Prospettive assistenziali, n. 16, ottobre-dicembre 1971

 

 

DOCUMENTI

 

DOCUMENTI DEL COMITATO UNITARIO INVALIDI DI FIRENZE

 

 

Riproduciamo qui di seguito alcuni articoli che servono ad illustrare il Comitato unitario invalidi che è sorto a Firenze, riunendo associazioni provinciali come A.F.M.U., A.I.A.S., A.N.M.I.C., A.N.F.F.A.S., A.N.M.IL, G.LS.I., G.S.A., L.A.N.M.I.C., L.I.N.A.R., con il proposito di superare le stesse associazioni nelle loro caratteristiche corporativistiche, paternalistiche e caritative e per elaborare nuove scelte politiche rivendicative.

Il primo è il testo dell'intervento di uno dei cinque imputati al pro­cesso, per il mancato avviso alle autorità di una manifestazione davanti all’I.N.A.M., indetta dal comitato stesso, gli altri articoli fanno parte del mate­riale inviatoci da Firenze e che riproduciamo volentieri per far conoscere il lavoro svolto dal gruppo invalidi con i comitati di quartiere.

 

 

INTERVENTO DI BRUNO MASCHERINI

 

Questo è il testo dell'intervento di Mascherini Bruno padre di una bambina spastica che doveva svolgere a nome del Comitato unitario invalidi, nel processo svoltosi il 29 settembre 1971 nella Pretura di Firenze dove con altri 4 imputati era stato su denuncia della Questura rinviato a giu­dizio per una manifestazione cosiddetta non au­torizzata il 27 aprile 1970 di fronte alla sede dell'I.N.A.M. dove veniva chiesto dal Comitato uni­tario l'applicazione della legge 482 approvata dal Parlamento nell'aprile del 1968 per l'assunzione degli invalidi al lavoro.

Il processo come è noto si è concluso con la piena assoluzione degli imputati.

Se mi è consentito sig. Pretore vorrei dire alcune cose sugli scopi, le finalità del Comitato unitario che per certi versi è al centro di questo processo. La mia opinione è che in questa aula si debba fare sia pure nelle linee generali la storia di questo Comitato che per volontà degli invalidi, delle loro famiglie, dopo non poche dif­ficoltà gli dettero vita all'inizio del 1969 supe­rando posizioni corporative, e non pochi contrasti con il preciso scopo di affrontare diversamente dal passato i problemi degli invalidi e per otte­nere leggi diverse da quelle attuali da tutti rico­nosciute insufficienti. E sul piano della concre­tezza immediata alcune rivendicazioni come quel­la dell'assistenza farmaceutica, sanitaria gratui­ta per un largo numero di invalidi ancora oggi esclusi anche dalla recente legge n. 118 da noi definita una legge beffa, e in particolare l'appli­cazione della legge 482 approvata dal Parlamento 4 anni fa per il collocamento obbligatorio degli invalidi elusa e violata dagli enti pubblici, pri­vati, e soprattutto ignorata dal potere esecutivo che dovrebbe essere garante della sua applica­zione.

In questa aula invece troviamo imputati co­loro che hanno inteso farla applicare, e non i veri responsabili loro da noi considerati violatori delle leggi repubblicane. Il fatto nuovo, per certi versi originali è che questo Comitato prende cor­po, si sviluppa fuori degli schemi classici tra­dizionali.

Inizialmente sono gruppi di invalidi, di geni­tori, di amici più sensibili lo dobbiamo dire non rassegnati, che cominciano a ragionare non più con la rabbia e la disperazione, ma iniziano ad usare la loro intelligenza consapevoli dei loro di­ritti costituzionali, sentono la necessità di superare le stesse associazioni di cui fanno parte, di certi enti pubblici ancorati ancora oggi in larga misura ad una visione dell'assistenza di tipo ca­ritativo, paternalistico che in alcuni casi sfocia in forme ricattatorie e autoritarie.

Gli invalidi, le famiglie, stanchi delle solite promesse e di essere diretti in certi casi da per­sone ambigue e piene di ipocrisia avvertivano di non contare nella elaborazione delle scelte poli­tiche rivendicative, si rendevano conto di essere degli spettatori e non dei protagonisti del loro avvenire. Eravamo sì considerati della gente sfor­tunata da aiutare, con qualche pacco di viveri, con qualche biglietto da mille, ma nelle decisioni «nella gestione del potere» eravamo considerati dei cittadini di serie B, e si scandalizzavano quando nelle nostre assemblee sentivano dire basta con le dame di carità, vogliamo le medi­cine gratuite non dalla baronessa Caio o Sem­pronio ma come diritto di cittadini uguali agli al­tri, e l'applicazione delle leggi e soprattutto far­la finita con l'attuale tipo di assistenza privata, e il totale trasferimento di questi servizi agli enti locali, alla regione, con la nostra presenza nella gestione assistenziale, compreso il colloca­mento obbligatorio al lavoro.

Gli invalidi consapevoli dei loro diritti per questi motivi hanno compreso l'esigenza di ritro­vare tutti insieme un momento di aggregazione sul piano delle iniziative politiche, sul piano or­ganizzativo e sul piano del coordinamento delle loro lotte, assimilando sia pure gradualmente il principio del movimento operaio «Uniti si vince, divisi si perde» che permettesse di iniziare a voltare pagina ad un libro della storia dell'assi­stenza per noi morto e seppellito da mettere nel museo delle anticaglie.

Siamo consapevoli signor Pretore che per il modo come è attualmente organizzata questa so­cietà ed è per questo che ci battiamo per rinno­varla che non sarà facile risolvere problemi così brucianti e scottanti, dato che il settore degli invalidi nel suo insieme - anche se a Firenze abbiamo iniziato a farci sentire - è uno dei più arretrati della società civile del nostro paese.

Non è presunzione dire che quanto abbiamo iniziato a fare ci esalta, pur non ignorando che dobbiamo superare tradizioni, abitudini secolari, pregiudizi ancora largamente diffusi nei confron­ti nostri da parte della cosiddetta gente normale, e anche mi sia consentito dire per «certa brava gente» se gli invalidi non ci fossero magari bi­sognerebbe inventarli perché rendono sul piano del profitto, come è il caso del prof. Meco recen­temente venuto alla ribalta della cronaca nera dopo la chiusura dell'Istituto Regina Elena per invalidi di cui era direttore e proprietario.

Nella nostra città pur non partendo dall'anno zero, pur non ignorando i nostri limiti, i nostri ritardi, il Comitato unitario in questa aula sotto la veste di imputato ha svolto una certa attività raccogliendo in questi ultimi anni i suoi frutti e non con i soliti discorsi moralistici; facciamo par­lare i fatti: non solo in questi giorni abbiamo ri­cevuto massicce manifestazioni di solidarietà da ogni parte d'Italia, dagli operai delle fabbriche, dai consigli comunali, ma anche perché negli ultimi due anni nella nostra città se diverse cen­tinaia di invalidi sono stati assunti al lavoro è stato merito, e lo diciamo con fierezza, anche della nostra presenza, e per la prima volta nella storia della nostra città alcune decine di spastici, poliomelitici, i più emarginati dalla società, han­no trovato una dignitosa occupazione. Se i ragaz­zi spastici oggi assistiti nei 5 centri della città gestiti dall'A.I.A.S., di cui sono lieto di far parte, appena tre anni fa erano alcune decine e con un solo centro, oggi sono oltre 300 e senza dub­bio è il risultato della nostra lotta e di quella delle famiglie di questi figlioli.

Se dopo la bella esperienza degli invalidi dell'isolotto, da alcuni mesi si è potuto organizzare un laboratorio per invalidi alla Nave di Rovezzano tirando fuori da Montedomini una decina di in­validi, è stato merito anche della presenza di questo Comitato e per la solidarietà ricevuta dalla popolazione di quel quartiere.

Se gli enti locali dimostrano oggi di essere più sensibili per l'assistenza a questi cittadini sfortunati non vi è dubbio è anche il frutto delle nostre iniziative. Ma insieme alle luci sig. Pre­tore abbiamo anche le ombre, le difficoltà, gli ostacoli non mancano sul nostro cammino, ne siamo consapevoli.

Da una indagine che il nostro Comitato sta compiendo, ad oggi solo nella nostra città sono state individuate ben 27 associazioni, che dicono di voler difendere gli invalidi, dai nomi e dalle sigle più strane. Non tutte, è doveroso dirlo, ma in larga misura dirette da certi «personaggi» che al centro della loro attività non solo pensano a vendere pacchi vestiario, bussano alle porte della gente chiedendo la carità: organizzando ca­naste e spettacoli d'arte varia, ma diverse di que­ste sono dirette da avventurieri, speculatori, da pregiudicati comuni conosciuti anche dalla Que­stura, più volte per le loro malefatte denunciati pubblicamente dal Comitato unitario, ma che non vediamo mai sui banchi della giustizia come im­putati, persone senza scrupoli che sulla pelle degli invalidi fanno i loro più sordidi interessi.

Migliaia di invalidi e le loro famiglie vivono in condizioni disumane, la maggioranza di essi quelli totalmente inabili percepiscono solo dal 1° maggio una pensione di 18.000 lire al mese, un'altra parte un misero assegno di 12.000 lire, e un numero non trascurabile non ricevono gra­tuitamente nemmeno l'assistenza farmaceutica in un paese come il nostro considerato fra quelli più ricchi e sviluppati industrialmente nel mondo.

Ma tutto ciò non ci deve meravigliare signor Pretore, sappiamo bene quale è attualmente l'orientamento per l'assistenza nel nostro paese, del Ministero competente.

Voglio citare quello che pensa il Ministro dell'interno: ecco cosa scriveva il suo titolare l'on. Restivo nel presentare in Parlamento la nota per il suo bilancio del 1970. «L'assistenza pubblica ai bisognosi racchiude in sé un rilevante inte­resse generale, in quanto i servizi, le attività assistenziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».

Penso signor Pretore non sia necessario in questa aula della giustizia fare altri commenti per comprendere non solo sul piano umano, so­ciale ma anche sul piano culturale i motivi delle nostre iniziative che riteniamo abbiano dato, sia pure modestamente, un contributo valido.

 

VERBALE DELLA ASSEMBLEA TENUTA ALLA S.R.M.S. (1) DELLA NAVE A ROVEZZANO IL 1° LUGLIO 1971:

 

Franca, ragazza invalida: Gli invalidi non sono una categoria né solo abitanti dell'Isolotto: ma una forza viva che appunto in quel quartiere ha potuto trovare validità in quanto sono stati com­presi e inseriti. È per questo che abbiamo invi­tato Don Mazzi pregandolo di introdurre il di­battito.

 

Don Mazzi: lo accetto di introdurre il dibat­tito per uno scambio di idee e prendere coscien­za di una realtà nuova che è nata in questo quartiere di Rovezzano.

Nella nostra società molte sono le cose da cambiare ed invece di cominciare dall'alto si co­mincia dal basso e con le nostre mani. Per cam­biare la società bisogna eliminare le forme di discriminazione e di divisione che esistono e questo riguarda proprio gli invalidi.

Gli invalidi non possono e non debbono es­sere una categoria ma solo dei cittadini che han­no delle particolarità e quindi non chiusi in un ghetto morale e fisico, ma pienamente integrate nella società.

Questa è la piena coscienza in cui siamo giun­ti. Bisogna però passare attraverso una gradua­lità e bisogna partire da una situazione di fatto, non si può partire dall'utopia. L'uomo che vuole realizzare delle cose giuste, qualcosa che vera­mente serve, che sia veramente efficace deve porsi di fronte alla realtà: sono una categoria fortemente discriminata, anzi quelle più discri­minate perfino dalla famiglia di origine special­mente i nati invalidi. Infatti, così come è costrui­ta la famiglia, quando nasce un bambino che ha delle difficoltà o si ammala e rimangono dei po­stumi della malattia, la famiglia stessa per prima si sente discriminata, messa da parte: sente pe­sare su di sé quella che comunemente si dice «una disgrazia». La famiglia si sente psicologi­camente tarata da questa realtà e naturalmente la fa gravare sul figlio in tutti i modi. Sa che non sarà accettato dalla società, non avrà la pos­sibilità di farsi valere, di integrarsi in quella cor­sa per il successo nella quale tutti sono coin­volti. Ha quindi un atteggiamento paternalistico che lo rende diverso dagli altri oppure se ne li­bera affidandolo ad istituti il che è anche peggio.

La mancanza di strumenti di recupero fa sì che un bambino non ha la possibilità di superare la differenza che lo separa dagli altri fino ad an­dare addirittura alle torture morali e fisiche.

La scuola italiana è fondata sulle discrimina­zioni e fatta apposta per eliminare gli invalidi. Il ragazzo viene bocciato, eliminato e reso inca­pace di giungere ad un livello in cui possa ren­dere in pieno. Al più esistono delle scuole spe­ciali che diventano alla fine dei ghetti che ser­vono solo ad escludere.

Nel lavoro, da parte dei padroni e spesso an­che degli operai, non si è preparati a ricevere gli invalidi che si trovano in condizione di asso­luta solitudine e solo oggetto di curiosità, di compassione, di strumentalizzazione mistica di parte - spesso - degli istituti confessionali.

Non possiamo farci illusioni. Come uscire da questa situazione? Gli invalidi da soli non pos­sono perché gira-gira si morderebbero la coda e girerebbero in un cerchio di solitudine.

L'associazionismo è fallito. Sono diventate un mezzo, uno strumento per rendere una lotta cor­porativa. Hanno diviso anche gli invalidi tra di loro. Quali altri strumenti allora si possono uti­lizzare? Non è facile perché si tratta di ricerca. L'ideale sarebbe che quelle forze sociali e poli­tiche, la classe operaia, prendessero in proprio a gestire anche la lotta per gli invalidi.

È un problema da tener presente: però non si può gestire una lotta per gli invalidi se gli in­validi non la gestiscono insieme. Questo è il problema di fondo altrimenti si casca in una nuo­va forma di paternalismo. Occorre che gli inva­lidi trovino il modo di uscire, di inserirsi piena­mente nella lotta, di contare qualcosa, di gestire qualche cosa.

Cominciare da una realtà operante, attiva che possa integrarsi in pieno nella lotta di classe per arrivare a obiettivi più avanzati. Può venire un periodo di risucchio, di tentennamento, di ricer­ca, c'è il pericolo che queste iniziative possano bloccarsi al primo nascere: No! bisogna dar loro respiro e spazio per progredire.

 

Bennati, Presidente del Comitato unitario in­validi: Gli interrogativi di Don Mazzi ci devono far riflettere e trovare la via d'uscita. Esiste un problema ma se vogliamo essere reali bisogna dare atto alla categoria che 6 o 7 anni fa era nazionalmente sconosciuta e questi anni sono serviti a far scoppiare il bubbone. Abbiamo avuto dirigenti che hanno preteso di vivere di rendita speculando sulla pelle degli invalidi. Gli invalidi hanno risalito la corrente e dimostrato che sono capaci di organizzarsi. Il 15% della popolazione italiana è fatta di invalidi. Abbiamo fatto grosse manifestazioni ed interessato le organizzazioni sindacali. Si è conquistata la legge sul colloca­mento e aperto il problema su tante altre riven­dicazioni. L'associazionismo non è fallito, ma ha invece ancora una sua funzione: si tratta di cam­biare i dirigenti specie quelli che speculano su­gli invalidi.

 

Sergio, invalido: Parla della trasformazione che ha subito attraverso la conoscenza decen­nale con Don Mazzi che gli ha indicato la vera strada dell'inserimento: il lavoro. Ora lavora in un Centro e ritiene fondamentale la sicurezza del lavoro.

 

Maurizio, autista e lavorante del LINAR: Gli invalidi sono sempre stati strumentalizzati. Non devono essere più un sotto-proletariato ma de­vono essere aiutati a trovare una loro coscienza di classe.

 

Roberto, giovane spastico: È critico verso il Comitato unitario perché ritiene faccia un lavoro di vertice e non di base. Dice che il C.U. agisce come certi medici che fanno la giusta diagnosi senza però riuscire a dare l'esatta medicina.

 

Trinca, sindacalista veneto: È a Firenze per un corso di studi. Dichiara estremamente im­portante che gli invalidi si facciano avanti por­tando la lotta per i loro problemi affiancati dalle forze operaie. La società si frega dei problemi degli altri: viviamo in un mondo diviso e alie­nante.

 

Mascherini, dirigente famiglie spastici: Sotto­linea i successi che gli spastici hanno ottenuto come la recente costituzione del Consorzio, gra­zie ad una lotta costante, costruttiva, legata alla realtà. Auspica una lotta unica che impegni lo stesso Governo.

 

Angelo, operaio del quartiere: Trasformare la società ed investire la classe operaia a livello nazionale è, a suo avviso, la giusta mèta. Gli invalidi devono incidere di più in seno alla clas­se operaia e per ottenere questo occorre lavo­rare sia nelle fabbriche, sia in seno ai Gruppi. Un lavoro coordinato e che responsabilizzi le due parti.

 

Paola, insegnante: Parla del problema della scuola. Ha portato, non senza difficoltà, 7 ragaz­zi alla licenza di 3ª Media. Ragazzi spastici gravi la cui frequenza a scuola ha incontrato ostacoli da parte degli stessi Presidi. Si rende perciò ne­cessaria e urgente l'attuazione della legge 118 che garantisce a tutti i ragazzi la frequenza alle scuole normali e non differenziate.

 

Vezzani, consigliere comunale: Configura le lotte che si estendono alla classe operaia: que­ste lotte hanno bisogno di essere portate avanti, riuscire a ridurre una dimensione reale a gruppi di popolazione. Quando si ottiene una vittoria non ci si deve adagiare ma valutare quanto otte­nuto per continuare a lottare. Ed è attraverso il lavoro che nascerà la possibilità di portare avan­ti i propri problemi altrimenti su questo retro­terra, mancando la lotta diminuisce la forza.

 

Oliviero, commissione interna ATAF: Abbia­mo conquistato 10 ore annue per assemblee ed una fetta di questo tempo deve essere dedicato ai problemi degli invalidi. Occorre una organiz­zazione unica che, nel tempo, liberi gli invalidi dal condizionamento che le associazioni tendono a esercitare.

 

Rappresentante CO.AR (fabbrica di Figline): Legge un documento di impegno per una fattiva collaborazione.

 

Sindacalista milanese: Elogia il lavoro di quar­tiere che ha permesso la realizzazione di questo laboratorio e quello dell'Isolotto. Elenca l'isola­mento in cui vivono gli abitanti delle grandi città e quanto sia difficile il concretarsi di simili ini­ziative. Sottolinea l'isolamento che il ritmo di vita che questa società impone e trova prema­turo dibattere sul rapporto uomo-macchina senza aver prima risolto il problema uomo-uomo.

 

Chiaroni, Assessore assist. comune: Dopo gli interventi ascoltati sento di dovere un apprezza­mento vivo e sincero per le iniziative che hanno dimostrato gli ampi orizzonti e le infinite possi­bilità che si dischiudono per l'inserimento degli invalidi quando una comunità le vuole intrapren­dere con pienezza di dignità e diretta iniziativa dei singoli in anticipo rispetto alle leggi. Noi sap­piamo che il problema della integrazione e dell'inserimento degli invalidi non è ancora capito dalla società e quindi occorre suscitare un vasto interesse per favorire la comprensione. Il pro­blema, sia quello della diagnosi, prevenzione, cura e riabilitazione, necessitano di una nuova legislazione che stabilisca il diritto degli invalidi ed una nuova struttura che possa dare a tutti i cittadini gli uguali diritti. La regione dovrà acce­lerare un adeguato processo e l'art. 117 della Costituzione sarà così di competenza in 3 set­tori che riguardano da vicino gli invalidi, la sa­nità, l'assistenza.

Questa assemblea non deve essere un punto di arrivo ma un punto di partenza e di riferimento per altre iniziative di altri settori nell'attesa che si possa riconoscere a tutti i cittadini la com­pleta utilizzazione di tutte le assistenze mutua­listiche. Il vostro appello all'amministrazione co­munale non è rimasto insensibile.

 

Guarnieri, Provincia: Si associa in pieno alla constatazione delle lacune esistenti nelle stesse leggi e conferma la piena disponibilità della pro­vincia nell'affiancare le iniziative realistiche e concrete che verranno prese dai vari Gruppi.

Dà atto dell'importanza delle lotte compiute dagli invalidi fiorentini, quale la manifestazione a Roma dell'ottobre, l'occupazione di Piazza Si­gnoria che con i 12 giorni di tenda hanno dato forza all'azione che le autorità preposte all'assi­stenza e al collocamento stavano compiendo a vari livelli.

Rinnova l'impegno che la provincia sente di portare avanti per questa categoria di cittadini e invita i partecipanti ad operare, ognuno nel pro­prio settore, in questo senso.

Solo l'ora tarda non consente a tutti gli iscrit­ti di esporre i propri impegni e le proprie espe­rienze. Resta però nei lavoranti del L.I.N.A.R., negli abitanti del quartiere, nei collaboratori, la sensazione di avere trovato un impegno vero e responsabile negli intervenuti con la prospettiva che ciò che è stato dibattuto sia portato fuori dell'ambiente e trovi terreno fertile in altri quar­tieri, in altre città.

 

 

L.I.N.A.R. LABORATORIO INVALIDI NAVE A ROVEZZANO

S.R.M.S. SOC. RICREATIVA MUTUO SOCCORSO NAVE A ROVEZZANO

 

Dopo l'assemblea tenutasi presso la S.R.M.S. della Nave a Rovezzano - promossa dal Consi­glio del circolo medesimo e dal gruppo di inva­lidi del L.I.N.A.R. - nella quale sono emersi con­crete proposte che inseriscono una categoria di cittadini nella lotta contro lo sfruttamento e per l'emancipazione, ci sembra opportuno e giusto che quanto segue sia portato a conoscenza di tutti i lavoratori e di tutti coloro che sono inte­ressati a collaborare in questa direzione.

«L'intervento che sto per fare, lo faccio a nome dell'assemblea degli operai, del Consiglio di fabbrica e della delegazione che stasera è qui presente in rappresentanza di tutti gli operai ed impiegati del Calzaturificio CO.AR di Figline Val­darno.

«Come noi sappiamo, il Gruppo invalidi e il Comitato di quartiere della Nave a Rovezzano con molti sacrifici hanno organizzato un labora­torio. Questi compagni non possono assolvere a tutti gli impegni che tale laboratorio comporta, come ad esempio quello di trovare un lavoro re­tribuito con giustizia. Qui rientra l'impegno da parte nostra di appoggiare questa iniziativa in qualsiasi forma e maniera, mettendo in condizio­ni questo gruppo di cittadini di lavorare e gua­dagnarsi la loro giornata. La loro aspirazione fon­damentale, secondo noi, è quella di inserirsi sia sul piano produttivo, sia sul piano sociale, rifiu­tando il paternalismo che di solito ricevevano sotto forma di carità dalle forze religiose e dai privati, paternalismo che toglieva loro la dignità di uomini.

«La maggiore responsabilità di questo stato di cose ricade sulla società nella quale viviamo, perché oltre a creare cittadini di serie A e di serie B, essa ha creato una divisione anche nello stesso mondo del lavoro, del quale noi tutti fac­ciamo parte. L'impegno nostro è quello di col­mare gli squilibri che la “società” e il “capi­tale” hanno creato, poiché siamo tutti cittadini italiani con gli stessi diritti.

«Noi siamo presenti a questa assemblea, ol­tre che per esprimere il nostro parere su queste ingiustizie sociali, anche perché la fabbrica dove lavoriamo ha una struttura produttiva che le per­mette di dare il lavoro anche all'esterno, ed il nostro impegno è far sì che una parte di questo lavoro sia assegnato a questo laboratorio e que­sto con una giusta retribuzione uguale al costo effettivo che incide all'interno della fabbrica, tra costo manodopera e contributi assicurativi.

«Già in passato gli invalidi si sono interes­sati ai nostri problemi, hanno partecipato alle nostre lotte intervenendo alle manifestazioni, mentre da parte nostra non vi è stato l'interes­samento sufficiente per farci capire che si com­batte per obiettivi comuni, cioè contro lo sfrut­tamento che questa società ha perpetrato e sta perpetrando anche ora che lottiamo per il rag­giungimento delle riforme. Questa iniziativa deve vedere impegnate tutte le delegazioni qui pre­senti, oltre che a dare un contributo al dibattito, anche a portare tutti questi problemi all'interno di ogni fabbrica, discutendoli nelle assemblee, in modo da dare una continuità a questa iniziativa per poter giungere ad una conclusione positiva. Oltre a questo, sempre per dare una maggiore continuità all'iniziativa, bisogna creare degli or­ganismi per un coordinamento più generale nelle future iniziative da prendere, in modo da poter investire un più largo strato sociale di popola­zione. Fondamentale, secondo noi, è che da parte delle delegazioni qui presenti, ci sia un impegno per fare ordini del giorno da inviare alle tre Organizzazioni sindacali di categoria ed alle ri­spettive segreterie, così che vi sia una certa mo­bilitazione di massa per questo problema.

«Affinché tale iniziativa abbia risultati posi­tivi, e perché essa abbia un seguito ed una con­tinuità, le autorità competenti devono finanziare in misura sufficiente questa iniziativa, dando tali mezzi al Comitato di quartiere. A giudizio nostro, gli invalidi dovranno avere una preparazione pro­fessionale per potergli permettere di inserirsi con più facilità nei processi produttivi. Anche per questo, oltre che per i problemi finanziari, devono essere investite le autorità competenti che secondo noi sono: il comune, la provincia, la regione.

«Concludendo ringraziamo il Gruppo invalidi e la Società Ricreativa Mutuo Soccorso Nave a Rovezzano di averci invitato a questa assem­blea».

 

Consiglio di Fabbrica Calzaturificio CO.AR.

 

 

 

(1) Soc. Ricreativa Mutuo Soccorso Nave a Rovezzano (Firenze).

 

www.fondazionepromozionesociale.it