Prospettive assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971

 

 

STUDI

 

HANDICAPPATI E DISADATTATI: PROSPETTIVE DI PASTORALE E DI CATECHESI

PIERO ROLLERO

 

 

Concezione arcaica

Per comprendere il vero significato e la reale proporzione del fenomeno degli handicappati e dei disadattati, occorre superare alcune conce­zioni parziali e devianti.

La prima è la concezione arcaica popolare: quella che ha prodotto in alcuni momenti della storia gli orrori del monte Taigeto, della rupe Tarpea e delle camere a gas; ma che anche nelle sue manifestazioni più benevole non è meno cru­dele: basta leggere nel Vangelo gli incontri di Gesù coi ciechi, i sordomuti, gli storpi, gli inde­moniati: questi siedono abbandonati lungo le strade o si rifugiano nei luoghi deserti. Su loro pesa la «maledizione», la «disgrazia», invocata e «trasferita» in loro da una paura collettiva, ancestrale, della comunità che si «difende» e li respinge.

Ma il messaggio di Gesù ci induce a superare questa concezione, a vedere in una luce addirit­tura profetica la loro presenza. Così in Luca 4, 18 e nei seguenti brani:

«E passando vide un uomo cieco fin dalla na­scita. E i suoi discepoli gli domandarono: Mae­stro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, per es­sere nato cieco? Rispose Gesù: Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma è così, perché si ma­nifestino in lui le opere di Dio» (Giov. 9, 1-3).

«(...) Allora il padrone di casa, sdegnato, dis­se al suo servo: Presto, va' per le piazze e per le vie della città e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi. Poi il servo disse: Signore, s'è fatto come hai comandato e ancora c'è posto. E il padrone disse al servo: Va' per le strade e lungo le siepi e forzali a venire, affinché la mia casa sia piena» (Luca 14, 21-23).

Il messaggio di Gesù per lungo tempo ha tro­vato solo applicazioni parziali, ha suscitato anche alcune grandi opere, ma in definitiva non è an­cora stato accolto e applicato nella sua reale por­tata: che è l'integrazione piena e totale, sociale ed ecclesiale, dei «poveri» a cui la buona no­vella è annunciata per primi.

 

Concezione scientifica, ma settoriale

Dal secolo scorso, si è affermata una conce­zione degli handicappati e dei disadattati su basi scientifiche: la medicina e soprattutto la psichia­tria hanno studiato il fenomeno portando un con­tributo notevole alla sua comprensione e alla sua cura. Ma in definitiva tale concezione non si è staccata di molto, nelle applicazioni concrete e nelle conseguenze pratiche, dalla concezione ar­caica popolare che in alcuni aspetti è stata con­fermata.

Intanto lo studio scientifico è stato condotto per lo più su soggetti «internati», avulsi dal con­testo sociale normale e aggravati dalla vita di se­gregazione: sono nate concezioni nosologiche che ancora oggi pesano gravemente sulla nostra civiltà. Basti pensare alla distinzione, gravissima di conseguenze, fra soggetti «ricuperabili» e «irricuperabili», e alla distinzione rigida fra le diverse categorie avviate a strutture altrettanto rigide e incomunicanti di ricupero, in cui si per­dono e si aggravano molti casi. Ma soprattutto la prevalente tendenza medica ha portato a trat­tare gli handicappati e i disadattati come dei «malati», e come per i malati, ad esempio, di tubercolosi o di sifilide si sono creati i sanatori e le cliniche, così per gli handicappati e i disa­dattati si sono confermati e si sono promossi ulteriormente i «ricoveri» e gli «istituti chiu­si», la cui diffusione è un segno pesante del no­stro rifiuto e della nostra deresponsabilizzazione, frutto insieme del pregiudizio ancestrale e di cer­ta pseudoscienza.

Ma la scienza è andata oltre ancora: nella sua esasperata specializzazione, ha scoperto sempre più sottili distinzioni e ulteriori catego­rie di handicappati e disadattati, così che quelli che un tempo ricevevano educazione e istruzione insieme agli altri in ambiente normale, ora sono avviati, ad esempio, alle «classi differenziali», in seguito a diagnosi di «lievi» disturbi del com­portamento o di «lievi» ritardi intellettivi. E così i figli dei poveri, degli immigrati, dei baraccati, dei sottoproletari, con l'etichetta di disadattati, magari «temporanei», del comportamento e dell'intelligenza, subiscono le gravi conseguenze della segregazione e dell'emarginazione.

Perché, veramente, a questo punto si com­prende come la società moderna, ad alto livello di sviluppo, trova in certa scienza e in certa tra­dizione l'alleato per perpetuare, confermare ed estendere il suo processo di emarginazione dei più deboli.

 

Precise rivendicazioni

A queste concezioni, in definitiva, arcaiche e primitive bisogna opporre energicamente alcune rivendicazioni:

- il diritto prioritario dei più deboli alla vita, alla vita piena di uomini, e quindi il diritto a una priorità di cure e di attenzione, il diritto alla fa­miglia, a un'educazione integrale, a un'effettiva vita sociale, professionale ed ecclesiale;

- l'attenzione non tanto all'handicap, alla minorazione di cui sono portatori, ma alla loro personalità globale, soprattutto nei suoi elementi affettivi, sociali, spirituali;

- la rivendicazione e l'attuazione a tutti i li­velli del principio basilare del «minimo di isola­mento e massimo di socializzazione»;

- evitare la delega e la deresponsabilizza­zione: se lo scopo finale è soprattutto l'integra­zione sociale ed ecclesiale, se solo in questa in­tegrazione culmina la formazione umana e spiri­tuale degli handicappati e dei disadattati, l'impe­gno non può essere solo degli specialisti, ma è di tutta la comunità.

È con profonda soddisfazione che queste li­nee moderne di impostazione si possono ritro­vare - reinterpretate anche alla luce del Van­gelo - nel lavoro condotto dal 1951 ad oggi e nei documenti d'importanza internazionale della Commissione medico-pedagogico e psicosociale del B.I.C.E. (Bureau International Catholique de l'Enfance), come pure nelle opere del suo segre­tario generale, l'abbé Henri Bissonnier.

Alcune di queste indicazioni sono pure assun­te sinteticamente nel Documento di base della Conferenza episcopale italiana «Il rinnovamento della catechesi» (paragrafi 125-127).

 

Indicazioni generali

1. Anzitutto, vi si conferma che la lieta no­vella data ai poveri è segno dell'opera messiani­ca, anche nel senso specifico di ridare la vista ai ciechi, della guarigione e della liberazione (Luca 4, 18; Il rinnovamento della catechesi, paragrafo 125).

2. Di qui la riscoperta del valore e della pre­senza positiva degli handicappati nella comunità: «Essi fanno parte integrante della comunità. Es­si sono gli eguali degli altri uomini. Essi non hanno solamente da ricevere. Essi apportano il loro contributo specifico sia per il loro proprio valore sia per gli atteggiamenti positivi che essi suscitano». Si tratta di alti valori umani, familia­ri, sociali, morali e spirituali. (Documento del B.I.C.E., «L'integrazione sociale, professionale ed ecclesiale dell'insufficiente mentale», Roma, 1965).

3. E in particolare, contro certi pregiudizi di «difesa» dell'infanzia, si afferma che la presen­za degli handicappati fra gli altri fanciulli e ra­gazzi è «piuttosto una fonte di grazia che una causa di malessere» (in H. BISSONNIER, Ragaz­zi difficili a scuola di catechismo, ELLE DI CI, Torino-Leumann, 1967, p. 6).

4. Come pure si afferma energicamente il di­ritto degli handicappati e dei disadattati alla edu­cazione religiosa: «Il fanciullo handicappato, qualunque sia il grado e la natura del suo handi­cap, acquista attraverso il battesimo una perso­nalità soprannaturale con tutti i diritti ed obbli­ghi corrispondenti. La Chiesa deve assicurare a questo ragazzo sia tutta l'educazione religiosa di cui è capace sia l'amministrazione dei sacra­menti a quelle condizioni minime stabilite dal co­dice di diritto canonico. Con il dovuto rispetto, ci si augura che possa essere studiato, a questo riguardo, un certo allargamento della disciplina» (Documento B.I.C.E. su «I diritti dei minori han­dicappati fisici e psichici, e delinquenti», Con­gresso mondiale sui diritti del fanciullo, Beiruth, 1963). Questo diritto si basa inoltre sulla effet­tiva educabilità degli handicappati, anche nel ca­so dei più gravi (Ivi, e inoltre: B.I.C.E., Documento su «L'impegno dell'insufficiente mentale», La Turbie, 1968; e «Il rinnovamento della cateche­si», paragrafo 127).

5. In particolare, va diffusa la convinzione, soprattutto a riguardo dei ritardati mentali (sui quali pesano i più ingiusti pregiudizi), che essi «non sono meno capaci degli altri di una reale vita di fede e di una autentica generosità spiri­tuale; come se il livello dello sviluppo mentale coincidesse assolutamente con l'interiorità spi­rituale». Bisogna essere persuasi che l'insuffi­ciente mentale «è non solo capace, ma talvolta più suscettibile degli altri di compiere autentici atti di religione e di avere con Dio un contatto personale ed intenso, per cui non abbiamo mai il diritto di escludere che egli possa giungere sino alle vette della vita spirituale. Bisogna pro­prio dire che il livello intellettuale e l'attitudine alla vita religiosa non sono direttamente propor­zionali. Particolarmente sorprendente è ciò che riguarda il senso morale: spesso nei fanciulli col­piti da ritardo mentale è molto sviluppato e de­licato» (H. BISSONNIER, Fanciulli difficili..., pp. 6; 31-32). Questo è tanto più vero nelle prospet­tive di una catechesi moderna che ha superato l'intellettualismo di un tempo.

6. Ma l'impegno pastorale e catechistico di fondo è l'integrazione ecclesiale di questi fratelli e delle loro famiglie, spesso altrettanto emargi­nate dei loro figli: in armonia sia con moderni indirizzi pastorali sia coi tentativi più avanzati della società volti alla loro integrazione sociale e professionale. Il documento del B.I.C.E. del 1965, fin dal titolo, è un invito a questo sforzo unitario (anche se si rivolge in particolare alla categoria degli insufficienti mentali, che d'altra parte è anche la più numerosa): «L'integrazione sociale, professionale ed ecclesiale degli insuf­ficienti mentali». Esso afferma, fra l'altro: «La comunità organizzata in società deve: a) aste­nersi in tutto ciò che potrebbe essere manifesta­zione di rifiuto, di disprezzo e di segregazione; b) permettere ai suoi membri handicappati una partecipazione autentica; c) mettere a loro di­sposizione, qualunque sia lo sforzo che ciò com­porta da parte sua, tutti i mezzi che la loro situa­zione richiede per la loro piena maturazione».

Ma soprattutto il documento del B.I.C.E. del 1968, «L'impegno dell'insufficiente mentale», ci dà un quadro completo di ciò che comporta l'ef­fettiva integrazione ecclesiale:

- «La Chiesa, in ciascuno dei suoi mem­bri, prenda coscienza della vastità del problema dell'insufficienza mentale nel mondo e delle sue ripercussioni sulla vita di Fede di ogni cristiano».

- «Nello spirito del Concilio (...) il clero, i laici militanti e le comunità religiose riconsi­derino la loro missione nei riguardi dell'insuffi­cienza mentale».

- «Si perseguano gli sforzi già intrapresi per una partecipazione più ampia dell'insufficien­te mentale alla vita liturgica».

- «La vita sacramentale sia resa più ac­cessibile all'insufficiente mentale, in particolare per quanto riguarda il sacramento dell'Eucare­stia».

- «Si favorisca la partecipazione dell'in­sufficiente mentale a tutta la vita della Chiesa».

- «La commissione ritenendo che il dia­logo tra le Chiese a proposito dell'educazione al­la Fede dell'insufficiente mentale è di natura tale da far progredire l'ecumenismo, auspica che il lavoro avviato possa integrarsi al movimento ecu­menico attuale».

- Non meno rilevante l'attenzione rivol­ta alle possibilità di «impegno nella vita religio­sa consacrata»: «Se vi sono fra gli insufficienti mentali vocazioni alla vita consacrata, anche se in numero limitato, queste debbono essere con­siderate con assoluta obiettività ed incoraggiate il più possibile se trovano conferma da un punto di vista religioso. A questo scopo si dovranno stabilire dei criteri specifici che non si riducano ad attitudini di ordine psicologico. Se l'insuffi­ciente mentale può essere chiamato, come ogni uomo, ad una vita di unione con Dio secondo i precetti evangelici e se, a questo proposito, vi è anzi una predilezione di Dio per il povero, di fatto esistono poche comunità che possano rispondere all'istanza dell'insufficiente mentale. Di conse­guenza, è auspicabile che si proceda all'adegua­mento delle strutture esistenti ed alla creazione di comunità nuove che permettano all'insufficien­te mentale di realizzare la propria vocazione».

 

Indicazioni metodologiche

La metodologia concreta di una pastorale e di una catechesi dovrebbe comprendere sinteti­camente i seguenti punti:

a) Aiuto alle famiglie, loro valorizzazione e collaborazione con esse:

«La prima vocazione della famiglia è quella di essere l'educatrice naturale di tutti i suoi figli. Questa vocazione deriva da un diritto naturale che deve essere riconosciuto e rispettato dalla comunità. Senza essere quindi sollevata dalle sue responsabilità, la famiglia deve poter trovare un sostegno nella comunità per la presa di co­scienza dei problemi che pone la presenza nel suo seno di un insufficiente mentale ed essere aiutata a risolverli, sviluppando in particolare de­gli atteggiamenti validi nei riguardi del figlio» (B.I.C.E., «L'integrazione sociale, professionale ed ecclesiale dell'insufficiente mentale»).

«Si dovrebbe compiere, con discrezione, un autentico sforzo "di ricerca" a domicilio. Osser­viamo a questo proposito che molti genitori di fanciulli ritardati mentali partono dal principio che soltanto i ragazzi d'intelligenza normale sono ammessi a seguire il catechismo. Essi non pen­sano neppure a presentarli alla parrocchia. Im­maginate la loro gioia quando vengono a sapere che i loro ragazzi possono ricevere una forma­zione religiosa analoga, se non identica, a quella degli altri, che possono essere ammessi a rice­vere i sacramenti, e inserirsi nella vita parroc­chiale!».

«Ciò richiede anche da parte dei genitori mol­to coraggio, amore e fede per accettare che il loro fanciullo venga osservato, che alcuni lo guardino e facciano delle osservazioni poco gen­tili, e che altri perfino lo condannino. Donde la necessità di quei contatti con i familiari, di cui abbiamo parlato più sopra, e l'opportunità di ri­chiamare i Movimenti familiari alle loro respon­sabilità in questo campo » (H. BISSONNIER, Ra­gazzi difficili... pp. 31; 57).

b) Cercare di conciliare le due esigenze ugualmente necessarie: un'educazione religiosa a parte con personale e metodi speciali, e insie­me la partecipazione agli altri gruppi, sia am­mettendo gli handicappati a partecipare alle fun­zioni liturgiche o paraliturgiche, sia facendoli partecipare alle associazioni parrocchiali (Ivi, pp. 26; 58).

c) Portare avanti un'educazione comunita­ria sia di adattamento degli handicappati e dei disadattati alla vita comune sia soprattutto edu­cando la comunità alla loro accettazione e inte­grazione:

«La nostra catechesi dei fanciulli ritardati mentali sarebbe in gran parte inefficace se non riuscisse in effetti ad inserire più profondamente questi fanciulli o adolescenti nella comunità cri­stiana alla quale essi appartengono realmente. Ora ciò dipende, è appena necessario sottolinear­lo, da questa assemblea più che da loro stessi. "L'adattamento dei disadattati", la loro integra­zione nella parrocchia viene ad essere facilitata quando il clima di quest'ultima è autenticamente comunitario» (Ivi, p. 57).

d) Rispettare la loro personalità globale, e quindi in particolare affidarli ai catechisti più pre­parati e più disponibili, non metterli con i più piccoli (nella convinzione, scientificamente dimo­strata, che devono convivere con ragazzi della loro stessa età, di cui possono condividere molti interessi e attitudini), seguire i ritmi del loro svi­luppo e adeguarsi alle loro caratteristiche perso­nali e di apprendimento.

e) Per il contenuto della catechesi, in rispo­sta ai loro bisogni più profondi, è raccomandata una catechesi di amore:

- «L'educatore (genitore, educatore spe­cializzato, catechista, pastore) manifesti con la sua presenza l'amore premuroso di Dio» (B.I.C.E., L'impegno dell'insufficiente mentale).

- In risposta ai suoi particolarissimi biso­gni di sentirsi amato, stimato, valorizzato, e per compensarlo degli atteggiamenti di rifiuto e di disprezzo che spesso circondano l'handicappato, si insista su questi concetti:

«Dio, nostro Padre, è buono. Egli pensa a noi, ci ama, fa ogni cosa per noi. Poiché ci ama, Dio nostro Padre ci manda il Figlio suo Gesù il quale ci parla del Padre. Gesù ci insegna a conoscere e ad amare il nostro Padre. Egli ci fa diventare figli di Dio e ci chiede d'amarci tra di noi come egli ci ama...» (H. BISSONNIER, Ragazzi diffici­li..., p. 39).

Infine si va sempre più affermando la neces­sità di coordinare, anche in campo internazionale, gli sforzi della pastorale degli handicappati e dei disadattati. Nel più recente documento del B.I.C.E., che pubblichiamo di seguito, sono indi­cate le linee direttive di tale coordinamento. In particolare si raccomanda perché ogni diocesi si organizzi in questo settore e ogni vescovo nomi­ni un sacerdote incaricato di tale pastorale.

 

 

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