Prospettive assistenziali, n. 11-12, luglio-dicembre 1970

 

 

ATTUALITÀ

 

EMARGINAZIONE, DISADATTAMENTO, SUPERAMENTO DELL'ASSISTENZA AUTOGESTIONE E RUOLO DEGLI ENTI LOCALI

 

 

In margine al convegno ACLI

(Torino, 28-11-70 Galleria d'arte moderna)

 

Nuovo e positivo l'impegno delle ACLI ad aprire un dibattito sulla politica dell'assistenza in Italia, ed è apparso quanto mai indicativo che tale impegno sia partito da Torino (città indu­striale, produttiva) ove gli esclusi «dal ciclo pro­duttivo sono gli stessi che gravano sulla classe lavoratrice».

La relazione di Passuello ha fatto una dia­gnosi dettagliata e precisa della situazione assi­stenziale italiana inserendola in un quadro so­cio-politico e suggerendone i rimedi a breve e lungo termine. Rimedio da portare alla radice del sistema capovolgendo e modificando sia il signi­ficato che la prassi del fenomeno assistenziale, orientandosi verso una politica di sicurezza so­ciale inteso come obiettivo primario a cui ten­dono tutti i lavoratori.

E' ricorsa spesso la parola - emarginazione - volendo includere in tale termine le molte situa­zioni esistenti: bambini abbandonati, disadat­tamento minorile, ospedali psichiatrici, handicap­pati, problemi degli anziani ecc. Sono questi gli esclusi dalla attuale società consumistica che non tollera «chi non produce» e si limita ad emarginarli avendo creato per questo una pletora di enti (40.000 mila enti di assistenza pubblica che fanno capo a 17 ministeri, più qualche mi­gliaio di enti privati), preoccupati non di preve­nire gli squilibri di bisogno né di rendere auto­sufficienti le persone, ma continuando a mante­nerle in stato di assoluta dipendenza.

Questi emarginati vivono in periferia o in alloggi malsani del centro della vecchia Torino con poco verde, poco spazio, scarsità di servizi, affitti elevati per i bassi salari e misere pensioni di chi vi abita. Questi sono formati da famiglie numerose, disoccupati, malati che al bisogno urgente di pane e vestiario sopperiscono con mestieri non legali e non morali (contrabbando, prostituzione, lavoro precoce di bimbi, lavori fuori casa di donne con molta prole). Le conse­guenze sono i molti ragazzi abbandonati a se stessi, l'incapacità di un corretto comporta­mento pedagogico dei genitori, la violenza e l'ag­gressività di chi pur lavorando molto non riesce a soddisfare tutti i bisogni, l'impossibilità di acquistare una maturità comportamentale, impe­gnati come sono a riversare tutte le proprie energie verso il problema economico che garan­tisce loro la sopravvivenza.

La società ha risposto a questi problemi creandone altri, ha disgregato le famiglie (bam­bino difficile in riformatorio, bambino povero in collegio, handicappato in manicomio, vecchio in ricovero e così di seguito) e si è resa complice di un sistema che ha seguito la logica degli enti anziché quella dei bisogni.

Né la società ha proposto altri ideali che non siano quelli riferentisi al denaro, al successo, sicché il giovane viene sollecitato alla fruizione di questi ideali e per averli subito agisce violen­temente, violando l'altro codice che la società si è dato: quello del rispetto della proprietà privata.

 L’emarginazione la troviamo anche nella scuola con le sue classi differenziali nelle quali, vedi caso, si trovano l'85% dei poveri e degli emigrati, le cui carenze sono da ricercarsi nel sistema scolastico e non nei bambini, sistema che già preordina il gruppo di chi è adatto a stu­diare e chi a lavorare.

Così troviamo i vecchi poveri nei ricoveri, i malati mentali poveri negli ospedali psichiatrici come a significare che è solo del povero, del sottosviluppato, degli emigrati, la struttura isti­tuzionale che si è data la società più per difen­dersi emarginando gli scomodi, che per preve­nire aiutando i più deboli.

Il relatore si è chiesto se questa situazione è dovuta alla disorganizzazione, alla molta buro­crazia o non piuttosto ad una questione di fondo dell'assistenza che presuppone e giustifica l'emarginazione. La risposta era implicita: l'emar­ginazione è il presupposto dell'attuale sistema. Lo stesso Ministro dell'Interno nel bilancio di previsione 1969 così si è espresso:

«l'assistenza pubblica ai bisognosi... rac­chiude in sé un rilevante interesse generale in quanto i servizi e le attività assistenziali concor­rono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari...».

La pratica perciò si riconferma emarginante con orientamenti paternalistici in una visione di doveri di Stato anziché di «definizione dei diritti del cittadino».

Certo in questo modo è facile creare cate­gorie di bisogni con relativi enti assistenziali; difficile invece mettere in discussione i valori ed i disvalori di una società. L'attuale sistema è propenso a modificare le strutture ambientali, a sostituire tecnici ai normali impiegati, perchè tutto appaia nuovo ma nulla sia cambiato.

E la riforma tecnica soddisfa e attutisce lo spirito critico dell'utente, il quale non porrà più in discussione il sistema e si accontenta di quanto gli viene dato.

Ma è proprio qui il problema; non che non si voglia una riforma tecnica ma tutti insieme bisognerà dimostrare di aver preso coscienza dei propri diritti e di essere in grado di reclamare il diritto alla libertà dal bisogno ed alla sicurezza sociale rimuovendo le cause socio-ambientali emarginanti.

Occorrono radicali mutamenti di politica nella scuola, nel lavoro, nella casa, nei salari, nella famiglia, nei servizi sociali e sanitari. E tutto questo deve farsi subito senza attendere i tempi lunghi con un impegno da parte di tutti gli enti.

Il relatore ha proposto quindi:

- raggiungimento del minimo vitale (salari e pensioni adeguati);

- miglioramento delle condizioni sanita­rie ambientali (casa-scuola, servizi pubblici in genere);

- drastica riduzione dei ricoveri in istitu­to a tutti i livelli (minori, malati, vecchi), con contributi diretti al nucleo familiare atto a soste­nere la situazione;

- depenalizzazione - giustizia minorile:

- abolizione delle case di rieducazione;

- riforma della legge dell'adozione spe­ciale (per consentire l'adozione fino a 18 anni e non fino ad otto come è prescritto attualmente);

- drastica riduzione delle classi differen­ziali fino al totale annullamento, per orientarsi verso una riduzione del numero di alunni per ciascuna classe e consentire all'insegnante un insegnamento più individuale;

- potenziamento della ricerca scienti­fica;

- assistenza domiciliare agli anziani ed ai malati in grado di restare a casa.

Tutto questo è possibile ottenere se la co­munità saprà mobilitarsi per coinvolgersi nei problemi socio-assistenziali, partecipando alla gestione dei servizi ed alla programmazione degli stessi, ed evitando che dei servizi si interessino solo gli utenti specifici che sono inevitabilmen­te portati ad affrontare i problemi in modo cor­porativo con le inevitabili difficoltà che ne de­rivano.

E' la stessa comunità che dovrà chiedere l'abolizione delle competenze assistenziali di tutti i Ministeri ed Enti pubblici, premendo che siano le Regioni ad averne la competenza legi­slativa e le unità locali quella di gestione. Alla relazione ha fatto seguito un dibattito che, a parte un consenso di alcuni operatori so­ciali al problema assistenziale inteso come capo­volgimento dell'attuale sistema inserito in un ampio quadro di politica generale, ha lasciato perplessi, perchè la maggioranza ha avuto la sensazione che un discorso, sì fatto, spostava la soluzione dei problemi assistenziali in un tem­po al di là da venire, quasi utopistico. La rela­zione è sembrata teoricamente valida ma le pro­poste avanzate non sono sembrate di possibile realizzazione,

Quasi tutte le categorie di assistiti hanno la sensazione di sentirsi al sicuro nel sistema tradizionale purché vengano loro concessi più strut­ture e più tecnici quasi che «il tutto nuovo da crearsi» presupponesse un modo diverso di porre i problemi, li costringesse in una situazione di assunzione responsabile dei propri diritti, pri­vandoli del rapporto con l'autorità che garantiva loro una risposta forse non soddisfacente ma acquietante.

A maggior ragione sembra urgente un discor­so capillare, paziente con le categorie assistite per chiarire i termini nuovi del discorso assisten­ziale, affinché ogni cambiamento avvenga nel modo opportuno, discorso da affrontare can tutti i lavoratori perchè l'assistenza li riguarda diret­tamente.

E se è vero che i lavoratori lottano per la costruzione di una società a misura d'uomo, essi come afferma M. Foucault, devono «interrogare una cultura sulla sua esperienza - limite... su una lacerazione che è come la nascita stessa della sua storia...».

 

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