Prospettive assistenziali, n. 18, aprile-giugno 1972

 

 

NOTIZIARIO DEL CENTRO ITALIANO PER L'ADOZIONE INTERNAZIONALE

 

 

Data l'importanza della sentenza, ne pubbli­chiamo il testo integrale e il commento dell'av­vocato Ezio Adami.

 

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO

Decreto di adottabilità

Il Tribunale per i Minorenni di Milano compo­sto dai Sigg. dott.:

Luigi d'Orsi - Presidente

Giovanni Ingrasci - Giudice

Mirella Guarneri - Giudice Onorario

Giuseppe Cicorella - Giudice Onorario

Vista l'istanza 4 ottobre 1971 con la quale i co­niugi V.D. e M.S.E. chiedono che sia dichiarato lo stato di adottabilità del minore F. cittadino della Repubblica dell'Uganda nato (presumibil­mente) ad Abert (Uganda) il 12 dicembre 1970:

Sentito il P.M. il quale ha espresso parere con­trario all'accoglimento dell'istanza, osserva in

 

Fatto

 

Con ricorso 4 ottobre 1971 i coniugi V.D. nato a... il 14-6-1943 e M.S.E. nata a... il 4-2-1944 resi­denti a G. esponevano che essi, nell'ottobre 1970 si erano recati ad Abert, nel distretto Lango della Repubblica dell'Uganda, per prestare tem­poraneamente la loro opera di medici nell'ospe­dale «ope loch's Hospital». In detto Ospedale il 26-4-1971 era stato accolto un bambino di circa sei mesi trovato in istato di abbandono sul ciglio di una strada, che non era stato possibile identi­ficare, e che i ricorrenti e le autorità d'Uganda avevano indicato col nome di F. Essendosi affe­zionati al bambino i ricorrenti ne avevano otte­nuto dalle locali autorità l'affidamento e la tutela fino alla maggiore età.

Rientrati in Italia, i ricorrenti chiedevano che venisse dichiarato lo «stato di abbandono» (rec­tius «stato di adottabilità») del minore per adot­tarlo con adozione speciale; esibivano vari do­cumenti dell'autorità dell'Uganda comprovanti lo stato di abbandono del minore e il suo affida­mento in tutela ai ricorrenti.

Rimessi gli atti al Pubblico Ministero per le sue conclusioni, questi, ritenuto che il minore non era stabilmente residente in Italia, ma fruiva solo di un permesso temporaneo, chiedeva l'ar­chiviazione dell'istanza.

Pare poi che attualmente il minore sia nuova­mente in Uganda con i coniugi ricorrenti.

 

Motivi

 

Il procedimento in essere ripropone a questo Tribunale la questione dei limiti entro i quali può essere dichiarato lo stato di adottabilità dei mi­nori degli anni otto in istato di abbandono che non abbiano con la giurisdizione italiana il dupli­ce legame della cittadinanza italiana e della resi­denza nel territorio della Repubblica.

Come è noto l'art. 314/4 del codice civile, nel testo modificato dalla legge n. 431 del 1967 sull'adozione speciale «dispone che lo stato di adot­tabilità dei minori abbandonati deve essere di­chiarato dal Tribunale per i Minorenni del di­stretto nel quale essi si trovano». Una parte del­la dottrina e della giurisprudenza sembra poi orientata nel senso che l'espressione «si tro­va» vada interpretata non come semplice di­mora, ma come vera e propria stabile residenza. Se ne vorrebbe dedurre un difetto di giurisdizio­ne del giudice minorile italiano sia per i minori anche italiani che si trovino all'estero, sia per quelli aventi dimora solo temporanea in Italia.

Quanto ai minori di altra cittadinanza, taluni, sulla base della giurisprudenza consolidatasi in tema di adozione tradizionale, sostengono che l'adozione speciale del minore cittadino straniero sia possibile solo quando anche la sua legge nazionale contempli un istituto giuridico analogo, ed i requisiti per l'adozione sussistano per en­trambe le leggi.

Per chi accetti entrambe le suddette interpre­tazioni il campo dell'adozione speciale risulta. invero, alquanto ristretto. Questo Tribunale ri­tiene di non poter condividere le suddette inter­pretazioni restrittive.

Circa il preteso difetto di giurisdizione del riti­dice italiano per i minori non residenti in Italia, va qui sottolineata in primo luogo l'erroneità del procedimento interpretativo di desumere i limiti della giurisdizione del giudice italiano dalla som­ma delle competenze territoriali di ciascuno di essi. In altri termini sarebbe erroneo affermare che, siccome una determinata controversia non rientra nella specifica competenza territoriale di alcun giudice italiano, essa sia sottratta alla giurisdizione italiana. I limiti della giurisdizione ita­liana in materia civile devono invece desumersi dal combinato disposto degli artt. 2 e 4 c.p.c , con la conseguenza che quando una determinata materia non sia espressamente contemplata nel­la specifica competenza territoriale di alcun giu­dice italiano, e non dimeno la giurisdizione ita­liana sulla stessa non risulti esclusa dagli artt. 2 e 4 c.p.c., qualunque giudice della Repubblica può conoscerne purché sia competente per materia. Ad esempio, una controversia relativa ad un con­tratto stipulato e da eseguirsi all'estero fra due cittadini italiani non aventi né domicilio né resi­denza né dimora nel territorio della Repubblica non rientra nella competenza territoriale specifi­ca di alcun giudice della Repubblica. Nondimeno, poiché per una controversia di tal genere l'art. 2 c.p.c. non solo non esclude la giurisdizione ita­liana, ma addirittura vieta che questa sia conven­zionalmente derogata dalle parti, deve ritenersi che qualunque giudice della Repubblica che sia competente per materia può conoscerne.

Analogamente, in tema di adozione speciale, la competenza a dichiarare l'adottabilità dei cit­tadini italiani minori degli anni otto che si trovino all'estero in istato di abbandono non è contem­plata come specifica competenza territoriale di alcun Tribunale per i Minorenni. Nondimeno sa­rebbe erroneo escludere i minori suddetti dall'adozione speciale fino a quando non vengano trasferiti in Italia (si pensi al caso già più volte verificatosi in concreto e sul quale questo Tribu­nale ha già più volte affermato la propria giuri­sdizione, in cui minori in situazione siffatta siano richiesti in adozione speciale da altri cittadini italiani residenti nello stesso paese straniero).

Deve ritenersi che in tali casi, poiché la giuri­sdizione italiana non è esclusa da norma alcuna (e sarebbe assurdo negarla in rapporti di stato e di famiglia riguardanti esclusivamente cittadini italiani) la procedura possa essere instaurata in­nanzi a qualsiasi Tribunale per i Minorenni della Repubblica.

Quanto alla interpretazione da darsi all'espres­sione usata dall'art. 314/4 c.c. per fissare la com­petenza territoriale di ciascun Tribunale per i Mi­norenni: «distretto nel quale (i minori) si trovano», questo Tribunale, come già affermato in altra precedente pronuncia di adottabilità (D.M. 1-7-'70), ritiene che essa vada intesa nel senso più ampio, anche di semplice presenza fisica mo­mentanea e non si richieda, ai fini della compe­tenza territoriale, che il minore abbia preso né stabile residenza nel distretto del Tribunale e neppure «dimora», nel senso di abitazione di una qualche durata, sia pure breve. Tale interpre­tazione, oltre che fondata sulla lettera della legge, appare la più logica ove si consideri che i concetti di residenza e di dimora sono troppo comuni nel nostro ordinamento giuridico perché si possa pensare ad un inesatto uso dei termini giuridici da parte del legislatore. Se questi pre­ferì usare l'espressione «distretto nel quale si trovano», piuttosto che uno dei termini tradizio­nali di ben noto significato giuridico, fu certa­mente perché volle deliberatamente prescindere dai concetti tradizionali, e dare al giudice che avesse avuto notizia della presenza sia pur mo­mentanea, nella sua giurisdizione, di un minore in istato di abbandono, il compito di occuparsene o di dichiararlo adottabile.

Orbene, in relazione alla fattispecie, il piccolo F., nel momento in cui venne instaurato il pro­cedimento di adottabilità, trovavasi certamente nel distretto giudiziario di Milano e questo Tri­bunale era competente per territorio a dichiarar­ne l'adottabilità. Nessun rilievo può avere il fatto che si trattasse di dimora temporanea e non di stabile residenza.

alcuna rilevanza potrebbe avere poi ai fini della competenza il fatto di un successivo trasfe­rimento del minore nuovamente all'estero. In forza dell'art. 5 c.p.c., infatti, la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo allo sta­to di fatto esistente al momento della proposi­zione della domanda, e non hanno rilevanza, ri­spetto ad esso, i successivi mutamenti dello sta­to medesimo.

Quanto ai problemi sollevati, in tema di adozio­ne speciale, dalla cittadinanza dell'adottando, questo Tribunale ha già ritenuto, con numerose precedenti pronunce di adottabilità e di adozione speciale di minori abbandonati di cittadinanza straniera, che non è necessario, ai fini suddetti, che la legge nazionale dell'adottando contempli un istituto giuridico analogo.

Le pretese analogie con la giurisprudenza con­solidatasi in tema di adozione tradizionale non reggono ad un attento esame. Invero l'adozione tradizionale di uno straniero da parte di un citta­dino italiano, non comportando l'acquisto della cittadinanza da parte dell'adottando, postula che il nuovo status attribuito all'adottato possa spie­gare efficacia anche secondo la sua legge nazio­nale che, a norma dell'articolo 17 delle disposi­zioni sulla applicazione della legge in generale, continua a regolare il suo stato e la sua capacità. Viceversa in tema di adozione speciale l'articolo 5 della legge n. 431 del 1967, contemplando l'ac­quisto immediato della cittadinanza italiana da parte del minore straniero adottato con adozione speciale da coniugi italiani, rende irrilevanti le disposizioni della legge straniera in tema di ado­zione e l'eventuale completa inesistenza di esse, dal momento che lo status del minore divenuto cittadino italiano, dovrà essere regolato in segui­to soltanto dalla legge italiana.

Qualche perplessità potrebbe sorgere per la «dichiarazione di adottabilità», nei confronti del cittadino straniero. Questo Tribunale, però, come s'è detto, ha già più volte ritenuto di poter emet­tere tale pronuncia nei confronti dei minori stra­nieri che si trovino in istato di abbandono in Italia.

Vale la pena di ribadirne qui i motivi.

Lo «stato di adottabilità», secondo la dottrina e la giurisprudenza più autorevoli, non conferi­sce al minore un nuovo «status» (che, se tale, proprio in forza dell'art. 17 delle preleggi sareb­be inapplicabile allo straniero la cui legge nazio­nale non lo contempli). Lo «stato di adottabili­tà» è invece soltanto la constatazione ufficiale, da parte del giudice, di uno stato di fatto di ab­bandono. Come tale essa può aver luogo nei con­fronti di qualunque minore degli anni otto citta­dino o straniero, che si trovi nella circoscrizione territoriale del Tribunale. Il fatto che essa com­porti la sospensione della patria potestà contra­sta solo in apparenza con l'art. 20 delle preleggi (il quale, come è noto, dispone che i rapporti fra genitori e figli siano regolati dalla legge nazio­nale del padre). Invero, a parte il fatto che i mi­nori stranieri dichiarati fino ad ora adottabili da questo Tribunale erano figli di genitori ignoti, va tenuto presente l'art. 31 delle preleggi secondo cui in nessun caso le leggi di uno stato estero possono avere efficacia nel territorio della Re­pubblica quando siano contrarie all'ordine pub­blico e al buon costume. Tale certamente sareb­be l'ipotesi di una legge straniera che contem­plasse la intangibilità della patria potestà di un genitore che abbia abbandonato il figlio. Invero la decadenza dalla patria potestà del genitore che abbia abbandonato il figlio, e il diritto di que­st'ultimo di fruire dell'istituto dell'adozione speciale e dei conseguenti vantaggi educativi e psi­coaffettivi di avere altri genitori, deve conside­rarsi a giudizio di questo Tribunale materia di ordine pubblico, in rapporto alla quale sono inap­plicabili eventuali leggi straniere contrarie.

Più complessa è la questione se possa essere dichiarato lo stato di adottabilità e la conseguen­te adozione speciale di un minore che si trovi in istato di abbandono all'estero. La risposta deve essere certamente negativa ove il procedimento venga instaurato nelle forme di cui all'articolo 314/5 1° comma c.c. (segnalazione dello stato di adottabilità da parte di «chiunque»). Sono poi ovviamente da escludersi le altre ipotesi di cui all'art. 314/5. Pure ovviamente da escludersi per i minori stranieri che si trovino all'estero l'ipotesi di istanza da parte del P.M. ai sensi dell'art. 314/4 c.c. A diversa soluzione deve invece giungersi, secondo questo Tribunale, nell'ipotesi di istanza di adottabilità ai sensi dell'art. 314/4 ­c.c. accompagnata da specifica domanda nomina­tiva di adozione da parte di coniugi italiani (spe­cie se residenti all'estero) nei confronti di un minore straniero che si trovi pure all'estero. La soluzione negativa che taluni potrebbero essere indotti a sostenere deve cadere, a giudizio di questo Tribunale, di fronte ad una dimostrazione per assurdo; infatti non può certamente essere negata la giurisdizione italiana a cittadini italiani che chiedano di adottare con adozione speciale un minore straniero in istato di abbandono, il quale deve a sua volta divenire cittadino italiano in conseguenza dell'adozione.

In tal caso il subordinare l'adottabilità e l'ado­zione al trasferimento fisico del minore in Italia appare con tutta evidenza interpretazione assur­da se meramente formale e compiuta al solo fine di farne discendere la giurisdizione e la compe­tenza del giudice italiano. (Diverso carattere e scopo avrebbe, ovviamente, il trasferimento de­gli adottanti e dell'adottando in Italia qualora fos­se reso necessario da esigenze istruttorie).

Per tutte le suesposte considerazioni non ritie­ne questo Tribunale che vi sarebbe difetto di giurisdizione del giudice italiano per la dichiara­zione di adottabilità del piccolo cittadino ugan­dese F., ai fini della sua successiva adozione spe­ciale da parte dei coniugi D. cittadini italiani nep­pure se il minore non avesse mai soggiornato in Italia.

Ma, come si è detto innanzi, il piccolo cittadino ugandese F. trovavasi nel distretto giudiziario di Milano alla data di apertura del procedimento di adottabilità il che vale ad escludere ogni difetto di giurisdizione o di competenza di questo Tribu­nale. Nessun rilievo hanno gli eventuali succes­sivi mutamenti di residenza (art. 5 c.p.c.).

Quanto allo stato di abbandono del minore, esso è ampiamente ed incontestabilmente pro­vato dalle attestazioni delle sue autorità nazio­nali esibite dai ricorrenti. Un'ultima considera­zione va fatta nel caso in esame.

I coniugi D. sono stati nominati tutori del mi­nore senza alcun vincolo di rimanere in Uganda, e senza limiti di tempo.

Anche il permesso rilasciato ai D. il 2 settem­bre dal Commissario Distrettuale di Lango per recarsi in Italia col bambino non reca limiti tem­porali.

Un limite temporale di tre mesi sembra indi­cato solo nel certificato dell'ufficio controllo pas­saporti, ma esso oltreché irrilevante ai fini della adottabilità è palesemente una ripetizione delle dichiarazioni dei partenti non un limite di durata al permesso di soggiorno all'estero.

L'istanza dei coniugi D. va quindi accolta.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale per i Minorenni di Milano dichiara lo stato di adottabilità del minore di cittadinanza ugandese F. nato a Abert (Uganda) il 12-12-1970. Ordina che il presente provvedimento sia comu­nicato ai ricorrenti coniugi D. alla loro residenza di G. e al Pubblico Ministero.

Milano, 5-1-1972

IL PRESIDENTE V. D’ORSI

 

 

Commento di Ezio Adami

Il suesteso decreto del Tribunale per i mino­renni di Milano merita di essere segnalato quale concreto e fattivo contributo della magistratura all'azione assistenziale a favore dei minori in stato di abbandono (nella specie di un minore di nazionalità straniera).

Deve in particolare essere sottolineato il lode­vole sforzo dei giudici di superare alcuni grossi ostacoli che la nostra legislazione frappone all'adozione legittimante dei minori di nazionalità straniera, adozione che costituisce l'unico stru­mento giuridico per inserire il minore in una fa­miglia in qualità di figlio.

Le questioni affrontate e gli argomenti svolti nel decreto sono molto interessanti. Convincente ci sembra la tesi secondo la quale le norme sulla competenza territoriale non pos­sono far venir meno o limitare la giurisdizione italiana.

Invece ci convince meno la tesi dello stato di adottabilità, considerato in modo autonomo come semplice accertamento della situazione di abban­dono del minore e non come momento iniziale dell'iter che si completa con la pronuncia dell'adozione speciale.

Meritava un più ampio sviluppo l'assunto dell'inapplicabilità dell'art. 17 delle preleggi del co­dice civile, secondo il quale «lo stato e la capa­cità delle persone e i rapporti di famiglia sono regolati dalla legge dello Stato al quale esse ap­partengono». Insufficiente allo scopo ci pare il richiamo all'art. 5 della legge 5-6-'67 n. 431, per­ché l'acquisto della nazionalità italiana da parte del minore consegue alla pronuncia dell'adozione speciale, ragione per cui resta sempre da dimo­strare l'applicabilità di norme italiane ad un mi­nore finché egli non abbia ancora acquistato la cittadinanza italiana.

Interessante, e forse idoneo da solo a superare le preindicate incertezze interpretative, è infine l'argomento dell'inapplicabilità di leggi di altri Stati che impediscono l'adozione speciale dei minori in stato di abbandono, in quanto contrarie all'ordine pubblico italiano (art. 31 delle preleggi del codice civile).

 

*  *  *

 

I giuristi avranno ampia possibilità di discutere le questioni sollevate dal decreto del Tribunale per i Minorenni di Milano.

Per superare le indubbie difficoltà interpreta­tive che costituiscono un grosso ostacolo all'ado­zione speciale di minori stranieri da parte di co­niugi italiani, suggeriamo e propugnamo l'ema­nazione di una leggina per l'inserimento, dopo l'art. 16 delle preleggi del codice civile, della seguente norma:

 

art. 16 bis

«Le norme della legislazione italiana sulla tu­tela, sull'affidamento, sull'affiliazione e sull'ado­zione di minori in stato di abbandono ed ogni al­tra disposizione diretta alla loro assistenza sono applicabili anche a favore dei minori di naziona­lità straniera».

Inoltre è opportuno stimolare e favorire la sti­pulazione di convenzioni internazionali allo sco­po di attuare un'uniformità di princìpi, di pro­cedure e di effetti in materia di adozione, come è stato autorevolmente sostenuto nella recente Conferenza Mondiale sull'Adozione e sull'Affida­mento Familiare, tenutasi a Milano dal 16 al 19 settembre 1971, alla quale hanno partecipato im­portanti enti e qualificati esperti ed operatori sociali di ben 42 nazioni (vedansi in particolare l'apprezzata relazione nel convegno del prof. avv. Giuseppe Franchi, ordinario di diritto processua­le civile dell'Università di Parma, e altri interes­santi e acuti studi dello stesso prof. Franchi sul tema «Adozione di minori e legislazione unifor­me»).

 

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Speriamo che il decreto del Tribunale per i Mi­norenni di Milano non susciti ancora una volta dei timori per la «concorrenza» dei bambini stranieri rispetto ai bambini adottabili italiani, timori che cercano di nascondere un atteggia­mento nazionalistico o addirittura razzista.

Contro tale arretrata mentalità «patriottica» bisogna sostenere che il bambino in stato di ab­bandono al momento della nascita come è privo della famiglia così è privo di patria, se è vero che la sua partecipazione ad una comunità sorge non per il semplice vincolo di sangue né per l'acci­dentale collegamento col territorio in cui la na­scita avviene, bensì a causa delle relazioni che il bambino instaura, e poi crescendo consolida, coi membri della comunità tramite la famiglia.

Il superamento del mito del sangue ha radical­mente modificato il concetto di filiazione. Figlio non si nasce, ma si diventa: è l'affectio che isti­tuisce il rapporto genitori-figlio, non il fatto bio­logico della procreazione. Allo stesso modo cit­tadino di uno Stato - non in senso amministra­tivo o anagrafico, ma nel senso di persona atti­vamente inserita nella società - non si nasce, ma si diventa.

Chi pensa in modo diverso dimostra di non aver abbandonato i pregiudizi del legame di san­gue e delle caratteristiche razziali quali ostacoli ad una comunanza di vita tra persone di nazio­nalità o di razza diverse, come se in ogni uomo non battesse lo stesso cuore o non albergassero gli stessi sentimenti.

Incoraggiare l'adozione internazionale di mino­ri senza famiglia significa lottare contro i pre­indicati pregiudizi e precorrere l'immagine, pur­troppo ancora lontana, di un mondo in cui i con­fini tra gli Stati saranno cancellati e le razze saranno distinzioni meramente somatiche.

 

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