Prospettive assistenziali, n. 21, gennaio-marzo 1973

 

 

EDITORIALE

 

COMPRENSORI E SERVIZI DI VASTA AREA

 

 

Nell'editoriale dello scorso numero abbiamo indicato la nostra posi­zione al riguardo delle unità locali dei servizi, che intendiamo non come un nuovo ente, ma come il complesso dei servizi sanitari, scolastici, abitativi, sociali, culturali, ricreativi, ecc., gestiti, con la partecipazione delle forze sociali del territorio dai comuni, consorzi dei comuni o articolazioni subco­munali, aventi una dimensione territoriale comprendente all'incirca 50.000 abitanti (1).

 

Livello intermedio fra Unità locali dei servizi, comprensori e agenzie

È ovvio che tutti i servizi necessari a soddisfare le esigenze individua­li e sociali non possono essere svolti al livello dell'Unità locale dei servi­zi: basti pensare alla programmazione urbanistica.

Pertanto è necessario individuare un livello politico-amministrativo intermedio fra Unità locale dei servizi e Regione.

Questo livello intermedio viene spesso rifiutato e la soluzione offerta è quella di attribuire le funzioni operative di vasta area alla Regione tra­mite le cosiddette agenzie (2).

Squalificato il termine di ente, chi non vuole modificare le cose per ov­vi motivi di sottogoverno, di potere, di clientelismo, inventa un nuovo ter­mine, lasciando inalterata la vecchia sostanza.

Con le agenzie si viene a creare un livello istituzionale che, nei fatti, ostacola fortemente la partecipazione dei cittadini alla elaborazione delle decisioni e al controllo democratico della gestione dei servizi. È infatti a tutti nota la grande differenza fra l'influenza esercitata dalle forze sindaca­li e sociali nei confronti del Comune, i cui membri sono nominati con ele­zione diretta, e nei riguardi, ad esempio, degli E.C.A., i cui componenti so­no designati dai consigli comunali.

Non solo quindi con la istituzione delle agenzie o enti speciali, non si cambiano né i suonatori né soprattutto la musica, ma viene reso difficile se non impossibile quel collegamento costante fra le politiche dei vari ser­vizi che è una delle condizioni indispensabili per poter intervenire non so­lo sugli effetti dell'emarginazione, ma anche sulle cause.

 

Funzioni dei comprensori

In prima, larga approssimazione le funzioni da attribuire ai comprenso­ri dovrebbero essere tutte quelle che non possono essere svolte a livello di Unità locale dei servizi e cioè: programmazione urbanistica (l'esecuzio­ne dovrebbe invece essere affidata alle U.L.S.); piani di sviluppo dell'indu­stria, dell'agricoltura, dell'artigianato, del commercio: formazione profes­sionale, riqualificazione, aggiornamento e riconversione del personale; ospe­dali comprensoriali (superando l'artificiosa distinzione vigente fra ospeda­li provinciali e regionali); trasporti e viabilità di interesse locale; parteci­pazione alla programmazione locale e regionale, ecc.

Si avrebbero in tal modo due enti di programmazione locale e di ge­stione: le Unità locali dei servizi ed i comprensori (3).

 

Punti di riferimento dell'unità locale dei servizi e dei comprensori

Nel documento della Regione Toscana, Dipartimento Sicurezza Sociale, del 6-12-9972 «Contributi al programma regionale dei servizi sociali e sa­nitari», di cui pubblicheremo nel prossimo numero un estratto, viene pre­cisato che ciascuna Unità locale dei servizi (4) deve avere un proprio ospe­dale di zona: l'ospedale di zona costituisce pertanto, un punto di riferimen­to nell'individuazione dell'ambito territoriale ottimale.

Per quanto riguarda i comprensori riteniamo che sia proponibile come punto di riferimento l'Università, nel senso che ciascun comprensorio de­ve avere una sede universitaria (5) .

È evidente che la funzione e la funzionalità dei comprensori non è de­terminata solamente e neppure principalmente dalla presenza di una sede universitaria (così come per l'U.L.S. non lo è la presenza dell'ospedale di zona), giocando altre strutture, soprattutto l'industria, l'agricoltura, l'arti­gianato, ecc., un ruolo fondamentale.

 

Province

L'istituzione dei comprensori da parte delle Regioni è soprattutto ne­cessaria nei casi in cui per la limitata ampiezza del territorio e o per il basso numero degli abitanti, le Province siano nell'impossibilità tecnica e soprattutto politica di svolgere le funzioni che abbiamo prima indicato.

Ribadiamo che le Province devono operare il decentramento di quei servizi, oggi di loro competenza, ma che meglio potrebbero essere svolti a livello di zona, come, ad esempio, l'assistenza agli illegittimi, l'assistenza psichiatrica, in modo che tali servizi e il personale relativo siano inseribili nelle future U.L.S. (6).

Ricordiamo inoltre che, mentre le Regioni hanno competenza sulle cir­coscrizioni comunali (modifica dell'ambito territoriale, creazione di nuovi comuni, fusione tra comuni, ecc.), la Costituzione stabilisce all'art. 133 che «il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuo­ve province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Re­pubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione».

Pertanto, anche se compete al Parlamento (e non alle Regioni) l'ag­gregazione di due o più province in una sola e la modifica dell'ambito ter­ritoriale (la creazione di nuove province è invece a nostro avviso da re­spingere decisamente), è pur vero che le province possono consorziarsi fra di loro per prefigurare di fatto i futuri comprensori.

 

Il parere di un consigliere provinciale

Come osservava giustamente il consigliere provinciale Bruno Re, su l'Unità del 20-1-1972 nell'articolo «Riforma della Provincia per dare più po­tere alle autonomie locali» si tratta di «realizzare il massimo di efficienza con il massimo di democrazia. Occorre evitare una vanificazione delle pre­rogative dei comuni con una proliferazione di organismi settoriali che sot­traggono poteri decisionali alle assemblee elettive e rendono con ciò an­che più difficile una effettiva partecipazione dei cittadini alla determinazio­ne delle scelte. È necessario dunque trovare una dimensione supercomu­nale che sia al tempo stesso proiezione del potere democratico del Comu­ne e momento unificatore e coordinatore strutturato orizzontalmente.

«Questa questione porta immediatamente l'attenzione sulla Provincia che attualmente è un ente che sta in mezzo tra il Comune e la Regione, ma rappresenta un diaframma e non corrisponde alle esigenze su enunciate (...). Questo istituto è nato infatti come ripartizione amministrativo-burocratica dell'ordinamento statale ed ha attribuzioni che la configurano come un en­te speciale obbligato e con la facoltà di compiere alcune prestazioni (as­sistenza all'infanzia, ai figli illegittimi, ai malati di mente; viabilità provin­ciale; caccia e pesca, ecc.).

«Non può essere questo, evidentemente, il riferimento quando si av­verte la necessità di un'area sufficientemente ampia, per l'individuazione dei problemi dello sviluppo, per dare dimensioni economiche ad essenziali ser­vizi ed interventi pubblici e per configurare una istanza che possa assume­re responsabilità sul piano territoriale e del programma economico a li­vello infraregionale. D'altro canto una abolizione pura e semplice della Pro­vincia (come è stata a suo tempo proposta da La Malfa) può risolversi in una strutturazione neo-centralistica dello Stato, fondata sul centralismo vecchio dello Stato e su un nuovo centralismo delle Regioni.

«È dunque evidente l'esigenza di una “rifondazione” della Provincia, riformata istituzionalmente, con una ristrutturazione delle sue funzioni, dei suoi organi e della circoscrizione territoriale, allo scopo di finalizzarla e renderla corrispondente agli scopi sopra ricordati. La nuova Provincia do­vrebbe assumere insomma la fisionomia di una forma di associazione di Comuni che agiscano su un certo territorio, capace di assurgere ad istanza di rappresentanza globale della popolazione e di realizzarsi come momento sovracomunale tendente a dare più ampie dimensioni a tutta una serie di interventi e di servizi.

«Si tratterà di vedere se la nuova istanza debba essere non solo “su­periore” ma anche separata dal Comune o invece emanazione diretta del Comune e pertanto se l'assemblea elettiva del nuovo organismo debba essere nominata con elezioni di primo o di secondo grado. Ma non mi pare che questa questione debba essere ora definita.

«Il problema centrale è quello di avere non solo coscienza della esi­genza di una trasformazione della Provincia per una piena realizzazione della riforma regionale, ma di operare perché il nuovo organismo possa na­scere dalla sperimentazione diretta, da una serie di esperienze verificate dal basso. La questione non riguarda dunque soltanto gli addetti ai lavori, i membri dei consigli provinciali, ma tutti coloro che sono impegnati nel movimento autonomistico, nella battaglia per le riforme. È auspicabile dunque che la discussione su queste questioni si apra anche nei quartieri, oltreché nei comuni».

 

Funzioni delle Regioni

Dal nostro discorso sulle unità locali dei servizi e sui comprensori co­me nuovi organismi per una piena realizzazione della riforma regionale ri­sulta chiaramente anche la nostra concezione sulle funzioni delle Regioni.

Esse dovrebbero essere quelle di programmazione (quale sintesi delle istanze della base), di legislazione specifica (che dovrà indicare gli obiet­tivi da conseguire e non essere una sorta di regolamentazione dettagliata e soffocatrice dei poteri e delle autonomie locali) e di vigilanza (intesa non in modo fiscale, ma in senso promozionale e di aiuto tecnico).

Le Regioni pertanto non dovrebbero svolgere alcuna funzione operati­va né direttamente, né indirettamente (cioè tramite i propri uffici o tramite agenzie), ma, lo ripetiamo, dovrebbero invece delegare la gestione dei ser­vizi alle Province e ai Comuni nella prospettiva della costituzione delle unità locali dei servizi e dei comprensori.

 

Legge sulla zonizzazione della Regione Lombardia

A tale riguardo vi è da segnalare come iniziativa positiva la legge del­la Regione Lombardia 37 del 5 dicembre 1972 (7) concernente «Istitu­zione e regolamentazione dei comitati sanitari di zona, finanziamento delle iniziative di medicina preventiva, sociale e di educazione sanitaria e pro­posta di aggiornamento sanitario» (spese stanziate per il 1972 L. 5 mi­liardi), purché essa sia l'inizio di una unificazione degli interventi sanitari con quelli sociali, scolastici, abitativi, ricreativi, culturali, ecc.

La zonizzazione del territorio è infatti la condizione indispensabile per l'individuazione dei livelli istituzionali che, come si legge nella relazione dell'assessore alla sanità della Regione Lombardia, «consentirà alla Re­gione di delegarvi le sue competenze in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera proprie alla dimensione di base» e, aggiungiamo noi, quelle degli altri servizi sopra indicati.

La zonizzazione inoltre deve tener conto della istituzione delle comu­nità montane (Legge dello Stato 5 dicembre 1971 1102 e relativa legge regionale di attuazione) allo scopo, anche in questo caso, di evitare la pro­liferazione dei livelli istituzionali e la settorializzazione delle competenze.

 

Quadro di riferimento e obiettivi intermedi

Spesso ci viene rivolta l'accusa di essere dei teorici, dei tecnocrati, di non tener conto dei bisogni immediati e di proporre cose astratte o rea­lizzabili solo nei tempi lunghi.

In genere queste accuse non sono altro che un comodo schermo per mascherare l'opposizione alla nostra linea politica da parte di coloro che non hanno il coraggio di contestare e nemmeno di discutere (È il caso, fra l'altro, di molti dirigenti e di molti aderenti delle associazioni di invalidi fi­sici, psichici e sensoriali).

Riteniamo fermamente che, se non si vuole procedere nei servizi come un'armata Brancaleone, occorre avere ben presente un quadro di riferimento. Esso non deve costituire ovviamente né una fuga in avanti, né un alibi per lasciare le cose come stanno in attesa di sperati giorni migliori (ad esempio l'attesa magica di leggi-quadro che dovrebbero risolvere tut­to), ma la cornice indispensabile per la ricerca degli obiettivi intermedi a medio e breve termine, e per le iniziative che immediatamente si possono rivendicare e sono subito realizzabili.

 

Iniziative immediate di competenza della Regione

Premettiamo che a nostro avviso l'attuale situazione politica nazionale non consente l'emanazione di una valida legge di riforma dell'assistenza, ma piuttosto di una controriforma diretta solo a razionalizzare l'emargina­zione e la segregazione.

Riteniamo pertanto che oggi gli interlocutori sui quali premere siano le Regioni, le Province ed i Comuni.

Indichiamo pertanto le iniziative che riteniamo in linea con il quadro di riferimento proposto e cioè:

- interventi non solo sugli effetti ma anche sulle cause;

- unità locali dei servizi e comprensori;

- servizi globali, onnicomprensivi e partecipati dai cittadini (8).

 

Interventi non legislativi

La Regione ha già la possibilità di adottare provvedimenti non legi­slativi, perciò di immediata attuazione, in linea con gli obiettivi di fondo indicati nella parte prima.

Ne indichiamo alcuni:

a) rifiuto di finanziare la costruzione di nuovi istituti di ricovero per minori, anziani, handicappati, di nuovi ospedali psichiatrici, di nuovi centri ambulatoriali per spastici, per subnormali, ecc.;

b) rifiuto di finanziare le spese di ristrutturazione delle istituzioni di cui al punto a), escluse quelle di manutenzione assolutamente indiffe­ribili;

c) rifiuto di erogare contributi alle istituzioni di cui sopra, escluso il pagamento delle rette a carico della Regione;

d) applicazione della legge 17-7-1890 6972 per quanto concerne in particolare la modifica degli statuti e l'unificazione e lo scioglimento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;

e) richiesta alle amministrazioni comunali di dare applicazione ai D.P.R. 11-2-1961 n. 264 e 22-12-1967 1,518 sulla medicina scolastica. La vi­gilanza sulla applicazione delle disposizioni citate è affidata anche al me­dico provinciale che oggi è un organo della Regione. Inserimento nel bi­lancio della Regione di adeguati stanziamenti per i Comuni. Una interpreta­zione non restrittiva e soprattutto non emarginante dei D.P.R. sopra citati consentirebbe da un lato l'avvio della prevenzione secondaria nel campo medico e psico-sociale e d'altro lato permetterebbe ai ragazzi handicappa­ti, compresi quelli gravi, di frequentare la scuola.

Specialmente nella fase iniziale e per i casi più gravi, la frequenza po­trebbe avvenire in classi speciali presso le scuole comuni. Gli altri ragazzi handicappati potrebbero frequentare, a seconda dei casi, classi comuni o classi di rotazione;

f) richiesta ai Comuni (9) di provvedere al ricovero dei minori, de­gli inabili e degli anziani segnalati dalla pubblica sicurezza solo nei casi ove non sia possibile provvedere con altri mezzi e riesame della situazione delle persone oggi ricoverate. (La Regione è tenuta a provvedere al man­tenimento degli inabili al lavoro che si trovino nelle condizioni di cui all'art. 154 del T.U. delle leggi di P.S.);

g) richiesta ai Comuni affinché provvedano ad esercitare le funzio­ni di sorveglianza sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ai sensi degli art. 18, 19 e 91 della legge 17-7-1890 6972 e dell'art. 132 del R.D. 4 febbraio 1915 148 (vedasi al riguardo anche la sentenza della Cor­te di cassazione 561 del 3-11-1971);

h) pressione sull'INAM perché dia applicazione al decreto del Mi­nistro del lavoro del 21 dicembre 1956 concernente le malattie da conside­rarsi specifiche della vecchiaia e alle disposizioni di legge relative alla li­bera scelta del medico da parte delle persone ricoverate negli istituti di assistenza;

i) promozione di convenzioni fra gli enti nazionali (ONMI, ENAOLI, Ministero di grazia e giustizia, ecc.) e fra gli enti locali (ECA, Patronati scolastici, IPAB), affinché le prestazioni siano fornite dai Comuni (even­tualmente in via transitoria anche dalle Province fino a quando non suben­trino i Comuni), fermo restando il carico finanziario degli enti che oggi ne abbiano la competenza istituzionale. Le convenzioni potrebbero prevedere che tutto o parte del personale degli enti che oggi hanno la competenza isti­tuzionale operi alle dipendenze funzionali dei Comuni e delle Province, con­servando l'attuale rapporto di lavoro a tutti gli effetti (vedere a quest'ulti­mo riguardo la convenzione intervenuta tra la Provincia di Torino e l'Opera pia ospedali psichiatrici di Torino);

l) azione promozionale nei confronti delle Province, dei Comuni, degli ECA, delle IPAB ecc. per sollecitare la loro collaborazione per l'istitu­zione di servizi alternativi. In particolare dovrebbe essere richiesto agli ECA e alle IPAB di riconvertire il loro patrimonio per la predisposizione di servizi alternativi gestiti dai comuni, consorzi di comuni, comunità monta­ne e province;

m) utilizzazione dei fondi ospedalieri regionali per la creazione di strutture sanitarie inseribili nelle future U.S.L. (Ospedali di zona);

n) richiesta agli enti operanti nella regione di dare piena applica­zione:

- al D.M. 21 marzo 1970 concernente l'edilizia scolastica e l'abo­lizione delle barriere architettoniche nella scuola;

- alla circolare del Ministero dei lavori pubblici 4809 del 15 giugno 1968 che prevede l'abolizione delle barriere architettoniche nei nuo­vi edifici pubblici o aperti al pubblico;

o) richiesta agli I.A.C.P., ai comuni e agli altri enti dell'edilizia pub­blica affinché diano applicazione all'art. 27 della legge 30-3-1971 118 per quanto concerne gli alloggi per gli invalidi, di modo che quando il relativo regolamento verrà emanato, gli invalidi possano beneficiare della assegna­zione di alloggi idonei;

p) atti politici nei confronti del Governo affinché sia emanato al più presto il regolamento di attuazione dell'art. 27 della legge 30-3-1971 118 che doveva essere promulgato entro l'aprile 1972.

 

Provvedimenti legislativi che non importano obbligatoriamente stanziamenti finanziari da parte della Regione

Questi provvedimenti vengono distinti da quelli che verranno indicati nel punto seguente in quanto essi non richiedono obbligatoriamente nuovi stanziamenti finanziari.

Essi riguardano:

a) l'attribuzione alle U.L.S. o transitoriamente ai singoli comuni del­le competenze dei Patronati scolastici (10) e degli E.C.A , ferma restando la impossibilità di sopprimere detti enti con legge regionale, In definitiva si tratta di conservare a detti enti solo i compiti di erogare prestazioni in denaro, in base a decisioni prese dai comuni. In tal modo verrebbe anche ad essere limitato il potere politico degli enti suddetti, rendendo più faci­le, ad esempio, la riconversione dei loro patrimoni, spesso ingenti, per la creazione di servizi alternativi (ad esempio di comunità alloggio inserite nelle comuni case di abitazione per minori, adulti e anziani);

b) l'attribuzione ai comuni o alle province (problema da approfon­dire) dei compiti dei consorzi provinciali per l'istruzione tecnica (vedere il punto precedente);

c) l'attribuzione alle U.L.S. delle funzioni di controllo degli istituti pubblici e privati di vigilanza, ferma restando alle Regioni quelle di vigi­lanza;

d) la definizione degli interventi nei riguardi delle persone che la Regione deve assistere (vedere il capitolo precedente, lettera f) ;

e) le norme applicative della legge sulla casa 865 per quanto concerne la costruzione delle case albergo, di modo che ciascuna casa­albergo comprenda alloggi individuali e piccole comunità (al massimo di 10-12 posti) per i lavoratori, i lavoratori immigrati, gli studenti, le persone anziane. I comuni, ai quali la legge 865 affida le competenze per le. case al­bergo, avrebbero in tal modo la possibilità di predisporre soluzioni alter­native per gli handicappati anziani oggi costretti a subire il ricovero in isti­tuti;

f) l'attribuzione alle U.L.S. di tutti i compiti sanitari, sociali, ricrea­tivi e culturali nei confronti delle persone ricoverate negli istituti pubblici e privati di assistenza, esclusi quelli di competenza di altri enti (ad es. mutue), in modo da ridurre le funzioni degli istituti al solo ricovero. Que­sti servizi dovranno essere svolti nell'ambito dei servizi dell'U.L.S. rivolti a tutti i cittadini;

g) l'istituzione presso i comuni centri di formazione professionale (CAP) di corsi per handicappati nei casi in cui essi non possano o voglia­no proseguire gli studi presso le scuole superiori o non siano effettiva­mente in grado di frequentare i corsi comuni dei C.A.P.

 

Provvedimenti legislativi che richiedono stanziamenti finanziari della Regione

Si ritiene che, stante l'attuale situazione, la migliore impostazione di una legge regionale per l'avvio di una reale riforma sia quella di fornire in­centivi economici alle U.L.S. e ai comprensori che provvedono alla istitu­zione di servizi alternativi. Ad evitare che questi servizi non siano înseri­bili nelle U.L.S, e poi nei comprensori occorrerebbe che l'emanazione della legge fosse preceduta o almeno avesse luogo contemporaneamente alla zonizzazione del territorio.

Le incentivazioni potrebbero riguardare:

a) la costituzione delle U.L.S. o la fusione dei comuni della zona in uno solo. Si ricorda al riguardo che la Regione ha competenza sulle circo­scrizioni comunali;

b) la istituzione da parte del comune o del consorzio di comuni di ciascuno dei seguenti interventi:

- assistenza domiciliare sanitaria e sociale alle persone e nuclei familiari (11) ;

- medicina scolastica;

- affidamenti familiari a scopo educativo e comunità alloggio (6-8 posti al massimo) per i minori in situazione di abbandono non adottati e per quelli che non possono continuare a vivere nel proprio nucleo fami­liare (12);

- affidamenti a scopo adottivo in collaborazione con i tribunali per i minorenni;

- comunità alloggio per anziani (10-12 posti al massimo) inse­rite in modo sparso nelle comuni case di abitazione (13);

- assistenza sanitaria, ospedaliera e farmaceutica agli handi­cappati fisici, psichici, sensoriali nei casi in cui dette prestazioni non sia­no fornite da altri enti.

c) istituzione di laboratori protetti di zona con capienza massima di 20 posti per gli handicappati per i quali non sia effettivamente attuabile og­gi l'inserimento nel lavoro comune. f laboratori protetti dovrebbero essere aperti anche a lavoratori non handicappati. Per l'inserimento nel lavoro de­gli handicappati medi e lievi potrebbe essere studiata la possibilità di ero­gare una integrazione salariale nei casi in cui il rendimento lavorativo sia molto inferiore a quello medio dei lavoratori non handicappati (vedere al ri­guardo l'iniziativa della Provincia di Modena).

Si osserva che le U.L.S. ipotizzabili in Italia sono circa 1100 (55 milioni di abitanti diviso per 50.000 abitanti in media per ciascuna U.L.S.). Pertan­to, se in ogni U.L.S. viene istituito un laboratorio protetto di 20 posti al massimo, il numero massimo complessivo degli handicappati frequentati i laboratori protetti sarebbe di 20 x 1100 = 22.000 e cioè largamente suffi­ciente ad accogliere tutti quelli gravi e gravissimi.

 

*  *  *

 

Non si ritiene invece che sia utile l'erogazione di prestazioni economi­che, salvo il caso in cui detto intervento sia risolutivo, in quanto la Regio­ne non dovrebbe svolgere interventi riparatori delle carenze dello Stato.

 

Formazione, riqualificazione, aggiornamento e riconversione degli operatori sociali (14)

È di tutta evidenza che la creazione di servizi alternativi non è possibi­le senza la presenza di idoneo personale. Inoltre occorre provvedere, e que­sto è un problema di importanza primaria, alla riqualificazione, aggiorna­mento e riconversione del personale in servizio. Infatti il cambiamento dei contenuti dei servizi e il cambiamento dei contenuti della formazione non possono che procedere contemporaneamente. Si ritiene inoltre che il pro­blema della formazione degli operatori sociali debba essere affrontato in­quadrandolo nell'ambito di tutta la formazione professionale. Su questo argomento vedasi l'articolo pubblicato in questo numero.

 

 

 

(1) Sulla ripartizione in circoscrizioni dei comuni con popolazione superiore ai 60.000 abitanti, nella scorsa legislatura era stata presentata il 26-2-1971 alla Camera dei Depu­tati una interessante proposta di legge (n. 3143), sottoscritta dai capi gruppo parlamentari dei partiti dell'arco costituzionale (Andreotti, Bertoldi, Bozzi, Ceravola, Ingrao, Orilia e Orlandi). Essa prevedeva l'elezione diretta del Consiglio di circoscrizione da parte degli elettori residenti nella circoscrizione, il trasferimento dagli uffici comunali delle «funzioni attinenti ai servizi che si svolgono nella circoscrizione e che più direttamente riguardano gli interessi della popolazione della zona, con particolare riferimento alle seguenti materie: gestione del patrimonio e del demanio comunale, opere di urbanizzazione primaria e secondaria, lavori pubblici in genere e verde pubblico, servizi igienico-sanitari e di net­tezza urbana, servizi anagrafici e di polizia urbana, attività culturali, servizi scolastici e servizi sociali in genere, servizi tributari, altri servizi di interesse locale».

La proposta è decaduta per fine legislatura e finora purtroppo non è stata ripresentata.

(2) È il caso del progetto di legge n. 85 di iniziativa dei consiglieri regionali lom­bardi Leone, Molteni e Scaroni per la creazione della agenzia autonoma regionale per lo sport sociale e l'attività motoria.

(3) Pur essendo d'accordo con i principi ispiratori, non possiamo però concordare con il contenuto della proposta dei comprensori di cui al progetto di legge n. 48 del 27-9-1972 dei consiglieri regionali piemontesi del P.C.I. Rivalta e altri, concernente «Individuazione ed istituzione dei comprensori» in conseguenza del fatto che, come prevede l'art. 6, le funzioni sono limitate ai seguenti compiti:

a) partecipare alla formazione ed all'aggiornamento del piano regionale secondo le modalità previste dalla legge sulle procedure per la formazione del piano di sviluppo regionale;

b) predisporre il piano comprensoriale di sviluppo ed il relativo piano urbanistico, espresso in forma di piano territoriale di coordinamento, esteso al territorio dell'intero comprensorio;

c) individuare, in concorso con gli organi regionali, gli ambiti sub-comprensoriali in cui si articola il piano comprensoriale;

d) concorrere all'attuazione del piano regionale per quanto ha attinenza al terri­torio comprensoriale;

e) realizzare - di concerto con gli Enti locali e con gli organismi sub-compren­soriali - il piano comprensoriale di sviluppo ed il piano territoriale di coordinamento;

f) esprimere pareri sulle questioni incidenti sulla programmazione regionale e sub-regionale;

g) promuovere e coordinare l'attività degli organi sub-comprensoriali del proprio territorio individuati nel piano comprensoriale.

Inoltre la dimensione demografica prevista nel progetto di legge è estremamente variabile: si passa infatti dai 2 milioni di abitanti del comprensorio di Torino ai 90.000 di quello di Borgosesia. Ora, dato che la dimensione demografica media delle Unità locali dei servizi è di circa 50.000 abitanti, non si comprende quali servizi possano essere svolti dal comprensorio di Borgosesia.

Ma soprattutto è inaccettabile l'impostazione di tipo economicistico e la conseguente mancata presa in considerazione dei servizi sociali, sanitari, scolastici, ecc.

Infine la prevista definizione da parte del comprensorio, in concorso con gli organi regionali, degli ambiti sub-comprensoriali in cui si articola il piano comprensoriale, è lesiva delle autonomie locali e in definitiva contrasta con tutto il discorso politico dell'Unità locale dei servizi.

(4) Nel documento le U.L.S. sono chiamate Unità locali di sicurezza sociale. Si tratta soltanto di una denominazione diversa.

(5) Intendiamo evidentemente un'università diversa: la gestione politica, in una pro­spettiva di democratizzazione, deve essere affidata all'organo politico-amministrativo del comprensorio, devono essere superate le facoltà con l'istituzione dei dipartimenti e infine occorre uno stretto legame dell'università con la realtà lavorativa e sociale.

(6) Vedasi al riguardo il documento «Ristrutturazione dei servizi della Provincia di Torino», in Prospettive assistenziali, n. 17, pag. 17 e segg.

(7) Una legge simile è stata emanata dalla Regione Emilia-Romagna.

(8) V. l'editoriale del n. 20 di Prospettive assistenziali.

(9) Si veda al riguardo la deliberazione consiliare della Regione Emilia-Romagna dell'8 giugno 1972.

(10) Vedansi al riguardo in questo numero le leggi della Regione Umbria n. 2 e 5 del 10 gennaio 1973.

(11) Si veda al riguardo in questo numero la legge della Regione Toscana «Provvidenze a favore dei Comuni e loro consorzi per l'assistenza domiciliare alle persone anziane». A nostro avviso però l'assistenza domiciliare andrebbe estesa a tutte le persone e nuclei familiari che ne hanno bisogno.

(12) Vedasi al riguardo la delibera della Provincia  di Torino del 17 maggio 1971 pubblicata sul n. 16 di Prospettive assistenziali.

(13) Vedasi la legge della Regione Umbria «Norme per l’assistenza a favore di minori, anziani e inabili al lavoro», riportata in questo numero.

(14) Utili indicazioni per quanto concerne la disciplina delle norme trasferite alle Regioni dai decreti delegati sulla formazione professionale possono essere tratte dalla legge della Regione Lombardia n. 21 del 17 luglio 1972 riportata in questo numero e dalla legge della Regione Toscana n. 8 del 31 maggio 1972, molto simili. Si noti anche l'ampiezza delle competenze delle Regioni in materia di formazione professionale.

 

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