Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo 1972

 

 

DOCUMENTI

 

SENTENZA DEL PROCESSO PENALE CONTRO GOTELLI, GUELI, CINE Di PORTOCANNONE

 

 

Pubblichiamo la sentenza per i rilevanti riflessi sulle attività dei pre­sidenti dei comitati provinciali e comunali, dei direttori sanitari dell'ONMI e, infine, delle autorità preposte alla vigilanza delle istituzioni pubbliche e private di assistenza all'infanzia.

 

 

Svolgimento del processo

Con denunzia in data 1-10-1970, l'Unione Ita­liana per la Promozione dei diritti del minore, a firma del suo segretario generale, Francesco Santanera, riferiva a questa Pretura che negli istituti di assistenza ai minori, operanti in genere senza essere in possesso della autorizzazione a funzionare prevista dall'art. 50 R.D. 15 aprile 1926, n. 718, si verificavano con preoccupante frequenza maltrattamenti in danno dei minori. Metteva inoltre in risalto la denunzia che i tito­lari degli istituti non trasmettevano i prescritti elenchi trimestrali al giudice tutelare, impeden­do così la possibilità di adottare i bambini ivi ricoverati, e che i controlli sulle istituzioni erano troppo scarsi o inesistenti (1): si invitava quin­di l'Autorità Giudiziaria ad accertare la penale responsabilità dei direttori degli istituti, nonché la correlativa responsabilità dei pubblici ufficiali ed «in particolare dei funzionari incaricati della vigilanza delle istituzioni pubbliche e private di assistenza» (1).

In seguito a ciò si procedeva alle dovute inda­gini di P.G., per l'accertamento dei reati denun­ziati, allo stato a carico di ignoti, e, sequestrati ritualmente presso la Sede Comunale e presso la Sede Nazionale dell'ONMI, i fascicoli relativi alle singole istituzioni, nonché verbali ed altra documentazione necessaria per poter ricostruire la situazione degli istituti, nonché accertare i rapporti tra questi e l'ONMI, si iniziavano le per­quisizioni di alcuni Enti, i cui direttori venivano incriminati per vari reati.

Poiché quanto andava via via emergendo evi­denziava la gravissima situazione in cui si tro­vavano gli istituti di assistenza, confermando le preoccupazioni espresse nella denuntia criminis, in data 19-2-1971 veniva ordinata una contempo­ranea perquisizione in tutti gli istituti, con la partecipazione del personale della Legione Cara­binieri e della Questura di Roma, al fine di assi­curare, valendosi della sorpresa, le prove di even­tuali reati. Conclusasi tale operazione con cen­tinaia di denunzie alla A.G. ed alcuni arresti, si palesavano precisi indizi di colpevolezza a carico dei dirigenti dell'ONMI nazionale e comunale, sicché in data 11-3-1971 venivano inviati avvisi di procedimento per il reato p.p. dall'art. 328 c.p. a Gotelli Angela, Presidente Nazionale dell'ONMI, e agli altri componenti la Giunta esecu­tiva nazionale, nonché a Cini di Portocannone Renato, Presidente del Comitato comunale ONMI e a Gueli Umberto, Direttore del servizio sani­tario.

Spiccati successivamente il 30-3-1971 nei con­fronti dei prevenuti i mandati di comparizione per i reati in rubrica loro contestati, l'istruttoria veniva sospesa per effetto di formale istanza di ricusazione proposta dalla Gotelli sul riflesso che il Pretore, come riportava il quotidiano «Il Mattino» del 13-3-1971, aveva dichiarato nel cor­so di un'improvvisa conferenza stampa che vi erano gravi e pesanti indizi a carico degli impu­tati e che la Giunta dell'ONMI aveva violato molti articoli della legge istituzionale dell'Ente, mani­festando così il suo convincimento di penale col­pevolezza. Dopo ampia istruttoria il Tribunale di Roma concludeva affermando che «è invero del tutto mancata la prova dei fatti posti a fonda­mento della domanda», avendo lo stesso autore dell'articolo escluso che le frasi riportate nel giornale tra virgolette fossero state proferite dal magistrato, confermato in ciò dalle dichiarazioni del direttore del giornale, che specificava non avere il Pretore «tenuto alcuna conferenza stampa» (1).

Rigettata la ricusazione, venivano interrogati gli imputati, sentito il denunziante, escussi come testi il Sindaco Darida, nonché le assistenti so­ciali Terranova, Covino, Bruneri, Cantaro, Mon­gelli e Suria, ed acquisite agli atti alcuni docu­menti sequestrati dai carabinieri, o prodotti dalla difesa.

In seguito alle risultanze istruttorie, disposto lo stralcio degli atti relativi agli altri componenti della Giunta esecutiva, gli imputati erano tratti a giudizio per rispondere dei reati loro ascritti in rubrica.

Al dibattimento, svoltosi nelle udienze del 24, 25, 26 novembre e conclusosi il 1°-12-1971, in­terrogati i prevenuti, escussi come testi i verba­lizzanti, T. Col. Brunelli, Cap. Mori, Mar. Solinas e Talevi, Brig. Masala, Comm. Capo di P.S. Man­giavalori, nonché il Prefetto di Roma nella sua sede alla presenza del P.M., dei difensori e degli imputati, e tutti i testi sentiti in istruttoria, data lettura sull'accordo delle parti degli atti con­sentiti, P.M. e Difesa presentavano le loro con­clusioni come a verbale riportate.

 

Motivi della decisione

Si rende preliminarmente necessario confer­mare le ordinanze dibattimentali con le quali si sono respinte le eccezioni del P.M. e della Di­fesa, ribadite nella requisitoria e nelle arringhe finali, che, se accolte, avrebbero inciso in ma­niera determinante sulla vicenda processuale sottoposta al giudizio di questo Pretore.

Per quanto attiene alla eccezione, sollevata dal P.M., di incostituzionalità dell'art. 356 c.p.p. del quale ha inteso avvalersi il Prefetto di Roma, per essere sentito come teste nella sua sede, non può invero non osservarsi che esso contrasti pa­lesemente con l'art. 3 della Costituzione, anno­verato tra i principi fondamentali cui deve ispi­rarsi la Carta Costituzionale di uno Stato demo­cratico.

L'affermazione che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e senza alcuna distinzione di con­dizioni personali e sociali sono eguali davanti alla legge, non può rimanere mera enunciazione formale, ma deve incidere profondamente nella realtà legislativa e, per essa nella realtà sociale del Paese, rendendo inammissibili privilegi a favore di alcuni cittadini nei confronti dei più elementari doveri che ogni consociato ha verso la Giustizia.

Ciò posto è indubitabile che l'art. 356 c.p.p., in correlazione agli artt. 453, 454 c.p.p., stabilen­do per i cardinali e per i grandi ufficiali dello stato, la possibilità di non presentarsi a rendere la testimonianza innanzi al Magistrato, ma dando loro la facoltà di essere escussi nella loro sede, con grave e pregiudizievole intralcio per il corso ordinato della udienza, e correlativa pubblica spe­sa per il trasferimento dell'ufficio giudiziario, co­stituisce - laddove si consideri anche il divieto al pubblico di assistere alla escussione del te­ste - un trattamento di favore assolutamente in­giustificato rispetto a tutta la generalità dei cit­tadini, risolvendosi in un vero e proprio privile­gio in spregio al conclamato principio di egua­glianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Tuttavia, poiché per la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale si esige che la norma impugnata si presenti come essenziale e prope­deutica al fine della decisione, mentre nel caso di specie l'art. 356 c.p.p., per la sua mera stru­mentalità non assume tale rilevanza, non pare opportuna e giustificata la sospensione del pro­cesso per dare inizio al richiesto giudizio di inco­stituzionalità.

Né sono da accogliere le eccezioni sollevate dalla Difesa di Cini e di Gueli, secondo cui il de­creto di citazione dovrebbe considerarsi nullo per genericità della accusa. Invero ai sensi dell'arti­colo 412 c.p.p., si ha nullità del decreto di citazio­ne a giudizio soltanto quando la incertezza dei fatti contestati sia assoluta, tale cioè da non con­sentire in alcun modo all'imputato di avere con­tezza delle contestazioni mossigli, in violazione all'art. 185 n. 3 c.p.p. Nel caso di specie invece, nei decreti di citazione notificati agli imputati Cini e Gueli vi è precisa e chiara descrizione dei fatti loro contestati, sia con l'indicazione specifi­ca degli articoli di legge violati, sia con la puntua­lizzazione della loro contestata condotta omissi­va, che si evidenzia dalle espressioni «ometteva indebitamente di disporre, organizzare ed attuare i dovuti controlli» qualificati come «igienico, sanitari e funzionali», sia con la specifica indi­cazione degli istituti nei confronti dei quali si verificò la loro omissione.

Del pari non hanno pregio le doglianze della Difesa di Gotelli, per una presunta diversità tra il mandato di comparizione ed il decreto di cita­zione a giudizio; nonché per il fatto che sareb­bero stati violati i diritti della Difesa, poiché alla perquisizione presso la sede dell'ONMI nazionale non presenziò un difensore.

Per quanto attiene alla prima eccezione va con­siderato che l'onere sancito dall'art. 376 c.p.p. tende ad evitare che l'imputato sia tratto a giu­dizio per fatti diversi da quelli contestati nel mandato di comparizione e nell'interrogatorio. Nel caso in esame esiste sostanziale identità tra i fatti contestati alla prevenuta in fase istrut­toria, sia mediante mandato sia mediante inter­rogatorio - vertente sul tema generale della omissione dei dovuti controlli dell'imputata nella sua qualità di Presidente nazionale ONMI nei con­fronti degli istituti di assistenza all'infanzia, e quanto contestato nel decreto di citazione a giu­dizio: appaiono quindi del tutto ininfluenti le pre­cisazioni in fatto e in diritto (con maggior chia­rificazione a favore della difesa contenute nel de­creto di citazione, ovvie d'altro canto se si con­sideri che l'accusa trova la sua cristallizzazione definitiva soltanto nel capo di imputazione finale, consacrato nel decreto di citazione).

Quanto al rilievo che al momento della perqui­sizione del 13-2-1971, non fosse presente un di­fensore va rilevato che, a parte la considerazione che in quella data il procedimento, nella sua fase di indagini preliminari, era ancora a carico di ignoti, ai sensi degli artt. 304 bis e segg. c.p.p., non sussiste alcun obbligo di avviso ai difensori, per lo speciale atto della perquisizione domici­liare, per la quale è prevista solo la possibilità «per le parti private di farsi assistere dal difen­sore e da altra persona di fiducia». Nonostante ciò la Gotelli fu invitata specificamente a nomi­nare e a farsi assistere da un difensore, ma come risulta dagli atti (1) vi rinunziò espressamente, del che non può quindi ora dolersene.

Nel merito, emerge sicura la penale responsa­bilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti in rubrica.

Per avere il senso compiuto della consistenza, della gravità, degli effetti della loro antigiuridica omissione, articolata nei singoli capi di imputa­zione, si rende necessario accennare alla situa­zione degli istituti per l'infanzia abbandonata, co­sì come si è incredibilmente presentata agli oc­chi degli inquirenti, situazione che ha poi impo­sto il categorico imperativo di accertare se tale impressionante stato di abbandono degli istituti potesse - come poi è risultato - ricollegarsi per la gran parte almeno in un rapporto di causa ad effetto, alla omissione di coloro cui spettava per legge la sorveglianza ed il controllo degli isti­tuti.

Va da sé, che il reato p.p. dall'art. 328 c.p. non avrebbe bisogno della ricerca delle conseguenze che l'omissione del pubblico ufficiale ha prodotto, non rientrando nella categoria dei c.d. reati omis­sivi-commissivi, ma piuttosto in quella dei reati omissivi puri che si realizzano cioè con il sem­plice «non facere» quanto imposto da un obbligo giuridico, tuttavia non si può fare a meno di ri­costruire, sia pure sinteticamente, quel dato reale che ha fornito l'impulso per l'inizio del procedi­mento nei confronti degli odierni imputati.

Le indagini condotte con lodevole perizia dai Carabinieri (e particolarmente dal Nucleo inve­stigativo) e dalla Polizia, hanno evidenziato una situazione di totale abbandono di tutti quei mi­nori che per loro sventura sono costretti a tra­scorrere la loro infanzia negli istituti, quali orfa­notrofi, brefotrofi ecc. che vengono denominati, per ironica contrapposizione, di assistenza all'in­fanzia abbandonata.

Nella quasi totalità di questi istituti (1) si sono riscontrate insufficienti condizioni igienico-sanitarie e gravi carenze funzionali e pedagogi­che. A scorrere i singoli rapporti che via via cara­binieri e polizia hanno inoltrato al Magistrato (1) emerge tutta una serie di fatti qualificabili non solo come immorali, ma anche come penalmente rilevanti. Il più diffuso di questi consiste nella violazione pressoché generale da parte dei diret­tori degli istituti (il che ha comportato oltre cen­totrenta denunzie per omissioni di atti di ufficio) dell'obbligo stabilito dal codice civile all'art. 314, relativo all'invio al giudice tutelare dei prescritti elenchi trimestrali dei minori ricoverati. Qualun­que sia il motivo di tale omissione - timore di perdere le rette che Enti pubblici o privati conce­dono per tutti i bambini, ovvero necessità di giu­stificare con la presenza dei bambini la esigenza dell'istituto od altro - sta di fatto che essa ha impedito la possibilità per i minori di essere adot­tati, sicché il fatto che centinaia di minori siano «occultati» senza che il giudice tutelare possa avere neanche sentore della loro esistenza ha frustrato la speranza delle numerosissime do­mande di adozione, che giacciono inevase anche e soprattutto (ed è questo l'aspetto drammatico della questione) per la mancanza ufficiale dei bambini da adottare.

Ma, purtroppo ben altre sono state le violazioni di legge riscontrate nel corso delle indagini. Pos­sono al riguardo citarsi, come esempio illumi­nante dello stato delle cose dei singoli istituti, le chiare attendibili testimonianze del dott. La­rocca e del Cap. Mori.

Il primo nella sua specifica qualità di medico legale e di pediatra, ha riferito che in un istitu­to (1) ove le condizioni igienico-sanitarie erano del tutto insufficienti, egli rinvenne in una stanza di mt. 4 x 5 ben 11 lettini, addossati gli uni agli altri, con sulle reti alcuni materassini laceri di un sottile strato di gomma-piuma; nella cucina il più assoluto disordine «in una sporcizia indescri­vibile» resti abbandonati di pasti precedenti, poppatoi per terra ecc. Inoltre furono scoperti (2) dei bambini con una tutina chiusa da un legaccio all'altezza delle caviglie, tutina di contenzione, che, a parere anche del medico impediva non solo la possibilità di movimento ma anche la nor­male circolazione del sangue.

Gravissime le carenze relative all'igiene per­sonale: alcuni bambini presentavano tracce di feci tra le pieghe delle cosce con conseguenti arrossamenti molto estesi; su di uno in partico­lare fu riscontrato «eritema gluteale» molto evidente cioè una macerazione della cute dovuta ad impregnazione della stessa con urine e so­stanze fetali (2).

Alla conoscenza del medico legale si presen­tava ancora un altro istituto, «il più squallido, il più sporco ed inabitabile istituto che mai avesse visto»: qui non solo vi erano cumuli di sporcizia dappertutto, ma la biancheria dei letti risultava, alla data dell'accesso al luogo che avvenne il 16 febbraio, cambiata soltanto una volta a Natale (specifica al riguardo altro teste, Mar. dei CC. Solinas Antonio che tra i materassini vecchi e scuciti e le reti smagliate vi erano tozzi di pane raffermo e indumenti intimi sporchi e maleodo­ranti (1). Abbandonato in una camerata del tutto priva di riscaldamento fu rinvenuto un bambino affetto da bronchite febbrile, nessuno nell'isti­tuto si era mai dato pensiero, nonostante la ma­lattia durasse da giorni, di avvertire un medico o di somministrargli delle medicine.

Puntuale conferma delle deposizioni del dottor Larocca, si riscontra nella chiara testimonianza del teste Mori che quale ufficiale del nucleo inve­stigativo dei CC. ha diretto e partecipato a nu­merose perquisizioni negli istituti.

Anch'egli, narrando di un istituto, ricorda che «entrando nei locali la prima cosa che colpiva era un fetore intensissimo» (1) e che in cucina tra cumuli di sporcizia furono rinvenuti (1) pro­dotti omogeneizzati con validità scaduta.

In un altro istituto, alla Borgata Massimina, i Carabinieri vi si recarono su precisa denunzia del Preside della locale scuola media, preoccupato per quanto alcune bambine ospiti dell'istituto rac­contavano ai loro insegnanti. Invero fu accertato che le piccole «venivano più volte sottoposte a percosse ad ogni minima disobbedienza o indisci­plina, che la minestra era immangiabile per la sporcizia sui piatti, per i vermi, capelli od altro che vi si trovavano». Come punizione una suora - allontanata qualche giorno prima dell'arrivo dei carabinieri su suggerimento di un vescovo «per i metodi poco materni» - usava rinchiu­dere le bambine in uno scantinato (2) stretto e buio senza finestre o luce, ove erano ammassati vari materiali.

Gli accertamenti presso gli istituti hanno al­tresì messo in luce con preoccupante frequenza casi di omosessualità o di violenze perpetrate sui bambini. Presso un Ente invero lo stesso Ret­tore compiva tali pratiche su minori ricoverati sicché si procedeva al suo arresto nonché alla denunzia per lo stesso reato di atti di libidine di altro religioso, e all'incriminazione degli assi­stenti per maltrattamenti continuati.

Anche in altro istituto, ricorda il teste Mori «abbiamo accertato numerosi casi di omoses­sualità»: specifica in proposito il medico legale Larocca (1) che un bambino di circa 10 anni visi­tato in loco si presentava come «abuso al coito» per ricorrenti rapporti carnali che subiva.

Nell'ambito della stessa operazione le indagini effettuate dalla Polizia portavano all'arresto di un altro religioso che in un istituto alla perife­ria di Roma (1) sottoponeva ad atti di libidine violenta i minori ivi ricoverati.

L'esemplificazione fin qui riportata può forse bastare per avere un sufficiente quadro della situazione degli istituti di assistenza all'infanzia di Roma: v'è da aggiungere che secondo i rapporti della Polizia e dei Carabinieri in numerosi isti­tuti sono stati sequestrati medicinali scaduti di validità e cibi avariati, 138 direttori e direttrici sono stati incriminati sia per aver omesso l'in­vio degli elenchi dei minori al giudice tutelare. sia per aver tenuto i minori senza aver mai con­seguito la prescritta autorizzazione; e per nume­rosi altri rettori o istitutori si è iniziata l'azione penale per maltrattamenti, o abusi di mezzi di correzione o lesioni.

Ciò che stupisce dolorosamente non è tuttavia la serie pure impressionante di reati perpetrati a danno di bambini, ma la constatazione che per tale infanzia abbandonata (nel senso più vero della parola) non sussistono non solo le condi­zioni per la sua normale evoluzione fisica e psi­chica, ma neanche le condizioni primarie di vita quali un vitto appena sufficiente o un alloggio anche modesto.

V'è da chiedersi - a prescindere dal rispetto umano a cui ogni bambino ha naturale diritto, consacrato anche nella nostra Carta Costituzio­nale all'art. 31 - quale sarà l'apporto ed il con­tributo che questi infelici, una volta adulti, da­ranno ad una società che nella quasi totalità dei casi li ha di fatto abbandonati, spesso alla mer­cè di persone disumane senza vegliare assidua­mente su di essi come il più normale senso di civiltà impone e come le stesse leggi - inascol­tate - prescrivono.

Esiste nel nostro ordinamento un sistema nor­mativo che, se attuato dagli organi competenti, può assicurare una sufficiente vigilanza ed un efficace controllo sulle condizioni di vita dei mi­nori che sono ospiti negli istituti di assistenza all'infanzia.

Poiché lo Stato, ex art. 31, II comma della Co­stituzione «protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo», assume automaticamente quella posizio­ne di preminenza, per quei poteri di alta sorve­glianza, di coordinamento e di indirizzo che gli competono su tutti gli Enti operanti nel settore e su tutte le attività indirizzate a quel fine. E ciò essenzialmente attraverso i Ministeri della Sanità e dell'Interno: il primo annovera tra i vari fini della tutela della salute della popolazione scola­stica (art. 9 D.P.R. 11-2-1961, n. 264) nonché della organizzazione di appositi centri per la cura della sifilide prenatale, per l'assistenza e la cura dei poliomielitici (L. 10-6-1940, n. 932) ed il ricovero dei minori tubercolosi e la vigilanza sui centri psico-medico pedagogici (L. 10 aprile 1954, n. 218) anche il compito della vigilanza e della tu­tela sull'opera nazionale per la protezione della maternità ed infanzia; il Ministero degli Interni attua altri fini di rilevante importanza nel settore della tutela sociale della infanzia e della gioventù sia direttamente che tramite i Prefetti.

Circa la tipologia degli interventi in questo settore, va rilevato che trattasi essenzialmente di forme di assistenza economica che si espli­cano attraverso contributi agli Enti o tra i privati bisognosi, nonché attraverso quella generica for­ma di sorveglianza attribuita al Prefetto sia quali atti amministrativi degli Enti, con le previste au­torizzazioni a ricevere le liberalità, o con le appro­vazioni degli statuti, sia munendolo di quei poteri coercitivi quali la chiusura degli istituti qualora gli organi a ciò competenti ne accertino gravi ca­renze funzionali.

Perché, tuttavia, la protezione dell'infanzia non rimanga subordinata alla attività dei Ministeri, oberati di molteplici altri compiti in varii settori della vita pubblica, il legislatore ha inteso costi­tuire un Ente morale che esercitasse la sua atti­vità soltanto nell'orbita del sistema assistenziale perseguendo unicamente e prevalentemente il fine della tutela dei minori bisognosi: tale è l'ONMI che fu istituito con L. 10-12-1925, n. 2277, con relativo Regolamento di esecuzione approva­to con R.D, 15 aprile 1926 n. 718. Lo sviluppo di una serie di disposizioni legislative unificate nel T.U. approvato con R.D. 24-12-1934, n. 2316, e cul­minante nella legge 3-5-1967, n. 314, hanno fis­sato il definitivo attuale assetto degli organi in­terni dell'Opera, senza modificare in alcun modo i fini per cui l'ONMI è nato e per il quale esso vive.

Gli scopi istituzionali dell'ONMI si evincono da quanto chiaramente sancito dagli artt. 4, 5 e 6 del T.U. del 1934 che ha sostanzialmente recepito la portata della legge istitutiva dell'Ente.

L'ONMI deve dunque oltre che provvedere alla protezione e all'assistenza delle madri o gestanti bisognose, vigilare «l'applicazione delle disposi­zioni legislative e regolamentari in vigore per la protezione della maternità e dell'infanzia e pro­muovere, per il miglioramento fisico e morale dei fanciulli e degli adolescenti, la riforma di tali disposizioni» oltre che «provvedere al coordi­namento di tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza.... promuovendone all'uopo la re­visione dei relativi statuti e regolamenti e nei riguardi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza ogni altra riforma»: per tali mo­tivi essa «è investita di un potere di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche e pri­vate per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia e nell'esercizio di tale potere ha la facoltà di provocare dalle competenti autorità governative la chiusura degli istituti pubblici e privati».

Valutando tale norma fondamentale alla luce di tutta la legislazione sull'ONMI, dall'art. 50 del R.D. 15-4-1926 n. 718 che affida soltanto all'ONMI (e più precisamente alla Giunta esecutiva nazio­nale) la delicatissima funzione di concedere agli istituti di assistenza la prescritta autorizzazione, previo un approfondito accertamento tecnico, igienico e sanitario compiuto dai comitati comu­nali dell'ONMI, alle più recenti disposizioni di legge, che si preoccupano di modificare la compo­sizione dei vari organi, al fine di farvi partecipare membri più qualificati e specializzati non può non concludersi che spetti unicamente all'ONMI il compito dell'assistenza e della correlativa ne­cessaria vigilanza su tutti i minori ospiti negli istituti pubblici o privati quali che sia l'Ente che poi provveda materialmente (Ministero Interni, Provincia, Comune, ENAOLI ecc.) alla correspon­sione delle singole rette.

Tale solare constatazione si rende tuttavia op­portuna, poiché la difesa degli imputati ha soste­nuto la tesi secondo cui tutti gli articoli relativi ai compiti dell'ONMI ed in particolare l'art. 5 R.D. 24-12-1934, n. 2316, concernente il necessa­rio potere di vigilanza e controllo dell'opera sugli istituti, sarebbero da considerare abrogati, per effetto dell'art. 1 del R.D.L. 5 settembre 1938, n. 2008.

Invero, a parte l'osservazione che la stessa opera nazionale ha pubblicato le norme che si invocano abrogate anche in recenti edizioni (v. «Raccolta delle leggi sull'ONMI» ed. 1967, alle­gata agli atti) va rilevato che il problema erme­neutico che presenta l'art. 1 del decreto legge del '38 è di ben facile soluzione.

Con esso, infatti il legislatore, anziché abroga­re implicitamente tutti gli articoli riguardanti gli scopi ed i poteri fondamentali dell'ONMI, sì da lasciare l'ente come un'istituzione senza vita, ha inteso soltanto stabilire che il «coordinamento» dei servizi relativi alla protezione ed all'assisten­za della maternità e dell'infanzia spettino al Mi­nistero dell'Interno (e successivamente per ef­fetto della legge 13-3-1958, n. 296, al Ministero della Sanità). Allo stesso Ministero il secondo ed il terzo comma del citato articolo subordina la vigilanza sull'ONMI e su qualsiasi altro Ente che svolga opera per la protezione della mater­nità e dell'infanzia, come ad esempio la Provincia, l'Ente Comunale di Assistenza, l'ENAOLI ecc. Trattasi cioè di un'ulteriore vigilanza nei con­fronti di coloro, a cui fra l'altro, come precipua­mente all'ONMI spetta non solo l'assistenza nel­le sue varie forme, ma soprattutto il controllo sui singoli istituti ove siano ricoverati i minori.

Il fatto poi che fosse compito anche del Mini­stero dell'Interno, tramite il Prefetto, di eserci­tare una generica vigilanza sugli istituti non può essere disconosciuto, ma non inficia minimamen­te il dovere istituzionale e specifico dell'ONMI di controllo su tutti i minori rinchiusi negli isti­tuti di assistenza. Riprova si ha nello stesso art. 5 del T.U. del '34 che investe l'ONMI del potere di vigilanza e di controllo su tutte le isti­tuzioni pubbliche e private, facendo salvi, al se­condo comma gli effetti della legge 17-7-1890, n. 6972 e del R.D. 30-12-1923, n. 2841, circa la tutela e la vigilanza governativa.

Confermano tale esatta interpretazione della norma una serie di considerazioni: innanzitutto la deposizione resa in dibattimento dal Prefetto di Roma, La Valli, il quale a specifica domanda ha ribadito che: «la vigilanza principale spetta per legge all'ONMI, trattasi di competenza spe­cifica in quanto i funzionari ispettivi della Prefet­tura hanno solo competenza generica amministra­tiva» (1). «Non conoscendo io la esistenza di molti istituti che non hanno l'obbligo di provve­dersi di licenza prefettizia» (che deve per legge infatti essere concessa solo dall'ONMI dopo ac­certamenti) «non devo certo io controllare gli istituti». Così si spiega che nel fonogramma in­viato al Comitato comunale dell'ONMI (1), lo stesso direttore dell'Opera Nazionale avv. Cu­titta, sollecita il Presidente comunale a svolgere gli accertamenti richiesti dal Ministero della Sa­nità presso l'Istituto Arc en Ciel invocando l'ar­ticolo 5 del T.U. del 1934, cioè quell'articolo che ora si vorrebbe ingiustamente abrogato.

V'è di più: nella circolare n. 763 del 23-6-1965 a firma di Gotelli Angela, Presidente Nazionale, diretta alla Federazione e comitato di Patronato ONMI si ribadisce testualmente che «tra uno fra i più importanti compiti attribuiti all'ONMI dalle norme istituzionali» è «quello inerente all'esercizio di un potere di vigilanza e di con­trollo su tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza della maternità e dell'infanzia, previsto dall'art. 5 del T.U. 24-12-1934, n. 2316, e dagli artt. 50 e segg. del Regolamento 15-4-'26, n. 718» (1).

Accertato dunque che spettano all'opera na­zionale i controlli sugli istituti di assistenza, va ora esaminata la singola posizione degli imputati, che si articola diversamente in ordine al preci­puo obbligo di vigilanza che incombe all'Ente.

Va preliminarmente notato che le tesi soste­nute dalle difese degli imputati si fanno al riguar­do contrastanti poiché la presidentessa nazionale ribadisce che il compito del controllo spettava al comitato comunale («la vigilanza sugli istituti è competenza dei comitati comunali» (l); Cini di Portocannone ne indica il responsabile in Gueli («non ho mai ordinato alle assistenti sociali di compiere ispezioni o controlli perché per la circo­lare n. 630 spetta al direttore sanitario tale com­pito» (1) e nella Gotelli («faccio presente che spetta alla Giunta esecutiva nazionale e non a me nominare persone idonee per esercitare le ispezioni») (l); Gueli addebita ad entrambi gli altri imputati tale compito («la circolare 630 l'ho sempre contestata») (1) ; («la presiden­tessa nazionale non ci ha mai incaricato di so­stituirci agli ispettori che l'ex art. 52 e 53 spet­tava alla Giunta esecutiva nazionale nomina­re» (1).

Tali versioni hanno tutte un fondo di verità, poiché il legislatore ha inteso logicamente pre­disporre un sistema di controlli integrativi che facesse capo, in diversa misura alla Giunta ese­cutiva nazionale (e più specificatamente la sua presidente) e al Comitato comunale (e quindi sia al Presidente che al Direttore Sanitario) .

Per quanto attiene al Comitato comunale soc­corre chiaramente l'art. 13 del T.U. del 1934 che, in relazione agli artt. 4, 5 e 6 dello stesso T.U., ne ribadisce i compiti stabilendo che esso eser­cita «una vigilanza igienico educativa e morale sui fanciulli minori di 14 anni, collocati... presso istituti pubblici o privati di beneficienza o assi­stenza», nonché «vigila sui fanciulli adolescenti denunziando ove occorra all'Autorità Giudiziaria i fatti venuti a sua conoscenza», promuovendo «quando occorra dai Prefetti i provvedimenti» coercitivi ex art. 27 R.D. 30-12-1923 n. 2841.

Al vertice del comitato comunale v'è il Presi­dente nel quale si riassumono tutte le funzioni a cui spetta per la sua particolare posizione, carat­terizzata, come evidenzia la dottrina amministra­tivistica, dalla potestà di comando e dalla corre­lativa responsabilità, la direzione generale del comitato e quindi di tutti i singoli servizi.

Era quindi specifico dovere di status, quello di Cini di Portocannone di organizzare, ovvero di promuovere quelle ispezioni e quei controlli sugli istituti che rappresentano compito fondamentale dell'ONMI nonché di controllare che il servizio sanitario, cui spettava poi in concreto l'attuazio­ne di tali ispezioni, adempisse al suo dovere. Ed infatti è al «Presidente del comitato comu­nale» che si rivolgerà - nel significativo episo­dio relativo all'istituto Arc en Ciel - il Prefetto perché ordini un'accurata ispezione e tutti i ne­cessari accertamenti, poiché è il Presidente che assomma a sé tutti i poteri sanciti dall'art. 13 del T.U. del 1934. A tale posizione di preminenza non può non fare riscontro una correlativa posi­zione di dovere adempiere ai fini istituzionali dell'Ente, che nessun altro come il Presidente può perseguire munito com'è di un ampio potere ordinatorio nei confronti di tutti i suoi dipendenti.

Non può comprendersi pertanto l'atteggiamen­to dell'imputato laddove richiesto se avesse avuto conoscenza della drammatica situazione degli istituti di assistenza per l'infanzia ha rispo­sto in istruttoria (1) e ribadito in dibattimen­to (1) di «non essere tenuto» a sapere se gli istituti che ospitavano minori erano in possesso dei relativi titoli e della prescritta autorizzazione dell'ONMI, nonché adempissero all'importante onere di trasmettere gli elenchi trimestrali al giudice tutelare. Dunque, al Presidente dell'ONMI comunale, dell'organismo cioè a più diretto con­tatto con i singoli istituti locali, non spettereb­bero poteri e doveri inerenti a sì delicata funzio­ne, fonte in ogni Ente di correlative e precise responsabilità, ma unicamente quello di rappre­sentare soltanto formalmente l'ONMI, disinteres­sandosi completamente della sua doverosa atti­vità e del necessario raggiungimento dei suoi fini.

Altro titolare dei controlli e della vigilanza su­gli istituti accanto al Presidente dell'ONMI è per chiara posizione gerarchica l'imputato Gueli, Di­rettore del servizio Sanitario dell'ONMI Comu­nale. Da questo servizio, non oberato da tutte le pratiche amministrative relative alla correspon­sione dei contributi ed al pagamento di rette spettanti al servizio amministrativo, dipendono le assistenti vigilatrici e le assistenti sociali cui compete materialmente il compito di visitare gli istituti. Per il Gueli il dovere organizzare e pre­disporre i controlli, nonché attuarli concreta­mente, non discende soltanto da un obbligo di status, ma anche da una precisa norma regola­mentare interna, sancita dalla Circolare n. 630 del 10 ottobre 1960, a firma del Presidente na­zionale mai abrogata o modificata da alcuna nor­ma di legge od altra regolamentare (1).

Tale circolare che delinea la figura e che deter­mina le funzioni del Direttore Sanitario, dopo aver ribadito che questi è responsabile sia verso la sede centrale che, gerarchicamente e discipli­narmente, verso il presidente del comitato comu­nale individua al punto 3° il suo primo compito nel dover ispezionare e controllare tutte le fun­zioni dell'ONMI e degli altri istituti che accolgono madri e bambini assistiti dall'ONMI, nonché nel vigilare «su tutte le altre istituzioni che si occu­pano dell'assistenza alla madre ed al bambino, esprimendo il proprio parere scritto circa l'ido­neità al funzionamento» con il potere di proporre (punto 4°) «la temporanea sospensione di atti­vità delle istituzioni inefficienti ed eventualmente la loro chiusura».

Per rendere più cogente tale disposizione, il suddetto regolamento stabilisce che il direttore sanitario deve riferire «periodicamente al Capo della Federazione l'esito delle sue visite ispet­tive» disposizione questa che coinvolge in soli­dale responsabilità sia il direttore sanitario che il Presidente.

Al riguardo, l'imputato è rimasto su una mera posizione difensiva («la circolare 630 del 1960 l'ho sempre contestata», «contesto quanto af­fermato dal Presidente Cini che il responsabile della vigilanza e dei controlli fossi io» (1) sen­za tuttavia poter fornire giustificazioni, o sapere individuare altro organo cui la titolarità dei con­trolli spettasse.

Ulteriore riprova che fosse riservato all'ONMI il delegato compito delle ispezioni sugli istituti, emerge non solo da quanto accertato dai Carabi­nieri, secondo cui furono rinvenute una «ventina di ispezioni effettuate dal personale dell'ONMI anteriormente al 1966», con relative relazioni nei fascicoli (1), ma anche quanto dichiarato dallo stesso Gueli, secondo cui dal 1963 al 1966 ci furono ben 71 relazioni ispettive sugli istituti di assistenza «durante la gestione Commissa­riale» (1): segno evidente che le ispezioni do­vevano essere fatte, ed in parte negli anni pre­cedenti al periodo relativo ai capi di imputazione, cioè dal 1967 al 1971, furono effettuate.

Il dovere giuridico per l'imputata Gotelli di no­minare gli ispettori e fare attuare i dovuti con­trolli (a parte la considerazione che il Direttore sanitario rispondeva oltre che al Presidente co­munale alla Presidenza nazionale e di conseguen­za era preciso dovere di questa controllare l'atti­vità di tale organo) discende non solo dalla sua posizione di Presidente nazionale; ma anche dal­la specifica normativa sancita dagli artt. 52 e 53 del Regolamento di esecuzione della legge 10-12­1925 n. 2277, approvato con R.D. 15 aprile 1926.

Stabiliscono detti articoli che «l'Opera Nazio­nale esercita il potere di vigilanza e di control­lo... mediante apposite ispezioni sull'andamen­to dei servizi nelle varie provincie e sul funzio­namento delle singole istituzioni», specificando che per le ispezioni ordinarie (e cioè annuali e straordinarie, gli incarichi relativi che devono es­sere temporanei sono conferiti dalla Giunta ese­cutiva nazionale, costituita ex art. 1 legge 1-12­1966, n. 1081, dal Presidente nazionale, dal vice presidente e da altri membri in numero di cinque.

Sostiene la Difesa della prevenuta che anche tali norme devono considerarsi abrogate, sia per effetto dell'art. 1 del decreto del 1938, sia perché incompatibili con tutta la successiva normativa relativa all'ONMI. Sotto il primo profilo possono qui ripetersi le considerazioni sopra esposte in via generale, che portano alla conferma che i poteri di vigilanza e di controllo sugli istituti rimangono compiti fondamentali dell'ONMI; sotto il secondo profilo valgono le seguenti considera­zioni.

Va anzitutto rilevato che da un'attenta disa­mina delle leggi e dei regolamenti successivi al R.D. 15-4-1926, n. 718, non si rinviene alcuna nor­ma che esplicitamente abroghi gli artt. 52 e 53 del Regolamento; quando il legislatore ha voluto incidere sulla normativa precedente, lo ha chia­ramente previsto, come ad esempio nell'art. 4 della legge 1-12-1966 ove sancisce che «gli arti­coli 12, 15 e 16 del T.U. sull'ONMI approvati con R.D. 24-12-1934 sono soppressi». In mancanza dunque di una esplicita disposizione di legge o di regolamento, occorrerebbe accertare in chiave ermeneutica, una precisa volontà di legge che ponesse nel nulla la validità di tali articoli.

Secondo la Difesa della imputata, essa potreb­be rinvenirsi nel regolamento organico del perso­nale impiegatizio dell'ONMI, deliberato dal Con­siglio centrale dell'ONMI il 29-7-1966 e appro­vato dal Ministro della Sanità di concerto con il Ministro del Tesoro (1): poiché infatti con tale regolamento si stabilisce la nuova e definitiva pianta organica del personale dell'Opera, da assu­mere mediante regolari concorsi, sarebbe stato impossibile alla Giunta esecutiva nazionale, pre­sieduta dalla Gotelli, nominare quegli ispettori perchè non sono più contemplati gli «incarichi temporanei» previsti nell'art. 53 al II comma.

Il primo rilievo che sorge spontaneo è la giu­ridica impossibilità del regolamento organico di abrogare, sia pure implicitamente, il regolamento per l'esecuzione della legge 10-12-1925, n. 2277, poiché alla luce della gerarchia delle fonti nes­suna norma può essere modificata o abrogata se non in forza di altra norma di grado superiore o di egual grado: ed è indubitabile che il regola­mento esecutivo della legge del 1925 si ponga con valore preminente, poiché emanato con R.D. 15-4-1926, n. 718, pubblicato sulla G.U. 5-9-1926, n. 104, dal Governo nell'esercizio della sua pote­stà regolamentare, al fine di specificare la disci­plina stabilita in via generale dalla legge istitu­tiva dell'ONMI, mentre il Regolamento organico scaturisce da una mera deliberazione interna del Consiglio centrale dell'ONMI, sia pure con la do­vuta ed obbligatoria approvazione del Ministero della Sanità, sicché il primo è fonte normativa superiore rispetto al secondo.

Diversa quindi l'Autorità da cui promanano i due regolamenti, ma diversa anche la sostanza ed i fini delle norme in esse emanate che non si elidono, ma si integrano invece compiutamente tanto che nell'approvazione del Ministero della Sanità al secondo regolamento, si fa esplicito richiamo sia al T.U. del 24-12-1934, che al Rego­lamento esecutivo del 15-4-1926.

La verità è che con la deliberazione del Con­siglio centrale dell'ONMI, si è inteso unicamente determinare la posizione dei singoli impiegati nell'ambito dell'Opera Nazionale, fissando una pianta organica, ed un preciso ruolo, per esclu­sivo, giusto, vantaggio degli stessi, ma non si è voluto - né si poteva - modificare o abrogare i compiti istituzionali degli organi che sono rima­sti quelli previsti nel regolamento esecutivo della legge istitutiva dell'ONMI.

Quand'anche si fosse voluto porre in dubbio la liceità dell'affidamento di incarichi temporanei (previsti d'altronde esplicitamente anche dall'ar­ticolo 117 del Regolamento organico) si poteva affidare l'incarico di ispettore a personale di ruolo sì da assolvere quel compito fondamentale spettante alla Giunta esecutiva nazionale quale il controllo mediante ispezioni annuali oltre che straordinarie, sia sui servizi - massime quello sanitario - sia sulle singole istituzioni.

Se tale dovere incombe dunque alla Giunta, nell'ambito di questa trova la sua individuazione ai fini penali nel Presidente nazionale per il chia­ro disposto degli artt. 12 e 16 del Reg. esecutivo legge 10-12-1925, n. 2277. Infatti è il Presidente che convoca la Giunta e per legge deve predi­sporre l'ordine del giorno (testualmente ha ri­sposto la Gotelli «gli ordini del giorno della Giunta esecutiva erano da me compilati: questo per legge») nel quale inserire, tra l'altro la do­vuta nomina degli ispettori, nonché «vigila sul buon andamento degli uffici e dei servizi» poten­do anche prendere in caso di urgenza tutte le deliberazioni di competenza della giunta esecu­tiva.

Per gli altri membri avendo solo la facoltà di porre gli argomenti all'ordine del giorno, può con­cretarsi una responsabilità di ordine morale, e non anche giuridica per aver omesso di nominare i suddetti ispettori.

Che esistesse e fosse operativa la disposi­zione sancita dagli artt. 52 e 53 del Regolamento, emerge da un'ulteriore considerazione. La norma non vive soltanto nel sistema, ma nella realtà attuale, sicché qualora i destinatari od in genere i consociati ne riconoscano l'esistenza e l'effica­cia, vi è la riprova della sua vitalità. Nel caso in esame tutti i dipendenti dell'ONMI ne riconosce­vano la piena validità: non soltanto il Presidente Cini di Portocannone («Faccio presente che spettava alla Giunta esecutiva nominare persone idonee per esercitare le ispezioni ordinarie e straordinarie») (1) o il Direttore sanitario Guelli («ex artt. 52 e 53 spettava alla Giunta esecutiva nazionale nominare gli Ispettori») (1), ma an­che le assistenti sociali dell'ONMI hanno dichia­rato in istruttoria e confermato in dibattimento che era «convinzione corrente» che il compito ispettivo doveva essere svolto da persone anche estranee all'Ente, ma nominate dalla Giunta ese­cutiva nazionale: precise e concordate sono a riguardo le testimonianze di Brunelli Nella (1), Cantaro Anita (1) e Mongelli Maria (1), le quali hanno anche specificato che la loro «attività ispettiva era soltanto una delle fonti di control­lo», che rimaneva precipuo compito degli ispet­tori nominati dalla Giunta esecutiva, «il che non toglie che altri assistenti - in anni precedenti - abbiano fatto ispezioni agli Istituti».

Un'ultima disamina è necessaria per accertare che se i controlli previsti dalle Leggi sull'ONMI nel periodo preso in considerazione e cioè nel 1967 al febbraio 1971 (inizio delle indagini sugli Istituti) furono realmente effettuati. La risposta che emerge dalle precise risultanze processuali è del tutto negativa.

L'ONMI Comunale, che doveva compiere non solo i controlli, ma gli accertamenti tecnico­sanitari per la concessione dell'autorizzazione ex art. 50 del Reg. Esecutivo, ignorava completa­mente quale fosse la situazione degli Istituti di assistenza: negli elenchi dell'ONMI erano infatti ancora indicati 85 Istituti che non ospitavano più minori, ovvero erano dei Seminari, mentre altri Enti avevano da tempo cambiato la loro ubicazio­ne senza che l'ONMI ne fosse venuta mai a cono­scenza. Significativo è l'episodio relativo alla «Casa di Carità S. Giuseppe» chiuso fin dal 1960, ma ancora indicato come esistente negli elenchi dell'ONMI; tanto che quando i carabinieri vi si recarono per compiere i dovuti accertamenti, risultò che in quello stabile si trovava il Coman­do di regione dei Carabinieri di Roma (1).

Più grave il fatto che per circa quaranta Isti­tuti che ospitavano bambini assistiti regolarmen­te ai fini delle rette da vari Enti, l'ONMI non avesse impiantato alcun fascicolo, e quindi uffi­cialmente ne ignorasse l'esistenza.

A tale caotica situazione amministrativa face­va riscontro l'assoluta mancanza di qualsiasi controllo per gli Istituti che in certo qual modo erano stati identificati, e per i quali negli anni precedenti era stato impiantato un fascicolo. L'accurato riscontro di tutti i fascicoli seque­strati, effettuato dal Nucleo Investigativo dei Ca­rabinieri, non ha rinvenuto alcuna traccia di rela­zioni o soltanto di note, relative ad ispezioni o controlli effettuati da personale dell'ONMI, fatta eccezione, come già rilevato, per una ventina di ispezioni, tutte anteriori al 1966. Sentiti in pro­posito gli stessi direttori degli Istituti hanno escluso che siano state mai effettuate delle vi­site ispettive da parte di assistenti o di personale ispettivo dell'ONMI.

Lo stesso è a dire, per quanto riguarda la im­putata Gotelli, circa la nomina degli Ispettori ex art. 52 e 53 del Regolamento che non compare in alcuno dei verbali della Giunta esecutiva se­questrati.

A tali risultanze probatorie fa riscontro la piena confessione degli imputati, sia in sede istruttoria che in sede dibattimentale, avendo la Gotelli ammesso di non aver mai nominato gli Ispettori previsti dal Regolamento esecutivo e avendo ribadito Cini di Portocannone e Gueli di non aver mai eseguito personalmente ovvero ordinato alle Assistenti Sociali di compiere alcu­na ispezione negli Istituti; ulteriore prova si ha nelle testimonianze di quest'ultime che hanno escluso di esser mai state incaricate di svolgere controlli sulle Istituzioni Assistenza all'Infanzia.

Emerge quindi dall'analisi delle norme e dei fatti come accertati indiscutibilmente dalle chia­re risultanze processuali, la sconfortante conclu­sione che gli Istituti di Assistenza ai Minori di Roma, nella maggior parte dei quali sono stati consumati reati a danno di bambini, sono stati lasciati per anni privi di qualsiasi controllo da parte dell'Opera la cui costituzione era ed è di­retta al fine della tutela e della vigilanza dell'in­fanzia bisognosa e abbandonata. Tutto poteva ac­cadere in quegli istituti, ma gli Organi competenti al controllo non erano a conoscenza né - cosa più grave - volevano esserlo, distratti certo da altre attività e rivolti ad altri fini che non erano quelli a cui dovevano dedicare tutta la loro capa­cità, e per i quali ricoprivano posti di grande prestigio.

Vi sono, sullo sfondo del doloroso dramma dei bambini rinchiusi negli istituti alcune circostanze che illuminano il processo e danno la misura del­la gravità delle omissioni compiute dagli impu­tati, nonché del loro senso morale. Alla preoccu­pante testimonianza dell'Assistente Covino (1): «Non sapevamo quanti erano gli Istituti di Roma, perché non era mai stato fatto un censimento, e dovevamo mandare i bambini presso alcuni Isti­tuti senza poter sapere effettivamente come fun­zionassero», fa riscontro sia quanto dichiarato dal Cini che ha affermato di «non aver mandato assistenti sociali o vigilatrici né ordinato alcuna ispezione» né di aver in proposito dato istruzioni al Gueli, né in conclusione di «essere tenuto a sapere» la situazione degli Istituti, sia quanto «non dichiarato» dalla Gotelli che alla precisa domanda, se quale Presidente Nazionale dell'ONMI, fosse a conoscenza della situazione de­gli Istituti, dapprima (1) in istruttoria si è rifiu­tata categoricamente di rispondere, e in segui­to (1) in dibattimento, nonostante le fosse più volte ripetuta la domanda, l'ha sempre elusa: «non si può rispondere a questa domanda».

È quindi evidente che i prevenuti hanno posto in essere sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello psicologico la fattispecie criminosa pre­vista e punita dall'art. 328 c.p., a loro contestata nei capi a), c) ed e) della rubrica.

Non possono accogliersi a riguardo le perples­sità sollevate dalla difesa sulla loro qualità di pubblici ufficiali, presupposto soggettivo richie­sto dalla norma in esame.

L'art. 357 c.p. contempla in tale concetto, oltre gli impiegati dello Stato, ogni altra persona che permanentemente o temporaneamente, con re­tribuzione o senza eserciti una pubblica funzione: a questa amplissima nozione ha dato concreto contenuto la dottrina penalistica indicando alcuni criteri di massima per individuare i pubblici uf­ficiali.

Spetta anzitutto tale qualifica a coloro che for­mano ovvero concorrono a formare, la volontà dell'Ente pubblico e che comunque lo rappresen­tano di fronte agli estranei. In secondo luogo a coloro che sono muniti di poteri autoritari, e sono cioè autorizzati ad eseguire verifiche ed accerta­re violazioni di Legge; ed infine a coloro che sono investiti di poteri di certificazioni. È indu­bitabile che gli imputati debbono essere rico­nosciuti pubblici ufficiali sia sotto il primo che sotto il secondo profilo.

Infatti il Presidente Nazionale ed il Presidente della Federazione Romana non soltanto concor­rono a formare in maniera prevalente la volontà dell'ONMI nei rispettivi ambiti indirizzandone l'at­tività, ma la rappresentano per legge in giudizio, e sono muniti di tutti i poteri previsti dalla Legge istitutiva per compiere ispezioni e controlli su­gli Istituti pubblici o privati, oltre ché per rifor­mare statuti e regolamenti delle singole istitu­zioni. Stessi poteri spettano in concreto a Gueli, che al vertice del servizio sanitario ha il dovere­potere di vigilare e controllare gli Istituti, accer­tarne le violazioni delle leggi relative alla Ma­ternità e all'Infanzia fino a proporre la sospen­sione di attività delle istituzioni inefficienti e la loro chiusura.

Accertato tale presupposto soggettivo, si sono evidenziati tutti gli altri elementi costitutivi dell'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 328 c.p. per la chiara consistenza e specifico obbligo di at­tuare e organizzare i controlli sugli Istituti, non­ché per la Gotelli anche di nominare gli ispet­tori previsti dalla legge, obbligo che completa compiutamente l'atto del proprio ufficio a cui nessuno degli imputati ha nemmeno parzialmen­te adempiuto.

Tale omissione non può non qualificarsi inde­bita, e realizzare così quell'ulteriore elemento previsto nell'economia strutturale della norma in esame, che con l'avverbio «indebitamente» ri­veste con la qualifica di «illiceità speciale» la condotta posta in essere dall'agente. La espres­sione usata, sta a significare che il fatto non deve trovare alcuna giustificazione nella Legge o in un atto della Autorità o nell'impossibilità: è noto che il codice penale del 1889, precisava che il pubblico ufficiale non poteva esimersi dal compiere il proprio dovere «per qualsiasi pre­testo anche di silenzio, oscurità, contraddizione o insufficienza della Legge». Tale dichiarazione fu soppressa perché (secondo quanto precisa la relazione al codice penale, II, 136) l'eliminazione dell'ambiguo inciso «per qualsiasi pretesto...» «indurrebbe a ritenere necessario per l'esisten­za del reato, che un qualsiasi pretesto venisse addotto dal pubblico ufficiale. Deve bastare in­vece che questi indebitamente, senza cioè un motivo legittimo, non adempia ai propri doveri funzionali».

A riguardo va notato che né le risultanze pro­cessuali, né le dichiarazioni degli imputati por­tano a concludere che gli stessi fossero nella materiale impossibilità di adempiere agli atti del proprio ufficio. Poiché tuttavia la difesa del Gueli ha, come ipotesi subordinata, adombrato la tesi della mancanza dei mezzi, è facile osservare che tale carenza (non dimostrata) avrebbe potuto soltanto impedire un controllo assiduo ed effi­cace, ma non anche, come nella specie, giusti­ficare una assoluta, sistematica, completa man­canza di qualsiasi controllo, ovvero la nomina anche di un solo ispettore.

Nulla quaestio poi per quanto riguarda la sus­sistenza dell'elemento psicologico, richiesto nel­la sua forma di dolo generico avendo gli imputati sia la coscienza sia la volontà di omettere gli atti dovuti. Non si può invocare la ignorantia le­gis, perché prescindendo dalla considerazione che la normativa sull'ONMI si deve intendere richiamata nell'art. 328 c.p., vera norma penale in bianco nella cui struttura il concetto di « atti d'ufficio » viene di volta in volta, concretato da disposizioni di leggi o di regolamenti, che rica­dono quindi sotto l'ambito di applicazione dell'art. 5 c.p. secondo cui ignorantia legis penalis non excusat, va rilevato che come ammesso da­gli stessi imputati, questi conoscevano perfet­tamente gli articoli di legge violati, il ché d'al­tronde è comprensibile considerando che essi coprivano da anni le cariche al vertice dell'Opera Nazionale per la protezione Maternità e Infanzia.

Il fine particolare per cui le ispezioni da parte del personale ONMI - compiute fino al 1966 - cessarono del tutto perché non più ordinate da­gli organi competenti, sia esso quello accennato dal P.M., di favorire o di non recare disturbo ai vari Istituti per scopi politici, ossia di diverso genere, non rientra nell'accertamento di questo Giudice poiché la volontà colpevole che sostiene la condotta prevista nell'art. 328 c.p., non è ri­chiesta nella particolare forma del dolo specifi­co, essendo sufficiente, come accennato, la co­scienza e la volontà di non adempiere ad atti del proprio ufficio.

Un esempio davvero emblematico della totale e sistematica omissione del controllo, è quello relativo all'Istituto «Arc en ciel» che genera precise responsabilità articolati ai capi B) e d) dell'imputazione nei confronti di Cini di Portocan­none e di Gueli.

È rimasto accertato che in data 20-11-1970 la Prefettura di Roma inoltrava raccomandata ur­gente n. 401/265, diretta al Presidente del Comi­tato Comunale dell'ONMI di Roma, nella quale allegando un esposto e dei ritagli di stampa si rendeva noto che in quell'Istituto la bambina S.B., di ventun mesi, era stata oggetto di ben trenta morsicature in tutto il corpo, analogamente a quanto verificatosi precedentemente in danno di altra bambina, tale V.G., e si richiedeva di «voler disporre con cortese sollecitudine, ac­certamenti intesi ad appurare l'effettivo funzio­namento delle attività assistenziali presso l'isti­tuto» richiamando esplicitamente l'attenzione del destinatario «sulla gravità del caso segna­lato». Gravità che emergeva quindi non solo dal racconto dei fatti, che prospettavano la possibi­lità di un ripetersi delle lesioni in danno dei bambini ivi ricoverati, ma sottolineata dalla stes­sa richiesta, firmata personalmente dal Pre­fetto (1).

In data 10-12-1970 il Direttore della Presidenza Nazionale, invitava con fonogramma l'ONMI Co­munale «a provvedere con urgenza» ad attuare «urgente approfondita ispezione Istituto ai sensi art. 5 T.U. Decreto 24-12-1934 n. 2316, anche in ordine all'accertamento scarsa sorveglianza mi­nori ospiti, deficienza di ordine alimentare ed altro», ispezione richiesta dal Ministero della Sanità (1).

Infine, giunti al 9-1-1971 il Prefetto di Roma (1), sollecitava il Presidente del Comitato Comunale ad u affrettare la comunicazione delle informa­zioni richieste in ordine al funzionamento dell'attività assistenziale presso l'Asilo Nido n alle­gando la missiva del 20 novembre precedente.

Tre richieste, quindi urgenti e relative a gravis­simi fatti, cui doveva far riscontro per l'ONMI l'immediato accertamento delle reali condizioni dell'Istituto, che la legge e il caso concreto im­ponevano sollecitamente, e alle quali invece si oppose il più assoluto silenzio e la più completa inattività, fino a che in data 11-2-1971, ad oltre due mesi e mezzo dalla prima inevasa richiesta, la Questura notificava all'Istituto «Arc en ciel» - visitato pochi giorni prima dal Magistrato - l'ordine di chiusura del Prefetto, che valutate le inchieste giudiziarie in corso (una delle quali relative alla morte di un bambino ricoverato nell'istituto) e quanto riferitogli da altri organi, ac­certava gravissime deficienze sanitarie e fun­zionali dell'Asilo nido.

Si evidenziano quindi precise responsabilità sia del Presidente Cini che del Direttore Sanita­rio Gueli.

Il primo ha manifestamente dichiarato il falso quando in istruttoria (1) alla contestazione circa il reato di cui al capo b) della rubrica ha rispo­sto «Ignoro di aver mai ricevuto in data 20-11­-1970 una prima richiesta del Prefetto di Roma»... «né ho mai preso visione del successivo sollecito in data 9-1-71... né di analoga richiesta della Di­rezione Nazionale ONMI», concludendo che «dell'Arc en ciel non ne sapevo nulla: per me il capo b) dell'imputazione è stata un'amara sorpresa, perché solo allora ho saputo il fatto».

L'evidenza del mendacio si rivela innanzi tutto perché tutte le richieste della Prefettura erano indirizzate personalmente al Presidente dell'ONMI Comunale, e vennero, come risulta dal protocollo acquisito agli atti, inoltrate diretta­mente al Presidente Cini. Inoltre lo stesso impu­tato ha dichiarato che (1) era sua abitudine, quando prendeva cognizione degli atti, segnare in margine con la penna qualche richiamo con la sua sigla: annotazione e sigla che si riscontra­no - non contestate - sull'urgente sollecito del 9-1-1971, al quale era allegata copia della prima richiesta. Prova questa che il Cini era a diretta conoscenza dell'invito del Prefetto, così come ne erano a conoscenza tutti nell'ambito dell'ONMI Comunale, come testimoniano le dichia­razioni delle varie assistenti sociali (1).

Nessun dubbio poi che anche Gueli, per sua stessa ammissione, fosse perfettamente consa­pevole delle urgenti richieste rivolte all'ONMI Comunale, richieste che non ebbero alcuna ri­sposta e alle quali indebitamente non seguì alcun adempimento...

Per quanto riguarda Cini era suo specifico dovere in ossequio ai summenzionati artt. 4-5-6 del T.U. del 1934, richiamato esplicitamente nel­la richiesta del Ministero della Sanità nonché al­l'art. 106 del Regolamento esecutivo della Legge istitutiva, per il quale in caso di urgenza il Presi­dente esercita tutte le attribuzioni demandate all'ONMI, attuare personalmente l'immediata ispezione dell'Istituto, ovvero sollecitare e con­trollare che il direttore sanitario, suo subordi­nato gerarchico, si portasse presso l'Arc en ciel o vi inviasse le assistenti per l'urgente e appro­fondito accertamento richiesto, e non limitarsi a prendere atto per lungo arco di tempo della completa inattività del Comitato di cui era Pre­sidente, inattività evidenziata dalla reiterazione delle inascoltate richieste.

Non è valida a riguardo la tesi difensiva pro­spettata dal direttore sanitario, secondo cui egli non prese alcun provvedimento (se non la ste­sura di una lettera al medico provinciale - mai inviata - con la quale si richiedeva notizie circa l'istituto Arc en Ciel) poiché era a sua cono­scenza che la Magistratura, i Carabinieri ed il Medico Provinciale stavano compiendo delle in­dagini sull'Istituto.

La circostanza che altri organi stessero, cia­scuno nel proprio ambito di competenza, svol­gendo la loro attività nei riguardi dell'Asilo Nido, non esimeva certo il direttore sanitario, cui spet­tava per precisa disposizione normativa (in at­tuazione di compiti di controllo demandati all'ONMI) di vigilare sulle singole istituzioni, non­ché di proporre la sospensione delle attività de­gli Istituti inefficienti, ed eventualmente la loro chiusura. Perciò sia il Prefetto che il Ministro della Sanità si rivolsero all'ONMI Comunale, per­ché solo questo, tramite il suo organo tecnico, direttore del servizio sanitario, era in grado di svolgere gli accertamenti sanitari, dietetici, pe­dagogici e funzionali sull'Istituto, accertamenti per il quale il servizio che dipendeva dall'impu­tato era stato costituito.

Ed è significativo il fatto che nel dicembre 1970, successivamente alla prima richiesta del Prefetto, la direttrice dell'Istituto Arc en Ciel, inviasse (1) una lettera a Gueli nella quale lo si ringraziava caldamente «per l'aiuto morale che ha voluto darci in queste traversie e che è stato da noi immensamente apprezzato»: strano rin­graziamento da parte di chi doveva essere con­trollato a chi, in violazione di precise norme di legge e di espliciti inviti, si asteneva sciente­mente da qualsiasi controllo.

Accertata la penale responsabilità degli im­putati in ordine ai reati a loro iscritti ritiene questo Pretore concedere per tutti le attenuanti generiche previste nell'art. 62 bis c.p., nonché il beneficio della continuazione tra i capi a) e d), e i capi c) e d), per gli imputati Cini e Gueli apparendo manifesto che l'ultimo episodio loro contestato relativo all'Istituto Are en Ciel sia stato posto in essere, violando la medesima di­sposizione dell'art. 328 c.p., in attuazione di uno stesso disegno criminoso.

Per quanto attiene alla determinazione della pena, considerati gli elementi oggettivi e soqget­tivi di cui all'art. 133 c.p., ed in special modo la gravità del danno cagionato dalla omissione de­gli imputati, ricollegabile come principale causa delle violazioni di legge e dei reati commessi ne­gli Istituti, nonché l'intensità del dolo manife­stata nel persistere nelle omissioni per lungo periodo di tempo, appare equo condannare Go­telli Angela alla pena di mesi quattro di reclu­sione (pena base mesi sei - che si giustifica ul­teriormente rispetto alle altre pene per rivestire l'imputata la più alta carica dell'ONMI, e per essere stata quindi la sua omissione più consa­pevole e più grave delle altre - pena diminuita di un terzo per effetto della concessione delle attenuanti generiche) ; Gueli Umberto, alla pena di mesi tre e giorni cinque di reclusione (pena base mesi quattro - giustificata tra l'altro dall'essere l'Organo cui erano demandati tutti i completi poteri di vigilanza e di controllo - di­minuita a mesi due e venti giorni per l'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p., ed aumentata di ulte­riori quindici giorni per effetto della continua­zione relativa all'episodio di cui al capo d) Cini di Portocannone Renato, alla pena di L. 1.000.000 (un milione) di multa: la scelta della pena pecu­niaria si giustifica per avere il Cini una respon­sabilità, sebbene piena, tuttavia minore nei con­fronti del suo direttore sanitario, cui più speci­ficatamente spettava l'attuazione dei controlli sugli Istituti; pena che si ottiene ponendo come pena base lire 400.000 di multa diminuita di un terzo per le attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., ed aumentata a L. 400.000 per effetto dell'arti­colo 81 c.p.v. Poiché la somma così determinata, attesa le condizioni economiche dell'imputato, notoriamente cospicue renderebbero inefficace la pena inflitta, appare equo elevarla, ai sensi dell'art. 24, 3° comma c.p., alla suddetta somma di lire un milione.

Tutti gli imputati vanno altresì condannati in solido al pagamento delle spese processuali. Può concedersi ai prevenuti Gotelli e Gueli il beneficio della sospensione condizionale della pena del quale non può godere Cini Renato, per avere già riportato una condanna a pena deten­tiva per delitto.

Consegue infine automaticamente, per effetto degli artt. 28 e 31 c.p., la interdizione dai pub­blici uffici di tutti gli imputati, per la durata di anni uno.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 483, 488 c.p.p.; 328, 81 c.p.v., 24, 28, 31, 166 c.p.;

 

dichiara

 

Gotelli Angela, Gueli Umberto, Cini di Portocan­none Renato, colpevoli di tutti i reati loro rispet­tivamente ascritti, e con la concessione, per tutti, delle attenuanti generiche, nonché per Cini e Gueli del vincolo della continuazione tra i reati di cui al capo a) e b) per il 1°, e di cui al capo c) e d) per il 2°, posti in essere in attuazione di un medesimo disegno criminoso, così modificata la originaria imputazione, condanna Gotelli An­gela alla pena di mesi quattro di reclusione (pena base mesi sei - 62 bis) Gueli Umberto alla pena di mesi tre e gg. 5 di reclusione (pena base mesi quattro - 62 bis mesi 2 e 20 giorni + quindici giorni per l'art. 81 cpv.), e Cini di Portocannone Renato a lire 1.000.000 di multa (pena base 400.000 lire - 62 bis = 270.000 + 130.000 per l'art. 81 cpv. = 400, aumentata ex art. 24 ultimo comma c.p.) .

Condanna tutti gli imputati in solido alle spese processuali.

Concede a Gotelli Angela e Gueli Umberto il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Dichiara, altresì, Gotelli Angela, Gueli Um­berto, Cini di Portocannone Renato interdetti dai pubblici uffici, per la durata di anni uno.

 

1-12-1971

IL PRETORE

(Luciano Infelisi)

 

 

 

 

(1) Con l'annotazione (1) si fa riferimento ad atti e verbali allegati alla sentenza; con l'annotazione (2) si fa riferi­mento a foto e atti allegati alla sentenza.

(1) Si fa riferimento ad atti e verbali allegati alla sentenza.

(2) Si fa riferimento a foto e atti allegati alla sentenza.

 

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