Prospettive assistenziali, n. 11-12, luglio-dicembre 1970

 

 

DOCUMENTI

 

RAPPORTO FRA RIFORME SOCIALI E SETTORE DELL'ASSISTENZA

 

Documento base approvato dall'Assemblea del 23 novembre 1970 del Consiglio Piemontese per i problemi sociali (Segreteria presso Unione Italiana per la Promozione dei Diritti del Minore)

 

 

PREMESSA

 

L'obiettivo della «attuazione di un compiuto sistema di sicurezza sociale», affermato al pa­ragrafo 70 del Programma economico nazionale per il quinquennio 1966-70, comporta da un lato una serie di riforme di carattere generale ten­denti ad assicurare a tutti i cittadini la possibi­lità di soddisfare le proprie esigenze essenziali (mezzi di sostentamento, abitazione, salute, la­voro, istruzione, ecc.), dall'altro una serie di provvedimenti destinati a garantire una tutela specifica a quei cittadini per i quali l'esercizio effettivo dei diritti acquisiti per tutti è impedito od ostacolato da limitazioni di autonomia per­sonale connesse con l'età, con le capacità fisi­che e psichiche, con circostanze accidentali di varia natura.

I provvedimenti del secondo tipo costitui­scono il campo d'azione proprio dell'intervento assistenziale modernamente inteso, e lo caratte­rizzano diversamente dagli strumenti di soccorso tradizionali, rispondenti non a bisogni specifici della popolazione, ma al generico «bisogno di tutto» di quella parte della popolazione per la quale l'assistenza è semplicemente uno degli espedienti che aiutano a sopravvivere.

 

SITUAZIONE ATTUALE DELL'ASSISTENZA

 

Oggi l’intervento assistenziale deve neces­sariamente coprire anche spazi che non gli so­no propri, perché non essendo ancora state attuate le riforme sociali fondamentali, è inevi­tabile che i problemi non risolti a livello gene­rale vengano affrontati, almeno per controllarne le conseguenze più vistose, nella loro dimen­sione individuale.

Questo avviene essenzialmente in due modi:

1) attraverso l'erogazione, occasionale e discrezionale, di prestazioni suppletive a speci­fiche lacune dell'ordinamento previdenziale, sa­nitario, scolastico, ecc. (es. sussidi a persone che non beneficiano di pensione sociale, rico­veri motivati soltanto da ragioni economiche, cure mediche parziali e frammentarie in luogo di un'assistenza sanitaria globale e completa, im­postazione e gestione assistenziale di servizi di interesse collettivo come i doposcuola, le case popolari, ecc).

2) attraverso forme di assistenza «spe­ciale» consistenti, anziché nel rendere disponi­bili tutti gli strumenti tecnico-specialistici neces­sari a ridurre o compensare specifiche limita­zioni fisiche, psichiche, sensoriali, ecc. e a con­sentire quindi a chi ne è colpito l'accesso alle normali sedi di lavoro, di istruzione e di vita so­ciale, nel creare al contrario per ciascuna cate­goria di cosiddetti «handicappati», «disadat­tati», ecc. dei puri e semplici doppioni delle attrezzature sociali normali, con l'unica caratte­ristica peculiare di essere riservati a persone che hanno in comune le stesse difficoltà. Si sot­tolinea inoltre come queste strutture «doppio­ne» non nascono per caso o per una lacuna di efficienza tecnica, bensì svolgono una precisa seppure autentica funzione: da un lato di recu­pero e di reinserimento in un certo tipo di pro­cesso produttivo, dall'altra, in caso di insuc­cesso, esclusione sociale. Queste funzioni sono caratteristiche di tutte le istituzioni assistenziali.

 

ORIENTAMENTI ATTUALI DELLA POLITICA SOCIALE

 

Il processo delle riforme sociali tende a ri­durre il numero e la casistica delle situazioni affrontate dall'intervento assistenziale, assicu­rando risorse di sopravvivenza, stabilite in base a standards minimi.

Vanno in questa direzione sia alcune propo­ste e provvedimenti legislativi quali quelli riguar­danti l'istituzione del servizio sanitario nazionale e l'estensione della pensione sociale ai non lavo­ratori, sia alcune rivendicazioni ricorrenti nei movimenti popolari, quali quelle relative all'abi­tazione ed ai servizi sociali per l'infanzia.

Ciò comporta che:

a) via via che il soddisfacimento delle esigenze minime entra a far parte della sfera dei «diritti soggettivi», la funzione tradizionale dell'assistenza, consistente nell'esercizio di un po­tere discrezionale relativo alla distribuzione di determinati beni o servizi fra gli strati poveri della popolazione, non ha più ragione d'essere;

b) diventano rilevanti le esigenze delle persone con particolari difficoltà di inserimento sociale, esigenze che non possono essere sod­disfatte mediante la semplice eliminazione degli handicaps di tipo obiettivo (economico-sociale). Ne consegue l'attuarsi di un processo di specia­lizzazione di tutti i servizi.

 

PERICOLI DI FONDO

E' importante a questo punto chiarire i limiti a cui è inevitabilmente soggetto il contributo sia del tecnico che dell'utente nella ricerca di solu­zioni adeguate a specifici problemi di inseri­mento sociale.

Questi limiti possono essere sintetizzati nei due seguenti aspetti:

1) L'equivoco insito nel concetto di «adat­tamento sociale», che sta alla base delle teorie e delle metodologie di cui l'assistenza si avvale.

Infatti la psicologia ci dice che l'adatta­mento sociale è un processo nel quale individuo e ambiente agiscono in reciproca interdipenden­za, ma mentre ci aiuta a chiarire quali condizio­namenti l'individuo subisca dalla realtà esterna e quali trasformazioni gliene vengano imposte, non ci dà nessuna indicazione relativa alle tra­sformazioni di cui la realtà esterna è suscetti­bile in vista di una sua migliore adattabilità alle esigenze individuali.

Ne consegue che, nelle diverse applica­zioni della psicologia, si tende ad accettare la realtà esterna come di fatto immodificabile, e ad intervenire soltanto su una patologia individuale già conclamata anziché sui fattori ambientali por­tatori di un potenziale patogeno.

Questo significa, nella migliore delle ipo­tesi, lavorare soltanto in una direzione terapeu­tica trascurando quella preventiva.

2) Le difese corporative di utenza, la cui stessa composizione è determinata dagli schemi burocratici dell'assistenza tradizionale, e ne ri­produce quindi le tendenze

Infatti l'esperienza derivante dal fatto di condividere con altri una condizione di inferio­rità rispetto alla generalità della popolazione porta a diffidare di qualsiasi soluzione dei propri problemi che sia condizionata o condizionabile dalla volontà di chi non ne è personalmente coin­volto ed a sentirsi garantiti soltanto da strumenti sui quali si possono far valere diritti esclusivi anche a costo di subirne le conseguenze emar­ginanti (vedasi per esempio il ruolo delle asso­ciazioni rappresentative delle varie categorie di invalidi).

Di qui la difficoltà di identificazione con obiettivi politici che considerino la qualità di cittadino come prevalente su quelli di assistito.

Di qui anche l'accettazione delle soluzioni tecniche tradizionali come le uniche possibili, e la mancata sollecitazione di indirizzi di ricerca e di sperimentazione diversi.

 

GESTIONE COMUNITARIA DELLE ATTREZZATURE SOCIALI

 

La ricerca di obiettivi di riforma nel settore assistenziale che garantiscano un reale progres­so sia sul piano della prevenzione che su quello della terapia e del recupero sociale non può quin­di essere fatta partendo da un'ottica speciali­stica, perchè questa tende ad assumere il dato di fatto di una determinata sintomatologia pato­logica nella sua realtà immediata, anziché nel processo dinamico di interazioni ambientali di cui esso è il prodotto.

Per esempio, il problema della educazione ed istruzione degli insufficienti mentali, dei mi­norati sensoriali, dei disadattati in genere non può essere posto in termini di pedagogia spe­ciale e di didattica speciale, se non si è prima verificato quanto la metodologia pedagogico-di­dattica consueta nelle scuole «normali» riesca a stimolare realmente le capacità sensoriali, motorie, logiche, sociali ecc. di tutti i bambini o quanto invece essa, povera di stimoli adeguati nei confronti di tutti i bambini, renda più gravi le difficoltà di quelli che avrebbero maggior bi­sogno di essere stimolati.

Allo stesso modo il dilemma fra educazione familiare ed educazione istituzionale non può es­sere risolto soltanto in funzione della riparazione a situazioni nelle quali sono già stati prodotti danni molto gravi, ma deve essere affrontato pri­ma di tutto dal punto di vista dei presupposti patogenetici propri in generale sia della famiglia che dell'istituto in relazione al bisogno di ras­sicurazioni primarie che determina lo sviluppo psico-affettivo del bambino soprattutto nelle pri­me fasi dell'età evolutiva.

La stessa rivendicazione di un «diritto alla assistenza sociale» può risolversi nel puro sem­plice consolidamento delle attuali caratteristiche discriminatorie comuni a tutte le strutture so­ciali se non è inserita in una serie di rivendica­zioni relative alla gestione comunitaria di tutte le attrezzature sociali alla cui esistenza, acces­sibiltà ed efficienza è interessata l'intera popo­lazione.

 

Obiettivi di fondo in linea con le premesse pre­cedenti possono essere i seguenti:

 

a) garanzia di minimo vitale funzionale per quanto concerne la disponibilità finanziaria dei nuclei familiari;

b) richiesta di costituzione di centri di for­mazione (per assistenti sociali, educatori, fisio­terapisti, logopedisti, ecc.) promossi dalle Re­gioni e gestiti dai comprensori (transitoriamen­te dalle Province o Consorzi di Province);

c) nel quadro della ristrutturazione dei ser­vizi, che devono garantire interventi non setto­riali (1), essere diretti ad una soluzione globale dei problemi ed essere organizzati il più possi­bile in modo decentrato tale però da garantire la più piena partecipazione:

- attribuzione alle Regioni delle respon­sabilità di legislazione specifica e di programma­zione relative a tutti i servizi sociali (scuole materne, scuola dell'obbligo, istruzione profes­sionale, servizi di medicina scolastica e di igiene mentale, servizi socio-assistenziali, sanitari e ospedalieri, urbanistica, trasporti, ecc.) ;

- realizzazione di unità locali e com­prensoriali di servizi e conseguente ristruttura­zione degli enti locali in modo tale da consentire la partecipazione della comunità alla programma­zione e gestione dei servizi;

- disponibilità dell'informazione e degli strumenti tecnici necessari ad interpretarla co­me presupposto per la suddetta partecipazione.

 

OBIETTIVI SETTORIALI:

 

a) Nell'ambito delle strutture utilizzate da tutti dovrà aver luogo l'istruzione, l'educazione e la vita delle persone handicappate: tali strut­ture dovranno essere adeguate alle necessità specifiche degli handicappati, mediante l'impiego di personale e di tecniche specialistiche, la pre­disposizione delle attrezzature necessarie, l'abo­lizione delle barriere architettoniche, ecc.;

b) ricerca di risorse per creare i servizi alternativi agli attuali istituti a carattere di inter­nato;

c) richiesta per la creazione, con controllo democratico, di centri di ricerca scientifica e di divulgazione per limitare al massimo l'insorgere di handicaps.

 

INDICAZIONI IMMEDIATE DI AZIONE POLITICA

 

Dalle premesse precedenti derivano le se­guenti indicazioni immediate di azione politica:

1) alleanza con le forze, sia istituzionali che informali, attualmente impegnate nella lotta per le riforme, sulla base sia di un appoggio alle rivendicazioni di carattere generale sia di un contributo autonomo all'articolazione di obiet­tivi settoriali conseguenti;

2) coinvolgimento dei tecnici nei proble­mi di ricerca scientifica e metodologica deri­vanti dalla politicizzazione degli obiettivi setto­riali;

3) aiuto agli utenti nella formazione in termini politici delle loro richieste specifiche.

 

 

(1) Come esempio di non settorialità degli inter­venti: abolizione del settore della rieducazione minorile come settore a sé stante e di competenza del Ministero di grazia e giustizia e attribuzione delle relative funzioni alle unità locali.

 

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