Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo 1972

 

 

 

NOTIZIE

 

 

PRECISAZIONE DELL'EISS

 

Caro Dr. Germano,

la ns/ Direzione Centrale mi ha fatto notare con disappunto quanto pubblicato a pag. 3 del n. 16 di Prospettive Assistenziali dove la propo­sta di legge per il finanziamento dell'EISS è an­noverata fra le richieste corporative di alcune associazioni di categoria e di gruppi politici che cercano con tutti i mezzi di conservare le attuali posizioni di potere.

Il disappunto è motivato dal fatto che l'Ente non ritiene di poter essere fatto oggetto di que­sti rilievi. Infatti la sua politica, finalizzata al su­peramento dell'emarginazione sociale, è orientata in concreto nella direzione di offrire ai cittadini dei servizi sociali di base, studiando e sperimen­tando dei modelli che, con l'apporto delle équipes di operatori impegnati in tutte le regioni, si vanno via via definendo per convertirli successi­vamente in standards. È quanto è stato già fatto per il servizio di segretariato ed è quanto si sta facendo per il servizio sociale professionale di zona.

Così operando l'Ente è parte attiva della ri­forma assistenziale e ne fa propri gli obiettivi della creazione di servizi destinati a tutti i cit­tadini e da essi partecipati e della costruzione delle unità locali dei servizi. Attorno a questo secondo obiettivo, a livello di sperimentazione del modello teorico, è impegnato soprattutto il Centro Immigrati Meridionali, che da tempo, no­nostante la denominazione, si è orientato ad ope­rare a favore di tutti i cittadini di una zona ur­bana, opportunamente scelta, con alcuni servizi di base, superando in tal modo la fase iniziale di attenzione prioritaria agli immigrati dal Sud.

Inoltre le ns/ posizioni assunte all'interno del­la Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore e quelle personali affermate anche su codesta Rivista non dovrebbero lasciare dubbi nella ns. politica intesa al superamento non solo delle forme emarginanti, settoriali e tecnocrati­che dell'assistenza, ma anche dello stesso fatto assistenziale nella visione di una riforma gene­rale del sistema che vada dalla ridistribuzione del reddito e dal ridimensionamento della pro­prietà privata fino all'instaurazione di una so­cietà ugualitaria dove l'assistenza diventi sicu­rezza sociale e parità di diritti per tutti. Su tali linee politiche ci troviamo in sintonia con gli obiettivi perseguiti dall'Unione e la ns/ disponi­bilità anche in termini operativi si concreta con la collaborazione metodica di notevole impegno di una assistente sociale di questo Centro con la segreteria dell'Unione medesima.

Il problema è di riconoscere all'ente privato, nel quadro prospettico sopra descritto, uno spa­zio proprio e allora gli verrà agevolmente anche riconosciuto il diritto di avere un finanziamento da parte dell'ente pubblico, ossia, in ultima ana­lisi, dei cittadini, per cui si opera, quando non si verifichino, tra le altre, le tendenze numerate alla medesima pag. 3 della Rivista, che cioè si vogliano dividere gli emarginati, settorializzare gli interventi e creare servizi «doppione», tutte cose che riteniamo aliene dalle ns. intenzioni e dalle conseguenti, sia pur modeste, realizzazioni. Con tali premesse quindi crediamo proprio di non poter essere annoverati fra gli enti strumen­talizzati da gruppi politici che cercano con tutti i mezzi di conservare le attuali posizioni di po­tere.

L'occasione è gradita per un incontro almeno epistolare, dato che è mancata da qualche tempo quella di un incontro personale.

Distinti saluti.

DON LUCIANO ALLAIS

 

 

CHI DIFENDE L'ONMI?

 

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del dot­tor Michele Castelli.

 

Egregio Sig. Direttore,

sul n. 15 (luglio-settembre 1971) di «Prospet­tive Assistenziali» (pagg. 35-36) sono state svolte alcune considerazioni critiche, peraltro non firmate, su un mio articolo pubblicato sulla rivista «Maternità e Infanzia» n. 3 (marzo 1971).

In proposito tengo a precisare che:

1) la mia pubblicazione non può essere va­lutata genericamente come un tentativo di «di­fendere l'operato dell'O.N.M.I.», di «attaccare il pretore inquirente» e specificatamente come una tardiva, e quindi sospetta, negazione dei po­teri di vigilanza dell'O.N.M.I. «dopo lo scoppio dello scandalo». Infatti da anni io sostengo le mie tesi circa i poteri di vigilanza e di controllo dell'O.N.M.I. ed ho già avuto occasione di pubbli­carle sul giornale «La vita dell'O.N.M.I.» n. 12 del 1969 (pag. 8) di cui Le accludo copia perché Lei abbia l'opportunità di sincerarsi personalmen­te delle mie affermazioni;

2) le mie tesi sui poteri di vigilanza e con­trollo dell'O.N.M.I. sugli istituti per minori, pro­prio perché meditate da tempo e responsabil­mente elaborate, sono state motivate sul piano storico, politico e giuridico. Questo non significa che non si possa da esse dissentire. Non posso, però, accettare che siano valutate alla stregua di un « infondato tentativo », senza alcuna motiva­zione e con affermazioni dogmatiche («... invero il R.D.L. 5-9-1938, n. 2008, non ha sottratto alcuna competenza all'O.N.M.I.»). Lo stile delle valuta­zioni immotivate e delle affermazioni dogmatiche è ormai definitivamente tramontato.

Concludo Sig. Direttore facendoLe una doman­da: è possibile risolvere i gravi e complessi pro­blemi che travagliano il nostro Paese se la classe politica dirigente non ha l'intenzione di risolver­li? Le esemplificazioni sono purtroppo numerose ed eloquenti: le riforme di struttura non attuate, le programmazioni rimaste sulla carta, le regioni realizzate con enorme ritardo e boicottate nel loro effettivo funzionamento. In questa delibe­rata volontà di non rinnovare e di non procedere in avanti secondo gli interessi nazionali, trovano logica e naturale giustificazione carenze di ogni genere ed il perpetuarsi di enti necessariamente inutili ed inefficienti.

Per cui denunciamo pure tali carenze e le omis­sioni di qualsiasi tipo, ma nel contempo mettia­mo nel dovuto rilievo «l'omissione di atti d'uffi­cio» da parte della classe politica dirigente. È infatti tale fondamentale omissione a qualificare il sistema, mentre tutte le altre ne sono il logico corollario.

La prego di voler pubblicare queste mie preci­sazioni, più che in ossequio alle disposizioni vi­genti sulla stampa, per un leale e corretto dibat­tito che concretamente contribuisca ad accele­rare il lento cammino della riforma dell'assi­stenza.

 

*  *  *

 

Siamo d'accordo nel non accettare le afferma­zioni dogmatiche e senza alcuna motivazione. Ci sembra però di avere sufficientemente motivato nel n. 15 che la legge affida sia all'ONMI che al Ministero dell'Interno la vigilanza sulle istituzio­ni pubbliche e private di assistenza.

A conferma del fatto che il R.D.L. 5-9-1938 nu­mero 2008 non ha sottratto alcuna competenza all'ONMI stanno le varie raccolte di leggi e pub­blicazioni sull'assistenza. Vedasi al riguardo, ad esempio G. SARNO, Codice della beneficenza e dell'assistenza sociale, Ed. Giuffré, Milano, 1964, pagg. 1302 e 1305, G. MAZZONI e R. CATELANI, Codice della legislazione assistenziale, Ed. Isti­tuto Poligrafico dello Stato, Roma, 1958, pag. 329; AAI, Organi ed enti di assistenza pubblica e pri­vata in Italia, Ed. AAI, Roma 1953, pag. 204.

Infine segnaliamo che la tesi di M. Castelli è stata sostenuta dagli avvocati difensori nel pro­cesso contro Gotelli, Cini e Gueli ed è stata re­spinta dal pretore Infelisi, come da sentenza ri­portata in questo numero.

Per quanto concerne «la deliberata volontà po­litica di non rinnovare» ci sembra che sia indi­spensabile un'azione concreta e non solo intel­lettuale da parte di tutti i gruppi (spontanei o organizzati) interessati. L'azione, per essere con­creta deve a nostro avviso essere ancorata a si­tuazioni concrete di lotta, facendo convergere su di esse tutte le forze disponibili (personale in­terno, utenti, parenti di utenti, cittadini, gruppi).

Ad esempio sarebbe più che mai necessaria un'azione del personale interno dell'ONMI di de­nuncia delle carenze esistenti con concrete pro­poste di servizi alternativi. Ma in questa azione, per non cadere nel corporativismo si dovrebbero coinvolgere tutte le forze sopra indicate.

Questo metodo di azione, oltre a consentire una maturazione personale e collettiva di tutti coloro che vi prendono parte, consentirebbe la costruzione dal basso di quei servizi che la gen­te vuole e supererebbe di fatto i pericoli della razionalizzazione tecnocratica.

 

 

CONVEGNO DELLE SEGRETERIE REGIONALI, CGIL, CISL, UIL

 

Con la promozione del convegno (tenutosi a Milano il 25 gennaio 1972 sul tema «Linee di ini­ziativa sindacale per la riforma dell'assistenza in Lombardia»), «le segreterie regionali della CGIL, CISL e UIL hanno voluto richiamare l'at­tenzione dell'intero Movimento sindacale lom­bardo sulla situazione esistente nel campo dell'assistenza sociale affinché, nella logica delle lotte dei lavoratori per un organico processo di riforma del nostro paese, si potessero esprimere delle specifiche linee sindacali per una riforma dell'assistenza in Lombardia» (1).

Anche se le varie comunicazioni hanno evi­denziato l'uno o l'altro aspetto della complessa problematica dell'assistenza è apparso peraltro «evidente quanto la maggioranza degli effetti, con le relative esigenze di intervento, siano da collegarsi a cause che si sono originate all'in­terno e all'esterno dei luoghi di lavoro e che hanno provocato squilibri, ingiustizie sociali e pesanti sfruttamenti. Tale situazione non fa che accrescere quella consapevolezza che, maturata nel mondo del lavoro in termini di unità di classe dei lavoratori, tende a portare avanti quelle poli­tiche delle riforme in cui la stessa riforma dell'assistenza deve essere considerata non come un episodio isolato ma componente indispensa­bile da ricollegarsi alle altre riforme della sanità, della casa, dell'urbanistica, del fisco, della scuo­la, dei trasporti, il tutto inquadrato in un rinno­vato impegno per la programmazione ed in una politica attiva dell'occupazione».

Per quanto concerne la situazione attuale è stato affermato: «Mentre i condizionamenti sca­tenati dalla logica capitalistica, con i ben noti sprechi e le distorsioni nella struttura dei con­sumi, e l'incapacità dello Stato di esprimere un proprio ruolo nello sviluppo del Paese, hanno provocato delle gravi situazioni patologiche nel tessuto sociale, si può rilevare come gli arcaici interventi assistenziali si siano limitati con dram­matici vuoti, sfruttamenti ed insufficienze gravis­sime a comprimere risultanze pericolose o con­flittuali per l'ordine sociale, emarginando, così, i prodotti delle contraddizioni del sistema.

Nel disorganico campo assistenziale hanno fi­nito per proliferare settorialmente gli oltre 40 mila enti con esasperati assetti verticistici e de­vianti. Essendo questa la situazione non si è po­tuto evitare l'inserimento di interventi specula­tivi e strumentalismi vari, in un intreccio di cor­porativismi cointeressati a conservare situazioni anacronistiche, completamente scollati dal con­testo sociale e da un controllo pubblico parteci­pato.

Disatteso il dettato costituzionale in ordine al diritto all'eguaglianza dei cittadini, al lavoro, alla protezione della maternità, dell'infanzia, degli inabili, la logica seguita è stata quella di modesti e dispersivi interventi economici a copertura di altrettante carenze di altri settori attuando nel contempo segreganti servizi assistenziali in isti­tuti chiusi».

L'analisi delle possibilità aperte dall'istituzio­ne delle Regioni ha portato i promotori a dichia­rare: «Nel prendere atto degli obiettivi che la stessa Regione ha prefigurato nel porre l'uomo e la solidarietà al centro della nuova società, re­cependo, per quanto riguarda l'assistenza, il con­cetto del diritto sociale che rifiuta il precedente concetto caritativo e di beneficenza mirando, in tal modo, all'attuazione di un vero e proprio «Ser­vizio Sociale», il movimento sindacale afferma fin da ora che sarà con la Regione nella misura in cui la stessa risulterà capace di far scaturire concreti e qualificanti programmi operativi.

Nel condividere l'azione di rottura nei confron­ti dei vari Enti Pubblici e autarchici centralizzati, il Sindacato dice, inoltre, che non può essere con la Regione quando, come nel caso dei costituendi comitati sanitari di zona (espressioni di una ge­stione promozionale e al tempo stesso di lotta per l'attuazione della riforma sanitaria), si vor­rebbe escludere una corretta partecipazione sin­dacale dei lavoratori da tale problematica. L'e­sclusione delle forze vive del Paese che vogliono quanto la stessa Regione si propone di fare, fini­sce per far mancare quel contributo di spinta indispensabile per il superamento delle notevoli resistenze ed inerzie di fatto esistenti, condi­zione, questa, fondamentale per la realizzazione di strutture che non siano meramente burocrati­che e pertanto incapaci di affrontare le nuove realtà».

È stata propugnata una gestione non settoriale dell'assistenza ed infatti è stato precisato: « L'in­tervento dei servizi assistenziali deve essere globale nel senso che deve essere coordinato con tutti gli altri servizi senza la creazione di ar­tificiose barriere.

I termini letteralmente inventati, a suo tempo, per inquadrare quelle iniziative assistenziali o sanitarie, più o meno sporadiche ed occasionali, volti a recepire parziali interventi peraltro insuf­ficienti, devono essere sostituiti da una globale considerazione dei bisogni.

Le strutture devono aderire alle varie realtà locali con la necessaria interdipendenza, comple­mentarietà e polivalenza.

Il servizio assistenziale, così come quello sa­nitario, non può essere disgiunto dagli altri ser­vizi pubblici e alle scelte politiche in genere (tra­sporti, scuola, urbanistica ecc.).

Per un sistema organico dei servizi si pone, pertanto, l'esigenza della risoluzione del binomio utente-spazio ancorato all'esigenza di una socie­tà moderna capace di adeguarsi al rapido mutare della domanda sociale.

Partecipazione e attuazione dei servizi, esaltan­ti le autonomie promozionali, gestionali e di con­trollo, richiedono il superamento degli attuali schematismi istituzionali dei comuni mediante l'aggregazione di diversi comuni in un assetto territoriale omogeneo, il mantenimento di altri che già presentano determinate dimensioni, il frazionamento di altre ancora in aree sub-comu­nali».

Molto limitati, ed alcuni ancora nella logica dell'emarginazione (come ad esempio la richie­sta di case albergo per anziani), sono stati gli obiettivi indicati: «Nell'affrontare la politica dei servizi sociali, che più precisamente sarà indi­cata nelle comunicazioni, dovrà, innanzitutto, es­sere ricercata una politica attiva volta a recu­perare e a reintrodurre nella comunità quei sog­getti che risultano isolati da determinati feno­meni urbanistici e da evoluzioni sociali economi­che e territoriali nella loro globalità. Noi voglia­mo dei servizi sociali che affrontino, pertanto, i problemi a monte in termini di prevenzione e non costituiscano comodo alibi della cronicizza­zione dei problemi non risolti.

Occorre battere il meccanismo segregativo e dessocializzante che opera nella vita della co­munità per mezzo di una attività assistenziale che abbia come fondamentale criterio ispiratore la previsione delle situazioni di bisogno.

In concreto ciò significa che:

- per gli anziani occorrerà preoccuparsi di pen­sioni adeguate, del problema della loro abi­tazione o delle case-albergo, dei necessari servizi sanitari, di assistenza domiciliare ecc.

- Per la donna occorre garantire, in seguito ad una sua scelta autonoma, la possibilità di av­valersi di asili nido onde evitare una desso­cializzazione imposta dai carichi familiari.

- Per l'infanzia si dovranno evitare meccanismi selettivi e forme di estraniazione che, deter­minando spesso dei traumi, contribuiscono ad emarginare dalla società anche nell'età adulta.

- Per i subnormali ed i disadattati si dovrà cer­care di superare, nel limite del possibile, gli handicaps di ordine fisico, mentale e sociale con il rifiuto di una impostazione meramente segregativa.

Tutto questo non disgiunto da una preparazio­ne e partecipazione degli operatori sociali che stronchi inutili parcellizzazioni del lavoro, condi­zioni ideali per favorire situazioni autarchiche, monopoli professionali e gerarchie fasulle.

In tale contesto occorrerà prevedere anche forme nuove di intervento quali sussidi econo­mici ed una concezione dell'assistenza familiare che miri al riconoscimento dello status di opera­tore sociale al familiare che concretamente si deve preoccupare dell'assistenza».

 

(1) Le parti fra virgolette sono tratte dalla relazione introduttiva.

 

 

COMITATO DI QUARTIERE DI VANCHIGLIETTA-VANCHIGLIA (TORINO)

 

L'Assemblea promossa dal Comitato di quar­tiere Vanchiglietta-Vanchiglia, tenutasi il 7 mar­zo 1972 in Via Oropa 68/a, preso atto della di­chiarazione universale dei diritti dell'uomo e di quella del fanciullo e delle norme stabilite dalla Costituzione repubblicana

chiede

- che questi diritti vengano riconosciuti in con­creto a tutte le persone comprese quelle con handicap fisici, psichici e sensoriali;

- che pertanto i servizi sociali (scuola, sanità, lavoro, ecc.) siano aperti a tutti e usufrui­bili da tutti;

- che nell'ambito di questi servizi le persone handicappate ricevano le prestazioni specia­listiche di cui hanno bisogno.

Più specificatamente l'Assemblea chiede che nei quartieri e in particolare nel quartiere di Van­chiglietta-Vanchiglia gli handicappati siano inse­riti nei servizi esistenti o da istituire (asili nido, scuole materne e dell'obbligo), tenendo conto delle sperimentazioni positive avviate in tale di­rezione a Torino (scuola materna di Via Medici, scuola elementare di Via Bossoli) e in altre città (es. Moncalieri).

Pertanto per i ragazzi del quartiere di Vanchi­glietta-Vanchiglia (ed eventualmente per quelli dei quartieri limitrofi) che attualmente frequen­tano la scuola di C.so Lombardia e il Centro Edu­cativo di Via Bologna 77 dovrebbero essere pre­disposti i locali, personale e mezzi necessari per l'inserimento in una scuola comune del quar­tiere stesso.

L'Assemblea ravvisa inoltre la necessità che nel quartiere sia istituito un centro di addestra­mento professionale per handicappati e non han­dicappati in linea con la delibera recentemente approvata dal Consiglio Comunale di Torino. Det­to centro dovrebbe preparare handicappati e non handicappati per l'inserimento nelle aziende co­muni.

Inoltre è necessaria l'istituzione nel quartiere di un laboratorio protetto per i soggetti non in grado, oggi, di essere inseriti dai corsi di adde­stramento professionale nelle aziende comuni.

Il suddetto laboratorio dovrebbe comprendere anche l'attuale centro occupazionale che è prov­visoriamente sito presso i locali della Parroc­chia di S. Croce.

Tali servizi dovrebbero tener conto delle par­ticolari esigenze degli handicappati e predisporre i relativi interventi.

Parimenti i centri ricreativi, sportivi, ecc. (da istituire) dovrebbero essere aperti anche per gli handicappati e, a tal fine fra l'altro, dovrebbero essere costruiti senza «barriere architettoni­che», come pure tutti gli edifici scolastici e di interesse sociale (vedasi la circolare del Mini­stero dei lavori pubblici n. 4809 del 15-6-1968 e la legge 30-3-1971 n. 118).

È indispensabile che le famiglie e i cittadini sensibili partecipino e possano partecipare alle scelte e alla conduzione di tutti quei servizi di cui sopra per una maggior integrazione sociale e per garantire che tali servizi siano confacenti alle loro reali necessità.

Per evitare il ricovero in istituto degli handi­cappati privi di famiglia o con famiglia impossibilitata per qualsiasi motivo a tenerli, è neces­sario che:

- se il ricovero è determinato da motivi econo­mici, si garantisca alla famiglia il minimo «vi­tale economico»;

- se il ricovero è determinato dalla mancanza di servizi idonei e accessibili, essi siano isti­tuiti come sopra indicato;

- se il ricovero è determinato dalla mancanza della famiglia, o da sue carenze educative o causato dall'età adulta dell'handicappato (o dall'anzianità dei genitori dell'handicappato) si provveda, a seconda delle situazioni:

- all'adozione;

- all'affidamento familiare a scopo educa­tivo;

- all'accoglimento in focolari per 6-8 per­sone, siti in alloggi sparsi nelle comuni ex case di abitazione.

L'Assemblea chiede pertanto che non vengano più costruiti, e che anzi vengano soppressi gra­dualmente con la massima urgenza possibile, tut­ti gli istituti a carattere di internato e i centri riservati esclusivamente agli handicappati.

Per portare avanti le richieste sopra indicate l'Assemblea chiede l'appoggio concreto delle forze politiche, sindacali e associative e chiede concrete iniziative alla Regione, alle Province ed ai Comuni.

 

Richiesta a breve termine del Quartiere

In considerazione al fatto che all'inizio dell'anno scolastico 72-73 si renderanno libere sei aule nella scuola prefabbricata di Piazza Chiaves, l'Assemblea chiede che siano adibite a classi speciali per i bambini che frequentano la scuola di C. Lombardia, il Centro educativo di Via Bo­logna o altre scuole.

Chiede inoltre al Comune di accelerare i tem­pi per il funzionamento del Centro Sociale di Via S. Ottavio e di decentrare il personale neces­sario.

Questo per poter finalmente dare inizio all'Uni­tà locale dei servizi.

Lo stesso decentramento si richiede alla Pro­vincia per quanto riguarda il personale specia­lizzato (psicologi, pedagogisti, educatori) per in­tegrare gli interventi sperimentali dei servizi in Vanchiglia-Vanchiglietta.

 

 

CONVEGNO DELLA REGIONE LOMBARDA

 

Promosso dalla Giunta regionale della Lombardia (Assessorato Assistenza) e dalla III Com­missione Consiliare Sanità e Sicurezza Sociale, si è tenuto il 5-6 febbraio 1972 a Milano il Con­vegno «L'ente locale ed i servizi sociali». L'organizzazione del convegno ha previsto una fase preparatoria con la costituzione di quattro gruppi di lavoro cui hanno partecipato esperti, genitori, amministratori, rappresentanti di forze politiche, sindacali e sociali al fine della predi­sposizione degli indirizzi di trattazione dei temi specifici da dibattere nell'ambito delle sessioni del convegno stesso.

Le tematiche affrontate sono state le se­guenti:

a) prevenzione ed individuazione ai fini operativi dei settori di vita associativa interes­sati;

b) programmazione assistenziale ed inter­vento economico;

c) preparazione del personale tecnico;

d) proposte di intervento a breve e medio termine.

Nel convegno è emersa l'acquisizione sul pia­no culturale delle analisi che più volte abbiamo espresso su Prospettive assistenziali, come ad esempio che:

- «l'attuale sistema assistenziale è caratteriz­zato, da una parte da una insufficiente pre­stazione economica, erogata discrezional­mente ai poveri e suppletiva di deficienze di altri settori, dall'altra, da prevalenti interven­ti "speciali" di tipo chiuso con evidenti ri­sultati di emarginazione»;

- per un cambiamento reale vi è «la necessità di riscoprire il ruolo dell'ente locale come interlocutore essenziale, nel quadro di una autentica partecipazione»;

- di attribuire tutte le competenze operative agli enti locali e per quanto è possibile ai Comuni;

- occorre «studiare e identificare le principali patologie della struttura sociale, accentuando l'attuazione sui nuclei primari, tra i quali se­gnatamente la famiglia, la scuola, il lavo­ro»;

- per poter superare l'emarginazione occorre «fare i conti con il sistema assistenziale vi­gente, con i centri di potere politici, economi­ci, tecnocratici che l'egemonizzano, con il corporativismo di categoria che in esso pre­stano la loro attività, con la rassegnata pas­sività dell'utenza, con l'insensibile disinte­resse ed estraneità alla problematica della società civile, della cultura e dell'opinione pubblica, delle stesse organizzazioni sociali e politiche»;

- «in questa fase l'iniziativa autonoma o coor­dinata della Regione, espressa dagli enti lo­cali e soprattutto dai Comuni, è essenziale per raggiungere lo scopo: si possono infatti anticipare quei servizi sociali che comincino a rendere obsoleto e inutile e quindi più fa­cilmente demolibile il sistema attuale di as­sistenza e beneficenza pubblica. Pertanto un indirizzo che spinga i Comuni ad anticipare autonomamente le riforme, affrontando in pri­ma persona l'apprestamento dei servizi so­ciali, è valido per creare una linea di impegno per la riforma, per costruire esperienze e quadri tecnici di tipo nuovo e capillarmente distribuiti nonché per dimostrare la validità dell'Ente locale».

 

*  *  *

 

Ci sembra che questa sia la strada da battere per costruire i servizi dal basso e per verificare l'effettiva volontà politica delle Regioni, delle Province e dei Comuni e le capacità di lotta delle forze sindacali e sociali.

Per ottenere tutto ciò è indispensabile e ur­gente la formazione, aggiornamento e riconver­sione degli operatori sociali, che, come è stato anche ribadito nel convegno, devono aver luogo in appositi centri promossi dalle Regioni e ge­stiti dagli enti locali, con il controllo democratico delle forze sociali.

Pubblichiamo le quattro mozioni conclusive:

 

I

 

Commissione prevenzione

La prevenzione come tale deve tendere ad eli­minare ogni soluzione assistenziale dei problemi. Conseguentemente si ritiene che il concetto di assistenza debba essere rifiutato, per privile­giare il momento preventivo rispetto a quello ri­paratore.

Si deve quindi tendere ad un sistema di sicu­rezza sociale che significhi una globalità di in­terventi atti ad incidere sulle strutture sociali che generano i bisogni.

I bisogni nascono storicamente in un rapporto dialettico tra individuo e strutture sociali, e per tale ragione la prevenzione deve sempre rinno­varsi nella sua concretezza storica. Questo si­gnifica la necessità ad una presa di coscienza attraverso la mobilitazione politica; ed è la lotta politica che rende i bisogni palesi.

Nella lotta per la prevenzione si identificano come forze motrici i lavoratori che operano nelle fabbriche, nelle campagne e nei quartieri per di­fendere in prima persona il diritto ad una scuola, ad un modo di vita, ad un lavoro che non siano invalidanti.

L'azione di queste forze motrici in primo luogo e di tutti i cittadini si esplica attraverso organi­smi di partecipazione popolare, con funzioni di iniziativa e di controllo politico, e per mezzo di una consultazione obbligatoria.

Pur individuando i punti di rottura dell'azione preventiva nella problematica dello sfruttamento nel lavoro, della speculazione edilizia, dell'orga­nizzazione autoritaria della scuola, si ritiene che un intervento globale sia indispensabile per dare una soluzione coerente e positiva alle gravi situa­zioni che fino ad oggi hanno creato i presupposti di intervento assistenziale.

In questa prospettiva assume particolare rile­vanza il ruolo del comune nella gestione dei ser­vizi di sicurezza sociale.

 

II

 

Commissione programmazione assistenziale ed intervento economico

La relazione della seconda Commissione Pro­grammazione illustrata al Convegno da Emanuele Ranci Ortigosa si attiene agli indirizzi dei docu­menti regionali rappresentandone un originale approfondimento teorico ed uno sviluppo ope­rativo. La Commissione l'approva in tutta la sua sostanza e sottolinea quali finalità dell'azione as­sistenziale:

- le esigenze di sviluppo della persona come soggetto libero e responsabile, con una irri­nunciabile dimensione sociale;

- di conseguenza la necessità che ogni servi­zio raggiunga la persona nel suo contesto familiare ed ambientale, valorizzandolo ade­guatamente.

In particolare si vogliono qui richiamare i se­guenti punti illustrati nella relazione:

1) analisi dell'origine sociale del bisogno, critica del sistema assistenziale vigente, propo­sta di un'alternativa globale mediante una poli­tica di prevenzione e la creazione di una rete di servizi sociali di base. Questa tematica deve es­sere oggetto di sensibilizzazione dell'opinione pubblica attraverso i canali di informazione più idonei, a cominciare dalla scuola;

2) incostituzionalità del decreto delegato e necessità di iniziative legislative e amministra­tive regionali per superarne i limiti e per consen­tire alla Regione e all'Ente locale di programma­re e gestire una organica ed unitaria politica dei servizi, con le adeguate misure di superamento di quelle strutture (IPAB, ECA, Patronati, strut­ture periferiche dell'ONMI e degli altri enti na­zionali) che ne impediscono lo sviluppo coe­rente, come anche con la acquisizione alla Re­gione della vigilanza sugli enti privati; sempre in questa prospettiva si sollecita una iniziativa regionale per lo svincolo dei bilanci degli enti locali dagli oneri cosiddetti obbligatori a favore di enti burocratici assistenziali.

La Regione deve insomma usare l'intero spa­zio dei suoi poteri costituzionali. Nell'ipotesi di una opposizione governativa, la Regione dovrà portare la questione davanti alla Corte Costitu­zionale, ma contemporaneamente sviluppare il massimo impegno di chiarificazione nei confron­ti dell'opinione pubblica, delle amministrazioni locali, dei sindacati dei lavoratori, di tutte le organizzazioni di base, affinché la volontà reale della maggioranza del Paese possa manifestarsi ed orientare le decisioni della stessa Corte, chia­mata a deliberare secondo la Costituzione in no­me del popolo;

3) urgenza di una legge-quadro statuale di principi nuovi che completi il trasferimento alle Regioni di tutte le competenze che loro spettano costituzionalmente, che garantisca loro adeguate risorse finanziarie e provveda alla soppressione di tutti gli enti assistenziali nazionali, definendo rigorosamente, nel pieno rispetto del dettato co­stituzionale, le residue competenze ministeriali, da unificarsi in un unico Ministero diverso da quello degli interni, e da esplicarsi a mezzo di una Commissione formata da rappresentanti del­le Regioni, con garanzie di presenza per le mi­noranze.

La legge-quadro dovrà affermare il principio che l'assistenza è un diritto di tutti ed ha finalità di sviluppo e socializzazione della persona, di prevenzione, sostegno e recupero attraverso la prestazione dei servizi sociali aperti;

dovrà affermare il diritto alla non segregazione e la competenza sull'assistenza privata libera con poteri di vigilanza e di convenzionamento nei termini ed alle condizioni già affermate nel documento del Consiglio Regionale.

Si auspica che la Regione lombarda assuma presto a termine di Statuto l'iniziativa di legge, chiamando a sostenerla altre Regioni;

4) superamento di ogni tentazione tecno­cratica per quanto riguarda la gestione dei ser­vizi di base, che dovranno essere comunali o con­sortili ed ammettere una reale partecipazione decisionale delle comunità di base, come anche esperienze di autogestione. È importante sottoli­neare che lo sviluppo delle attrezzature mate­riali e delle qualificazioni professionali relative a servizi sociali come gli asili nido, la scuola a tempo pieno (preparatoria e dell'obbligo), l'in­sieme dei servizi sanitari di base, i centri di igiene mentale, la edilizia popolare con tipologie e servizi integrativi per anziani soli e per gruppi parafamiliari di orfani, abbandonati, handicappati, disadattati, eccetera, i semi-internati aperti, lo sviluppo ed una migliore regolamentazione degli affidi e delle adozioni, la ristrutturazione e depe­nalizzazione della rieducazione minorile, debbono avere priorità assoluta sui servizi di pura consu­lenza, informazione e segretariato sociale.

Assolutamente prioritaria deve quindi essere la riqualificazione delle strutture e dei servizi esistenti, a cominciare dalla scuola, grazie ad una gestione sociale aperta e ad una organica ed unitaria politica dei servizi di cui gli organi po­litici dovranno assumersi la responsabilità, su­perando ogni settorialismo;

la liquidazione dell'attuale sistema assisten­ziale deve avvenire non dopo, ma contestual­mente allo sviluppo della rete dei servizi sociali di base, garantendo la continuità delle prestazio­ni necessarie e valide.

Si conferma l'indicazione circa l'importanza di creare le condizioni per cui possono costituirsi a tal fine comitati democratici di iniziativa, con i compiti espressi nella relazione.

Va effettuato l'accertamento dei deflussi annui di ricovero area per area e categoria per catego­ria, al fine di fissare, di concerto fra Regioni e Enti locali nelle singole aree, gli obiettivi inter­medi di progressiva riduzione delle istituziona­lizzazioni vecchie e nuove collegandoli ai pro­grammi operativi di sviluppo degli asili nido, delle scuole, della edilizia popolare, ecc.

Lo stesso processo, con tempi abbreviati per­ché ne sussistono le condizioni, dovrà svolgersi per la totale eliminazione delle classi differen­ziali e delle scuole speciali, con la offerta di servizi decentrati di categoria;

5) in questa logica di programmazione de­mocratica la Regione svolgerà un ruolo determi­nante di sostegno tecnico e finanziario, di indi­rizzo generale, di incentivazione e stimolo, usan­do i poteri normativi ed amministrativi, la poten­zialità finanziaria che le deve essere propria, l'i­stituto della delega.

La politica assistenziale sopra delineata non potrà tuttavia avere successo se non vengono contemporaneamente realizzate le riforme nazio­nali della previdenza (per garantire a tutti il mi­nimo vitale), della sanità, della scuola, dell'urba­nistica, dei tributi, delle autonomie locali. La Re­gione dovrà quindi assumere la necessaria ini­ziativa politica in queste direzioni.

 

III

 

Commissione preparazione personale

I partecipanti al Gruppo di Lavoro «Prepara­zione del personale per i servizi sociali» appro­vano la relazione predisposta dalla Commissione Regionale incaricata di preparare la relazione re­lativa alla problematica inerente la preparazione del personale dei servizi sociali.

Il problema degli operatori sociali si inserisce nel quadro generale della riforma dei servizi sociali. L'attuale sistema assistenziale, caratte­rizzato dalla molteplicità degli organismi di di­versa natura giuridica e diversa rilevanza orga­nizzativa e finanziaria, e che si basa sui principi della categorizzazione dell'intervento assisten­ziale e della organizzazione verticistica e buro­cratica, si riflette sulla condizione e sul ruolo professionale e funzionale dell'operatore socia­le, che viene considerato come strumento di condizionamento, subordinato agli interessi della classe dominante ed emarginato dai processi di elaborazione della politica sociale.

Il nuovo ruolo dell'operatore sociale deve ri­spondere ai principi ed alle scelte di radicale riforma del sistema assistenziale, che deve tro­vare nella garanzia del diritto di tutti i cittadini ai servizi sociali e nella partecipazione e con­trollo alla gestione degli stessi da parte della collettività, gli irrinunciabili obiettivi.

In questa prospettiva il problema degli opera­tori sociali va affrontato in stretta relazione da una parte con gli obiettivi, e dall'altra con la strategia della riforma.

Questo risultato è conseguibile in primo luogo attraverso la determinazione di nuovi contenuti professionali, che trovano nell'unificazione, alme­no per grandi settori, delle figure professionali, superando l'attuale frammentazione delle stesse, il supporto per l'esaltazione della partecipazione dell'operatore sociale ai processi di trasforma­zione delle istituzioni, delle strutture sociali ol­treché dell'autoaffermazione di individui e gruppi.

Momento determinante del processo di realiz­zazione del nuovo ruolo sociale dell'operatore è la riforma delle strutture formative che deve fondarsi da una parte sull'intervento diretto della Regione, in termini di gestione diretta o di pro­mozione, e dall'altra nella determinazione di in­dirizzi generali di formazione e qualificazione pro­fessionale. Punti qualificanti possono essere:

1) formazione polivalente di base con par­ticolare rilevanza delle materie sociali;

2) criteri di formazione che siano uguali ai vari livelli per tutta la realtà nazionale;

3) integrazione della formazione teorica con una sperimentazione pratica a diretto contatto con i servizi sociali in un dialettico rapporto tra operatori e collettività.

In questo disegno generale di riforma devono inserirsi immediatamente le iniziative periodiche e permanenti riferite alla qualificazione, ricon­versione, orientamento del personale attualmen­te operante nel sistema assistenziale al fine di consentirne una utilizzazione nei settori di inter­vento che presentano più urgenti necessità di iniziative e di potenziamento.

Questi impegni, con il riferimento specifico relativo alla assicurazione che la copertura dei servizi sociali sia garantita da operatori che go­dano di tutti i diritti tipici dei lavoratori, dovran­no costituire occasione di immediate iniziative della Regione, che, individuata e valutata la di­mensione del problema, dovrà realizzare i neces­sari strumenti per la sua risoluzione.

 

IV

 

Commissione a breve e medio termine

L'intervento a breve e medio termine va in­teso da un lato come l'immediata necessità e possibilità di azione sull'attuale sistema assi­stenziale, anche in carenza di norme di legge, dall'altro come espressione di una precisa vo­lontà politica per il concretizzarsi della legge­quadro di riforma.

Ogni intervento immediato acquista pertanto significato di scelta politica che non deve osta­colare, ma anzi prefigurare e anticipare, le diret­tive di riforma.

Gli enti locali, comune, consorzi di comuni, hanno già strumenti sufficienti per operare un salto qualitativo indirizzando diversamente la spesa nel settore dell'assistenza così da fornire precise alternative e radicali fratture con l'at­tuale assetto, ciò può avvenire a condizione che si possegga l'effettiva volontà politica di inci­dere gradualmente, ma irreversibilmente, sull'at­tuale realtà dei servizi, troppo spesso sottratta ad ogni controllo, sollecitando ed utilizzando la partecipazione popolare come strumento di pressione prima e di gestione sociale poi.

La municipalizzazione degli interventi sociali non è di per sé garanzia di democraticità e di effettiva partecipazione se a monte non si pro­cede a rivalutare l'ente comune quale organismo di sensibilizzazione e di direzione delle istanze popolari e delle organizzazioni sociali e culturali: più potere gestionale al Comune vuole significare più potere ai cittadini, in un processo di effettiva democraticizzazione del governo della cosa pub­blica.

In questa luce la Provincia può assolvere com­piti di promozione e di coordinamento nell'opera di sensibilizzazione della comunità, senza co­munque acquisire significati di delega e di inter­vento sostitutivo delle carenze attuali del Co­mune.

Inoltre si ribadisce il concetto, già espresso ad ogni livello, di un intervento della Regione che comunque non sia di gestione diretta e di imposizione di moduli operativi di servizio. La libertà dal bisogno è prevalentemente condizio­nata dalla indipendenza economica quale pre­supposto fondamentale per la libertà di scelta del servizio.

La dialettica non può essere accentrata unica­mente sul tema dell'istituto per pochi bisognosi, ma deve investire tutta la gamma dei servizi sociali che acquistano il valore di un diritto per tutti i cittadini.

Tale concezione dei servizi impone una pro­grammazione democratica che utilizzi anche le strutture a carattere privatistico, ma sappia nel contempo fissare precisi parametri tesi a rom­pere la dicotomia tra intervento pubblico e pri­vato, per riaffermare precisamente il significato pubblico di ogni intervento sociale.

Condizioni fondamentali per la strategia della Regione nei rapporti con l'ente locale sono: la politica della partecipazione, del decentramento, della programmazione, del finanziamento, dei controlli, degli standards.

Concretamente il dialogo per l'attuazione di un piano di servizi sociali vede unicamente due interlocutori: a) la Regione con le sue capacità di legiferare, di programmare, di controllare, di finanziare; b) l'ente locale come espressione delle istanze popolari ed unico depositario del diritto di scelta, gestione ed effettiva direzione.

Il no all'istituto non vuole significare la di­struzione degli istituti senza alcuna alternativa, ma il rifiuto di nuove costruzioni, l'impegno di trasformazione di quelle esistenti, su parametri fissati dalla politica degli standards, a condizione che sappiano utilizzare le attuali risorse econo­miche e strutturali per aprirsi all'esterno ed eliminare ogni aspetto segregante ed emargi­nante.

Questo obiettivo deve essere imposto dall'Ente locale, con la collaborazione sia della Re­gione sia della Provincia e rappresenta un banco di prova da un lato per misurare l'incisività della lotta politica dei rappresentanti popolari e delle forze sindacali, e per appurare le effettive pos­sibilità di un utilizzo di strutture private, che co­munque non possono essere ritenute sostitutive o competitive verso quelle pubbliche.

Se dunque in questa logica si può e si deve prevedere l'utilizzo dell'istituzione privata, non si può in alcun modo prevedere l'impiego dei servizi offerti da Enti nazionali che, per la loro stessa natura, sono inconciliabili con ogni istan­za di democratizzazione, di decentramento e di efficienza; prova ne sia il fallito tentativo di fare aderire, in attesa dello scioglimento la gestione ed i servizi dell'ONMI alla nuova realtà della po­litica degli asili-nido, inequivocabilmente ratifi­cata da una legge nata da precise istanze po­polari. Il processo di desegregazione e di non selezione dei cittadini deve trovare immediato riscontro in profonde trasformazioni negli altri settori della vita comunitaria (istruzione, sanità. urbanistica, trasporti, ecc.) così da non creare artificiosi alibi che di fatto condizionano ed in­crementano la spirale dell'esclusione.

Parlare di prevenzione assistenziale oggi ri­schia di essere utopistico nella misura in cui non riusciamo a superare le continue reazioni intese a determinare l'allineamento dei processi di riforma alla logica di un sistema basato sullo sfruttamento e non sulla valorizzazione delle ri­sorse umane; superare tutti questi ostacoli nei vari campi di riforma è un pre-requisito per le possibilità di superare, insieme, la realtà e il sistema assistenziali attuali.

 

 

COLLETTIVO INTERSINDACALE E INTERASSOCIATIVO SULL'ASSISTENZA

 

Proseguendo nella sua attività il Collettivo in­tersindacale e interassociativo sull'assisten­za (1) ha svolto una intensa attività diretta a portare avanti il discorso contro l'emarginazione degli anziani partendo dall'azione rivendicativa del personale dell'istituto di Corso Unione So­vietica di Torino e collegando nella lotta tutte le forze interessate: personale interno, sindaca­ti ospedalieri, sindacati enti locali, segreterie confederali provinciali, ricoverati, parenti, comi­tati di quartiere, associazioni.

Da segnalare due cortei: il primo alla prefet­tura per chiedere il blocco della delibera che prevede l'aumento delle rette, delibera fino ad oggi (14-3-72) non ancora approvata dal Comi­tato provinciale di assistenza e beneficenza pub­blica, il secondo lungo le vie piazze principali del quartiere Mercati generali per sensibilizzare i cittadini.

Pubblichiamo la documentazione più significa­tiva diffusa.

 

 

Documento n. 1 (Manifesto di cm. 100x70)

 

Circa 1200 anziani vivono nell'Istituto di riposo di Corso Unione Sovietica. Chi sono? Come vivono?

Sono lavoratori che sono stati sfruttati tutta la vita e che ora o troppo poveri, o troppo ma­lati, o con famiglie in condizioni disagiate, sono costretti ad entrare nel Ricovero. La maggio­ranza di loro (circa 970) sono malati e hanno bisogno di visite mediche ed assistenza conti­nua. La situazione invece è:

- una decina di medici impegnati poche ore al giorno;

- un personale di circa 300 persone di cui solo una decina con diploma di infermiere;

- attrezzature mediche costosissime (ad es. la sala operatoria) acquistate con grande pub­blicità e col denaro pubblico e non utilizzate;

- le iniziative per migliorare le capacità di mo­vimento e di parola dei ricoveri sono scarse, male organizzate, affidate a volontari.

Anche gli anziani che entrano in buone condi­zioni di salute presto si ammalano, perché cre­dono di non avere più uno scopo per vivere. La vita stessa all'interno del Ricovero è organizzata in modo da far credere questo. Non ci sono sale di ritrovo, neppure sedie nei corridoi, gli anziani sono costretti a vivere accanto al loro letto.

L'unico spaccio con bar è un locale piccolo e sporco e i prezzi sono troppo alti per le tasche dei ricoverati.

Ad ogni momento viene ricordato all'anziano che tutto ciò che riceve è regalato e che lui non ­ha nessun diritto di chiedere e ancor meno di discutere sull'organizzazione dell'istituto.

Le condizioni del personale sono pessime. Le paghe sono basse, l'orario è superiore alle 40 ore, nessun inquadramento di categoria, è co­mandato e controllato dalle suore.

Dato il tipo di lavoro, il personale dovrebbe essere particolarmente preparato sia dal punto di vista infermieristico, sia dal punto di vista psicologico, ma non si vuole specializzare quello che già c'è (ed è già pratico) per non pagarlo di più, ed anche in questi giorni sono in corso assunzioni di inesperti per pagarli poco.

L'esasperazione del personale, per tutto que­sto, ricade poi sul modo di trattare il ricoverato.

Tutta la situazione che abbiamo descritto di­pende dal fatto che l'Istituto è organizzato come un'industria: il personale è sfruttato e i ricove­rati sono una merce che procura guadagno. La preoccupazione del Consiglio di Amministrazione ­(scaduto tra l'altro da un anno e mezzo) è quella di far quadrare il bilancio investendo ad esem­pio il grosso patrimonio (più di 20 miliardi) in case, piuttosto di pensare di organizzare un più  moderno servizio per gli anziani.

Del Consiglio di Amministrazione tra l'altro fanno parte anche persone nominate dal Comu­ne, ma il loro comportamento non è diverso da quello degli altri Amministratori. Recentemente è stato addirittura deciso di aumentare per il '72 le rette già alte (per i cronici verranno quasi raddoppiate) senza che a questo aumento cor­risponda un miglioramento del servizio.

Noi riteniamo che l'anziano deve avere la pos­sibilità, perché è un suo diritto, di vivere in ma­niera indipendente e di partecipare alla vita sociale.

Per questo deve avere una pensione giusta e un servizio di assistenza che non lo rinchiuda in un Ricovero ma lo raggiunga a casa sua e crei nel Quartiere dei luoghi d'incontro per vincere l'isolamento.

Ma per giungere a questa situazione si deve incominciare a migliorare immediatamente l'Isti­tuto di Corso Unione Sovietica.

Per questo istituto noi chiediamo:

- qualificazione del personale esistente e ac­cettazione delle richieste di miglioramento del personale stesso;

- aumento del numero dei medici e servizio medico più efficiente;

- sale di riunioni perché i ricoverati possano incontrarsi liberamente e organizzare insie­me il loro tempo;

- rinnovo del Consiglio di Amministrazione;

- creazione di una Commissione di Controllo costituita da familiari dei ricoverati, rappre­sentanti del personale e dei ricoverati stessi e cittadini, che possa entrare a controllare il funzionamento dell'Istituto.

 

Documento n. 2 (volantino)

 

No all'aumento delle rette

Sì alle richieste del personale

Sì alla Commissione di controllo

 

Il personale dell'Istituto di riposo è sceso in sciopero.

Ancora una volta il senso di responsabilità del personale e l'attaccamento agli ospiti dell'Isti­tuto ha fatto in modo che si scegliesse una forma di lotta da non danneggiare i ricoverati. Nei primi due giorni infatti lo sciopero si è limitato ad As­semblee interne di due ore al mattino.

Tutti devono sapere che attualmente il perso­nale viene assunto con uno stipendio mensile di L. 78.000, che da un anno e mezzo si attende il riassetto.

Il personale chiede aumenti salariali ma non vuole che i costi vengano a ricadere sugli an­ziani e i loro parenti. I soldi occorrenti non de­vono essere ricavati da un aumento delle rette, ma dal patrimonio di miliardi accumulato dall'Opera Pia o eventualmente da un intervento del Comune. Anzi, sarebbe ora che il Comune si oc­cupasse in prima persona dell'Assistenza agli anziani senza più delegarla alle «Opere Pie».

Per soddisfare le esigenze sia del personale che degli anziani dobbiamo muoverci su 4 ob­biettivi fondamentali:

- sia bloccato l'aumento delle rette

- sia approvato il riassetto del personale e le richieste di carattere normativo, cioè l'isti­tuzione delle commissioni paritetiche di as­sunzione, consultive e di disciplina;

- il personale possa qualificarsi con appositi corsi tenuti durante l'orario di lavoro;

- il Consiglio di Amministrazione e le autorità tutorie dell’Istituto consentano l’istituzione di una Commissione di controllo aperta ai cit­tadini, composta da parenti degli anziani, da ospiti dell'Istituto, da membri del comitato di quartiere e del gruppo intersindacale e in­terassociativo sull'assistenza. Questa com­missione deve avere libero accesso in qual­siasi momento all'Istituto per constatare le condizioni di vita degli ospiti e proporre i cambiamenti necessari.

Per raggiungere questi obiettivi è necessaria l'unità di tutti: parenti, anziani, personale, cit­tadini.

Discutiamo e presentiamo queste richieste: domenica 30 gennaio, alle ore 15. Assemblea aperta a tutti all'interno dell'Istituto di Riposo di Corso Unione Sovietica 220.

Chiediamo la partecipazione:

- dell'Assessore all'assistenza della Regione Sig. Vietti;

- dell'Assessore all'assistenza della Provincia Sig. Teppati;

- dell'Assessore all'assistenza del Comune Sig. Notaristefano;

- del Presidente del Consiglio di Amministra­zione Sig. Zurletti con i Consiglieri: Signori Allia, Bonadè Bottino, Pia, Quassolo, Vannini, Cerutti;

- della Direzione Amministrativa Sanitaria dell'istituto di Riposo.

 

Comitato di quartiere Mercati Generali - Personale interno dell'Istituto di Ripo­so - Gruppo di Assistenza CGIL, CISL, UIL, ACLI - Unione per la Promozione dei Diritti del Minore e contro l'emargi­nazione sociale - Sindacato Pensionati CGIL, CISL, UIL.

 

 

Documento n. 3

 

Mozione conclusiva dell'assemblea del 30-1-1972 approvata all'unanimità

L'Assemblea di parenti, di ricoverati e del per­sonale aperta a tutta la cittadinanza tenutasi in data 30 gennaio 1972, all'interno dell'Istituto di Riposo per la vecchiaia di C.so Unione Sovie­tica n. 220, rilevato il disinteresse più completo degli Assessori all'Assistenza del Comune, della Provincia e della Regione e del Consiglio di Am­ministrazione che sebbene ufficialmente invitati non sono intervenuti all'assemblea pur conoscen­do l'urgenza e la gravità dei problemi che riguar­dano l'Assistenza Sociale o Sanitaria dell'an­ziano

1) chiede che siano accettate tutte le riven­dicazioni del personale presentate in un docu­mento a parte.

2) Rivendica il diritto alla istituzione di una Commissione di Controllo aperta ai cittadini, composta dai parenti degli anziani da rappresen­tanti del sindacato pensionati, da membri del Comitato di Quartiere e del Gruppo Intersinda­cale e Interassociativo sull'Assistenza. Questa Commissione deve avere libero accesso in qual­siasi momento all'Istituto per constatare le con­dizioni di vita degli ospiti e proporre i cambia­menti necessari.

3) Chiede che venga bloccato l'aumento delle rette e che i fondi eventualmente necessari ai miglioramenti dei servizi vengano reperiti nel patrimonio dell'Opera Pia oppure che il Comune intervenga già fin d'ora direttamente fornendo personale e servizi.

4) Chiede che i tre delegati comunali al Consiglio di Amministrazione siano persone real­mente competenti e fungano da concreto tramite tra la Commissione di Controllo e il Consiglio di Amministrazione stesso, secondo i nuovi criteri della politica dell'anziano.

5) Chiede che il Comune assuma in proprio l'Assistenza agli anziani senza più affidarla alle Opere Pie.

 

 

Documento n. 4 (volantino)

 

Agli ospiti e al personale dell'Istituto di Riposo per la vecchiaia di C.U. Sovietica 220

Dopo l'affollatissima Assemblea Pubblica di domenica 30 gennaio è proseguita l'azione unita­ria di tutte le forze che si muovono per cam­biare radicalmente l'assistenza che viene oggi portata all'anziano.

La mozione finale approvata nell'Assemblea è stata, come stabilito, fatta conoscere ai giornali, ai partiti, agli Assessori all'Assistenza del Co­mune, della Provincia e della Regione.

All'Assessore del Comune, Notaristefano, la mozione è stata portata a mano, da una dele­gazione di circa 50 persone, giovedì 10 febbraio.

Nell'incontro di sabato 19 febbraio Notariste­fano si è impegnato davanti ai presenti a:

- fare iscrivere al più presto all'ordine del giorno del Consiglio Comunale il rinnovo del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto (i membri del Comune sono stati nominati lunedì 28 febbraio) ;

- fare avvenire al più presto nel Consiglio Co­munale stesso una discussione sul problema dell'Assistenza all'anziano e sostenere in questa discussione la richiesta della Com­missione di Controllo.

Ricordiamo che questa Commissione, compo­sta di parenti degli ospiti, di membri del Sinda­cato Pensionati, del Comitato di Quartiere, del gruppo intersindacale e interassocciativo sull'as­sistenza, deve poter andare in ogni momento in qualunque luogo dell'Istituto per controllare le condizioni di vita dei ricoverati.

Mercoledì 9 febbraio si è riunito il Consiglio di Amministrazione dimissionario dell'Istituto. Esso ha deliberato per il personale:

- l'indennità di presenza nella misura richiesta di 700 lire al giorno uguali per tutti (ma ai 6 o 7 funzionari di grado più elevato è stato concesso un premio supplementare) ;

- l'acconto sul riassetto.

Queste delibere, per diventare esecutive, de­vono essere approvate dalla Prefettura.

Il Consiglio di Amministrazione non ha invece concesso:

- la commissione di controllo;

- le commissioni paritetiche di assunzione, consultiva e di disciplina;

- il bando di concorso per il capo personale;

- il blocco delle rette.

Noi riteniamo che proprio in questo momento si richieda la maggiore unità di intenti fra perso­nale, parenti e forze esterne.

Il personale ha ottenuto alcune delle cose ri­chieste, ma solo se si realizzerà il controllo dei cittadini sull'Istituto, e se il personale otterrà le commissioni paritetiche, potrà cambiare vera­mente la situazione.

Per quanto riguarda la discussione che ci è stata promessa che avverrà in Consiglio Comu­nale essa deve dare una risposta alle seguenti domande:

- Ha o no intenzione il Comune di assumersi la responsabilità dell'assistenza agli anziani, così come lo obbligano a fare le leggi vigenti, e senza continuare a fare solo il pagatore di rette?

- Ha o no intenzione il Comune di applicare nei fatti, creando nuovi centri di assistenza do­miciliare, la nuova politica dell'anziano su cui l'Assessore si dice tanto d'accordo?

- Ha o no intenzione il Comune di fare con­cretamente, e non solo con ordini del giorno, tutte le pressioni possibili sul Consiglio di Amministrazione e sulla Prefettura perché: non vengano aumentate le rette, sia accettata la commissione di controllo, sia accettato il riassetto del personale?

- Che atteggiamento assume il Comune di fron­te al problema della qualificazione del perso­nale dell'Istituto?

Anche altri istituti di Torino incominciano a muoversi: nel pensionato di Via Bricca (che fa parte dell'Opera Pia del Ricovero di C.so Casale) è stato proposto di rifiutare il pagamento dell'aumento delle rette.

Per tutti gli istituti di riposo di Torino portiamo avanti le richieste:

No gli aumenti delle rette

Sì alle richieste del personale

Sì alla commissione di controllo

No alla emarginazione degli anziani.

Le riunioni per organizzare il movimento si fanno tutti i sabati alle ore 18,30 in Via Mon­tevideo 41, Sede del Comitato di Quartiere Mer­cati Generali.

 

Comitati di Quartiere Mercati Generali e Borgo Po - Collettivi intersindacali e in­terassociativo sull'assistenza (CGIL - CISL - UIL - ACLI - Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione).

 

Documento n. 5

 

Comunicato sindacale

L'agitazione del personale dipendente da isti­tuti di assistenza agli anziani ha stimolato l'inte­resse ai problemi assistenziali da parte delle Organizzazioni Sindacali, dei Consigli di quartiere e di altre forze sociali.

In particolare i lavoratori comunali sono soli­dali con il personale e con i ricoverati dell'Istituto di Corso Unione Sovietica nella rivendicazione di una politica più adeguata alle esigenze degli an­ziani e aderiscono alle istanze presentate nelle loro recenti assemblee.

Da parte loro, pur consapevoli che esistono responsabilità di altri organismi e istituzioni (Re­gioni, Istituti di Previdenza, ecc.), richiedono all'Amministrazione Comunale un chiarimento sulla politica che si continua a tenere nei con­fronti degli anziani.

In questo momento il Comune sembra essere vittima delle decisioni delle Opere Pie: l'istituto di Riposo di Corso Unione Sovietica e quasi tutti gli istituti di ricovero hanno infatti deliberato aumenti di retta.

In realtà: che cosa ha fatto il Comune per creare alternative al ricovero, tali da:

- potersi sottrarre al ricatto degli istituti di ri­poso per anziani?

- realizzare un intervento assistenziale non emarginante?

Nel Bilancio preventivo 1972 sono previsti i seguenti stanziamenti:

a) rette per mantenimento di anziani ed ina­bili L. 2.300.000.000;

b) sussidi a ricoverati senza pensione: lire 20.000.000;

c) sussidi sostitutivi di ricovero: lire 150.000.000 che consentano di erogare sussidi mensili nella misura attualmente prevista di lire 10.000 solo a 1.250 anziani (294 in più di quelli in assistenza al 31-12-10) ;

d) Centri di assistenza generica (sic): lire 50.000.000 (di cui presumibilmente almeno la metà è da destinarsi ai servizi di base in zona Vanchiglia e solo i rimanenti a 4 Centri di Assi­stenza domiciliare agli anziani).

Le cifre previste in Bilancio non consentono di concretizzare l'impostazione della politica sociale enunciata dalla Giunta Municipale nelle Dichia­razioni Programmatiche in ordine alla realizza­zione di servizi alternativi al ricovero.

Mentre si richiamano in proposito gli impegni assunti dalla Giunta, per i quali si rende necessa­rio porre le premesse con appositi stanziamenti di bilancio, si sottolinea l'esigenza di raggiun­gere prontamente i seguenti obiettivi:

- destinazione di una percentuale di alloggi comunali, attualmente gestiti dall'IACP, agli an­ziani;

- estensione ad un maggior numero di cit­tadini del sussidio integrativo del reddito aumen­tandone l'entità, in modo da rendere possibile una scelta diversa dal ricovero;

- potenziamento dei Centri di assistenza domiciliare agli anziani, da strutturare organica­mente nel quadro del decentramento dei servizi sociali nei quartieri. Tali Centri, oltre a rappre­sentare strumenti di partecipazione dei cittadini ed offrire servizi di aiuto domestico e di assi­stenza infermieristica, dovrebbero essere inte­grati da altri servizi cittadini (mense, pasti caldi a domicilio, ecc.) ;

- abolizione di interventi elemosinieri e pa­ternalistici (es.: erogazione di pacchi dono e caramelle in occasione delle festività, che nel 1970 è costata Lit. 10.322.256) ;

- l'opportuna qualificazione del personale da utilizzare per la realizzazione di una politica innovativa;

- ristrutturazione dei servizi o interessati all'assistenza sociale.

Torino, 6-3-1972.

I delegati di Ripartizione

e le Segreterie CISL - CGIL Enti locali

 

Documento n. 6

 

Documento sul problema degli Anziani

 

1) Situazione attuale

Oggi in generale ed in particolare a Torino l'assistenza agli anziani è affidata dai Comuni (che ne hanno l'obbligo di legge per quelli po­veri) alle Opere Pie e agli istituti privati ed è erogata quasi esclusivamente negli istituti co­siddetti di riposo. Un giudizio sul tipo di assi­stenza prestata in questi istituti si può riassu­mere in 3 punti:

- ai ricoverati viene offerta una assistenza sanitaria insufficiente e di tipo tradizionale (cioè senza interventi preventivi e riabilitativi);

- manca una qualsiasi forma organizzata di vita sociale e di relazione, l'anziano è escluso da qualsiasi forma di partecipazione alla vita sociale;

- la struttura edilizia degli Istituti di Riposo elimina la dimensione privata della vita degli ospiti e separa anche fisicamente questi ultimi dal quartiere nel quale l'istituto si trova.

Da questo quadro di massima emergono i caratteri e la funzione originaria che avevano un tempo queste Istituzioni: ricoveri per vecchi isti­tuiti con finalità «benefiche» ed espressione della difesa di una società intollerante che ten­deva a segregare gli individui indesiderabili, le persone sole ed in condizioni di miseria. Ma ancora oggi si può facilmente verificare che so­no i lavoratori che sono stati più sfruttati du­rante la loro vita e che appartengono alle classi inferiori che trascorrono la vecchiaia in un Isti­tuto. Ci sembra dunque un dato oggettivo il ca­rattere discriminante dell'Assistenza agli An­ziani così come oggi viene svolta.

A questa situazione si contrappone una nuova concezione che non considera più l'anziano co­me una persona a cui è dovuto un aiuto in quan­to «bisognoso» ma come un cittadino che la società deve porre in condizione di esercitare un proprio diritto: il diritto di continuare a svol­gere un ruolo attivo nella comunità nella quale vive.

 

2) I punti focali del problema

La grande portata del problema dell'Assisten­za agli anziani (si calcola che entro breve tempo i cittadini italiani oltre i 60 anni saranno circa 11 milioni) richiede:

- che il problema sia affrontato con un ampio ricorso alle modalità e agli strumenti della pro­grammazione, e non sia più quindi abbandonato all'iniziativa privata;

- che cambi l'atteggiamento della società rispetto all'anziano.

Un atteggiamento che continui a considerare l'anziano diverso dagli altri cittadini in quanto non più produttivo porterebbe al massimo alla costruzione di istituti moderni e ben attrezzati che non eliminerebbero ma anzi perfezionerebbero l'attuale forma di segregazione. L'obiettivo di fondo deve essere quello di ritardare il deca­dimento fisico e psichico dell'individuo. E poiché i motivi di questo decadimento non si possono solo spiegare con il fattore «vecchiaia» ma vanno anche ricercati nelle strutture economi­che e sociali, nel sistema di rapporti che legano la persona alla famiglia e alla comunità, nelle condizioni psicologiche e fisiche dell'individuo, gli interventi per ritardare e al limite impedire il decadimento devono andare in tutte queste direzioni. È innanzitutto fondamentale il ruolo della capacità economica dell'anziano. Raggiun­ta l'età della pensione, la riduzione drastica del salario pone l'anziano in condizione di inferio­rità, non gli permette, in molti casi, di pagare l'affitto di casa aprendogli le porte del ricovero. L'attuazione di una riforma della casa che consi­deri la casa come servizio sociale da pagare in proporzione al salario (o alla pensione), l'au­mento dei minimi pensionabili e l'aggancio delle pensioni alla dinamica dei salari permetterebbe­ro di risolvere, da questo punto di vista, il pro­blema dell'indipendenza economica della perso­na anziana.

Riguardo al ruolo svolto dalla famiglia in que­sto settore ci sembra sbagliato fare ricadere su di essa la responsabilità dell'emarginazione dell'anziano. La famiglia è attualmente impoten­te ad affrontare da sola le nuove esigenze spes­so non è neppure in possesso delle conoscenze, soprattutto sociali e politiche, necessarie per decidere in quale direzione muoversi e cosa chiedere.

È compito della società farsi carico della so­luzione del problema dell'anziano. Questa solu­zione non va ricercata in una particolare «ri­forma per le persone anziane» ma nell'attua­zione di tutta una serie di riforme radicali che riguardano tutti i problemi che intervengono nella vita non solo dell'anziano ma di tutti i cittadini. Ci sembra che questa prospettiva eli­mini la concezione emarginante dei problemi degli anziani, concezione che invece sarebbe conservata se si realizzassero servizi speciali­stici e centralizzati ad uso esclusivo delle per­sone anziane.

 

3) Gli interventi

Se è vero che la soluzione del problema degli anziani va ricercata nell'attuazione di tutta una serie di riforme, questa constatazione non può essere un motivo di rinuncia ma un punto di partenza per definire una serie di interventi di base a breve e media scadenza, tutti indirizzati agli obbiettivi finali già tratteggiati.

Un aspetto fondamentale degli interventi deve essere quello preventivo, volto cioè ad elimina­re le cause del decadimento fisico e psichico dell'anziano.

Un altro aspetto è quello della partecipazione della base alla elaborazione ed alla attuazione degli interventi. A questo proposito è fondamen­tale l'unità d'azione fra i lavoratori degli attuali istituti di riposo, gli anziani e i loro parenti e le altre forze organizzate. Questa unità significa infatti:

- aumentare la forza di tutto il movimento;

- porre le basi di una gestione da basso dei futuri servizi decentrati di assistenza;

- unificare delle forze che, pur avendo gli stessi interessi di classe, sono spesso artificio­samente divise dalla stessa struttura segre­gante dell'istituzione.

Gli interventi specifici devono secondo noi es­sere indirizzati ai seguenti obiettivi:

a) creare un servizio di assistenza domiciliare che metta a disposizione dell'anziano un insie­me di prestazioni integrate presso la sua dimora.

Questo servizio dovrebbe consentire:

- di assicurare all'utente un'esistenza li­bera e sicura anche se parzialmente protetta;

- di salvaguardare l'unità del nucleo fami­liare;

- di favorire la permanenza dell'utente nel proprio ambiente naturale conservando i propri ruoli e responsabilità;

- di rompere l'eventuale isolamento socia­le e sostenere psicologicamente l'anziano, inse­rendolo nella vita del quartiere;

- di realizzare una maggiore personalizza­zione delle prestazioni;

- di evitare il ricovero in istituto.

Le prestazioni da effettuare si possono distin­guere in quelle di natura economica (garanzia, con sussidi differenziati, del minimo vitale), di natura sanitaria (cure riabilitative, cure infermieristiche, ecc.), di natura socio-assistenziale (pulizia della casa, aiuto nella preparazione dei pasti, svolgimento di pratiche amministrative, ecc.).

b) Nel contesto della programmazione sani­taria e ospedaliera si dovranno creare adeguate strutture decentrate di tipo preventivo, curativo e riabilitativo. Questi servizi rispondono all'esi­genza di prevenire lo stato di cronicità e di ria­bilitare l'anziano invalido.

c) Impedire la trasformazione degli Istituti per anziani in ospedali per lungodegenti (psico­gerontocomi, gerontocomi, ospedali geriatrici).

Questa trasformazione non modificherebbe l'attuale tendenza degli Istituti a segregare i propri ospiti dalla vita esterna anche se per­metterebbe di migliorare il livello, ora molto basso, dell'assistenza sanitaria prestata all'an­ziano. Innanzitutto bisogna interpretare corret­tamente il concetto di lungodegenza: questo ti­po di ricovero, non riservato alle sole persone anziane, non deve durare per anni o addirittura per tutta la vita, ma il tempo sufficiente a curare casi di malattia acuta, anche se a lungo decorso. Inoltre l'opposizione agli ospedali per lungode­genti rientra in un discorso più vasto: quello dell'opposizione a qualunque struttura ospeda­liera monodisciplinare (ospedali psichiatrici, sa­natori, ecc.).

Si fa sempre più strada infatti la consapevo­lezza che l'intervento sanitario ospedaliero deve essere sempre più strettamente collegato al ter­ritorio, e deve avere un carattere flessibile, di­partimentale e interdisciplinare. L'assistenza ospedaliera ai longodegenti deve quindi essere assicurata con sezioni per longodegenti negli ospedali di zona.

In prospettiva bisogna evitare il ricovero in istituto anche per gli anziani cronici oggi consi­derati «irrecuperabili». Per essi la soluzione va secondo noi ricercata nell'ambito di piccole co­munità o di piccoli pensionati in case normali. L'assistenza sanitaria negli istituti, in attesa del loro svuotamento, potrà essere migliorata facen­do pressioni sul Comune affinché la assuma in proprio convenzionandosi direttamente con lo INAM. Questa soluzione ci sembra che vada an­che nella direzione della futura riforma sani­taria.

d) Le prospettive delineate nei punti prece­denti, tutte volte a difendere l'indipendenza ed il ruolo attivo dell'anziano nella vita sociale, non risolvono ancora pienamente il problema se non viene realizzata tutta una serie di riforme come spiegato nel punto 2.

Inoltre queste prospettive richiedono ancora:

- la costruzione di case adatte ad essere abitate da anziani soli o in comunità;

- applicazione della recente legge sulla ca­sa, e problema dell'eliminazione delle barriere architettoniche, utilizzazione dei patrimoni - spesso rilevanti - delle opere pie;

- la creazione di strutture comunitarie di quartiere per risolvere il problema del tempo libero. Queste strutture, utilizzate da tutta la comunità, e non solo dagli anziani, devono es­sere concepite e gestite dalla base.

 

4) La formazione del personale

Parallelamente alla realizzazione degli inter­venti sopra indicati è della massima importanza il problema della qualificazione del personale. Questa qualificazione deve innanzi tutto avveni­re per il personale che già lavora negli Istituti di riposo esistenti.

Il periodo di tempo impiegato dai lavoratori in servizio per la loro qualificazione deve essere considerato a tutti gli effetti come tempo di la­voro. Una volta qualificato, il personale non solo vedrà aumentato il suo potere contrattuale, ma potrà lavorare nei servizi decentrati che via via saranno realizzati contemporaneamente allo svuotamento degli istituti.

La preparazione dovrà essere sia tecnica che sociale, e non solo scolastica, ma in stretto rapporto con il lavoro svolto. Per questo è ne­cessario che il personale stesso e gli utenti dei servizi controllino i contenuti e l'organizzazione dei corsi.

Sottolineiamo in particolare l'esigenza del se­guente personale specializzato:

- personale per l'assistenza sociale;

- personale per l'assistenza medica e sani­taria;

- personale per le funzioni di riabilitazione, in particolare fisioterapisti, logoterapisti, mas­saggiatori ecc. Data la carenza di questo tipo di personale è urgente un impegno immediato in questa direzione.

Il problema della qualificazione del personale riguarda tutto il settore dell'Assistenza. La Re­gione è l'ente che deve promuovere la qualifica­zione e verso questo ente si deve esercitare la pressione della base per la soluzione di questo problema.

Segreterie Provinciali di Torino CGIL, CISL e UIL

 

Documento n. 7

 

Carta rivendicativa sul problema degli Anziani

 

È urgente e indispensabile che il Consiglio Comunale discuta il problema degli anziani.

 

Il Comune di Torino:

- non deve continuare a delegare l'assisten­za agli anziani agli istituti pubblici e privati che funzionano come aziende private. Infatti il loro fine principale è il pareggio del bilancio e non la garanzia di condizioni sociali di vita delle persone ospiti;

- non può disinteressarsi al fatto che molti ricoveri sono causati dalla mancanza di mezzi economici degli anziani.

Il Comune deve pertanto in primo luogo assi­curare il minimo economico vitale, integrando le pensioni contributive e sociali;

- deve intervenire per soddisfare le richieste del personale e nello stesso tempo evitare l'au­mento delle rette;

- deve appoggiare il riconoscimento delle commissioni di controllo in tutti gli istituti per anziani;

- deve fare in modo che l'INAM si assuma integralmente il «costo dell'assistenza sanitaria agli anziani ricoverati» e non si limiti a versare l'esigua somma di Lire 30.000-35.000 all'anno agli istituti di assistenza. Poiché evidentemente I'assistenza generica, specialistica e farmaceu­tica agli anziani costa di più di 100 lire al giorno, la differenza in più viene attualmente pagata con la retta dall'anziano o dal Comune;

- deve incominciare a far funzionare propri servizi decentrati per gli anziani autosufficienti o cronici in modo che essi possano restare nella loro abitazione o almeno in piccoli pensionati di quartiere (al massimo di 15-20 posti) inseriti nelle comuni case di abitazione.

Per realizzare ciò il Comune di Torino deve dare una attuazione non emarginante alla recen­te legge sulla casa e richiedere l'uso di parte delle strutture degli istituti di ricovero.

Occorre inoltre che i patrimoni degli istituti pubblici di assistenza (quello dell'Istituto di C. Unione Sovietica è di 20 miliardi) siano uti­lizzati per mettere a disposizione del Comune alloggi e piccoli pensionati per anziani.

Il Comune inizi la costruzione di ospedali di zona dove tutti i cittadini e gli anziani in parti­colare possono ricevere le cure ambulatoriali o ospedaliere loro necessarie.

Queste iniziative vengono richieste perché si incominci a costruire concretamente l'unità lo­cale dei servizi, raccordando la prevenzione alla cura e alla riabilitazione.

 

Iniziative immediate richieste al Comune di Torino per il quartiere Mercati Generali e da generalizzare in tutta la città

1. Svuotamento progressivo degli istituti con il blocco delle ammissioni, con sussidi econo­mici agli anziani, con l'assistenza domiciliare, con l'assegnazione di alloggi, ecc.

2. Trasformazione dell'ospedale geriatrico at­tualmente in costruzione dall'INRCA - per il quale il Comune ha regalato il terreno - in ospedale di zona con un reparto geriatrico.

3. Creazione di un poliambulatorio per il quar­tiere Mercati Generali gestito dal Comune (con convenzione con l'INAM) che fornisca anche cure ambulatoriali per gli anziani della zona, compresi quelli ricoverati in C.so U. Sovietica.

4. Creazione nel quartiere stesso di strutture comunitarie per risolvere il problema del tempo libero. Queste strutture, utilizzate da tutta la comunità e non solo dagli anziani, devono es­sere programmate e gestite dalla base.

5. Istituzione da parte del Comune di Torino di corsi di aggiornamento e qualificazione del personale attualmente in servizio negli istituti e di corsi di formazione di nuovo personale.

 

Richieste immediate alla Regione Piemonte

a) nessuna istituzionalizzazione di strutture segreganti;

b) nessuna autorizzazione alla costruzione di nuovi istituti per anziani autosufficienti (case di riposo, case-albergo, ecc.), ma utilizzazione del­la recente legge sulla casa per la creazione di alloggi o di piccoli pensionati (per anziani sani o lungodegenti) inseriti nelle comuni case di abitazione;

c) programmazione per la creazione di servizi decentrati che precostituiscano le Unità Locali dei servizi (sanitari e sociali), gestite dai Co­muni e democraticamente controllate;

d) blocco delle delibere degli istituti di assi­stenza concernenti l'aumento delle rette.

Direttivo Sindacale Unitario del Per­sonale Istituto di Riposo - CGIL - CISL - UIL - ACLI - Unione italiana per la promozione dei diritti del mi­nore e per la lotta contro l'emargina­zione sociale - Comitati di Quartiere: Mercati Generali, Borgo Po, Regio Parco.

 

 

 

(1) Vedasi Prospettive assistenziali, n. 16, pagg. 62 e 63.

 

www.fondazionepromozionesociale.it