Prospettive assistenziali, n. 18, aprile-giugno 1972

 

 

ATTUALITÀ

 

I MEDICI E LA LORO CONTRORIFORMA

 

 

A ciascuno i suoi orfani

Le storie di orfani e orfanelle trovano in noi echi familiari di letture, chi non ha pianto su «Senza famiglia»?, e ci portano quindi a prova­re un sentimento di nostalgia per quel mondo fatto di bambini ammalati, affamati, abbandonati che poi, ritrovando praticelli con ranuncoli e ca­sette con lenzuola che odorano di spigo, provano così intensa felicità da cancellare tutte le condi­zioni precedenti. Piccole fiammiferaie. piccoli ve­trai, piccoli spazzacamini, orfanelli, sono la con­dizione necessaria e sufficiente del cuor d'oro. Ma un senso di sbigottimento ci prende quando vediamo che su ciò si specula ancora. Forse non più attraverso soluzioni individuali, perché il si­stema assistenziale si è in qualche modo razio­nalizzato, ma attraverso una forma di organizza­zione della beneficenza altrettanto moralistico e paternalistico. Ci richiamiamo qui ad un articolo apparso sul n. 15 de «Il Medico d'Italia» dove si osanna al gesto generoso di un collega (emerito di clinica pediatrica all'Università di Catania) il quale dona al Collegio di Perugia dell'Opera na­zionale assistenza orfani dei sanitari italiani (ONAOSI) la somma di L. 2.659.691 ricevuta a titolo di arretrati sulla pensione ENPAM e offre al giornale «lo spunto per portare qualcosa di di­verso», ai lettori, «qualcosa che li induca a ri­flettere su quanto di grande custodisca l'uomo nel piccolo spazio del suo cuore». Che donare due milioni, sia di buon cuore non abbiamo biso­gno di leggerlo su «Il Medico d'Italia» per cre­derlo; che sia portare qualcosa «di diverso» alla politica dell'assistenza, no.

Che «la solidarietà umana ci porti ad amare il nostro prossimo e quindi ad aiutarlo se soffre «ci trova d'accordo ma ad un patto, che questo nostro prossimo non sia costretto per avere un aiuto a fare una domanda, una petizione, cioè sia costretto a rivolgersi alla generosità o al bene­placito del presidente dell'ente, dei consigliere, del deputato. Noi crediamo che ci sia per gli orfani, tutti gli orfani, non solo quelli dei dottori, un diritto soggettivo alla vita, alla scuola, al la­voro. Per lo meno così leggiamo nella Costitu­zione italiana. Invece per «Il Medico d'Italia» il mondo assume un colore diverso «solo per i figli bisognosi dei colleghi scomparsi».

L'ONAOSI di Perugia, a mezzo del suo presi­dente, ringraziando il suo donatore esprime la certezza che «questo atto non sia sfuggito a quanti in questo tormentato periodo (!) credono scaduti i valori morali cui sempre si è ispirata la professione medica». Non entriamo nel meri­to dei valori morali della professione (dei proces­si ai medici clinici e baroni altri si sono occu­pati) noi giudichiamo l'ONAOSI e non la credia­mo «benemerita istituzione». Che nel 1892 alla sua fondazione non mancassero giustificazioni e pretesti caritativi, può essere; oggi questo in­tervento crea una realtà assistenziale quanto mai frammentaria e confusa con conflitti di com­petenze, servizi e prestazioni riferiti ad uno sta­tus giuridico (come in questo caso), piuttosto che ai bisogni.

Esistono in Italia oltre 25 enti nazionali per l'assistenza agli orfani: dei lavoratori, dei carabi­nieri, dei marinai, delle guardie carcerarie, dei sanitari, ecc. Questo comporta una enorme di­spersione di mezzi economici ed un grande appe­santimento burocratico ed amministrativo, inol­tre rappresenta, per la disparità di trattamento, causa di conflitti e di tensione per la rivendica­zione delle singole categorie, con risposte che si prestano a tutte le manovre partitiche con il pretesto della giustizia sociale. Diventando poi centri di potere politico ed economico, sono co­stretti ad esprimere soltanto le «ragioni inter­ne» dell'Ente ed a respingere ogni istanza o pro­posta di riforma.

Per queste ragioni neppure la constatazione delle benemerenze di cui l'articolo ci parla come traguardi impensabili del Collegio dell'ONAOSI, che da 24 orfani assistiti nel 1902 è passato a 2212 nel 1970, può giustificare lo spirito di con­servazione di Enti che come questo pretendono di gestire l'assistenza non come un servizio pub­blico, ma come esercizio legale di diritti privi­legiati e precostituiti.

 

Unità sanitaria: locale o dei medici?

Un po' in ritardo, se ne parla ormai da anni, il «Medico d'Italia» organo ufficiale della Fede­razione Nazionale degli Ordini dei Medici, scopre a una pericolosa manovra che mina ulteriormente la strada che conduce alla riforma sanitaria» (1).

Di che si tratta? Forse di una protesta per il ritardo sempre più grave della riforma sanitaria? No! «Il repentino e gratuito capovolgimento di idee e di programmi n riguarda il fatto che « non si parla più di Unità sanitarie locali» ma solo di «Unità locali»!

Il discorso dell'Unità locale quale complesso di servizi sanitari, sociali, scolastici, culturali, ricreativi ecc., decentrati in una dimensione ter­ritoriale di circa 50.000 abitanti in modo da co­stituire una struttura unitaria idonea a garantire in modo organico e coordinato tutte le prestazio­ni destinabili alla generalità della popolazione, fa infatti naufragare la spinta corporativa dei me­dici che vorrebbero l'unità sanitaria locale come un ente gestito dai medici stessi.

 

 

 

(1) IL MEDICO D'ITALIA, Verso la soppressione delle Unità Sanitarie locali?, n. 14, 10 aprile 1972.

 

 

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