Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre 1971

 

 

STUDI

 

INFANZIA: INFORMAZIONE NEGATA

GIULIANA LATTES

 

 

In una acuta indagine sulla stampa quotidiana in Italia Angelo Del Boca (1) scrive: «Se fer­miamo la nostra attenzione sulla stampa quoti­diana del nostro tempo ed in particolare su quel­la italiana di questo dopoguerra dobbiamo conve­nire che essa rappresenta una fra le più impor­tanti fonti delle nostre informazioni e conoscen­ze, dalle più indispensabili alle più futili. Ma nel disseminare informazioni e conoscenza spesso si rivela reticente e lacunosa, adotta nei riguardi del lettore un atteggiamento predicatorio e pa­ternalistico, non si ispira generalmente a criteri pedagogici e qualche volta anzi si fa veicolo di odio sociale».

E il londinese The Economist (2) dedica alla nostra stampa quotidiana un articolo dal titolo «The Press: Opinions are sacred» stigmatizzan­done così i difetti: «Per l'editore ed il direttore le opinioni sono del tutto sacre come i fatti (...). Gli articoli di politica interna nei maggiori quoti­diani indipendenti fanno spesso parte di un dia­logo per iniziati, fra il giornale ed il governo. Si è calcolato che, con ogni probabilità, meno di duemila italiani sanno attualmente di che si tratti».

E Giorgio Bocca su Il Giorno: «Nel giornale italiano non si distingue tra notizia e commento perché di regola, non si danno notizie ma solo il commento». Il giornale cattolico L'Avvenire d'Italia (3): «In Italia in realtà la libertà di stampa non è la libertà dei giornalisti o di quelli che hanno qualcosa da dire ma è la libertà di quelli che hanno abbastanza soldi per dirla o per farla dire. E quindi in pratica tranne pochissimi casi è la libertà di grandi gruppi economici o di po­tere; è la sofferenza di quelli che avendo pochi soldi o poco potere fanno sforzi eroici per so­pravvivere, è il silenzio di tutti gli altri».

Con queste premesse tutt'altro che tranquilliz­zanti vediamo ora come la stampa quotidiana si interessi dell'infanzia e come anche su questo argomento essa intrecci informazione e deforma­zione valendosi ora della tecnica della persuasio­ne ora della mistificazione.

Per ragione di studio e di ricerca sociale la Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e la lotta contro l'emarginazione sociale si è abbonata all'Eco della Stampa e abbiamo perciò potuto raccogliere per un periodo che qui abbiamo voluto per comodità circoscrivere dall'agosto al dicembre 1970 le notizie riguardanti i «maltrattamenti» di minori e ne abbiamo trat­ta la convinzione che manchi quella informazio­ne obbiettiva e serena che è diritto del cittadino.

Nel mese di agosto 1970 a due anni dal pro­cesso dei Celestini di Prato scoppia lo «scanda­lo del Mamma Rita di Monza». Ma la stampa quo­tidiana è lenta ad infrangere tabù, accetta poco il rischio di mettersi contro la società politica anche se è proprio un giudice tutelare che co­raggiosamente formula questa accusa nei riguar­di di un istituto, ritenuto modello a Monza: «mal­trattamenti continuati verso i fanciulli». Così viene riferita al lettore la notizia: «Monza, i medici del Mamma Rita» - e in grassetto - «Maltrattamenti? Ipotesi assurda» (Il Giorno, 12 agosto 1970). «Bimbi maltrattati in un Isti­tuto di Monza? Il Mamma Rita ospita orfani e figli di poveri ed è altamente specializzato» (La Provincia di Cremona, 7 agosto 1970). «I pre­sunti maltrattamenti nell'Istituto di Monza - La direttrice esclude che le educatrici incriminate abbiano abusato di mezzi correttivi» (Corriere della Sera, 7 agosto 1970). «Si sgonfia lo scan­dalo del Mamma Rita» (La Notte, 8 agosto 1970). Il modo di presentare la notizia è già commento, si tacciono porzioni di verità e la notizia viene già manipolata con l'aria della imparzialità.

Altro titolo: «In libertà la religiosa accusata di maltrattamenti - Il provvedimento del magi­strato dimostrerebbe che i piccoli orfani hanno molto esagerato nelle accuse mosse all'educa­trice - Era una delle migliori, dice la direttrice» (sottotitolo de La Stampa del 7 agosto 1970). «Numerose attestazioni di stima agli educatori dell'Istituto» (L'Avvenire, 9 agosto). «Definite assurde le accuse alla maestra» (Il Resto del Carlino, 7 agosto). Oltre quanto riassunto nei ti­toli e sottotitoli poco si può sapere di questo «istituto modello» premiato con medaglia d'oro, e bisognerà ricorrere ai rotocalchi (Novella, 13 settembre 1970) per avere notizie più dettaglia­te: si parla di Centro Pilota, di tecnici del con­sultorio, di «bilancio rimpolpato da generose do­nazioni private», di bimbi avviati «a un cammi­no di vita» di insegnanti scrupolose, di vacanze estive e relative fotografie di romantiche marine, di colloqui sereni e persino di «danze classi­che». Sì, forse qualche «situazione familiare molto difficile» ma tutto è in ordine e lucente! Il lettore si mette il cuore in pace e non pensa più ad avere informazioni sull'Istituto, ma si com­muove sulla maestrina in carcere per aver per­cosso i bambini, e che all'uscita è attesa dal fidanzato: «Davanti al carcere intanto era stato visto passeggiare nervosamente il fidanzato del­la 8. che ad un certo punto non ha più potuto porre freno alle lacrime» (Corriere della Sera, 9 agosto 1970).

Non abbiamo saputo né di che bimbi si trattas­se, quale era l'età, né se siano orfani, o in stato di adottabilità, chi fossero le insegnanti, quale scuola avessero fatto, quante fossero per gruppi di bambini e quali fossero i criteri pedagogici, ma sappiamo che una delle educatrici aveva un fidanzato che piangeva! Che piangere dovessero i bimbi assistiti il lettore lo sa qualche giorno dopo: «Altri cinque sotto accusa, undici le edu­catrici incriminate per maltrattamenti» (Il Gior­no, 20 agosto). E il Corriere della Sera frena le sue lacrime sulla maestrina e allarmato pubblica lo studio condotto dal Comitato Regionale per la programmazione economica della Lombardia su 27 fra i principali complessi assistenziali: «La situazione, rivelano gli autori dell'indagine, la­scia estremamente perplessi ricavandosi l'im­pressione che nella stragrande maggioranza dei casi il ricovero in istituto non fosse strettamente necessario o sufficientemente motivato». «Da rilevare che la metodologia dei premi e delle pu­nizioni è usata in ventisei istituti su ventisette».

Tra gli addetti al lavoro si propaga l'allarme e i quotidiani sono liberi di scrivere: «Gli Istituti per minori in Lombardia sono "ghetti" per orfani e poveri» (L'Avanti, 12 agosto 1970). «Chieste 11 incriminazioni per l'Asilo di Monza» (La Stam­pa, 20 agosto). «Diseducativa e mortificante la situazione degli istituti minorili» (Unità, 12 ago­sto). «Si complica l'affare del Mamma Rita» (La Notte, 20 agosto). «Altre cinque maestre coinvolte nello scandalo del Mamma Rita» (Il Giorno, 20 agosto). L'attenzione della stampa quotidiana si fa viva quando al centro c'è lo scan­dalo, senza poi stabilire uno scambio tra l'avve­nimento che è al centro dello scandalo e il pen­siero del mondo del lavoro, dei sindacati, dei centri di ricerca, delle istituzioni comunitarie.

Quando nello stesso mese saranno condanna­te dai giudici del Tribunale di Cagliari due suore per aver maltrattato alcuni bambini dell'orfano­trofio «Gesù agonizzante» in un paese ad una trentina di chilometri da Cagliari si griderà di nuovo: «Bambine percosse selvaggiamente e le­gate al letto» (Il Giornale di Vicenza, 8 agosto 1970). «Picchiate con cinghie, Lenzuola bagnate di orina avvolte attorno al corpo di bambini» (La Tribuna Italiana, Montreal, 12 agosto 1970). «Se­vizie su orfanelli» (Il Giornale di Sicilia, Palermo, 10 agosto 1970). «Storia allucinante» (Gior­nale di Bergamo, 8 agosto 1970). «Crudeli ves­sazioni» (La Sicilia, 8 agosto 1970). «Orfanelli chiusi in cantina» (Il Secolo XIX). «Troppo lievi condanne ai sorveglianti persecutori» (Umanità, 8 agosto).

Ancora una volta l'informazione è data come scandalo senza consentire al pubblico di dispor­re una più ampia e chiara informazione su tutto ciò che lo riguarda, che ha riflesso sulla sua vita di individuo, di gruppo, di comunità.

Allo stesso modo, quando si concluderà nell'ottobre 1970 l'istruttoria per l'istituto per sub­normali di Grottaferrata dopo un anno e mezzo di indagini, tutti i giornali quotidiani da Il Resto del Carlino all'Unità, da La Stampa all'Unione Sarda, dalla Gazzetta del Popolo a Momento Se­ra, da La Sicilia a La Gazzetta di Parma, da Il Giorno a Il Secolo XIX escono con titoli in gras­setto per gridare allo scandalo, ma è uno scan­dalo in famiglia, dove i protagonisti parlano in lingua allusiva e soprattutto si coprono. È vero che Maria Diletta Pagliuga maltrattava i suoi pic­coli ricoverati sino a procurare la loro morte, ma era una cattiva, è vero che era stata ordinata suora a 15 anni, ma era stata espulsa dall'ordine delle Elisabettiane «per gravi motivi», era stata amnistiata due volte dopo una condanna per fur­to ed abuso di abito monacale, logico quindi che stanziasse 350 lire al giorno pro capite di fronte alle decine di milioni che truffava ad Enti o pri­vati. Sfugge al lettore come tutto ciò sia potuto avvenire né egli ha bisogno di saperlo, poiché «un giornalista politico nel nostro paese può contare su 1500 lettori, i ministri e sottosegre­tari, (tutti) i parlamentari, (parte) i dirigenti di partito, alti prelati e qualche industriale» (4).

Si stigmatizza l'operato di alcuni funzionari che avrebbero favorita l'attività dell'ex suora (Il Giorno, 24 ottobre 1970; Il Lavoro, 23 ottobre; Il Cittadino, 23 ottobre). Dirà l'Unità del 23 otto­bre: «Immenso è il martirio di tanti piccoli di Modena, di Avellino e di tante altre città d'Italia» mentre Il Popolo Cattolico di Treviglio (21 agosto) e La Luce di Varese (21 agosto) avver­tiranno i loro lettori che «sporadiche denunce e fatti incresciosi non devono far dimenticare i meriti che da secoli la comunità cristiana ha ac­cumulato in questo settore delicato». E se Il Paese Sera denuncerà «Minorenni bisognosi ita­liani restano bisognosi per tutta la vita», Il Cor­riere della Sera (nelle sue lettere del 22 agosto) ha già ritrovato il tono idilliaco. Farà rispondere ad una signora C. che, turbata «dallo scandaloso e doloroso problema di tutti quelli che trattano queste povere creature con metodi così vili e disumani», si lascia andare ad «espressioni aspre verso coloro che si dedicano alla protezio­ne del mondo subumano», dal Vicepresidente della Lega del Cane. Questi chiamando addirittu­ra in causa Arturo Carlo Jemolo la invita «a di­sponibilità d'amore» così riprendendola: «Non dimentichiamo che sovente un bambino abban­donato dall'impenitente crudeltà dell'uomo ha trovato il suo più grande affetto della vita in un cucciolo bastardo». Bimbo bastardo, cucciolo bastardo vogliamoci bene. Siamo ormai lontani dal problema di Grottaferrata; il ritratto idilliaco del bimbo (meglio se biondo e con gli occhi az­zurri) sia che mangi prodotti Erba, sia che con­sumi sederelli soddisfa di più, giacché non ri­sveglia cattiva coscienza. Così il messaggio in­corporato nella pubblicità e in generale nei «mass media» tende a rafforzare ed a consoli­dare credenze e valori tradizionalmente diffusi nel tessuto sociale di una determinata comunità. In questo senso si può dire che il messaggio è a «rimorchio» dell'opinione pubblica in quanto fa leva sui sentimenti ben radicati e tradizionali (bella famiglia, giusta maternità, sempre buona condotta) restando sulla superficie dei problemi sociali sottesi (assistenza, politica dell'infanzia, adozione speciale, superamento di certe istitu­zioni) ma «imponendo» una adesione istintiva ad un'immagine mitizzata (rotocalchi femminili).

Ma se l'opinione pubblica aiutata da una cat­tiva informazione ha dimenticato ieri lo scandalo di Grottaferrata, oggi quello dell'ONMI, la presa di coscienza della funzione discriminatrice delle scelte generali in campo assistenziale comincia a maturare sia pure con fatica: in forza di una denuncia sempre più energica e coraggiosa del movimento democratico (denuncia del prof. Mac­cacaro sulle malattie indotte in bimbi sani; de­nuncia di medici ed amministratori a Reggio Emilia sui tranquillanti negli asili-nido, denuncia d'ir­regolarità e di abusi da parte di Enti locali e di gruppi di operatori sociali e della scuola). Si co­mincia ad intravedere ciò che scrive Franco Ba­saglia all'inizio del dizionario della nuova psi­chiatria: «l'uomo nasce, si ammala e muore con le prerogative della propria classe. Nascere, am­malarsi e morire diventano tappe solo apparen­temente comuni nella vita dell'uomo mentre l'elemento determinante nello svolgersi di una carriera umana o di una altra è sempre l'appar­tenenza alla categoria del privilegio o la sua esclusione. Se è vero che nella nostra società si tende a livellare tutte le esperienze ad un unico comportamento comune socialmente controllabi­le, è anche vero che, al nostro attuale livello di sviluppo socio-economico, solo la classe privile­giata può permettersi di gestire in proprio la pro­pria vita, la propria salute e la propria malattia, vivendole come proprie esperienze».

 

 

(1) Angelo Del Boca, Giornali in crisi, Ed. AEDA 1968.

(2) The Economist, 18 marzo 1967.

(3) L'Avvenire d'Italia, 2 agosto 1966.

(4) Forcella, Giornali in crisi, Ed. Aeda, 1968.

 

 

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