Prospettive assistenziali, n. 16, ottobre-dicembre 1971

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

I DIFFERENZIATI (1)

 

«Un giorno forse esisterà la convinzione ge­nerale, profondamente consapevole ed apprezza­ta e tuttavia fervida, che il più mortale di tutti i peccati possibili è la mutilazione dello spirito di un bambino; perché tale mutilazione taglia al­le radici il principio vitale della fiducia senza la quale ogni atto umano, per quanto possa essere sentito come buono e per quanto giusto possa sembrare, è minacciato di perversione da forme distruttive di coscienziosità» (ERIK H. ERIKSON, Il giovane Lutero, Armando editore, Roma, 1967).

 

Il bambino in età scolare non subisce lo sfruttamento nella forma del condizionamento al lavoro, ma lo subisce in forme indirette che sono: scarsa alimentazione; carenza di cure familiari a causa del super lavoro dei genitori che non possono occuparsi diligentemente di lui; lo subisce nella mancata disponibilità di un'abitazione adeguata ai suoi bisogni; lo subisce nelle angosce dei genitori ecc.; nella mancanza di assistenza sani­taria adeguata nei primi anni di vita. Insomma nel complesso di carenze economiche e sovrastrutturali che le classi povere e lavoratrici subiscono nel nostro paese sotto forma di ogni tipo di difficoltà (difficoltà nel lavoro, nel tempo libero, nell'assistenza sanitaria ecc.) va inserito anche il disa­dattamento infantile precoce.

La conseguenza di questa contraddizione fondamentale emerge nello stile di comportamento quando il bambino in età scolare si trova di fronte alle esigenze culturali che la scuola gli richiede di realizzare. Non a caso la classe differenziale dovrebbe riferirsi soprattutto ai bambini nel primo ciclo della scuola elementare. Cosa fanno dunque questi bambini disa­dattati che la scuola segnala agli organismi sanitari e psico-pedagogici? Dietro la categoria dei casi limite e dei disadattati del carattere leggete pure in parole più semplici: bambini che fanno fatica a imparare a leggere, a scrivere, a fare di conto... leggete pure che disadattati è essere tristi, arrabbiati coi compagni e con la maestra; litigare tanto; avere gli incubi notturni, non avere giocattoli, stare troppo per strada perché a casa si è in tanti; non avere una tavola su cui fare i compiti; non ubbidire ai geni­tori; piangere spesso; non avere amici ecc. Non si meraviglino i lettori se enumeriamo insieme difficoltà materiali e difficoltà prettamente psicolo­giche per descrivere il disadattamento: il bambino è uno solo e tutto vi rientra; dal primo latte, al primo nido, dai primi sogni agli ultimi giorni di scuola.

Tenendo conto di queste premesse bisogna avversare in ogni modo due tipi di errori che conducono ad una valutazione in termini parziali del disadattamento infantile. Il primo tipo di errore è la psicologizzazione dei problemi dei bambini che vengono considerati astrattamente dalle loro condizioni materiali e umane di vita e valutati esclusivamente in termini psichiatrici.

Questo tipo di errore conduce alla emarginazione scientifica del bam­bino, descritto come una somma di processi mentali separati dalle loro cause e quindi non come un essere umano che esige aiuto perché si trova in una difficile condizione.

Il secondo tipo di errore è il populismo che considera i figli della clas­se proletaria particolarmente toccati da problemi di ordine psicologico. Questo tipo di errore nasce da un'errata posizione che pone, nonostante la critica negativa, in primo piano i valori della classe borghese dominante e quindi misura il disadattamento in termini di fallimento rispetto a queste norme.

Mentre il primo errore porta ad un falso riformismo che si immagina di poter assistere il bambino senza entrare in merito alla contraddizione fondamentale della povertà e dei suoi prodotti, il secondo errore conduce ad una sterile lamentazione sui processi di esclusione che finisce per nascondersi che prima del disadattamento sono, nel sistema borghese, le contraddizioni di classe gli elementi base della esclusione fondamentale sulla quale tutte le altre concrescono. La distinzione tra la contraddizione fondamentale e quella secondaria è molto importante perché si possa arri­vare a indicazioni pratiche immediate. L'ampia discussione in atto già da qualche anno in Italia sulle classi differenziali non è uscita invece dagli ambiti prettamente specialistici, perché, inficiata di errori psicologistici e populistici, ha evitato di affrontare il problema del disadattamento e non ha potuto coinvolgere perciò la più ampia base sociale dei genitori, inse­gnanti e operatori sociali in obiettivi comuni di critica e intervento pratico sulle misure istituzionali.

Analizziamo perciò la carriera del bambino «differenziato». Questo bambino tipo comincia a presentare a scuola problemi che non si adattano con le possibilità di sviluppo nell'apprendimento.

Entro il primo trimestre l'insegnante si accorge che egli non sta at­tento, si stanca facilmente, magari litiga coi compagni o si apparta, non impara le cose che tutti stanno imparando...

L'insegnante ha il senso di non poterlo più seguire adeguatamente. Non dimentichiamo che di solito questo bambino ha circa trentacinque compagni, poiché le classi elementari sono sovraffollate. L'insegnante in collaborazione col direttore didattico della scuola provvede a segnalarlo ad un'équipe medico-psicopedagogica per capire se questo «qualcosa» che non va può essere risolto nell'ambito della classe oppure abbisogna di una didattica più lenta, più aderente alle norme di sviluppo individuale del bambino.

La prima fase costituita dalla segnalazione fa entrare in azione mec­canismi psicologici che possono coinvolgere il bambino nella drammatica esperienza del rifiuto. Infatti l'assenza di progresso nell'apprendimento e nell'adattamento al gruppo, registrata dall'insegnante nelle segnalazioni appare al bambino come un invito a ritirarsi dalla scuola e ai genitori come un loro insuccesso educativo. Le famiglie spesso reagiscono contro il maestro che segnala, accusandolo di mettere da parte il bambino, di fare ingiustizie ecc.

A sua volta il maestro che segnala appare ostacolato nelle sue capa­cità di aiutare il bambino a causa del gran numero di allievi che non per­mettono un lavoro individuale e connesso alle norme di sviluppo dei sin­goli Come si sa, infatti, nella scuola di massa viene saltato il processo di legame tra le norme del gruppo e le norme del singolo a causa del gran numero di bambini.

Se ne vedano le conseguenze: l'inizio di un processo di assistenza sociale che dovrebbe partire dalle difficoltà allo scopo di «vederle» chia­ramente e di condurle a risoluzione, conduce in pratica e in molti casi allo sviluppo della problematica di esclusione così concepibile: «è cattivo il bambino perché sono cattivi i genitori» o «perché è cattivo l'inse­gnante».

Lo scoglio della persecuzione reciproca finisce per nascondere che un bambino ha realmente bisogno di aiuto.

Il lavoro degli operatori sociali appare subito legato a un grosso li­mite: la possibilità di intervento che essi possono realizzare è soltanto la classe differenziale, qualunque siano gli elementi che conducono alla problematica del disadattamento di quel particolare bambino. Che si tratti di una situazione che esige in primo luogo un risanamento sociale (eco­nomico o ambientale), che si tratti di problemi sanitari o di elementi di conflittualità preliminari al problema scolastico, il gruppo degli operatori sociali può indicare soltanto la classe differenziale. Può ragionevolmente essere considerato un intervento profilattico o assistenziale valido lo spo­stamento da una classe all'altra? Esso può essere infatti una delle misure di assistenza ma in una scuola diversa da quella italiana sovraffollata e sol­tanto quando si verifichi un collegamento con un articolato sistema di inter­venti sanitari, sociali e psicologici che concorrono nell'offrire al bambino altre possibilità di sostegno. Nei termini in cui è condotto l'inserimento in classe differenziale si trasforma in una misura di selezione di classe e di emarginazione sociale. Si è già osservato infatti che l'inserimento nelle classi differenziali solleva nel bambino una problematica di rifiuto da parte dell'insegnante, di esclusione dal gruppo scolastico che prima frequentava e quindi sollecita all'interno della scuola la contraddizione tra bambini poveri e bambini meno poveri facendola diventare una differenza tra bam­bini più intelligenti e bambini meno intelligenti.

L'équipe medico-psicopedagogica cui arriva la segnalazione raramente è in grado di bloccare questi processi. Vediamo il perché. Il lavoro sul caso è segnato da tre tappe principali: individuale del bambino, questa proble­matica provvisoriamente può illustrarsi o riprendere vita su altre basi. L'équipe medico-psico-pedagagica preso atto della segnalazione inizia il suo lavoro sul caso. L'assistente sociale fa un'inchiesta presso la famiglia per individuare i motivi familiari che potrebbero indurre difficoltà nel bambino; il medico (neurologo pedopsichiatra) e lo psicologo visitano e incontrano il bambino per cercare di valutare le condizioni fisiche e psi­chiche dei suoi problemi, e infine si arriva alla sintesi delle osservazioni tratte.

Il fatto che l'intervento degli operatori sociali sia limitato alle classi differenziali conduce a due gravi conseguenze:

a) che l'intervento socio-medico-pedagogico condotto in questi ter­mini può contribuire alla formazione nella scuola italiana di una scuola di serie A e di una scuola di serie B, e quindi ad una scuola che basa la sua efficienza su una discriminazione molto più profonda di quella del voto e della selezione della promozione;

b) che le classi differenziali riescono a occultare anche ai critici più avvertiti che il bambino ha problemi di tutti i tipi prima ancora che la scuola se ne accorga e che a questi problemi occorre rivolgere l'attenzione a prescindere dal fatto che avvenga o non avvenga un disadattamento nel gruppo scolastico e a prescindere dal fatto che la scuola pretenda di risolvere con misure parziali o addirittura errate i suoi problemi di fondo.

Dobbiamo però ugualmente avversare l'idea errata che questo pro­blema appartenga soltanto agli specialisti che operano nella scuola e non alle masse lavoratrici i cui figli fruiscono della scuola.

Dai termini «classi differenziali sì, classi differenziali no» il proble­ma deve passare a individuare le contraddizioni principali producenti disa­dattamento nella popolazione infantile e soprattutto servirsi della base sociale dell'inchiesta per capire i tipi di intervento più necessari a pre­venire il disadattamento stesso. Gli interventi necessari per prevenire la problematica infantile sono sicuramente da individuare nella riforma dell'assistenza sanitaria, nella riforma della scuola, nelle misure insomma di ampliamento di servizi sociali di ogni tipo, però la priorità e la intensifi­cazione di uno o di un altro settore è conoscibile allargando la presa di coscienza di questi problemi.

La conoscenza che le larghe masse hanno dei loro bisogni esiste: si tratta di farla diventare parola e azione.

 

 

(1) da V.M., La Tenda, n. 1-2/1971, pag. 9 e segg.

 

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