Prospettive assistenziali, n. 19, luglio-settembre 1972

 

 

DOCUMENTI

 

RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE IN MERITO ALL'OBBLIGO SCOLASTICO DEI CIECHI

 

 

Pubblichiamo il ricorso alla Corte Costituzionale presentato dal Pre­tore della Spezia, Dr. Michele Marchesiello, in merito all'obbligo scolasti­co dei ciechi.

Se il ricorso verrà accolto, cesserà finalmente l'attuale ingiustificata esclusione dei ciechi dalla frequenza delle scuole comuni dell'obbligo.

 

 

PRETURA DELLA SPEZIA

 

Il Pretore, premesso che, nel corso dell'odier­no dibattimento, a carico di Giovanni Perugna, Gino Bordigoni e Maria Grassi, imputati della contravvenzione di cui all'art. 731 C. P. (1), il di­fensore degli stessi ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale quanto all'art. 1 della legge 26 Ottobre 1952 n. 1463, in relazione agli artt. 3 e 34 Cost.;

- ritenuto che l'accertamento circa la legitti­mità costituzionale del citato provvedimento è rilevante ai fini del presente giudizio, poiché - ove l'eccezione risultasse fondata e la norma ve­nisse dichiarata incostituzionale - gli imputati dovrebbero andare assolti dall'addebito;

 

osserva

 

L'eccezione appare non manifestamente infon­data, e meritevole di essere sottoposta al vaglio della Corte sotto il profilo della conformità dell'art. 1. L. 26 10 1952 agli artt. 3 e 34 Cost.

La disposizione in esame, infatti, con la stabi­lire che «L'obbligo scolastico sancito dalle vi­genti disposizioni si adempie per i ciechi in con­dizioni di educabilità, nelle apposite scuole spe­ciali», determina una situazione di profonda ine­guaglianza nei confronti dei bambini ciechi (o gravemente menomati nella vista) privandoli del­la possibilità di utilizzare l'esperienza scolastica come mezzo non solo di istruzione, ma anche di inserimento e adattamento sociale.

Escluso che la menomazione nella facoltà vi­siva possa equipararsi o farsi coincidere con una menomazione della sfera intellettiva, sem­bra che alla base della norma in esame sia l'at­tribuzione aprioristica di una inferiorità “tecni­ca” al bambino cieco, che per la sua menomazio­ne non sarebbe in grado di inserirsi proficuamen­te nella attività di una classe “normale”. - Tale convincimento non sembra trovare conferma nel­la realtà e - comunque - non nella forma as­soluta e generalizzata in cui il Legislatore lo ha posto alla base della decisione di escludere dal­la scuola pubblica ordinaria i bambini privi del­la vista.

Al contrario, le testimonianze e i documenti acquisiti al dibattimento dimostrano in concre­to che molti di questi bambini hanno potuto trar­re profitto dalla frequenza di una scuola pubbli­ca, sia pure per brevi periodi di tempo, affidan­dosi la soluzione dei problemi, che indubbiamen­te si sono presentati di volta in volta, alla buo­na volontà e alla sensibilità degli insegnanti, nonché alla collaborazione di questi (per l'ap­prendimento delle necessarie tecniche) con in­segnanti specializzati.

La legge in questione appare in sostanza uno strumento di ingiustificata discriminazione, ne­gativo dal punto di vista strettamente individua­le come da quello sociale. La stessa collettività, infatti, relegando i bambini ciechi in età scolare presso gli istituti specializzati (indipendente­mente da una valutazione, caso per caso, delle possibilità di adattamento da parte del bambino stesso), priva se stessa dell'apporto di un co­spicuo numero di individui, sin da bambini avvia­ti a un certo tipo di esistenza (è l'universo delle professioni “da cieco”: fisioterapista, centralini­sta, rilegatore ecc., o delle carriere nell'ambito delle organizzazioni dei ciechi), e a un “destino” al quale pochi riescono a sottrarsi.

Da un punto di vista individuale, poi, non può non sfuggire come il bambino (e i suoi genitori) debba assoggettarsi - con il sistema vigente - alla scelta tra l'invio in un istituto specializzato e l'educazione familiare, tra due soluzioni - cioè - egualmente negative rispetto a quella - ne­gata - dell'accesso alla scuola pubblica.

Quanto agli istituti (che spesso - tra l'altro obbligano il bambino alla promiscuità con ciechi adulti o con minorati psichici), è stato da più parti osservato (da noti studiosi del problema) come sia estremamente diseducativo il pesante condizionamento del cieco alla propria menoma­zione e alla propria presunta “diversità”, quale viene realizzato istituzionalmente presso i cen­tri in esame.

Il sistema elaborato dal Legislatore presenta del resto un altro aspetto assai grave, che vale a giustificare le più grandi perplessità non solo sotto il profilo pedagogico, ma anche dal punto di vista del risultato concreto che spesso si ot­tiene, consistente nella esclusione di un gran numero di bambini ciechi dalla possibilità di fre­quentare la scuola, pubblica o d'istituto che sia.

Le “apposite scuole speciali” infatti, presso le quali i ciechi dovrebbero adempiere l'obbligo scolastico, non esistono in tutte le province: da ciò deriva la necessità di inviare i bambini in lo­calità spesso lontane dalla casa paterna (per esempio: le città, sede di istituto, più vicine a La Spezia, sono Genova e Reggio Emilia); a que­sta difficoltà si accompagna in taluni casi l'ulte­riore ostacolo costituito dalle particolari condi­zioni di salute di giovani che pur essendo in gra­do di frequentare una scuola nella città di resi­denza, hanno bisogno di cure assidue e costanti quali solo la famiglia può fornire.

Tutte queste situazioni - assai comuni - si risolvono in sostanziali dinieghi del diritto dell'istruzione, essendo le famiglie costrette alla scelta fra l'allontanamento da casa del bambino, con le conseguenze che è facile immaginare, e il ricorso (quando le condizioni economiche lo con­sentono) all'educazione familiare impartita da maestri specializzati.

Va infine considerata l'assurdità palese di una situazione in cui il cieco - obbligato sino a 14-15 anni a frequentare scuole specializzate, presu­mendosi una sua generale inettitudine a frequen­tare le scuole normali; - esaurita la «scuola dell'obbligo» e se intende proseguire gli studi, dovrà necessariamente farlo, in condizioni ben peggiori, presso le scuole ordinarie e fuori da­gli istituti presso i quali egli è stato costretto a formarsi.

Evidente, pertanto, appare il contrasto della disposizione in esame con gli artt. 3 e 34 della Costituzione.

Rispetto all'art. 3 e al primo comma dell'art. 34 - infatti - l'art. 1 L. 26/X/52 discrimina tra cie­chi e vedenti, senza che vi sia alla base di tale discriminazione (fondata sulla sola menomazio­ne fisica del cieco) - la minima giustificazione di ordine medico, pedagogico o tecnico (secon­do le conclusioni della più moderna tiflologia).

Rispetto all'art. 34 II (norma precettiva, secon­do quanto riconosciuto dalla stessa Corte Costi­tuzionale nella sent. n. 7 del 1967), la disposizio­ne in esame sancisce un obbligo il cui adempi­mento non è poi reso possibile in ogni caso, ri­spetto alla generalità dei destinatari: ciò in aper­to contrasto con il principio (correlativo a quel­lo della obbligatorietà) della gratuità della istru­zione elementare e media inferiore; e infatti, a causa della mancanza di almeno un istituto per ogni provincia - le famiglie che non vogliono o non possono mandare i bambini lontano da casa si trovano nella necessità di provvedere alla istruzione degli stessi in forma privata. Di que­sta situazione si sono rese evidentemente conto alcune amministrazioni provinciali (La Spezia, Bergamo), nell'assegnare una somma mensile direttamente alle famiglie dei bambini ciechi che ricevono l'istruzione in forma privata.

Ritenuta pertanto non manifestamente infon­data la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa degli imputati,

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 L. 11-3-53 n. 87

ordina

 

la sospensione del dibattimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte Costituziona­le, affinché sia decisa la questione di costituzio­nalità dell'art. 1 L. 26-10-952 n. 1463;

 

ordina inoltre

 

che a cura della cancelleria, la presente ordi­nanza sia notificata agli imputati e al loro difen­sore, nonché al Presidente del Consiglio dei Mi­nistri. A cura della cancelleria, la presente ordi­nanza, sarà inoltre comunicata, ai Presidenti del­le due Camere del Parlamento.

 

La Spezia, lì 12 Giugno 1972

IL PRETORE DR. MICHELE MARCHESIELLO

 

 

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