la assistenza me­dica e la pensione), concessi invece dal legisla­tore a tutti gli invalidi, indipendentemente dalla loro iscrizione alle associazioni di categoria

- i locali siti in Corso Rinascimento n. 81 dove ha sede l'Ente Pubblico - A.N.M.I.C. - so­no stati locati a questo dalla L.A.N.M.I.C. per un canone mensile di L. 125.000. Detti locali inve­ce erano stati concessi in uso gratuito alla L.A.N.M.I.C. dal Comune di Roma;

- presso l'Agenzia n. 8 del Banco di Roma esiste un conto corrente n. 501 intestato alla L.A.N.I.C. (con sede però in Corso Rinascimento n. 81 ove ha sede l'Ente pubblico) sul quale so­no stati accreditati L. 20.000.000 per «settore corsi»;

- infine su alcuni giornali, tra i quali «Tem­pi Nuovi» - periodico mensile della L.A.N.M.I.C. - il Lambrilli Alvido viene indicato come «pro­fessore» e Rega Nicola, membro della L.A.NM.I.C. come «dottore».

Né l'uno, né l'altro, hanno invece titoli acca­demici.

Il Procuratore della Repubblica disponeva im­mediatamente che il Nucleo di Polizia Giudizia­ria dei Carabinieri di Roma svolgesse indagini in merito ai fatti denunciati.

In data 17 dicembre 1966 i Carabinieri riferi­vano con rapporto giudiziario dal quale si ricava quanto segue in ordine alle singole associazioni il cui Presidente Nazionale è Lambrilli Alvido.

La L.A.N.M.I.C. è stata costituita nel 1966 da Lambrilli ed è l'Ente che conta il maggior nume­ro di iscritti e che nel corso della sua attività ha censito circa un milione di invalidi.

Alla L.A.N.M.I.C. con decreto del Presidente della Repubblica in data 2 giugno 1962 è stata at­tribuita la personalità giuridica privata.

Presidente dell'ente è: Lambrilli Alvido; Vice Presidenti: Paramucchi Renato, Riccoboni Anto­nio e Masina Cesare; Segretario: Quaranta Francesco; Vice Segretario: Rega Nicola.

La L.A.N.M.I.C. opera in posizione autonoma rispetto all'ente di diritto pubblico A.N.M.I.C. poiché, in un primo momento, l'ente che avrebbe dovuto godere di tale beneficio era proprio la L.A.N.M.I.C., giusto il disegno di legge n. 807 presentato alla Camera dei Deputati dall'Onore­vole Raffaele Leone negli ultimi mesi del 1964.

Senonché la proposta, approvata dalla Camera dei Deputati, trovò delle difficoltà al Senato, in seguito alle rimostranze delle altre associazioni private di invalidi civili (in particolare dell'Asso­ciazione Nazionale Invalidi per esiti di Poliomieli­te - A.N.I.E.P. - e dell'Opera Nazionale Muti­lati e Invalidi Civili - O.N.M.I.C.).

Per superare «l'impasse» legislativo, i Pre­sidenti Nazionali delle Associazioni di Invalidi Civili, dopo una serie di incontri, decisero di co­stituire un organismo confederale che avrebbe dovuto raggruppare le varie associazioni, per cui venne costituita, con rogito notarile del 15 marzo 1965, l'Unione Generale Invalidi Civili - U.G.I.C.

La L.A.N.M.I.C., però, non entrava a far parte della U.G.I.C. ma lo stesso giorno della costitu­zione dell'U.G.I.C. medesima, con rogito notarile del 15 marzo 1965, creava altra associazione, la L.A.N.I.C. (Libera Associazione Nazionale Inva­lidi Civili), che veniva ammessa nell'ente Con­federativo al posto della L.A.N.M.I.C.

I soci fondatori erano lo stesso Lambrilli Alvi­do, la di lui cognata e segretaria Clizia Natoli, Quaranta Francesco (segretario generale della L.A.N.M.I.C.) nonché una dipendente della L.A.N.M.I.C Anna Di Trocchio.

La sede della L.A.N.I.C. veniva indicata in Via Stamira 74, ove invece è la sede dell'ufficio tes­seramento della L.A.N.M.I.C., nonché la direzio­ne, redazione e amministrazione del periodico «Tempi Nuovi», edito dalla stessa L.A.N.M.I.C.

Il Senato in seguito, con legge 23 aprile 1965 n. 458, trasformava l'U.G.I.C. in ente di diritto pubblico, cambiandone però la denominazione da U.G.I.C. in A.N.M.I.C. (Associazione Nazionale Mutilati Invalidi Civili), composta dall'O.N.M.I.C., dall'A.N.I.E.P., dall'A.N.I.C. (Associazione Nazio­nale Invalidi Civili) ed infine dalla L.A.N.I.C.

In base all'art. 19 della Legge 23 aprile 1965 n. 458, la A.N.M.I.C. veniva retta, in via provvi­soria, dagli stessi organi della U.G.I.C., a suo tempo costituiti dai rappresentanti delle 4 asso­ciazioni confederate, e ciò in attesa della ema­nazione delle norme di attuazione della legge stessa.

Ottenevano, pertanto, la maggioranza, in seno all'ente di diritto pubblico, quasi tutti i dirigenti della L.A.N.M.I.C. nella veste giuridica però di esponenti della L.A.N.I.C.

Per cui Lambrilli Alvido diveniva Presidente Nazionale; Quaranta Francesco, Segretario Na­zionale; Rega Nicola (Presidente LANMIC di Ro­ma) componente; Paramucchi Roberto (Presiden­te LANMIC di Ferrara) membro; Riccoboni An­tonio (Presidente LANMIC di Treviso) membro; Ianni Enandro (Presidente LANMIC dell'Aquila) membro.

La minoranza di detto ente era costituita dai rappresentanti di altre associazioni confederate e cioè Setaro Clemente e Conticini Silvano dell'A.N.I.E.P., Maggi Dante dell'A.N.I.C.I. e Russo Sebastiano dell'O.N.M.I.C.

Nel corso delle indagini, espletate in sede di polizia giudiziaria, venivano sentiti i membri di minoranza del Comitato direttivo centrale della A.N.M.I.C.: Conticini Silvano, Setaro Clemente e Russo Sebastiano nonché il prof. Casimiro Ols­zewscki (Presidente Nazionale dell'A.N.I.E.P.), i quali confermavano i fatti rappresentati nella de­nuncia del Lissoni Cesare e riferivano inoltre che l'accredito di 20 milioni sul conto n. 501 dell'agenzia n. 8 del Banco di Roma, intestato alla L.A.N.M.I.C. rappresentava un primo versamento di una ben più cospicua somma (aggirantesi sui 900 milioni) promessa dai dirigenti della Confin­dustria e della Intersind al Lambrilli in esecuzio­ne di un accordo inteso ad eludere le norme di legge sul collocamento obbligatorio al lavoro de­gli invalidi civili.

L'accordo di cui è parola era stato stipulato dal Lambrilli in nome e per conto della L.A.N.M.I.C.

Aggiungevano i testi di essere venuti a cono­scenza dello «accordo» solo attraverso le noti­zie apparse sulla stampa nazionale e che pur avendo più volte fatta espressa richiesta, in se­no al comitato centrale direttivo dell'ente pub­blico, di discutere la questione dei versamenti della Confindustria e dell'Intersind, il relativo or­dine del giorno era stato sempre respinto dalla maggioranza, composta dal Lambrilli e dagli al­tri esponenti della L.A.N.I.C.

Sentiti al riguardo dai Carabinieri, Toscani Ro­sario e Bariletti Raimondo, firmatari dell'intesa in questione per conto rispettivamente della Confindustria e della Intersind, riferivano di aver trattato con il Lambrilli da loro conosciuto come esponente della L.A.N.M.I.C. e di non essersi prefissi, in quell'occasione, alcuna finalità ille­cita.

Ed invero l'atto stilato per iscritto il 23 feb­braio 1966, tendeva soltanto a superare le di­vergenze interpretative sorte nell'applicazione della legge 5 ottobre 1962 n. 1539, sostenendosi da parte degli imprenditori che, l'art. 1, obbli­gando i datori di lavoro ad assumere entro tre anni dalla entrata in vigore della legge stessa la percentuale del 2% degli invalidi, dovesse in­terpretarsi nel senso di computare, nella percen­tuale d'obbligo, anche i loro dipendenti invalidi assunti anteriormente all'entrata in vigore della legge e ritenendosi invece ex adverso che il si­stema previsto dalla legge fosse rivolto a pren­dere in considerazione, ai fini dell'assunzione in servizio, solo i mutilati ed invalidi civili non an­cora occupati presso le aziende.

In quell'occasione le parti convennero da un lato, a fare prevalere la tesi della computabili­tà, nella percentuale prevista dalla legge 1962, degli invalidi già in servizio e di consentire un graduale assorbimento degli stessi, dall'altro ad agevolare finanziariamente concrete iniziative di qualificazione professionale dei mutilati ed inva­lidi civili, che dal canto suo la L.A.N.M.I.C. si ri­prometteva di promuovere.

In esecuzione e nello spirito dell'accordo la Confindustria aveva versato alla L.A.N.I.C. la somma di L. 20 milioni in un primo tempo e poi la somma di L. 75 milioni.

Le somme erano state versate sul conto cor­rente intestato alla L.A.N.I.C., associazione indi­cata dal Lambrilli come organismo delegato allo svolgimento dei corsi di qualificazione.

In particolare L. 20 milioni erano stati versati intestando il mandato alla L.A.N.I.C. in Corso Ri­nascimento n. 81 sul conto corrente n. 501 del­l'Agenzia n. 8 del Banco di Roma. La successiva somma di 75 milioni era stata versata intestando il mandato alla L.A.N.M.I.C. in Via Rubicone n. 11 sul conto corrente n. 501 dell'Agenzia n. 8 del Banco di Roma.

L'Intersind dal canto suo aveva versato L. 16 milioni sul c/c n. 501 del Banco di Roma. Iniziatasi l'istruzione sommaria il P.M. dispo­neva il sequestro dei verbali dell'A.N.M.I.C., della L.A.N.M.I.C. e della L.A.N.I.C. e dopo aver proce­duto alla escussione dei testi indicati nella de­nuncia del Lissoni, chiedeva a questo Giudice in data 24 aprile 1962 di procedere contro gli im­putati per i delitti loro ascritti in rubrica.

Nel corso dell'istruzione formale si procedeva alle contestazioni delle accuse.

Lambrilli Alvido contestava gli addebiti asse­rendo che il mancato funzionamento dell'ente pubblico era da attribuirsi al fatto che ancora non erano state emanate, dagli organi competen­ti, le norme regolamentari, per cui l'ente stesso non aveva, fra l'altro, potuto aprire alcuna cam­pagna di tesseramento; che non vi è mai stata da parte dei dirigenti della L.A.N.M.I.C. l'inten­zione di truffare gli invalidi appropriandosi della sigla o dei simboli dell'ente pubblico o mirando a creare artificiose confusioni tra i due organi­smi, non escludendo peraltro l'eventualità che qualche direttore provinciale della L.A.N.M.I.C. potesse essere incorso in qualche inesattezza, dato che un ramo del Parlamento (la Camera dei Deputati) aveva in un primo tempo conferito la personalità giuridica pubblica all'ente privato; che la sublocazione dei locali siti in Corso Ri­nascimento n. 81 da parte della L.A.N.M.I.C. all'ente pubblico era stata approvata, unanimemen­te dal comitato centrale direttivo dell'U.G.I.C., ancor prima dell'approvazione della legge n. 438 del 1956 istitutiva dell'ente pubblico; che i locali, di proprietà del Comune di Roma, erano stati da­ti in conduzione alla L.A.N.M.I.C. per un canone mensile di L. 8.000 e che quest'ultima aveva a proprie cure restaurato e arredato con una spesa complessiva di circa 1.400.000, onde era da ri­tenersi giustificato il maggior canone di sublo­cazione, richiesto all'U.G.I.C., peraltro pagato per solo uno o due mesi.

Aggiungeva inoltre, per quanto attiene all'inte­sa del 23 febbraio 1966 con la Confindustria e l'Intersind, di avere agito a nome della L.A.N.I.C., presentata al Bariletti ed al Toscani come ente privato, collegato con la L.A.N.M.I.C. e destinato ad operare nel campo tecnico dell'addestramen­to professionale dei mutilati ed invalidi civili; di avere fatto ciò al solo fine di salvaguardare gli interessi della categoria dato che vari giudici or­dinari, su base circoscrizionale, e poi il Consiglio di Stato avevano asseverato la tesi della compu­tabilità, sulla percentuale d'obbligo, degli invali­di già assunti dalle imprese prima dell'entrata in vigore della legge del 1962. Per cui non solo non si prospettava la possibilità di battersi per la tesi contraria ma si poteva fondatamente te­mere da parte degli imprenditori il licenziamento degli invalidi già assunti antecedentemente, in eccedenza sulla percentuale d'obbligo. Tale preoccupazione di evitare licenziamenti ebbe pe­so determinante anche per quanto concerneva l'impegno di non assumere una posizione intran­sigente circa l'immediata copertura della percen­tuale delle imprese dove essa non fosse ancora raggiunta. I contributi versati dalla Confindustria e dall'Intersind per l'addestramento professiona­le degli invalidi, erano stati utilizzati per l'acqui­sto di un immobile in Agro di Gioiella, destinato a diventare il centro di rieducazione professiona­le, avvenuto con rogito notarile del 28 maggio 1966 per il prezzo di circa L. 84.000.000. Aggiungeva infine di avere conseguito la licenza di scuola media inferiore e di non essersi mai arro­gato in pubblico il titolo di «professore». Venivano poi interrogati gli altri imputati i qua­li rendevano sui fatti loro addebitati una versio­ne sostanzialmente identica a quella del Lam­brilli.

In esito all'istruzione gli atti venivano rimessi al P.M. per le sue conclusioni. Questi formulava le sue richieste chiedendo il rinvio al giudizio del Tribunale di Roma di Lambrilli Alvido, Para­mucchi Roberto, Riccoboni Antonio, Masina Ce­sare, Quaranta Franco, Rega Nicola per rispon­dere dei delitti loro rispettivamente ascritti ai capi a), b), c), e); di dichiarare di non doversi procedere a carico del Lambrilli in ordine al de­litto di cui al capo d) perché il fatto non costitui­sce reato; di n.d.p. contro il Toscani per il delitto di cui al capo f) per insufficienza di prove e con­tro il Bariletti per essere il reato estinto a se­guito della di lui morte. Chiedeva inoltre di emettere mandato di cattura nei confronti di Lambrilli Alvido per i reati a lui ascritti.

Dopo il deposito degli atti processuali in can­celleria, si costituiva P.C. l'avv. Russo Sebastia­no in nome e per conto dell'Opera Nazionale Mu­tilati e Invalidi Civili (ONMIC).

 

Diritto

 

Per quanto attiene al reato contestato agli im­putati alla lettera A) della rubrica occorre ac­certare se nella specie si ravvisino tutti gli ele­menti costitutivi del delitto di cui all'art. 640 C.P. e cioè 1) - l'esistenza di artifici e raggiri posti in essere dagli imputati; 2) - l'induzione in errore degli invalidi e mutilati; 3) - e il con­seguimento di un ingiusto profitto con danno di questi ultimi.

Come emerge dalla precedente narrativa, la LANMIC opera in posizione autonoma rispetto all'ente di diritto pubblico ANMIC, non figurando tra i sodalizi confederati in quest'ultimo.

Chiara pertanto appare in via di diritto la di­stinzione esistente tra le due persone giuridiche, esplicando l'una la propria attività nel campo privato e l'altra in quello pubblico.

Tale netta differenziazione giuridica risulta pe­raltro largamente attenuata sul piano pratico per l'esistenza di alcuni fattori la cui genesi non può attribuirsi all'opera degli attuali imputati, con­correndovi una certa incuria ed inerzia da par­te delle autorità legislative e di quelle preposte alla tutela degli organismi assistenziali; essen­dosi omesso dalle prime un attento esame, con conseguenti opportune chiarificazioni, delle as­sociazioni destinate ad essere confederate nell'ente pubblico (la LANIC per esempio esisteva solo stilla carta bollata ed era stata creata pochi giorni prima della istituzione dell'ente pubblico) e dalle seconde una pronta e sollecita emana­zione delle norme di attuazione previste dalla legge istitutiva dell'ente confederale, che avreb­be assicurato ad esso una normalità democratica sin dai primi tempi della sua esistenza.

In particolare:

- all'Unione Generale Invalidi Civili (U.G.I.C) viene attribuita una denominazione - A.N.M.I.C. -- quasi simile a quella della L.A.NM.I.C.;

- la mancanza di copertura finanziaria fa sì che l'ente pubblico si insedia nelle varie sedi provinciali delle associazioni in esso confedera­te ed in massima parte in quelle della LANMIC;

- il nuovo ente viene retto, in via provvi­soria, dagli organi della UGIC in carica alla data di entrata in vigore della legge istitutiva dello stesso.

Su questa situazione giuridica e di fatto si in­serisce l'azione dei dirigenti della LANMIC, vol­ta ad ingenerare negli invalidi e mutilati civili equivoci ed errori sia sulla individuazione dell'ente al quale è stata attribuita la personalità giuridica pubblica, sia sulla reale spettanza e sull'effettivo godimento di diritti attribuiti a que­sti dalle leggi previdenziali.

Vi è in atti tutta una serie di circolari, manife­sti, comunicati stampa ed altro, emessi dai diri­genti delle sedi centrali e provinciali della LAN­MIC, con i quali si dà ad intendere che questa è stata eretta in ente pubblico e che l'iscrizione alla stessa si rende necessaria per poter benefi­ciare della legge sul collocamento obbligatorio al lavoro dei mutilati e invalidi civili, nonché di altri diritti.

Vedansi in proposito i numerosi documenti allegati alla denunzia del Lissoni, riflettenti in modo palese ed inequivoco gli atti fraudolenti posti in essere dagli imputati.

Accertata pertanto la sussistenza degli artifici e raggiri concretizzati dagli imputati, resta da dimostrare l'esistenza del secondo e del terzo elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 640 C.P. e cioè l'iscrizione degli invalidi e muti­lati civili alla LANMIC perché indotti in errore dalla sopra riferita falsa rappresentazione della realtà, con conseguente loro danno.

A tale proposito devesi rilevare che in pratica nessuna concorrenza associativa si verificò tra la LANMIC e l'ente pubblico ANMIC, poiché que­st'ultimo, come sopra riportato, essendo privo dello statuto, delle norme di attuazione e di quello regolamentare non aveva ancora aperto le iscrizioni.

Peraltro la legge n. 458 del 1965 istitutiva dell'ente pubblico non intese monopolizzare le as­sociazioni private confederate in esso, ma man­tenne intatte le loro autonomie, consentendo al­le stesse di proseguire le campagne di tessera­mento al fine di procurarsi nuovi adepti.

D'altra parte l'indagine istruttoria espletata non ha evidenziato la concreta idoneità dei mez­zi fraudolenti posti in essere dagli imputati ad indurre in errare gli invalidi civili con conseguen­te loro danno e correlativo profitto della LAN­MIC.

Ed invero da un lato la LANMIC, che risulta aver avuto sin dalla sua istituzione la maggiore consistenza associativa rispetto alle altre asso­ciazioni minoritarie, non ha incrementato le pro­prie iscrizioni dopo la creazione dell'ente pubbli­co (anzi dalle rilevazioni del centro meccano­grafico IBM impiantato presso gli uffici centrali della LANMIC in Roma, risultano iscritti nel 1966 circa 135.000 invalidi e nel 1967 circa 90.000), dall'altro le risultanze istruttorie non hanno ac­clarato la presenza di invalidi civili i quali diede­ro la loro adesione alla LANMIC perché indotti in errore dalla falsa rappresentazione della realtà.

Consegue pertanto che difettando nella specie la esistenza di due elementi costitutivi del de­litto di truffa ascritto in rubrica agli imputati, gli stessi devono essere prosciolti perché il fatto non costituisce reato.

Passando ad esaminare gli addebiti di cui ai capi C) ed F) che qui vengono trattati prima de­gli altri perché si riallacciano in maniera più di­retta alle considerazioni sopra svolte, è opportu­no accennare brevemente alla normativa esisten­te sul collocamento obbligatorio al lavoro degli invalidi e mutilati civili nonché agli atti posti in essere dagli imputati in relazione a detta disci­plina.

La legge 5 ottobre 1962 n. 1539 disciplina il collocamento obbligatorio presso pubblici e pri­vati datori di lavoro dei mutilati e invalidi civili. L'art. 1 detta: «Gli imprenditori i quali, fatta esclusione degli apprendisti, abbiano comples­sivamente alle loro dipendenze più di 50 lavora­tori tra operai e impiegati sono tenuti ad occupa­re, in occasione di assunzioni di nuovo persona­le, un mutilato o invalido civili per ogni 10 lavo­ratori da assumere, sino a raggiungere la propor­zione di un mutilato o invalido per ogni 50 di­pendenti in forza o frazione di 50 superiore a 25. Il computo delle assunzioni di nuovo personale di cui al presente comma è fatto, per periodi semestrali a decorrere dalla data di entrata in vi­gore della presente legge».

La percentuale di cui al primo comma, dovrà essere raggiunta comunque entro tre anni dalla entrata in vigore della presente legge.

Art. 9: «I privati datori di lavoro che non pre­sentino in termini le denunce previste dal secon­do comma dell'art. 2 e dal precedente articolo sono puniti con una ammenda da L. 5.000 a L. 50.000.

Gli inadempienti all'obbligo di occupare muti­lati e invalidi civili sono puniti con un'ammenda da L. 1.500 a L. 3.000 per ogni giorno lavorativo e per ogni posto dalla presente legge riservata ai predetti minorati e non coperti».

Art. 13: «La vigilanza per l'applicazione della presente legge spetta al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale che la esercita a mezzo dell'Ispettorato del Lavoro».

In data 23 febbraio 1966 la Confederazione Ge­nerale dell'Industria Italiana, l'Associazione Sin­dacale Intersind e la Libera Associazione Na­zionale Invalidi Civili stipulano il seguente atto, comprensivo di un «protocollo» aggiunto:

La Confederazione Generale dell'Industria Ita­liana, l'Associazione Sindacale Intersind e la Li­bera Associazione Nazionale Invalidi civili, esa­minate le questioni di ordine giuridico sorte in merito alla interpretazione della legge 5/X/62 n. 7539 nonché la difficoltà relativa alla applicazio­ne della legge stessa, nell'attuale momento eco­nomico, sono addivenute alle seguenti conclu­sioni:

1) Le aziende rappresentate dalla Confindu­stria e dall'Intersind, devono poter richiedere ed ottenere dal Ministero competente che le com­missioni provinciali sanitarie, di cui all'art. 5 del­la legge, provvedano alla sollecita effettuazione della visita medica per il riconoscimento, ad ogni effetto, di tutti i lavoratori invalidi già in servizio presso le aziende stesse che il riconoscimento predetto non abbiano ancora ottenuto formal­mente;

2) per la eventuale scopertura complessiva esistente nelle singole aziende, risultante per ef­fetto della differenza tra il 2% ed il numero in­feriore dei lavoratori riconosciuti invalidi e già in servizio, le organizzazioni firmatarie conven­gono di richiedere al competente Ministero di consentire l'assorbimento graduale sino alla co­pertura di detta aliquota;

3) ai fini della più rispondente utilizzazione possibile degli invalidi da occupare, la Libera Associazione Nazionale Invalidi Civili si propone di sviluppare opportune iniziative di qualificazio­ne e riqualificazione professionale;

4) a tal fine le organizzazioni confederali si propongono a loro volta di agevolare il compito della Libera Associazione Nazionale Invalidi Ci­vili, per quanto attiene alla accennata attività di rieducazione e qualificazione professionale;

5) l'art. 8 del disegno di legge predisposto dal Governo «Provvedimenti a favore degli Inva­lidi Civili» dovrebbe essere emendato per quan­to riguarda la composizione della Commissione: a far parte della stessa dovrebbe cioè essere chiamato anche un medico designato dalle orga­nizzazioni imprenditoriali ed in tal senso la Li­bera Associazione Nazionale Invalidi Civili di­chiara di adoperarsi.

Protocollo aggiunto.

1) Indipendentemente da quanto precisato al punto 2) dell'accordo sottoscritto in data odierna le organizzazioni firmatarie si impegnano acché le rispettive rappresentanze provinciali svolgano analoga azione nei confronti degli Ispettorati del Lavoro;

2) l'assorbimento graduale, di cui allo stes­so punto 2) dell'accordo menzionato, avverrà in un triennio, a partire dal momento di accertamen­to della effettiva scopertura, ed a tal fine, le aziende provvederanno ad assumere il 40% di detta copertura nel corso del primo anno; il ri­manente 60% sarà assorbito nei due anni suc­cessivi.

In esecuzione dell'accordo la Confindu­stria (come riferito dal Toscani f. 563) si im­pegnò a versare L. 450.000.000 e I'Intersind L. 100.000.000 alla LANIC al fine di incrementare i corsi di rieducazione e qualificazione professio­nale degli invalidi.

Con atto del 15-2-66 reso pubblico il 28-2-66, il Consiglio di Stato, al quale il Ministero del la­voro e della Previdenza Sociale aveva sollecitato un parere in ordine all'applicazione della legge 5 ottobre 1962 n. 1539, esprime l'avviso che, ai fini del raggiungimento della percentuale di assunzio­ne obbligatoria di invalidi civili, le imprese pos­sano computare, nella quota d'obbligo, i propri dipendenti fisicamente menomati, assunti prima dell'entrata in vigore della legge, purché ricono­sciuti tali dall'apposita commissione medica.

Con circolare n. 101 del 14 aprile 1966, inviata agli Ispettorati Regionali e provinciali del lavo­ro, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, preso atto della decisione del Consiglio di Stato, inviava le relative disposizioni, ravvi­sando, fra l'altro, la necessità di determinare, entro il più breve termine possibile, l'effettiva si­tuazione delle aziende, in merito alla integrale osservanza degli obblighi di legge ed il conse­guente avviamento al lavoro di minorati disoccu­pati, ove le stesse risultassero comunque defici­tarie, dopo aver effettuato il computo di quelli in servizio, regolarmente riconosciuto dalla compe­tente commissione sanitaria.

Ciò premesso, al fine di una esatta delibazione dell'accusa, quale configurata dal P.M. in rubrica, assume rilievo decisivo il punto se la dazione o la promessa di danaro (circa 460 milioni di lire) effettuata dagli esponenti della Confindustria e dell'Intersind alla Libera Associazione Nazionale Invalidi Civili, sia avvenuta in contemplazione di una attività la cui esecuzione da parte del Lam­brilli (Presidente, nello stesso tempo, di un ente pubblico oltre che del sodalizio privato in nome e per conto del quale firmò l'accordo 23 febbraio 1966), avrebbe comportato una violazione dei do­veri e degli obblighi inerenti alla qualifica di pub­blico ufficiale, da lui assunta con la presidenza dell'ANMIC.

Da qui la necessità di accertare se l'intesa in questione dovesse esplicare i suoi effetti nei confronti di tutta la categoria degli invalidi civili o soltanto nei confronti di alcuni di essi e se il suo contenuto rivestisse un carattere lecito o illecito.

Secondo le allegazioni difensive il motivo de­terminante della convenzione sarebbe stato quel­lo di superare, con una intesa di carattere sinda­cale, le divergenze interpretative sorte sulla ap­plicazione della legge del 1962.

Si sarebbe, pertanto, addivenuto ad un contem­peramento degli opposti interessi, accedendosi, da un lato, alla tesi della computabilità, nella percentuale d'obbligo, degli invalidi già in servi­zio presso le aziende e impegnandosi, dall'altro, a sovvenzionare dei corsi di qualificazione pro­fessionale degli invalidi di modo che questi, una volta assunti, potessero apportare un valido con­tributo lavorativo.

Il Lambrilli asserisce inoltre di avere sotto­scritto l'impegno nella veste di presidente della LANIC.

Affermazione quest'ultima però che non regge al vaglio della critica non potendosi, con serie­tà di intenti, sostenere che l'impegno (che si do­veva concretizzare nel versamento nelle casse della LANIC di 550.000.000 di lire) degli esponen­ti della Confindustria e dell'Intersind, fosse de­stinato a riqualificare professionalmente 50 o 100 invalidi, quanti al massimo poteva contarne la LANIC, associazione come sopra riferito, del tutto fittizia e priva di consistenza associativa.

Ha maggior pregio, pertanto, la tesi che il Lam­brilli stipulò l'atto in nome e par conto della LANMIC, associazione questa fra le più (se non la più) rappresentative degli invalidi e mutilati civili.

Il che del resto traspare dai documenti in atti, poiché nella stesura degli stessi (cfr. gli origina­li a ff. 916, 917 II° vol. atti generici) figurano scritti a macchina le sigle e i nomi della Confin­dustria, dell'Intersind e della LANIC, ma nel te­sto e nella sottoscrizione vengono rispettivamen­te aggiunte con la penna una «Nat» e una «M», per cui LANIC diventa LANMIC.

D'altra parte il Bariletti e il Toscani sostengo­no di aver trattato con il Lambrilli «da loro cono­sciuto come esponente della LANMIC» (qui per inciso non si può fare a meno di rilevare che an­che in questo episodio la somiglianza delle sigle viene utilizzata per finalità non certo univoche).

Ma anche in tal caso l'accordo non avrebbe potuto avere pratica attuazione.

Ed invero una volta assunto l'impegno da par­te della LANMIC di accedere alla tesi dei datori di lavoro in ordine alla computabilità degli invali­di (seguiamo qui sempre gli assunti dei prevenu­ti, sul reale contenuto della negoziazione diremo in seguito), la legge del 1962 avrebbe dovuto operare in tal senso nei confronti degli invalidi iscritti alla LANMIC ed in quello inverso (come all'epoca sostenuto dal Ministero del Lavoro cfr. circolare n. 6/8257/RC5 del 27-11-1965), per gli invalidi iscritti alle altre associazioni o non iscritti ad alcuna associazione.

Ed ancora, l'impegno di cui al n. 5 dell'intesa di adoperarsi per l'emendamento dell'art. 8 del disegno di legge relativo ai provvedimenti in fa­vore dei mutilati e invalidi civili, come avrebbe potuto attuarsi nei confronti di una sola parte de­gli invalidi?

Il vero è che la negoziazione non poteva inte­ressare soltanto gli iscritti alla LANMIC, ma era destinata a ripercuotersi sull'intera categoria dei mutilati e invalidi civili, investendo i diritti e gli interessi di questa.

Il Lambrilli, pertanto, pur spendendo il nome della LANMIC (o della LANIC) agì per conto di tutti gli invalidi civili, ripetendone i poteri dalla sua qualità di presidente dell'ente pubblico-AN­MIC che fra i propri compiti istituzionali annove­ra quello della tutela del lavoro del mutilato e dell'invalido (cfr. art. 2 della legge istitutiva dell'ente pubblico) in genere senza discriminazioni settoriali.

Stabilito, pertanto, in ordine alla portata dell'intesa, che l'imputato addivenendo all'accordo in questione rappresentò e vincolò l'intera cate­goria, agendo in virtù di poteri che certo non po­tevano derivargli dalla presidenza di una delle due associazioni private, passiamo ad esaminare il contenuto dell'atto stesso, stipulato il 23 feb­braio 1966, alla scadenza cioè del termine (tre anni) previsto dalla legge del 1962 per rendere operanti le sanzioni penali contro le ditte ina­dempienti all'obbligo dell'assunzione degli in­validi.

Circostanza quest'ultima che assume impor­tanza decisiva in ordine alla concretizzazione da parte degli imputati del delitto loro ascritto alle lettere C) e F) della rubrica.

Giova infatti premettere, prima di entrare nel merito, che una corruzione da parte del pubblico ufficiale è configurabile (ed è configurabile co­me «corruzione propria») nel caso in cui questi si impegni, dietro compenso di denaro, ad in­fluire su altri pubblici ufficiali, sfruttando rappor­ti di colleganza o di amicizia, esclusa per questi ultimi anche soltanto la notizia della utilità rice­vuta o promessa al primo.

Ed invero fra i doveri dei pubblici funzionari vi è anche quello della correttezza nei confronti del­la pubblica amministrazione.

Dovere che nella sua latitudine comprende, senza dubbio, anche quello di astenersi da intro­missioni o interferenze nell'interesse proprio o di altri nell'attività dell'amministrazione di cui faccia parte o anche di altra amministrazione più o meno collegate.

Simili intromissioni ed interferenze costitui­scono di per sé una infrazione disciplinare. Se però esse si pongono come corrispettivo di de­naro o di altre utilità ricevute integrano appunta il reato di «corruzione propria».

Nella specie l'impegno assunto dal Lambrilli di svolgere idonea azione sugli ispettori del la­voro affinché potesse essere consentito un as­sorbimento graduale degli invalidi nelle imprese in un triennio a partire (non dalla entrata in vigo­re della legge del 1962, cfr. art. 1 secondo com­ma), ma dal momento dell'accertamento della effettiva scopertura, consentendo in particolare alle aziende di coprire il 40% di tale scopertura nel corso del primo anno ed il rimanente 60% nei due anni successivi, concretizza la violazione dei doveri di ufficio contemplata nell'art. 319 C.P.

D'altra parte che questa fu il reale (se non l'unico) intendimento consacrato dalle parti con­traenti nell'intesa 29 febbraio 1966 lo si desume da una serie di gravi e incontrastanti elementi:

- Il detto impegno viene consacrato non già nel testo dell'accordo 29 febbraio 1966 ma in un protocallo aggiunto, non inviato in visione al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e considerato di carattere riservato dai dirigenti della Confindustria e della Intersind (cfr. circola­re riservala della Confindustria n. 481 dell'8 apri­le 1966 (f. 179 allegati denunzia Lissoni) «... I dettagli esplicativi del graduale assorbimento de­gli invalidi sono stati inseriti in un protocollo ag­giunto, strettamente riservato e non consegnato in visione al Ministero, di esso le associazioni territoriali degli industriali si avvarranno per prendere contatti con le sezioni provinciali della LANMIC, cui perverranno al più presto istruzioni dalla propria sede centrale, e svolgere insieme la necessaria azione presso gli uffici del lavoro per la attuazione di questa decisione agevolativa a favore delle aziende»;

- l'interesse della Confindustria e della In­tersind ad addivenire all'accordo in parola non poteva certo derivare dalle apparenti divergenti interpretazioni sull'applicazione della legge del 1962. Nel senso sostenuto dai datori di lavoro si erano infatti pronunciate varie magistrature di merito e pochi giorni prima della intesa il Consi­glio di Stato il 15-2-66 aveva asseverato detta te­si con il sopra riportato parere reso pubblico il 28-2-66.

Il vero e reale motivo determinante dell'intesa e giustificativo della promessa (verbale e non trasparente dall'atto stipulato per iscritto) di ben 550.000.000 di lire era quello di evitare, in un grave perioda di congiuntura economica, un ul­teriore aggravio alle aziende, in seguito alle con­travvenzioni che gli ispettori del lavoro avrebbe­ro iniziato ad elevare ai sensi dell'art. 13 L. del 1962 essendo ormai scaduto il triennio previsto nella legge stessa per l'assunzione obbligatoria degli invalidi.

Del resto lo stesso Lambrilli nell'interrogato­rio reso dinanzi ai carabinieri (f. 100 volume) riferisce che il Bariletti e il Toscani gli fecero presente le gravi difficoltà economiche in cui si dibattevano le aziende «onde si riteneva per lo­ro necessario un graduale assorbimento degli in­validi» al di là del termine perentorio previsto dalla legge del 1962.

Consegue da tutto ciò che l'obbiezione difensi­va, relativa alla mancanza della qualità di pubbli­co ufficiale del Lambrilli, per avere egli agito in veste di presidente di una associazione privata, si fonda solo su di un esame formalistico e non sostanziale dell'intesa in questione.

Per le considerazioni sopra esposte infatti si evince in modo chiaro che il Lambrilli poté addi­venire alla stipulazione dell'accordo incriminato solo e in quanto era presidente dell'ente pubblico ANMIC, qualifica questa che gli conferì i poteri necessari per agire nei confronti di tutta la cate­goria degli invalidi e mutilati civili.

Da ultimo è appena il caso di rilevare che l'ef­fettiva destinazione del primo acconto versato dalla Confindustria e dalla Intersind all'acquisto della tenuta in Gioiella, futuro centro di rieduca­zione degli invalidi, non esplica alcuna efficacia nella fattispecie in esame, essendo evidente l'in­debito arricchimento del patrimonio della LANIC, divenuta titolare di tale immobile, nel che si so­stanzia l'utilità ricevuta per «un terzo» prevista dall'art. 319 primo comma C.P.

Il Lambrilli deve essere pertanto rinviato a giu­dizio per rispondere dell'addebito formulato alla lettera G) della rubrica.

Ugualmente deve ordinarsi il rinvio a giudizio del Toscani per rispondere dell'addebito di cui al capo F), poiché il suo assunto di aver ignorato, all'atto della stipulazione dell'intesa in parola, la qualità di pubblico ufficiale rivestita dal Lambril­li, da lui conosciuto soltanto come esponente della LANMIC, null'altro rappresenta se non un tardivo espediente difensivo.

Ed invero nell'interrogatorio reso dinanzi al P.M. in data 16 marzo 1967 (cfr. vol. atti gene­rici f. 564), lo stesso imputato ammette esplici­tamente di essere stato a conoscenza del fatto che il Lambrilli, quando stipulò l'atto incrimina­to, fosse anche presidente dell'ente pubblico ANMIC.

D'altra parte all'esponente della Confindustria non poteva interessare in quale veste il Lambrilli si fosse vincolato a procrastinare il termine pe­rentorio previsto dalla legge del 1962, poiché, stante l'unicità dell'organo rappresentativo della persona giuridica privata e di quella pubblica, non era più possibile al Lambrilli scindere, nell'esecuzione dell'atto stipulato, le qualità di pre­sidente dell'uno e dell'altro ente.

Da qui la poca attenzione prestata nella stesu­ra dell'atto sulla diversità delle sigle LANMIC e LANIC e nell'invio dei primi acconti di danaro versati ora sui conto corrente intestato alla LAN­PAIC ora su quello intestato alla LANIC: a nulla rilevava l'esatta individuazione dell'ente benefi­ciario, ciò che interessava era la persona del Lambrilli.

Il Bariletti va invece prosciolto dalla stesso ad­debito poiché il reato è estinto a seguito del di lui decesso, avvenuto il 5 maggio 1968 e non sus­sistendo, allo stato, le condizioni di cui all'art. 152 C.P.

Per quanto attiene al reato di cui alla lettera B) della rubrica addebitato al solo Lambrilli, ri­sulta «per tabulas» che con deliberazione del Comitato Centrale direttivo dell'U.G.I.C. del 17 aprile 1965 (prima ancora cioè della emanazione della legge n. 458 del 1965 istitutiva dell'ente di diritto pubblico ANMIC) venne approvata la sub­locazione dei locali siti in Corso Rinascimento per un canone mensile di L. 125.000. Locali que­sti che il comune di Roma aveva in precedenza locato alla LANMIC per un canone di L. 8.000 mensili.

Se pertanto è valida l'obbiezione difensiva che a quell'epoca il Lambrilli non rivestiva la qualità di pubblico ufficiale va peraltro rilevato che nel­la riunione del comitato direttivo centrale dell'U.G.I.C. dell'11 aprile 1965 (quella cioè prece­dente alla stipula dell'atto), si accennò alla ne­cessità di reperire una sede per l'UGIC proprio in vista della sua elevazione in ente di diritto pubblico, il che venne poi ribadito il 17-4-1965 all'atto della sublocazione (cfr. verbale allegato N-O alla memoria difensiva).

Per cui non è errato osservare che la stipula­zione avvenne in vista della trasformazione dell'UGIC in AMNIC tant'è vero che il primo canone di locazione (come risulta dai libri sequestrati) venne corrisposto da quest'ultima nel giugno del 1965.

Ne consegue che il Lambrilli dando esecuzione all'atto in parola, posto in essere nell'interesse dell'associazione privata (LANMIC) da lui pre­sieduta ha concretizzato l'interesse privato in at­to d'ufficio di cui all'art. 324 C.P.

È infatti pacifico in giurisprudenza che il citta­dino nel momento in cui assume una carica pub­blica deve troncare gli eventuali rapporti privati di affari che anteriormente lo legavano alla pub­blica amministrazione.

Il reato di interesse privato in atti di ufficio è configurabile invero anche nel caso di una atti­vità sorta con tutti i crismi della legittimità quan­do in un secondo momento il p.u. preposto alla esecuzione attui una ingerenza privatistica nella stessa, specialmente se ciò faccia per volgere a proprio vantaggio l'attività della p.a. o anche per volgerla a favore di terzi (cfr. Cass. Sez. IIIª 18 marzo 1963, Margarone, Cass. Pen. Mass. 1963, 605).

Né vale obbiettare che nella specie l'ente non avrebbe riportato alcun danno perché il canone di affitto fu effettivamente versato per alcuni me­si e la maggiorazione dello stesso doveva rite­nersi equa per essere stati i locali arredati a spe­se della LANMIC.

Ed invero l'illegittimità dell 'operato dal sog­getto attivo del reato de quo non deriva dalla esi­stenza di un danno della pubblica amministrazio­ne, né dal profitto del pubblico ufficiale o di altri, ma dalla violazione del dovere che impone al pubblico funzionario di astenersi dall'interessar­si all'atto, nel momento in cui è proposto, delibe­rato, revocato, annullato o eseguito; mentre è sufficiente che sussista il periodo di turbamento della normale funzionalità della pubblica ammi­nistrazione a dare vita al delitto in questione che è reato di pericolo (cfr. Cass. Sez. IIIª 5 aprile 1963, Fusco, Giust. Pen. 1964, II, 72).

Il Lambrilli deve pertanto essere rinviato a giu­dizio del Tribunale per rispondere del reato di cui all'art. 324 C.P. perché nella sua duplice qua­lità di presidente della LANMIC e della ANMIC dava esecuzione al contratto di sublocazione, sti­pulato il 17 aprile 1965 tra la LANMIC e la UGIC per un canone mensile di L. 125.000, dei locali siti in Corso Rinascimento n. 81, di proprietà del Comune di Roma e che la LANMIC aveva avuto in conduzione per un canone mensile di L. 8.000, prendendo così un interesse privato in atti dell'ente pubblico.

Devesi invece prosciogliere il Lambrilli dal reato a lui attribuito alla lettera D) della rubrica, per avere rifiutato che in un verbale assembleare venissero inserite dichiarazioni di componenti del Comitato Centrale della AMNIC.

Ed invero a parte il fatto che nella specie si è in presenza di un atto collegiale e non singolo del Presidente dell'ente pubblico, devesi rilevare che nel processo verbale della riunione del Co­mitato Centrale dell'ente di diritto pubblico del 29-3-67 si dà atto che la maggioranza dell'ente stesso respinge la pregiudiziale del Conticini, relativa alla discussione dell'ordine del giorno, per cui non risulta essere stato posto in essere alcune illecito penale.

Il Lambrilli ed il Rega vanno inoltre prosciolti dall'addebito loro ascritto alla lettera E) della rubrica.

Ed invero il semplice fatto che ai due imputati in alcuni giornali ed in occasione di pubbliche conferenze sia stato attribuito il titolo rispettiva­mente di professore e di direttore non vale a realizzare il reato previsto dall'art. 498 C.P.

La formula «si arroga», usata in detto articolo infatti postula una commissione di atti positivi, onde l'atteggiamento di inerzia, che si ha quando l'attribuzione viene fatta da altre persone, senza che l'imputato chiarisca l'equivoco, non costi­tuisce arrogazione.

Per quanto attiene infine alla richiesta formu­lata dal P.M. di emissione del mandato di cattu­ra, nella specie facoltativo, nei confronti del Lam­brilli, non ritiene questo giudice ricorrere le con­dizioni necessarie per l'esercizio di tale facoltà.

Non si ravvisano infatti nella specie, ad istrut­toria ultimata con conseguente completa acqui­sizione di mezzi di prova generici e specifici, le esigenze di carattere processuale legittimanti il provvedimento restrittivo della libertà personale del Lambrilli.

Né il paventato pericolo di inquinamento delle prove può derivare da eventuale resipiscenza di qualche teste (v. teste Russo, peraltro in seguito costituitosi parte civile) poiché l'indagine pro­cessuale, ai fini della delibazione delle accuse, è stata svolta soprattutto sull'esame di prove do­cumentali.

D'altra parte il comportamento processuale del Lambrilli, che si è regolarmente presentato ad ogni richiesta di questo ufficio, non fa appari­re probab-ile una di lui assenza nella fase dibat­timentale.

Va infine considerato, in ordine alle qualità mo­rali del prevenuto, che lo stesso non risulta ave­re precedenti penali tali da influire negativamen­te sulla valutazione della sua personalità.

Va invece accolta parzialmente la richiesta del P.M. formulata il 12 febbraio 1968, di sospendere provvisoriamente dai pubblici uffici il Lambrilli, ai sensi del combinato disposto degli artt. 140 C.P. e 301 C.P.P. Articoli questi che la Corte Co­stituzionale, alla quale questo Giudice, nel corso della istruzione, aveva rimesso gli atti, ha rico­nosciuto non in contrasto con la Costituzione. Nel caso in esame, in considerazione delle im­putazioni elevate nei confronti del Lambrilli ed in attesa che sulle stesse si pronunzi il giudice dibattimentale, reputasi opportuno sospendere provvisoriamente l'imputato dalla carica di pre­sidente dell'ente pubblico ANMIC.

P. Q. M.

In parziale difformità delle conclusioni del P.M.;

Dichiara chiusa la formale istruzione;

Visto l'art. 374 C. P. P.;

Ordina il rinvio al giudizio del Tribunale di Roma del Lambrilli Alvido per rispondere del reato di cui all'art. 324 C.P. perché nella sua duplice qualità di presidente della LANMIC e della AN­MIC dava esecuzione al contratto di sublocazio­ne, stipulato il 17 aprile 1965 tra la LANMIC e la UGIC per un canone mensile di lire 125.000, dei locali siti in Corso Rinascimento n. 81 di proprie­tà del Comune di Roma e che la LANMIC aveva avuto in conduzione per un canone mensile di li­re 8.000, prendendo così un interesse privato in atti dell'ente pubblico ANMIC.

In Roma, in data successiva all'aprile del 1965.

Così modificata l'originaria rubrica di cui al capo B). Ordina inoltre il rinvio al giudizio del Tribunale di Roma di Lambrilli Alvido e di To­scani Rosario per rispondere dei reati ad essi ri­spettivamente ascritti ai capi C) ed F) della ru­brica.

Visto l'art. 378 C.P.P. dichiara non doversi pro­cedere contro Lambrilli Alvido, Paramucchi Roberto, Riccoboni Antonio, Masina Cesare, Qua­ranta Franco, Rega Nicola per il reato loro ascrit­to al capo A) della rubrica perché il fatto non co­stituisce reato; contro Lambrilli Alvido per i rea­ti a lui ascritti ai capi D) ed E) della rubrica per non aver commesso il fatto; nei confronti di Re­ga Nicola per il reato a lui ascritto al capo E) della rubrica per non aver commesso il fatto e nei confronti di Bariletti Raimondo, per il reato ascrittogli al capo F) della rubrica per essere lo stesso estinto a seguito del di lui decesso.

Visti gli artt. 140 C.P. e 301 C.P.P. ordina che il Lambrilli Alvido venga sospeso provvisoria­mente dalla carica di presidente dell'ente pub­blico ANMIC.

 

 

II

SENTENZA DI RINVIO A GIUDIZIO DELLA SEZIO­NE ISTRUTTORIA

DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA

 

Il 14-7-1969 in Roma, la sezione istruttoria com­posta dai Sigg. Mistretta dott. Giuseppe, Presi­dente; Buongiorno dott. Giuseppe e Giustiziani dott. Vito, Consiglieri, ha pronunciato la seguen­te sentenza nel procedimento penale contro: Lambrilli Alvido, Paramucchi Roberto, Riccoboni Antonio, Masina Cesare, Quaranta Franco, Rega Nicola, imputati di truffa e altro.

 

*  *  *

 

Avverso la sentenza con la quale in data 22-4­-1969 il giudice istruttore di Roma aveva, fra l'al­tro, prosciolto Lambrilli Alvido, Paramucchi Ro­berto, Riccoboni Antonio, Masina Cesare, Qua­ranta Franco e Rega Nicola dal delitto di truffa aggravata perché il fatto non costituisce reato e il Lambrilli e il Rega anche dal reato di cui agli art. 81 c.c.p. e 98 c.p. per non aver commesso il fatto, proponeva appello il Procuratore della Re­pubblica di Roma chiedendo il rinvio a giudizio degli imputati sopraddetti in ordine ai reati so­pra specificati. Il P.M. lamentava altresì il non accoglimento da parte del giudice istruttore del­la richiesta di emissione di mandato di cattura nei confronti del Lambrilli e la mancata modifica della imputazione relativa al delitto di interesse privato in atti di ufficio come richiesto dalla re­quisitoria.

Il Procuratore Generale chiedeva l'accoglimen­to dell'appello. Le risultanze istruttorie hanno in­vero posto in luce una sconcertante situazione venutasi a creare in un settore particolarmente delicato come quello dell'assistenza agli invalidi civili con atti di concorrenza a volte non leali fra associazioni private sorte, come molte altre as­sociazioni similari, con un intento dichiaratamen­te assistenziale ma spesso rivolto anche al sod­disfacimento di interessi personali, lucrativi e politici dei dirigenti delle associazioni medesime. In un settore così delicato non deve essere am­messa nessuna concorrenza fra associazioni si­milari allo scopo di ottenere un maggiore afflus­so di soci, soprattutto quando, come confermato dalla lettera del Ministro della Sanità 7456, non è necessario essere iscritti ad alcuna asso­ciazione per ottenere i benefici di legge.

Dato però che nonostante la scandalistica cam­pagna di stampa nessuno si è presentato per de­nunciare di aver dato la propria adesione alla LANMIC per effetto di raggiri o artifizi posti in essere dal Lambrilli e dagli altri imputati, deve concludersi che manca ogni prova che il reato sia stato consumato.

Ai fini dell'accertamento della sussistenza del reato nella ipotesi del tentativo, va rilevato che la legge 458 del 1965, istitutiva dell'ente pub­blico ANMIC, non intese monopolizzare le asso­ciazioni private confederate in esso, ma mantene­re intatte le loro autonomie, consentendo alle stesse di proseguire le campagne di tesseramen­to al fine di procurarsi nuovi aderenti, ma ciò evi­dentemente nel rispetto di una corretta e leale concorrenza.

È risultato peraltro che ad acuire i problemi d'incertezza dell'ente pubblico ANMIC ha contri­buito anche il fatto che non sono state ancora emanate le norme di attuazione previste dall'art. 18 della legge istitutiva del detto ente pubblico,

onde è stato lasciato libero gioco alle singole associazioni private, tra cui la LANMIC, appro­fittando anche del fatto di essere stata eretta in ente morale fin dal 1951 con D.P.R. 273 del 1971, ha avuto una facile preminenza.

Dalle risultanze istruttorie, sia pur manchevoli e farraginose, sono però emersi numerosi ele­menti a carico degli imputati circa la loro azione rivolta ad ingenerare, negli invalidi e mutilati ci­vili, equivoci ed errori sia nell'individuazione dell'ente pubblico, sia sulla reale spettanza e sull'ef­fettivo godimento di diritti attribuiti ad essi dal­le leggi previdenziali.

Come ha riconosciuto anche il giudice istrut­tore nella impugnata sentenza, vi sono, nelle car­te processuali, numerosi manifesti, comunicati stampa, circolari ed altro, emessi dai dirigenti della sede centrale e periferiche della LANMIC, che la stessa è stata eretta in ente pubblico e che l'iscrizione a tale associazione è necessaria per fruire dei benefici di legge.

Le risultanze istruttorie sopraddette impongo­no il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Roma degli imputati in ordine a reato di cui al capo A), ridimensionato nell'ipotesi di tentativo. At­traverso l'istruttoria dibattimentale potrà essere chiarito meglio fino a che punto gli stessi dirigen­ti hanno concorso col Lambrilli nell'attività cri­minosa.

Riguardo ai reati d'abusiva arrogazione di tito­li ascritti al Lambrilli e al Rega deve rilevarsi che numerosi e concreti indizi di reato in ordine alla commissione di tali reati sono emersi dalle ri­sultanze istruttorie ed invero l'attribuzione del titolo è riportata ripetutamente dal giornale de­gli stessi imputati e inoltre che non si tratta di mera inerzia di fronte alla attribuzione a loro, da parte di altri, di titoli non avuti, ma di vera e pro­pria arrogazione. D'altro canto anche a voler ri­tenere che l'origine materiale del fatto della abu­siva attribuzione fu dovuta ad altri, il non aver nulla fatto gli imputati di quanto avevano l'obbli­go giuridico di fare, dato che ai sensi dell'art. 40 c.p. non impedire l'evento equivale a cagionarlo, è motivo sufficiente per il loro rinvio a giudizio in ordine al reato sub E).

Non può invece accogliersi la richiesta del P.M. riguardo alla precisazione del capo d'impu­tazione relativo al delitto di interesse privato in atti di ufficio, trattandosi di reato per il quale gli imputati non sono stati rinviati a giudizio ed esula perciò dalla competenza di questa Corte ogni provvedimento in merito, tanto che il P.M. in udienza potrà provvedere in proposito nel rispet­to delle norme procedurali. Dato il ridimensiona­mento dell'imputazione di cui al capo A), dato che non vi sono esigenze procedurali tali da le­gittimare un provvedimento di detenzione pre­ventiva, non può essere accolta neppure la ri­chiesta di emissione di mandato di cattura nei confronti del Lambrilli.

 

P. Q. M.

 

V.° l'Art. 387 c.p.p Su richieste parzialmente difformi del Procuratore Generale e in parziale accoglimento dell'appello proposto dal P.M.

Ordina il rinvio a giudizio del Tribunale di Ro­ma di Lambrilli Alvido, Paramucchi Roberto, Ric­coboni Antonio, Masina Cesare, Quaranta Franco e Rega Nicola per rispondere del reato di cui agli articoli 110, 112 n. 1, 56, 640, 61 n. 9 c.p. per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il delitto loro contestato al capo A) della rubrica, così modificata l'originaria ru­brica, nonché di Lambrilli Alvido e di Rega Nico­la per rispondere del delitto di cui al capo E) del­la rubrica, così riformata l'impugnata sentenza.

 

  

(1) V. Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre 1971, pag. 27 e segg.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it