Prospettive assistenziali, n. 7, luglio-settembre 1969

 

 

DOCUMENTI

 

PRESENTAZIONE DELLA SCUOLA DI FORMAZIONE PER EDUCATORI SPE­CIALIZZATI DI TORINO (1)

 

 

Per poter comprendere a fondo il significato e quindi il valore di una iniziativa quale quella che stiamo oggi presentando alle autorità e al pubblico piemontese, occorre chiarire quanto più è possibile i termini del problema o dei problemi che ne stanno alla radice e che la giustificano. In questo caso, occorre analizzare sia pur sinteticamente il problema dell'as­sistenza ai minori in qualche modo bisognosi di inter­venti particolari e specializzati, specie in internati.

E' ciò che gli stessi organizzatori della Scuola per educatori hanno cercato di fare attraverso una inda­gine effettuata, e con visita personale o con una scheda-questionario sui 380 istituti educativi (reli­giosi-laici-misti) compresi nelle sei province del Piemonte ai quali sono affidati circa 14.000 minori.

Già questa cifra parla da sé, mettendo bene in evidenza l'ampiezza delle responsabilità socio-pedago­giche di tali istituzioni. Ma altri dati interessano da vicino il nostro discorso: a due di questi in partico­lare vorrei accennare. In tali istituti operano ben 1.600 educatori religiosi e 400 educatori laici, ovvia­mente con diverse attribuzioni e funzioni e a diversi livelli (non sempre facili da determinare e classifi­care). La loro posizione giuridico-amministrativa e di conseguenza il loro trattamento economico è quanto di più sconfortante si possa immaginare. Basti dire che in due istituti soltanto esiste un organico con relative tabelle, con una conseguente sicurezza pro­fessionale; in tutti gli altri ciò non esiste ed il perso­nale educativo va considerato avventizio e assunto con (o senza) contratti che in ogni caso appaiono addirittura illegali.

Ancora, può essere utile riferire che solo in due istituti lo stipendio dell'educatore supera le 80.000 mensili, mentre si registrano stipendi fino a L. 10­15.000 mensili pur con un orario di lavoro estrema­mente pesante (che può giungere fino alle 15-16 ore giornaliere).

Il secondo dato importante emerso è che pratica­mente in nessun caso il personale educativo è stato definito dai responsabili degli istituti stessi come qualificato o specializzato; né, al di là di alcune ini­ziative soprattutto delle religiose, volte a ovviare le più grandi lacune del settore, ci sono state segnalate iniziative autonome di singoli istituti o di istituti col­legati per sopperire a tale assenza di qualificazione, iniziative che in qualche modo avrebbero potuto sop­perire alla effettiva impossibilità di reperire personale più qualificato.

Sono due osservazioni, queste, che non possono non farci meditare: e se è vero che la prima tocca essenzialmente gli istituti laici (per il personale reli­gioso ovviamente il discorso è diverso: tuttavia non va dimenticato a questo proposito la tendenza alla diminuzione del personale educativo religioso e quindi la necessità in cui si troveranno molti istituti di do­versi avvalere anche di personale laico), è altrettanto vero che la seconda tocca anche quelli religiosi.

Ciò che induce a meditare è che, dunque, dei 14.000 ragazzi ospitati nei vari istituti educativi, la maggior parte è di fatto affidata a gente non adegua­tamente preparata, in molti casi a persone mal retri­buite, in un certo senso mortificate e comunque in una condizione personale precaria ed instabile.

E' vero però che molti degli istituti che ci hanno risposto (168 religiosi, 38 laici e 40 misti) hanno posto l'accento su questa precarietà del loro perso­nale educativo, segnalando l'impossibilità di offrirgli un trattamento economico più adeguato sia per la sua inesistente o scarsa qualificazione professionale sia per la sua fluttuazione.

E da un certo punto di vista non si può dar loro torto.

Ma non è difficile rendersi conto che ci troviamo nel bel mezzo di un circolo vizioso tanto chiaro quanto drammatico.

Da un certo lato si afferma che fino a quando le prestazioni professionali degli attuali educatori non raggiungeranno livelli soddisfacenti non è possibile né socialmente giusto riconoscerne a tutti gli effetti la professionalità; dall'altro lato è ovvio che fino a quando quel riconoscimento non sarà dato (equipa­rando l'educatore ai tecnici delle altre scienze umane o almeno agli insegnanti di scuola), fino a quando cioè i giovani non potranno vedere in quella profes­sione una possibilità di definitiva sistemazione per­sonale, ben pochi saranno coloro che vi si impegne­ranno e che saranno disposti ad occupare anni comunque decisivi per il loro futuro nello studio e nel tirocinio che la preparazione di un autentico edu­catore comporta.

Occorreva ed occorre dunque rompere quel cir­colo vizioso e bene hanno fatto la Provincia ed il Comune di Torino e gli altri enti promotori (qui parlo come pedagogista!) ad accollarsi il peso di una scuola superiore per educatori. Una scuola come la nostra infatti - e questa è la prima delle sue finalità - è in grado di rompere quel circolo vizioso, da un lato perchè offre ai giovani un'istituzione dove prepararsi con sufficienti garanzie di serietà e di ufficialità, dall'altro lato perchè offrirà agli istituti quel personale specializzato che essi affermano di desiderare, obbli­gandoli in un certo senso a superare ogni resistenza e perplessità nel risolvere i problemi amministrativi relativi.

Finora ho sempre parlato di educatore, educatore specializzato. Ma chi è questo educatore? Come si configura la sua professionalità? Precisazioni in que­sto senso sono necessarie anche per superare taluni preconcetti che complicano ulteriormente la proble­matica prima analizzato.

Diciamo subito che l'educatore, a1 quale si affi­dano gli educandi nel tempo disponibile al di fuori delle varie attività fisse di scuola e di officina, non è un semplice assistente né tanto meno un semplice custode, ma è, come abbiamo precisato nel nostro «depliant», un autentico professionista dell'educa­zione o tecnico della pedagogia.

Con ciò vogliamo dire in primo luogo che la pedagogia è una scienza nel vero senso della parola (alla stessa stregua di altre scienze umane quali la psicologia, la sociologia, l'assistenza sociale), in quanto si riferisce ad una dimensione particolare dell'essere umano (la sua crescita globale, ma soprattutto spiri­tuale: la sua formazione completa) ed in quanto quindi possiede una specifica competenza.

In secondo luogo vogliamo sottolineare che il tempo disponibile fuori dalla scuola e dall'officina non è insignificante ai fini di quel processo formativo; al contrario è o almeno può essere determinante per l'educatore: non a caso è proprio il tempo nel quale si svolge e realizza l'educazione familiare!

In esso, infatti, il soggetto che è meno condizio­nato o limitato da strutture rigide ed esigenze spe­cifiche e quindi più libero e spontaneo, compie e deve compiere le più importanti ed autentiche espe­rienze di vita nella direzione per esempio della socia­lità (la libertà, la responsabilità) ed in genere di tutti i fondamentali valori morali, scoprendoli diret­tamente e facendoli propri; mentre nel contempo deve poter soddisfare a certi fondamentali bisogni di base quali ad esempio quelli di sicurezza, di com­prensione, di identificazione, di autonomia.

Dunque il non sfruttare adeguatamente (pedago­gicamente) tale tempo, consentendo di conseguenza che l'educando per così dire vegeti passando il tempo secondo ciò che involontariamente si determina, è colpevole oltre che pericoloso per il suo futuro (e per la società).

Ebbene, è proprio l'educatore quella figura pro­fessionale che, conoscendo la problematica posta dalla formazione umana, conoscendo quindi i limiti entro cui deve agire, ma anche le enormi possibilità che gli sono date, si inserisce in quel tempo disponibile e rende possibile all'educando, stimolandolo, aiutan­dolo, comprendendolo ma anche limitandolo, il pro­cedere normale verso una effettiva maturità.

E' quella figura professionale che attraverso una testimonianza diretta, attraverso l'esempio fornito momento per momento, attraverso tutta una serie di tecniche attive che vanno dal gioco al lavoro, dalla discussione di gruppo alle varie occupazioni del tempo libero, ma soprattutto attraverso la sua stessa disponibilità spirituale verso l'educando (testimo­niata da mille piccoli ma autentici interessamenti per lui), compie un vero e proprio lavoro di costru­zione o ricostruzione della personalità dell'educando prendendo su di sé il peso delle inevitabili, necessa­rie identificazioni come degli inevitabili, necessari conflitti.

Ma tutto ciò non conduce soltanto a compren­dere che l'educatore deve possedere delle nozioni e delle capacità pratiche notevolmente estese; appare infatti evidente che egli deve nel medesimo tempo possedere un equilibrio emotivo-affettivo non comune, una capacità di autocontrollo e di auto-analisi supe­riori a quella di qualsiasi altro operatore sociale: che in caso contrario non potrebbe controllare il rapporto stabilito con l'educando, vi si lascerebbe coinvolgere pericolosamente con il rischio di risultare alla fine controproducente.

A ciò si aggiunge finalmente che il suo personale orientamento di vita ha da essere il più aperto, e attivo possibile: il suo influsso sull'educando infatti va orientato verso una autentica espansione di lui, verso un sano gusto per la vita che non può certo essere stimolato da chi fosse con se stesso passivo, rinunciatario, oppresso dal sentimento del fallimento.

Può questa figura, essere considerato un non pro­fessionista, può esserlo uno qualsiasi senza prepara­zione? Certamente no! Ed ecco il compito che si prefigge la nostra scuola ed il perchè di una sua struttura più complessa ed impegnativa di quella di altre scuole professionali.

Ma non si creda che tutti i problemi da me così sommariamente delineati all'inizio di questa mia conversazione possano essere risolti dalla Scuola. Occorre infatti che il suo sforzo sia sostenuto e affian­cato da quanti hanno a cuore il problema dell'assi­stenza ai minori, a partire dagli specialisti delle altre scienze ai quali chiediamo non solo di accettare la competenza dell'educatore, ma di richiederne la pre­senza qualificante in tutti gli ambienti dove operano (anche in esternato); dalle autorità di ogni ordine e grado alle quali chiediamo non solo di proseguire lo sforzo anche economico che una tale iniziativa comporta, ma anche di adoperarsi, quando sarà giunto il momento, perchè le varie istituzioni interessate traggano tutte le conseguenze dal fatto di potersi avvalere di autentici specialisti; e finalmente dell'opi­nione pubblica in genere alla quale chiediamo una nuova valutazione sociale della figura dell'educatore, conseguente alla consapevolezza della sua reale im­portanza: in tal modo infatti sicuramente un maggior numero di giovani di ambo i sessi tenderanno a com­piere una simile scelta professionale, come avviene in altri paesi civili anche a noi vicini.

Si tratta di un triplice appello che sento il dovere di fare a nome di tutti i miei collaboratori; ma d'altro canto sono sicuro che esso troverà piena rispondenza nei fatti, e ciò è già fin da ora di conforto e di stimolo al lavoro che già abbiamo svolto e più ancora a quello che ci accingiamo a svolgere.

Piero Bertolini

 

 

(1) Dalla conferenza tenuta a Torino il 25 giugno 19G8.

 

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