Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo 1972

 

 

STUDI

 

UNA VICENDA ESEMPLARE: IL DECRETO DELEGATO PER LA BENEFICENZA PUBBLICA

 

 

Dal documento di Celso Coppola pubblicato in Prospettive sociali e sanitarie (1972, n. 5) stralciamo alcune pagine che sono il tentativo di analizzare attraverso la storia del decreto delegato quella coalizione di interessi costituiti (1), la quale, accompagnata ad un arcaismo politico culturale che ha sempre caratterizzato il sistema assistenziale del nostro paese, «cerca di aver la meglio sulle esigenze della società, sulle richieste delle Regioni, del Parlamento, di vasti strati di opinione pubblica, e su pre­cise disposizioni costituzionali e di legge».

 

Il decreto delegato è stato infatti emesso non tenendo conto né del parere delle Regioni, né della Commissione parlamentare (di cui ripor­tiamo le conclusioni), né soprattutto della legge delega 16-5-1970 n. 281 e delle norme costitu­zionali.

Le manovre messe in atto sono state molte­plici e ne sono prova i numerosi testi approvati che sono nell'ordine cronologico i seguenti:

1) schema di decreto delegato preparato dai ministeri dell'interno e per l'attuazione delle Regioni, trasmesso alle Regioni in data 6 agosto 1971 (ufficiale) (2);

2) osservazione, sul medesimo, degli asses­sori all'assistenza sociale delle Regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto (riunione di Venezia, 7 settembre 1971; ufficiale);

3) parere sullo stesso schema di cui al n. 1 della Commissione parlamentare per le questio­ni regionali del 25 novembre 1971 (ufficiale);

4) schema di decreto delegato elaborato dal Governo sulla base dei documenti precedenti e presentato al Consiglio dei Ministri del 9 di­cembre 1971, ma non approvato, datato 4 di­cembre (ufficioso);

5) schema di decreto delegato governati­vo successivo a detta riunione del Consiglio dei Ministri datato 11 dicembre 1971 (ufficioso);

6) schema di decreto delegato successivo alla riunione del Consiglio dei Ministri dell'8 di­cembre 1971, in cui fu approvato il testo del de­creto (ufficioso);

7) decreto delegato apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 2 febbraio 1972 (ufficiale),

Dall'enumerazione appare evidente che l'iter del decreto era stato normale dal n. 1 al n. 4, mentre successivamente è iniziata una serie di «variazioni» che hanno portato alla stesura defi­nitiva quasi uguale al testo originario inviato alle Regioni, rendendo inutile tutto il lavoro delle Regioni e della Commissione parlamentare.

Il documento n. 4 segna un notevole passo in avanti. Era infatti precisato: «Tutte le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di “assistenza e beneficenza pubblica” sono trasferite... alle Re­gioni a statuto ordinario». L'esemplificazione fatta dallo stesso art. 1 è ben più ampia di quella, corrispondente, del documento n. 1 (oltre alle competenze ivi elencate si includono, infatti, i Comitati di soccorso, le istituzioni private regio­nali, l'assistenza ai dimessi dagli istituti di pre­venzione e pena e alle loro famiglie ecc. Sono soppressi i Comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica. Restano tuttavia sempre escluse le istituzioni private a carattere ultra­regionale e gli enti nazionali. Per altre materie (come per le «categorie speciali») invece, è prevista la semplice delega.

Il problema non era quindi quasi risolto?

Ecco, invece, il documento n. 5 (sempre go­vernativo) che, pur contenendo nella relazione una presa di posizione identica a quella del n. 4 per quanto concerne, concettualmente, l'identità di «assistenza» e di «beneficenza», all'art. 1 ritorna alla sola espressione «beneficenza pub­blica», sottrae alle Regioni l'autorizzazione all'accettazione di lasciti e acquisti delle IPAB ed ECA, trasforma in delega la competenza sui Co­mitati di soccorso e sulle istituzioni private, ri­pristina i Comitati provinciali di assistenza e be­neficenza pubblica, toglie la delega e ripristina la piena competenza dello Stato per le «catego­rie speciali».

Con il documento n. 6 sparisce anche la dele­ga per i Comitati di soccorso e per le istituzioni private e si ritorna così ad una interpretazione ancora più restrittiva di quella del documento n. 1 (che, in più, trasferiva alle Regioni l'autoriz­zazione ai lasciti e agli acquisti), cioè si ritorna alla situazione del primo documento del ministe­ro dell'interno, ma ci si ritorna in un clima di beffa e di completa mistificazione in quanto nella relazione che accompagna l'articolo, resta tutta la dotta dissertazione sull'inscindibilità di «assi­stenza» e di «beneficenza» già riportata a pro­posito del documento n. 4.

Strettamente connesso al tema precedente, all'interpretazione da dare cioè al termine di «beneficenza pubblica», è il problema delle compe­tenze regionali nei riguardi dell'assistenza pri­vata. Da una parte è stata affermata la compe­tenza dello Stato centrale, con la motivazione della «natura privata» di tali istituzioni, mentre, in contrapposizione, è stata sostenuta la tesi per la quale la natura privata non ha rilievo rispetto alla «funzione» esercitata che è «pubblica»: a sostegno di quest'ultima tesi si porta il fatto che anche attualmente l'assistenza privata è sotto­posta alla vigilanza dell'autorità statale locale.

La relazione al documento n. 1 così si esprime in argomento: «Non viene prevista alcuna nor­ma nei riguardi dei Comitati di soccorso e delle altre istituzioni private di beneficenza operanti nel territorio regionale poiché trattasi di que­stione estremamente complessa al cui supera­mento potrà pervenirsi con il costruttivo contri­buto sia delle Regioni che della Commissione Parlamentare...» (si è poi visto quanto fossero genuini - almeno in una parte degli organismi interessati - questo lodevole atteggiamento e questa rispettosa aspettativa nei riguardi degli organismi democratici del Paese).

Il contributo delle Regioni e della Commis­sione parlamentare, infatti, non si è fatto atten­dere ed è stato più che chiaro e netto, afferman­do la piena competenza delle Regioni nella ma­teria.

E il documento n. 4 (governativo) recepisce concettualmente e praticamente tale imposta­zione. Nella relazione introduttiva si legge: «Si è ritenuto altresì di aderire, risolvendo in tal modo una questione rimasta volutamente inso­luta nel primo schema di decreto delegato in­viato, per il relativo parere, alle Regioni e alla Commissione parlamentare, all'unanime orienta­mento emerso in tali sedi circa il problema con­cernente l'assistenza privata; si è conseguente­mente affermato che, ai fini della ripartizione co­stituzionale di competenze tra Stato e Regioni, non ha alcun rilievo la natura pubblica o priva­tistica dell'ente, dovendosi invece aver riguardo al rilievo pubblicistico dell'attività svolta, onde la competenza regionale potrà estendersi sino a comprendere l'attività delle istituzioni private di assistenza, nella misura in cui dette attività ri­vestano caratteri di pubblico servizio».

E, all'art. 1, coerentemente, si dispone che rien­trino nelle competenze delle Regioni le attuali funzioni amministrative dello Stato in ordine ai «Comitati di soccorso e alle altre istituzioni pri­vate di beneficenza operanti nel territorio regio­nale... in quanto soggetti a vigilanza per motivi assistenziali in base alle leggi vigenti od in quanto ricevano finanziamenti pubblici o stipulino convenzioni con enti pubblici».

Ma il documento n. 5 (sempre governativo) a sette giorni di distanza opera un sorprendente capovolgimento. Ecco la giustificazione contenuta nella relazione introduttiva: «Non si è però rite­nuto di aderire, risolvendo negativamente una questione rimasta insoluta nel primo schema di decreto delegato inviato, per il parere, alle Regio­ni e alla Commissione Parlamentare, all'orienta­mento emerso in tali sedi circa il problema con­cernente l'assistenza privata; si è conseguente­mente affermato che, ai fini della ripartizione co­stituzionale di competenze tra Stato e Regioni, ha rilievo la natura pubblica o privatistica dell'ente, onde la competenza regionale non potrà esten­dersi sino a comprendere l'attività delle istitu­zioni private di assistenza».

Nell'articolo, infatti, la materia viene attribuita allo Stato ma delegata alle Regioni (3).

Nel documento n. 6 (governativo) si ripete, nella relazione, la tesi della competenza dello Stato e, nell'articolato, è sottratta alle Regioni anche la delega.

Nel testo definitivo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (n. 7) nuovo colpo di scena: si confer­ma la competenza statale in materia ma si ag­giunge: «fino a quando la materia non sarà di­sciplinata con successivo provvedimento da ema­nare entro il 6 giugno 1972».

Evidentemente si tratta di un compromesso sopraggiunto all'ultimo, sotto la spinta delle vi­vaci prese di posizione pervenute da ogni parte.

 

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Sino a qui l'articolo di Coppola pubblicato su Prospettive Sociali e Sanitarie, e noi aggiungiamo a proposito di queste spinte che l'UNEBA (Ente che raggruppa oltre 12.500 istituzioni di assisten­za e beneficenza) nel suo notiziario n. 23 del 20 dicembre '71 aveva dichiarato: «A quanti chie­dono ad ogni piè sospinto: cosa fa l'UNEBA? Per­ché non ci difende? Possiamo coscientemente ri­spondere che non abbiamo mai inteso difendere questa o quella istituzione, se si sono rese re­sponsabili di gravi mancanze, ma che ci siamo sempre battuti per affermare il principio che il cittadino deve essere libero, con piena parità di diritti e di doveri, di svolgere la propria attività nel campo assistenziale. E che soprattutto ogni cittadino ha diritto - proprio in quanto è al cen­tro di ogni attività assistenziale - di percepire le prestazioni nelle misure e con le modalità idonee ad assicurare il libero e dignitoso svolgi­mento della sua personalità. A queste idee, nelle quali siamo confortati dalla solidarietà delle no­stre istituzioni aderenti, abbiamo conformato tut­ta la nostra azione e queste idee abbiamo soste­nuto nella Commissione che ha elaborato uno schema di legge che è stato sottoposto in questi giorni alla Democrazia Cristiana. In questo modo noi intendiamo soprattutto difendere le nostre istituzioni: cercando di raggiungere una legisla­zione che dia la massima garanzia, pretendendo i giusti controlli, per l'esplicazione della loro attività».

Gli enti di assistenza continuano dunque a ri­vendicare la gestione della segregazione e non a richiedere il superamento dell'intervento assi­stenziale.

La scelta di potere è comprensibile allorquan­do si pensi al patrimonio enorme degli enti di assistenza e alla loro potenza sul piano eletto­rale.

 

 

 

(1) Vedasi anche la Gazzetta del Popolo del 30-1-72, La riforma della pubblica amministrazione. I «burosauri» si barricano nelle trincee dei privilegi.

(2) Il testo è stato pubblicato su Prospettive assistenziali, n. 15, pag. 3 e segg.

(3) La competenza «delegata» viene esercitata secondo le direttive dello Stato il quale può sempre intervenire e/o revocare la delega.

 

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