Prospettive assistenziali, n. 13, gennaio-marzo 1971

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

CRITICA ALLE CLASSI DIFFERENZIALI NELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO (1)

 

In questa riunione abbiamo ascoltato delle tesi a favore ed altre a sfavore delle classi differenziali. Tenendo conto della raccomandazione di attenersi alla realtà, fatta dall'Assessore, hanno tutti cercato di essere operativamente concreti.

Però il fatto di essere concreti non deve impedire di vedere il problema avulso da una realtà contingente, proprio perchè esiste un disegno di legge, di iniziativa ministeriale, per le scuole speciali e per le classi diffe­renziali, disegno di legge che in questo momento sta «girando» fra i vari Ministeri per l'approvazione di massima.

Questo disegno di legge (almeno per me) è già superato nei fatti; al punto attuale della situazione lo stesso Montesano, non ne approverebbe la realizzazione.

Sono tra coloro che pur non avendo partecipato alla stesura della legge sulla scuola media, hanno difeso la sperimentazione della classe differen­ziale nella scuola media, quando era un problema ancora non del tutto chiaro. Oggi attraverso una critica più severa e con dati più sicuri devo dire che il mio pensiero è andato decisamente oltre.

L'esperimento delle classi differenziali è stato fatto da sei gruppi di lavoro in cinque città: Roma, Genova, Bologna, Milano e Napoli.

Per quanto ci riguarda dovevamo chiarire a noi stessi quali bambini dovevano essere inviati in queste classi.

Il concetto di recuperabilità intellettiva, come giustamente ha detto lo psicologo, è difficilissimo da stabilire, ma soprattutto è difficile da sta­bilire cos'è la recuperabilità intellettiva a livello della scuola media.

Il mio intervento dunque è una specie di autocritica, dato che faccio parte di uno dei sei gruppi che hanno sperimentato criticamente questa disposizione di legge. Ma è una critica che, come ho già detto, è avvalo­rata da una esperienza di vari anni, anche se queste esperienze erano partite da ipotesi non volute da molti di noi, ma accettate in via provviso­ria, perchè ormai stabilite dalla legge.

In questo momento in Italia ci sono 5.600 classi differenziali e 5.200 classi speciali tra scuole elementari e medie.

Ma di queste 5.600 classi differenziali quante sono quelle composte da soggetti idonei, quanto meno a termine di legge?

La popolazione di una classe differenziale in 1a elementare dovrebbe comprendere sempre secondo la legge, tre gruppi di soggetti:

- i cosiddetti caratteriali, o meglio bambini difficili, immaturi sul piano affettivo, vale a dire con una immaturità, un iposviluppo globale dell'io che rende difficile ma non impossibile l'apprendimento;

- i soggetti con un deficit (già sensibile a questo livello, ma più sen­sibile poi nella scuola media) dei poteri espressivi ma non delle capacità intellettive, fatto essenzialmente legato all'ambiente socioculturale di pro­venienza;

- infine un gruppo di ragazzi che hanno deficit settoriali non gravi (sordastri lievi, soggetti con lievi disturbi della percezione visiva, dispras­sici, disfasici, ecc.), deficit che sono causa di ritardi nell'acquisizione della lettura e della scrittura, dell'ortografia, di certe materie specifiche come l'aritmetica, ecc., per cui l'individuo non riesce ad apprendere facilmente e passa per svogliato, apatico o lieve insufficiente mentale.

È chiaro che i primi due gruppi, l'immaturo affettivo e l'immaturo socio­ambientale non possono e non devono andare in una classe differenziale. Questi sono da classe normale alle condizioni che dirò tra poco.

Il terzo gruppo, il solo che teoricamente ha bisogno di un insegnamento con tecniche molto particolari è anch'esso da classe normale, a patto però che la scuola, come diceva ultimamente il prof. Pepe, accetti i servizi inter­disciplinari; nessun maestro può rieducare un disgrafico, ma nessuna classe differenziale ha mai rieducato un dislessico!

Ci vogliono delle tecniche particolari, basate su principi neurofisiolo­gici e psico-fisiologici e quindi la scuola normale deve arricchirsi di tecnici che curano questi alunni pur mantenendoli nella classe normale, riedu­cando il loro deficit settoriale. Ecco perciò che la classe differenziale non ha più ragione di esistere. Occorre però, ed è questo che non è stato detto; una modifica sostanziale dell'organizzazione scolastica, cioè bisogna giun­gere alla scuola integrata. In questo tipo di scuola l'équipe medico-psico-­pedagogica (pedo-psichiatri, psicologi, assistenti sociali) affronta le pro­blematiche individuali di tutti gli alunni, interviene terapeuticamente sia direttamente, sia guidando l'azione di altri tecnici, lasciando l'alunno nella propria classe.

Cessa così la necessità di una differenziazione logistica e didattica di tutti questi soggetti, differenziazione che porta ad una situazione di isola­mento psicologico con tutti i traumi psichici e le reazioni psicopatologiche relative.

La logica deduzione è che dobbiamo opporci a far definire per legge una organizzazione delle classi differenziali nella scuola elementare e dob­biamo non facilitarne la rapida espansione nella scuola media. È chiaro che sul piano pratico si possono accettare le classi differenziali, come fatto contingente in attesa che si possa disporre di un numero di tecnici per formare una scuola integrata senza la quale non vedo la possibilità di eliminare tutte le classi differenziali.

Dicevo in un convegno poco tempo fa, in forma polemica, che la classe differenziale, soprattutto nella scuola media, serve per normalizzare le classi normali (!) e non certo per i soggetti che la frequentano. Cerco di spiegarmi meglio. Il prof. Pepe ha detto giustamente che la classe diffe­renziale nella scuola elementare ha come punto di arrivo, come meta didat­tica il raggiungimento del processo induttivo; analogamente la classe diffe­renziale nella scuola media, dovrebbe avere una meta didattica, il processo ipotetico deduttivo ed il pensiero logico formale dell'adulto. Ma come pos­siamo noi giungere in 1a media, attraverso le nostre tecniche psicologiche, a questa previsione di recuperabilità intellettiva?

Nell'ultimo Congresso che il Centro Didattico per la scuola media ha tenuto a Roma, nel settembre 1969, sono state fatte molte riserve su que­sta possibilità predittiva ed è stato dimostrato d'altronde, che non è questo l'elemento che nella maggior parte dei casi, ha determinato l'inserimento di un alunno in classe differenziale. La classe differenziale nella prima me­dia è stata formata con soggetti così detti caratteriali, aggressivi, con forte instabilità psicomotoria di origine conflittuale o di origine socio-ambientale, disturbi che all'età della prima media sono veramente gravi, ed è vera­mente difficile sopportare tali soggetti in una classe normale. Nessuno di noi può prendersela con il professore che non sopporta un elemento di estremo disturbo per il gruppo, che turba il suo lavoro pedagogico.

Se l'équipe è autorizzata non solo a depistare più o meno «a cottimo» come ha detto lo psicologo (e non entro nella validità del dépistage), ma è autorizzata a studiare, seguire, curare, tutti gli individui che ne hanno bisogno in tutta la scuola media, la situazione muta radicalmente.

Comprendo benissimo che un grave instabile psicomotorico non può essere integrato ipso facto in una classe; ma il grave instabile psicomo­torico può avere una base epilettica o una base micro-organica, o conflit­tuale o nettamente socio-ambientale; in ogni caso è un individuo che noi possiamo curare; noi dobbiamo collaborare con il professore e dobbiamo concordare con il professore le possibili modalità del suo inserimento nel gruppo senza disturbare il momento pedagogico della classe.

La classe differenziale nella scuola media, ha perciò tutte le possi­bilità scientifiche di essere eliminata, unicamente se la scuola accetta questa integrazione completa di tecnici.

È la proposta che abbiamo fatto alcuni mesi fa al Direttore Generale Forti, proposta in linea generale accettata, sia pure in fase sperimentale: esaminare tutta la scuola in base alla segnalazione dei professori o dei genitori stessi, e intervenire in tutte le classi, senza prendere in consi­derazione la formazione di alcuna classe differenziale.

Ripeto che posso capire che la classe differenziale possa essere utile ancora per un determinato periodo di tempo, ma la sua espansione deve essere contenuta, non ipertrofizzata, come si sta facendo in questo mo­mento.

Il problema nasce quando noi ci accorgiamo che ]'altro grande contin­gente di soggetti inviati alle classi differenziali è formato da ipodotati che certamente non raggiungeranno il processo logico formale dell'adulto. Il prof. Tadini ha ben specificato che il tema del Convegno era limitato alle classi differenziali, e come moderatore io non dovrei andare oltre, però non si può parlare di classi differenziali senza parlare di classi speciali.

Oggi abbiamo eliminato il concetto di pseudo-debole come elemento di discriminazione del gruppo. Questo concetto di pseudo-debole che si trascinava con alterna fortuna da circa un secolo ha portato confusione e anche mistificazione del problema.

Eliminiamo perciò questa diagnosi, non esiste più lo pseudo-debole, esiste l'immaturo affettivo, l'immaturo sociale, l'immaturo settoriale, e queste tre categorie vanno nella classe normale, con l'aiuto dei tecnici.

A fianco di queste esiste l'ipodotato vero. Questo teoricamente do­vrebbe andare nelle classi speciali che attualmente non fanno parte del complesso scolastico di quartiere.

Teniamo presenti tre fatti:

1) Per un gruppo di questi soggetti (i borderline, i ragazzi limite) è spesso veramente difficile fare una diagnosi esatta di prevedibilità circa le loro possibilità di recuperabilità intellettiva, e quindi non è ammissibile allontanarli da una scuola dove forse avrebbero diritto di rientrare.

2) Alienare questo gruppo da quello dei normali è perfezionare quella catena di montaggio dell'insufficiente mentale che come ho già di­mostrato in altra sede, l'ambiente organizza per strutturare il ragazzo sempre di più nella sua situazione deficitaria, approfondendo la difficoltà di comunicazione col mondo dei cosiddetti «normali».

3) Ciò porta inoltre a creare in questi soggetti delle sovrastrutture caratteriali sia di tipo inibitorio, che di aggressività esterna che li isola e li alienizza sempre di più dal gruppo.

Perciò noi affermiamo, ed i pochi esperimenti fatti ci danno ragione, che anche le classi speciali devono far parte del complesso scolastico comune.

Dopo aver per 60 anni lottato per gli istituti medico pedagogici ad esternato e per le scuole speciali, oggi noi non vogliamo più le scuole speciali. Ci sarà ancora la scuola speciale per gli insufficienti mentali gravi, ma l'insufficiente mentale lieve e medio lieve, vale a dire l'insuf­ficiente mentale a recuperabilità sociale parziale o totale, e che rappre­senta l'85-90% di tutti gli insufficienti mentali, fa parte del complesso scolastico comune.

Noi non dobbiamo dividerli, noi non dobbiamo metterli nei «ghetti» come qualcuno ha detto, perchè la socializzazione è unica, indipendente­mente dalla recuperabilità intellettiva.

La scuola deve adottare la metodologia migliore per raggiungere l'inse­rimento sociale lavorativo di tutti i cittadini.

È chiaro che le mete didattiche sono diverse e le classi speciali de­vono avere perciò altri programmi, altro tipo di licenza, ma il processo di socializzazione sarà enormemente facilitato se tutti saranno uniti.

Se noi riusciamo a creare un complesso scolastico unico e mettiamo a fianco del cosiddetto bambino normale l'handicappato fisico e il subnor­male, noi creiamo un affiatamento nettamente positivo. Divisi nella classe essi si troveranno uniti nel doposcuola; il ragazzo normale imparerà a co­noscere ed adattarsi alla variabilità degli esseri umani.

L'ipodotato accetterà via via più facilmente la frustrazione che il mondo dei ragazzi normali involontariamente gli dà, perchè lo unisce a loro l'atti­vità ricreativa comune ed il gioco che crea più legami che lo studio! Non solo ma la crisi della preadolescenza è quasi più grave nel normale che nel subnormale, spesso il carattere qualche volta più inibito, qualche volta più fiducioso, meno ansioso anche se più ipocritico del subnormale, serve come parametro di raffronto, come punto di riferimento per superare la crisi di identità della preadolescenza del ragazzo normale caratterizzato dall'insicurezza e dall'ansia.

Quindi vedete che facilitando queste varie possibilità di colloquiare a tutti i livelli noi creeremo veramente la scuola.

Scuola vuol dire aiuto alla formazione della personalità, la persona­lità si struttura non nella divisione ma nella comunità, per questo occor­rono due cose: la comunità degli alunni e la convinzione dei professori.

Non ho paura di unire tutti insieme gli alunni, dubito dell'accetta­zione dei professori, in quanto non preparati a questa nuova visione della scuola. Ed è qui che vorrei si aprisse la discussione, vale a dire sulla preparazione degli insegnanti.

Concludendo non esiste per me sul piano teorico del problema se accettare o meno la classe differenziale. Il problema è unicamente pratico. Comunque propongo, sul piano operativo, la formazione della scuola inte­grata e dopo la sperimentazione ne propongo la critica. Altro traguardo che mi propongo è l'inserimento della classe speciale per gli insufficienti mentali medio lievi nel complesso scolastico comune.

GIOVANNI BOLLEA

 

 

 

(1) Intervento di Giovanni Bollea alla Tavola rotonda organizzata a Torino dall'As­sessorato all'istruzione del Comune e dal Servizio di assistenza scolastica il 12 febbraio 1970. Da «Neuropsichiatria Infantile» 116-117, 1970, pp. 912-916.

 

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