Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo 1972

 

 

DOCUMENTI

 

RISTRUTTURAZIONE DEI SERVIZI DELLA PROVINCIA DI TORINO

 

 

Con delibera del 18 maggio 1971 il Consiglio provinciale di Torino ha deciso la costituzione di un gruppo di lavoro sui problemi socio-sanitari­-assistenziali «considerato che nel settore assistenziale sono in atto impor­tanti iniziative di legge e nuove riforme strutturali, che potranno determi­nare nuovi indirizzi in materia ed anche diversi compiti per le amministra­zioni provinciali; che pare pertanto opportuno procedere ad una analisi preventiva ed approfondita sui vari aspetti dei problemi socio-sanitari-assi­stenziali, per l'individuazione di nuove esigenze e dei mezzi per farvi fronte».

Il gruppo di lavoro è composto dai seguenti rappresentanti: 5 della Provincia di Torino; 2 del Comune di Torino; 3 dei Comuni delle aree dell'Eporediese, del Pinerolese e della 1ª e 2ª cintura di Torino; 1 di ciascuna delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL; 1 dell'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale; 1 dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali; 1 di ciascuna delle scuole SFES, ONARMO e UNSAS; 1 dell'ANFFaS; il Capo ufficio dei Centri di addestramento professionale e del lavoro protetto.

Pubblichiamo i due documenti presentati, grati dei contributi critici che saranno inviati a noi o direttamente alla Provincia di Torino.

 

 

I

 

UNIONE ITALIANA PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI DEL MINORE E PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

PROPOSTA SULLA RISTRUTTURAZIONE DEI SER­VIZI DELLA PROVINCIA DI TORINO

(26 otto­bre 1971)

1. I soggetti «assistiti» oggi

Nella nostra società le persone poco produttive (handicappati) , non più produttive (anziani) o con difficoltà (minori in situazione di abbandono, famiglie o persone prive di mezzi economici, di­sadattati, malati mentali) sono escluse social­mente e spesso anche fisicamente (ricovero in istituti a carattere di internato).

Se si esamina quali siano i bisogni delle per­sone che ricorrono oggi all'intervento assisten­ziale, si riscontra che esse appartengono a due gruppi:

1) Il primo gruppo comprende le persone che sono prive di lavoro o sottoccupate o senza casa o senza mezzi economici o emarginate dalla scuola (ritardo scolastico, classi differenziali) o prive di assistenza sanitaria, ecc. Per evitare la emarginazione sociale di queste persone non è pertanto sufficiente una ristrutturazione del set­tore assistenziale (necessaria e urgente come tappa intermedia), ma la soluzione sta nelle rifor­me dei vari settori della sanità, della casa, del lavoro, della scuola ecc., riforme che devono però essere attuate in modo che i servizi relativi possano essere utilizzati da tutti i cittadini.

Per i cittadini privi di mezzi economici e impos­sibilitati per qualsiasi motivo a procurarsi il ne­cessario economico per vivere, gli attuali inter­venti settoriali (pensione sociale di L. 12.000 agli ultrasessantacinquenni, assegno agli invalidi, ai ciechi, ai sordomuti) devono essere sostituiti da una pensione sociale erogata a tutti i nuclei familiari o persone singole i cui redditi siano inferiori al necessario economico per vivere il quale, per adeguarsi allo sviluppo sociale, deve essere collegato con il salario (ad esempio quello minimo dei lavoratori dell'industria).

Interventi economici temporanei devono pure essere previsti per i nuclei familiari e le persone i cui redditi per qualsiasi motivo sono tempora­neamente inferiori al necessario economico per vivere. Questi interventi devono essere diretti a rendere autosufficienti il più rapidamente possi­bile i nuclei familiari e le persone in difficoltà economiche.

2) Il secondo gruppo è costituito dalle per­sone con handicaps fisici, psichici, sensoriali oppure con difficoltà (disadattati, bambini in si­tuazione di abbandono).

Finora si è intervenuti isolando queste per­sone (istituti di ricovero, istituti di cosiddetta rieducazione, ecc.) partendo dall'assurdo presup­posto che esse erano «diverse», e che quindi non dovranno convivere con gli altri, «cosid­detti normali».

Queste persone hanno invece gli stessi biso­gni fondamentali di tutti ed hanno inoltre alcuni bisogni in più.

Devono quindi essere messe in grado di poter usufruire dei servizi per tutti i cittadini (servizi sanitari, prescolastici, scolastici, ricreativi, cul­turali, abitazione, lavoro ecc.) e in dette sedi dovranno essere fornite le prestazioni speciali­stiche di cui hanno bisogno (fisioterapia, logo­pedia, apprendimenti del Braille ecc.).

3) Dovrà essere applicato il principio del minimo di isolamento e del massimo di socializ­zazione, principio valido sia per gli handicappati come per i non handicappati.

Quindi niente centri per spastici, per subnor­mali, per focomelici, per ciechi, per sordi, niente istituti per anziani o per minori, niente ospedali psichiatrici, niente centri ricreativi per anziani o per handicappati o per minori.

Al contrario istituzione di servizi per tutti i cittadini e specializzazione all'interno del servi­zio stesso (ad esempio sezioni psichiatriche presso i comuni centri ospedalieri o ambulato­riali).

Per quanto concerne la scuola dell'obbligo sono necessari dei raggruppamenti non essendo oggi possibile l'inserimento di tutti gli handicappati in tutte le scuole. È pertanto necessario che vi siano alcune scuole che accolgano insieme ai cosiddetti normali gli insufficienti mentali, altre gli spastici ecc.

Pertanto anche per le persone del secondo gruppo, la soluzione non consiste in istituti mi­gliori, ma sta nelle riforme dei vari settori della sanità, della casa, del lavoro, della scuola, rifor­me che devono però - lo ripetiamo - essere attuate in modo che i servizi relativi possano essere utilizzati da tutti i cittadini.

Per fare un esempio banale, se le abitazioni continueranno ad essere costruite con le barriere architettoniche (scalini, scale, mancanza di ascensore), coloro che devono spostarsi in car­rozzella saranno impossibilitati ad usufruirne, con conseguente ricovero in istituti. Così pure, se non è previsto che agli anziani siano assegnati alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione, la soluzione sarà il ricovero in istituti.

Parimenti se non saranno assegnati alloggi nelle comuni case di abitazione per istituire fo­colari per i bambini abbandonati (per i quali non è effettivamente possibile il ritorno nella fami­glia d'origine, l'adozione o l'affidamento familiare a scopo educativo), essi dovranno essere rin­chiusi in istituto.

4) Un problema importante è quello di so­cializzare i cosiddetti normali ai problemi degli handicappati e delle altre persone con difficoltà e non solo viceversa. Ad esempio non si può certo sensibilizzare un neonato abbandonato ai problemi dell'adozione. Non si può parimenti pen­sare alla piena accettazione dell'handicappato da parte della sua famiglia, se vi è un rifiuto sociale, rifiuto che è favorito dalla creazione di servizi «doppione» e cioè per determinate categorie di persone (spastici, ciechi, sordomuti, insufficienti mentali, bambini in situazione di abbandono, an­ziani ecc.).

5) Attualmente vi è la tendenza del passag­gio dalle strutture di tipo chiuso (internati) a strutture di tipo aperto. Ma anche le strutture di tipo aperto possono essere emarginanti, come i servizi «doppione» e le stesse famiglie che non accettano il proprio figlio (normale o handi­cappato).

6) Secondo il parere di questa Unione, l'al­ternativa è fra servizi tecnocratici (i tecnici sanno tutto, fanno tutto, riparano i «guasti» delle persone, i cittadini sono oggetti dell'inter­vento, con la conseguenza dell'abbassamento del livello di accettazione e di solidarietà della co­munità) e servizi partecipati in cui la comunità ed i tecnici sono coinvolti direttamente nella individuazione e soluzione dei problemi.

L'adozione, se la famiglia è valida, è un esem­pio di intervento sociale che è nella direzione della partecipazione; vi saranno fra l'altro molti fallimenti in meno e l'adozione di un maggior numero di bambini e fanciulli handicappati quan­do i tecnici non interverranno più, come avviene oggi, con scopi esclusivamente selettivi, ma in­sieme ad altre famiglie (adottive e non adottive) avranno la funzione di favorire l'auto-orienta­mento dei candidati all'adozione. Vedansi ad esempio i gruppi di maturazione dell'Associazio­ne nazionale famiglie adottive e affidatarie e il ruolo previsto per le famiglie affidatarie dalla re­cente delibera della Provincia di Torino concer­nente l'affidamento familiare.

7) Presupposto della partecipazione dei cit­tadini è l'informazione (vedasi lo statuto della Regione Piemonte), ma essa non viene fornita. A questa gravissima carenza occorre ovviare se la Provincia vuole essere un organo a servizio dei cittadini.

Un apposito gruppo di lavoro, composto da rap­presentanti della Provincia, dei Comuni e delle forze sociali potrebbe essere costituito per l'azio­ne informativa di cui sopra.

 

2. Superamento dell'intervento assistenziale

Attuando una politica effettivamente sociale (e cioè per tutti i cittadini) , l'intervento assisten­ziale non è più necessario.

1) D'altra parte occorre superare anche la distinzione fra intervento pubblico e intervento privato: l'intervento non è valido di per sé quando è comunale o statale o provinciale o regionale, laico o religioso, pubblico o privato.

Mentre è necessaria la garanzia pubblica (rico­noscimento del diritto concretamente esigibile alle prestazioni), l'alternativa vera è fra interven­ti emarginanti (o tecnocratici) e interventi parte­cipati.

Ad esempio, l'adozione dei bambini è garantita pubblicamente (dal tribunale per i minorenni), e non è né comunale, né statale, né provinciale, né regionale, né laica, né religiosa, ma è partecipa­ta: una famiglia prende uno o più bambini e li rende propri figli.

2) Il superamento dell'intervento assisten­ziale, e cioè dell'emarginazione sociale, postula un'inversione di tendenza di cui si enunciano al­cune imprescindibili condizioni per l'attuazione delle quali occorrono una politica veramente so­ciale da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni nelle materie ad esse trasferite ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione o attualmente di loro competenza, e il loro appog­gio politico per quelle che rimangono di compe­tenza dello Stato (1):

a) un adeguato trasferimento di stanziamen­ti dai consumi privati ai consumi collettivi;

b) l'unificazione di tutti i servizi ed inter­venti sociali a livello sia politico che tecnico, onde evitare il riprodursi dei fenomeni di divi­sione e settorializzazione;

c) la gestione dei servizi a livello locale (unità locale dei servizi e comprensori), come risposta alle esigenze che si manifestano nella zona, con la previsione di una serie di controlli politici;

d) l'attribuzione alle Regioni delle funzioni di programmazione e coordinamento, e non della gestione diretta dei servizi;

e) il riconoscimento del diritto alla protezio­ne sociale attraverso taluni strumenti fondamen­tali, quali:

- la piena occupazione ed in via sussidiaria mediante un sistema di garanzie economiche so­stanziali destinate a soddisfare il necessario eco­nomico per vivere a favore di coloro che non pos­sono svolgere appieno un'attività lavorativa o sono usciti, per qualsiasi ragione, dal ciclo pro­duttivo;

- un complesso sistema di servizi sanitari preventivi, curativi e riabilitativi, configurato in modo da assicurare l'armonico sviluppo fisico e psichico della persona in tutti gli ambienti in cui essa è inserita. È da evitare il rischio di una me­dicina preventiva che tenda a processi di adatta­mento e miglioramento della forza-lavoro, a sco­po esclusivamente produttivistico: ciò pone il problema di uno stretto raccordo e di una impo­stazione unitaria tra servizi sanitari e sociali;­

- la scuola come momento di informazione e formazione a carattere globale e permanente, non più cristallizzata e chiusa verso l'esterno, ma aper­ta alla comunità in quanto tale, centro dei pro­cessi culturali che si svolgono, servizio collet­tivo soggetto a controllo politico mediante la partecipazione dei lavoratori: in tale quadro si collocano le esigenze della scuola a tempo pie­no, di un'edilizia scolastica rinnovata, di un pre­ciso rapporto col territorio, della riduzione del numero degli allievi per classe, dell'abolizione delle classi differenziali, ecc.

Vi è pure l'esigenza i provvedere al più pre­sto alla formazione, aggiornamento e riqualifi­cazione, su un piano generalizzato, del personale a cui verranno affidati i compiti inerenti all'attua­zione del sistema dei servizi sociali. È necessa­rio superare, in questo quadro, l'artificiosa distin­zione tra personale amministrativo e tecnico, per l'affermarsi della figura professionale dell'opera­tore sociale, che, in relazione ai bisogni sociali e alle risposte programmate, esercita specifiche funzioni;

- l'assetto del territorio nel senso di dare importanza al complesso delle attrezzature so­ciali rispetto al contesto della residenza e delle attività produttive e non viceversa; ciò è possi­bile solo nella misura in cui si individui un mo­dello alternativo di sviluppo urbano, fondato sul riequilibrio sostanziale delle tipologie di insedia­mento, secondo una diversa logica dei rapporti sociali e della distribuzione delle risorse;

- l'impostazione della ricerca scientifica destinata ai fini sociali, servizio per la collettività e non strumento della produzione monopolistica.

 

3. Proposte di soluzioni immediate

Se l'obiettivo lungo termine è l'attuazione di riforme tali da assicurare a tutti i cittadini, indi­pendentemente dalle loro condizioni, di parteci­pare come soggetti alla vita politica, economica e sociale, l'obiettivo immediato principale è l'elimi­nazione progressiva e la più rapida possibile di tutte le strutture emarginanti la creazione di servizi comunitari, utilizzando gli spazi operativi previsti o consentiti dall'attuale legislazione, e favorendone, in tal modo, anche il suo futuro adeguamento.

1) I nuovi servizi dovranno essere tali da consentire il massimo di partecipazione possi­bile ed essere dislocati il più possibile «alla porta del cittadino».

2) La Provincia dovrebbe pertanto:

- da un lato decentrare i servizi da essa at­tualmente gestiti, che possono essere svolti a livello di unità locali dei servizi. Detto decentra­mento non dovrebbe essere solo di tipo territo­riale, ma con i contenuti sopra indicati (servizi comunitari e partecipati). Ci si riferisce in parti­colare ai servizi relativi alle madri nubili, ai mi­nori nati fuori del matrimonio, agli handicappati, ai malati mentali, alla medicina scolastica e al centro di igiene mentale;

- d'altro lato assumere quegli interventi che non sono effettivamente attuabili a livello di unità locali dei servizi tenendo conto della ri­strutturazione delle province in comprensori.

I più urgenti sono:

- un centro per la formazione, aggiornamen­to, riconversione degli operatori sociali (assi­stenti sociali, educatori, animatori culturali e del tempo libero; assistenti sanitarie, fisioterapisti, logopedisti e altri esperti della riabilitazione; istruttori tecnici per i centri di preparazione pro­fessionale);

- centri per la preparazione professionale aperta a tutti (handicappati e non handicappati).

3) Per le persone (minori, adulti, anziani) istituzionalizzati si tratterà di reinserirle nelle comunità tramite:

- l'aiuto economico ai nuclei familiari che per carenze finanziarie hanno provveduto, accettato o subito il ricovero di loro famigliari;

- l'aiuto sociale ai nuclei familiari che per carenze personali o di servizi hanno famigliari istituzionalizzati e il cui rientro in famiglia è possibile con l'eliminazione delle cause di cui sopra;

- l'adozione dei minori in situazione di abban­dono materiale e morale;

- l'affidamento familiare a scopo educativo di minori che sarà, a seconda dei casi, con o senza rapporti con la famiglia d'origine;

- la creazione di focolari inseriti in modo sparso nelle comuni case di abitazione, special­mente di quelle dell'edilizia economica, per i mi­nori, gli anziani, gli handicappati per i quali non sono attuabili gli interventi sopra indicati.

4) Dovranno in ogni caso essere scartate le soluzioni «istituto» o «ville» siano esse chiu­se o aperte, organizzate tradizionalmente o a gruppi famiglia.

5) Per verificare e attuare quanto sopra in­dicato, la Provincia, coinvolgendo gli altri organi politici e amministrativi e le forze sociali, do­vrebbe svolgere un'azione per la ristrutturazione non emarginante e comunitaria dei servizi di sua competenza, ma la cui reimpostazione è necessa­ria per l'attuazione delle soluzioni a breve e a lungo termine.

6) Il trasferimento di competenze dalla «as­sistenza» ai servizi della casa, della sanità, della scuola, del lavoro, ecc. oltre a rispondere al prin­cipio della pari dignità di tutte le persone, non solo è più rispondente alle esigenze delle perso­ne, ma è anche economicamente meno oneroso.

7) La ristrutturazione dei servizi non può ridursi ad un puro fatto tecnico, ma deve coinvol­gere, a tutti i livelli e in tutte le sue fasi, le forze sociali ed i cittadini che hanno il diritto-dovere di partecipare alla elaborazione degli indirizzi poli­tici e controllarne la loro attuazione.

Ma ciò non basta. Occorre anche un'azione di responsabilizzazione individuale, familiare e col­lettiva, di modo che tutti si sentano soggetti ef­fettivi della comunità e pertanto anche diretta­mente responsabili della sorte di tutti e di cia­scuno dei suoi membri.

 

4. Conclusioni

Quanto indicato nei punti precedenti esige, fra l'altro, che:

- sia istituito un centro comprensoriale per la formazione, aggiornamento e riconversione di operatori sociali (vedasi al riguardo la bozza di proposta di legge regionale di iniziativa popolare redatta da questa Unione, in Prospettive assi­stenziali, n. 13, gennaio-marzo 1971) ;

- il centro di addestramento per subnormali della Provincia di Torino passi dall'assessorato all'assistenza all'assessorato che si occupa della preparazione professionale dei cosiddetti nor­mali;

- i subnormali e gli altri handicappati sia­no inseriti nei centri di preparazione, aggior­namento e riconversione professionale istituiti dalla Provincia o da istituire (vedasi al riguardo la raccomandazione n. 99 della Conferenza Inter­nazionale del Lavoro);

- parimenti il laboratorio protetto dovrebbe passare dall'assessorato all'assistenza a quello del lavoro;

- dovrebbe essere resa operativa la dichiara­zione dell'assessore all'assistenza della Provin­cia di Torino fatta il 18-10-1971, secondo la quale la villa di strada del Mainero è «un tampona­mento alla situazione di Villa Azzurra» (2) ;

- siano ristrutturate in servizi di quartiere le attività oggi svolte dal C.I.M., dalla medicina scolastica, dall'I.P.I., dalle comunità alloggi ecc.;

- l'immobile di piazza Massaua sia destinato ad un utile servizio;

- l'impegno della Provincia dovrebbe esten­dersi anche alle altre istituzioni (in particolare l'ONMI) in cui vi sono suoi rappresentanti.

1) L'organizzazione dei servizi dovrebbe ade­guarsi al principio della rispondenza unitaria alle persone nelle sue molteplici necessità (diritti) e non al principio delle risposte settoriali ai singoli bisogni delle persone.

2) Questa Unione resta a disposizione per fornire ulteriori precisazioni e maggiori dettagli, ma fin d'ora tiene a dichiarare che sui punti sopra esposti la Provincia dovrebbe al più presto aprire un pubblico dibattito di verifica con i Comuni e le forze sociali interessate.

 

 

II

 

SINDACATI CGIL, CISL, UIL

PRIME RICHIESTE DI INTERVENTO DEGLI ENTI LOCALI SUI SERVIZI SOCIALI

(4 gennaio 1972)

Premessa

1) L'impostazione, settoriale e frammenta­ria, dell'intervento assistenziale, che è proprio dell'organizzazione attuale dell'assistenza è una delle cause che non consentono di rilevare dei dati precisi sui bisogni generali della popolazio­ne rispetto a ciascun tipo di servizio: tali dati sono essenziali per l'impostazione di una politica che consenta di ricercare risposte reali e orga­niche ai problemi sociali posti dal tipo di svi­luppo della nostra Regione (fenomeno immigra­torio e conseguenti gravissime difficoltà di adat­tamento e di inserimento di grandi masse di la­voratori; espansione oppressiva e caotica della città, determinata dalla speculazione edilizia, e conseguenti drammatiche condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie nei quartieri-ghet­to e nelle case vecchie e malsane del centro storico; carenza degli essenziali servizi sociali, quali scuole, verde, asili, ecc.).

È già ormai acquisita dal Sindacato la consape­volezza che tali problemi sociali possono essere affrontati e risolti solo nella misura in cui li si affronta in modo globale; il che significa, per quanto riguarda il settore assistenziale, attuarne uno stretto collegamento con le altre riforme (casa, scuola, sanità), rompere l'attuale settoria­lizzazione e discrezionalità dell'intervento, pro­porre un assetto alternativo di servizi sociali, che veda impegnati nella gestione gli Enti locali.

L'impegno del Sindacato è indirizzato a questi obiettivi.

Il presente documento, che si muove nell'am­bito di tali acquisizioni generali, costituisce un primo approccio al problema, e propone, come particolarmente urgente, l'analisi del discorso assistenziale sui minori, specificamente della prima infanzia.

 

Problemi dell'infanzia

2-1. Si conosce, ad esempio, che su circa 57.000 bambini in età da 0 a 3 anni, che vivono in provincia di Torino (citiamo il dato dagli atti del Convegno ACLI-CGIL-CISL-UIL «Torino Sinda­cati e Piani della Scuola» 20-5-1971), circa 3.000 trovano posto nei Nidi dell'ONMI, in quelli azien­dali o in Istituzioni di altro tipo, ma non si sa né quali problemi comporti, per le decine di mi­gliaia che ne rimangono esclusi, il fatto che le loro famiglie debbano affrontare, senza alcun ap­poggio da parte della organizzazione sociale, tutti i problemi relativi all'assistenza, educazione e salute, né come questi problemi vengano affron­tati dalla organizzazione sociale, quando vi prov­vede.

Si cita il caso degli asili-nido, ove si indivi­duano molte caratteristiche comuni alle «Istitu­zioni totali», oggi finalmente oggetto di critica e di denuncia da parte della opinione pubblica in generale, oltre che dei movimenti organizzati.

Considerazioni analoghe possono essere fatte per l'arco di età che va dai 3 ai 6 anni, allorquan­do i segni delle patologie ambientali iniziano a manifestarsi in modo conclamato, ottenendo co­me risposta dalle istituzioni che debbono prov­vedere, la «scuola speciale», tipico strumento, nella sua attuale organizzazione, di emarginazio­ne sociale.

2-2. Un servizio sociale per i minori, che si proponga come reale risposta ai bisogni, deve differenziarsi dalle vecchie modalità di assisten­za proprio nel fatto di essere un servizio rivolto a tutta la popolazione e di considerare unitaria­mente l'insieme dei bisogni propri dei minori di una determinata età.

È funzione e responsabilità specifica degli Enti Locali di assumere l'iniziativa di una politica diretta agli obiettivi su esposti, sia utilizzando gli strumenti già disponibili nelle strutture at­tuali - quali quelli previsti dalla più recente le­gislazione che contiene già alcuni elementi inno­vativi -, sia contribuendo autonomamente alla ricerca di strumenti nuovi e facendosi portavoce delle esigenze della popolazione nei confronti dei poteri centrali.

2-3. Riprendendo il discorso sui servizi sociali alla prima infanzia, si osserva come la recente approvazione da parte del Parlamento della legge istitutiva del Servizio Nazionale degli Asili Nido apra delle prospettive di intervento agli Enti lo­cali, nella direzione da noi auspicata, in quanto il servizio viene inteso, positivamente, rivolto non più solo alle madri-lavoratrici ma alla tota­lità della popolazione, si supera la vecchia con­cezione dell'organizzazione aziendale, proponen­do in suo luogo un'organizzazione territoriale del servizio, si prevedono strumenti di partecipazio­ne popolare, dei lavoratori.

L'iniziativa degli Enti Locali deve tuttavia es­sere anche indirizzata ad affrontare e risolvere quei problemi che la Legge ha lasciato aperti (citiamo ad es.: analisi e riduzione degli stan­dards dei 100 posti previsti dalla legge per gli asili-nido, non essendo possibile, in tale situa­zione, garantire quella continuità e validità di rap­porto del bambino con la figura adulta, che è un elemento determinante di un equilibrato sviluppo della personalità infantile. Ne è dimostrazione l'attuale rapporto numerico fra personale e bam­bini dei nidi dell'ONMI, con la conseguente or­ganizzazione spersonalizzante del lavoro; la ne­cessità di garantire la presenza e partecipazione dei lavoratori, cui deve essere riconosciuto il diritto di far pesare la propria volontà nell'indi­rizzo e nella gestione della Istituzione; la neces­sità di pensare un'assistenza alternativa a sod­disfazione dei bisogni di quei bambini che per vari motivi, o per scelta familiare, rimangono nell'ambito della propria famiglia).

2-4. Dare avvio ad una politica per l'infanzia che tenga conto di queste linee ed indirizzi, com­porta preliminarmente un impegno univoco degli Enti Locali (Provincia e Comuni) nel:

A) quantificare le disponibilità finanziarie offerte dalla legge di recente approvazione (con­tributi dei datori di lavoro, dello stato, dei Co­muni) e quelle già presenti nei bilanci comunali e provinciali destinati ad interventi di qualsiasi tipo relativi a minori nell'arco di età interes­sato;

B) programmare l'uso dei fondi, così deter­minati, in funzione di una rete di servizi che ri­sponda nella sua globalità e unitarietà ai bisogni di tutti i bambini, superando le artificiose e in­naturali categorizzazioni assistenziali attuali (es. illegittimi, sub-normali, orfani, minori apparte­nenti a famiglie in stato di povertà); obbiettivo che può nella fase iniziale essere raggiunto tra­mite l'intervento coordinato di provincia e co­mune. Va prevista l'assunzione progressiva dei compiti attualmente delegati ad Istituzioni quali l'ONMI;

C) individuare le caratteristiche qualitative dei servizi che si intende realizzare.

 

Richieste immediate

3) Sulla base delle tesi su esposte, si rende necessario che:

- relativamente al punto A)

- la provincia (ed il comune di Torino) predi­spongano e rendano pubblico un documento contenente sia i dati relativi ai fondi previsti dalla legge per il finanziamento degli asili­nido nella provincia di Torino per il prossimo quinquennio, sia i dati relativi ai fondi at­tualmente spesi dalla provincia e dai comuni, a qualunque titolo per assistenza ai minori da 0 a 3 anni.

- relativamente al punto B)

- si deliberi da parte della provincia il decen­tramento dei propri servizi: tale atto è rite­nuto la premessa per la sperimentazione di un intervento di assistenza attuato in zone di Torino da concordare con la partecipazione congiunta di provincia e comune, tenuto conto delle attuali competenze di legge secondo le richieste avanzate dall'Unione per la Pro­mozione dei Diritti del Minore;

- si attui qualche iniziativa concreta degli Enti locali in direzione di un progressivo supe­ramento dell'ONMI, ecc. in attesa di provve­dimenti legislativi di scioglimento di tale Ente; è comunque indispensabile far cessare al più presto tutte le forme di sovvenzioni attuali eccedenti i meri obblighi di legge (non esclusa la fornitura di personale) ;

- relativamente al punto C): si richiede alla provincia di fornire strumenti di ricerca e operativi quali:

- consentire ai membri della Commissione di accedere all'interno dei servizi esistenti (ONMI, IPI, scuole materne, servizi psico-pe­dagogici) ai fini anche di un rapporto con il personale e con gli utenti;

- introdurre sperimentalmente metodologie di­verse da quelle tradizionali in alcuni dei ser­vizi esistenti (es.: asili-nido, IPI). A tal fine si richiede che venga predisposto dal comune di Torino e dalla provincia, secondo modalità da concordarsi anche con Sindacati di cate­goria interessati, l'utilizzazione di personale attualmente destinato a compiti tradizionali;

- realizzare soluzioni alternative alle attuali forme di istituzionalizzazione, tenendo in par­ticolare considerazione la sperimentazione di comunità di tipo familiare e riconoscendo co­me obiettivo politico-strategico quello della totale deistituzionalizzazione dei minori;

- consentire che si apra un dibattito con le for­ze sociali interessate su tutto il processo di sperimentazione e di ricognizione dei servizi, e accettare le eventuali indicazioni che ne derivino.

 

 

 

(1) Vedasi il documento redatto dalla CGIL, CISL, UIL, ACLI, Unione italiana per la promozione dei diritti del minore, Associazione per la lotta contro le malattie mentali: «Le ragioni per cui si respinge lo schema di decreto delegato sull'assistenza predisposto dal Governo» - Torino, 23-9-1971 (Prospettive assistenziali, n. 16).

(2) A Villa Azzurra, reparto dell'Ospedale psichiatrico, sono ricoverati 55 fanciulli insufficienti mentali gravi. La Pro­vincia di Torino ha acquistato una villa in strada del Mainero (sulla collina torinese a 8 km. del centro di Torino e com­posta da 30 camere) per la somma di L. 214 milioni per trasferirvi i ragazzi ricoverati a Villa Azzurra. Come si è detto, questo trasferimento è stato accettato solo come un «tamponamento», essendo necessario che anche gli insufficienti mentali gravi restino inseriti nei quartieri di provenienza. Vedansi i punti 3.3 e 3.4.

 

 

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