Prospettive assistenziali, n. 7, luglio-settembre 1969

 

 

LIBRI

 

 

La letteratura sull'argomento è assai vasta, ma non sempre rigorosa.

Il discorso si è in questi ultimi anni allargato, è maturato nell'impegno civile; tanto che non sembra possibile tralasciare di citare i testi che stanno a monte della specificità del tema.

Per tutti, quello di ERVING GOFFMAN, Asy­lums (Einaudi, Torino, 1968): nella prefazione FRANCO e FRANCA BASAGLIA sottolineano la esclusione sociale del malato mentale ma l'indagine riguarda ogni istituzione totale. La totalità significa inglobamento: impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo esterno.

L'istituzione totale si alimenta della contrapposi­zione forzata fra normalità ed anormalità.

Nella normalità, l'uomo dorme, si diverte e man­gia, lavora in luoghi diversi, senza uno schema inglo­bante e totale di razionalità unitaria; nell'anormalità l'uomo vive tutti gli aspetti della vita in uno stesso luogo e sotto la stessa autorità, unito ad un gruppo di persone trattate allo stesso modo e con eguali obbli­ghi programmati dall'alto, secondo un piano razionale che risponde allo scopo dell'istituzione e non dell'in­dividuo.

Le caratteristiche dell'istituzione totale interes­sano il tema del disadattamento, perchè nella maggio­ranza dei casi esso, manifestandosi, passa attraverso l'istituzione; e sarebbe quindi astratto, in questa bibliografia, escluderne la trattazione.

Scendendo poi nel tema specifico, dobbiamo segna­lare il contributo della stampa periodica specializzata:

- la Revue Internationale de l'Enfant ha de­dicato il numero di maggio di quest'anno alla lotta contro il disadattamento. Il numero contiene un arti­colo di ERNEST MÜLLER, La réeducation des jeunes en istitution et son devenir, in cui i ragazzi disadattati vengono compresi in tre tipi: i giovani disadattati per cause d'ambiente, i giovani la cui evo­luzione psichica è stata compromessa da un rapporto poco valido con la realtà, e infine i giovani che pre­sentano lesioni organiche; a loro volta le istituzioni vengono classificate in due tipi: aperte e tradizionali, entrambe in ritardo rispetto alle necessità di tratta­mento e di preparazione.

Müller mette in risalto la cronica carenza di per­sonale valido, specie per le nuove tendenze in materia di educazione istituzionale, che devono risultare da una conoscenza più approfondita della personalità dell'adolescente disadattato e dallo studio della strut­tura della società nella quale vivono i giovani d'oggi.

- Il problema degli educatori era stato anche trattato ampiamente dal numero 9-10, 1968 di Sauvegarde de l'Enfance. Esso riportava gli atti dell'in­contro di Vaucresson del Comitato di intesa delle scuole e dei centri di formazione degli educatori spe­cializzati. La formazione dell'educatore deve tener conto delle linee di sviluppo delle istituzioni. che tendono a spostare il loro intervento dalla rieduca­zione tradizionale alla prevenzione. Attraverso la sua presenza, l'educatore deve far scoprire al giovane i propri originali valori in una situazione socializzata e non di isolamento. L'evoluzione dell'educatore pre­vedibilmente porterà questi ad una maggiore permanenza nel proprio ruolo professionale; giacché è pro­vato che un numero sempre maggiore di educatori non resiste ad un impegno in istituzione chiusa.

A Vaucresson, il Ministero della Giustizia fran­cese ha organizzato un Centro di Formazione e di Ricerca, che, oltre agli Annali, ha edito una serie di ricerche, la più interessante delle quali riguarda i Clubs de Prévention.

- La rivista Partisans - rivista più decisa­mente politica - ha dedicato ai problemi del disadattamento e della pedagogia istituzionale il numero di febbraio-marzo 1969. JEAN COURNOT (L'en­fance inadaptée et sées contradistions) mette effica­cemente in rilievo come i confini delle istituzioni sono determinati dai sintomi dei minori e dalle ideo­logie degli adulti. Con la netta distinzione fra educa­zione e rieducazione, questa, col suo solo esistere, impedisce che i suoi fallimenti pedagogici mettano in questione il sistema educativo intero. La. rieducazione è quindi la «sicurezza» dell'educazione. Per questo, indipendentemente dalle intenzioni dei singoli opera­tori, lo scopo della rieducazione - distinta dell'edu­cazione -, è l'esclusione e non il riadattamento. Ed ancora come conseguenza di ciò, nella misura in cui il rieducatore perde il suo conformismo, è capace di comprendere, quindi di rieducare; ma in quanto fa bene il suo lavoro, per ciò stesso, diventa un fermento sovversivo. La rieducazione, volendo assumere com­pletamente l'irregolare, finisce per mettere in causa la regola sociale e quindi per tradire il ruolo di con­servazione che le è dato.

- Segno reale di tempi nuovi per il problema del disadattamento, la rivista Signes du temps ha pubblicato un chiaro e bel saggio del giudice mino­rile BERNARD CONNEN (gennaio 1968). L'efficacia dell'articolo era dovuto anche alla semplice limpidità del suo contenuto: il ragazzo, nell'impossibilità di esprimersi in altro modo, utilizza l'azione asociale ed il crimine come espressione del proprio disagio. Ed il fatto che un giovane è ridotto ad un tale linguaggio per esprimere il proprio messaggio, deve far riflettere il mondo adulto sulla portata e sul risultato espres­sivo del suo rapporto con la generazione che segue.

- Altrettanto chiaro ed utile per una volga­rizzazione che non sia deformazione, è lo studio di JEAN ELLUL, apparso originariamente sul numero di gennaio-febbraio 1969 di Economie et Humani­sme e quindi sul numero di aprile 1969 de Il Regno - Documentazione, con il titolo I giovani disadattati segno e frutto della nostra società. Ellul distingue i disadattati caratterizzati dalla delinquenza-violenza ed i disadattati passivi, emarginati senza alcun gesto spettacolare. E da questa distinzione, cerca di chia­rire il rapporto fra i giovani e la società tecnicizzata, basata sulla «sollecitazione-frustrazione» e l'«eccesso­-mancanza di comunicazioni».

- Fra le riviste italiane, indubbiamente il maggior rilievo va dato a Esperienze di Rieducazione; e questo non tanto (o non solo) perchè il suo con­tenuto è valido, quanto perché deriva per la massima parte da chi direttamente opera nel settore dei disa­dattati. Lo spazio dato a problemi quale l'adozione o le assemblee studentesche, rivela lo sforzo di colle­gare la rieducazione ad una rinnovata scala di valori e quindi la convinzione che sia vano considerare iso­latamente il problema del disadattamento.

- Le riviste di pedagogia danno troppo esiguo spazio al problema del disadattamento.

Ed è l'indicazione di una trascuratezza propria della cultura nel suo senso più ampio. Il vuoto, e l'assenza di impegno da parte degli intellettuali, è stato denunciato da GIOVANNI BERLINGUER sul numero di luglio di Riforma della Scuola, in un arti­colo (ripreso da un convegno indetto dall'Istituto Gramsci).

- Medicina e Società, nel numero di novem­bre, presentava un saggio di GIOVANNI SENZANI, «Disadattati» e rieducazione. Con un inquadra­mento del problema in base alle cifre nazionali, l'au­tore riferiva di una sua ricerca effettuata in tutta Italia, ma che, nel saggio in questione, si riferiva unicamente alla Sardegna.

Contemporaneamente la televisione, i settimanali rotocalchi e i quotidiani si occupavano (non sempre con la dovuta precisione e competenza) del tema dei disadattati.

- Ma tra i tanti articoli e saggi sull'argomento, conviene riandare a quello di qualche anno fa, di PIERO BERTOLINI, Considerazioni sul problema dell'insuccesso rieducativo, in Pedagogia e Vita, feb­braio-marzo 1965.

Bertolini segnalava le cause dell'insuccesso riedu­cativo:

a) nel ritardo della segnalazione di irregolarità nel comportamento;

b) nella insufficiente disponibilità di posti in certi istituti specializzati, o nella frequente impossi­bilità di inviare soggetti caratterizzati da talune neces­sità psico-pedagogiche in istituti dove possono rice­vere il trattamento più adeguato (in particolare si segnalava la carenza di istituti per normodotati infe­riori ai 14 anni e carenzati affettivi e per nevrotici bisognosi di trattamento esplicitamente psicologico);

c) nello scarso interesse da parte degli educa­tori per il reinserimento sociale;

d) nella insufficienza quantitativa e qualitativa degli uffici distrettuali di servizio sociale.

Il discorso andrebbe aggiornato e dovrebbe ine­vitabilmente tener conto della carica socio-politica che il termine «disadattamento» ha assunto.

 

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Nel percorso bibliografico a ritroso, verso le fonti dell'informazione e dell'interpretazione del disadat­tamento, dovrebbero qui essere indicati i testi base per la comprensione del fenomeno.

Ma riteniamo di dover appena indicare volumi fino a qualche tempo fa ritenuti fondamentali, ed ora scaduti a manuali senza pretesa di interpretazione. Valga per tutti il grosso FRANCHINI - INTRONA, Delinquenza minorile, Padova, CEDAM, 1961.

Così i libri-base validi risultano ridotti di molto.

Appena valido può essere considerato La peda­gogia speciale e i suoi problemi il cui capitolo XIV è compilato da NAZARIO GIORDANI, ed ha per titolo Il problema dei disadattati sociali (La Scuola, Brescia, 1967).

AUGUST AICHHORM, Gioventù traviata (Bom­piani, Milano, 1950) rimane un classico di cui si auspica la ristampa.

Il problema è accostato secondo una precisa pro­spettiva psicoanalitica, che di conseguenza mostra la necessità di educatori in possesso di una corrispon­dente preparazione.

Il taglio psicanalitico è proprio anche dell'opera di ALFRED ADLER, Il bambino difficile (Casini, Roma, 1968); ma è un libro particolare, purtroppo edito senza essere inserito in un coerente programma editoriale, ma buttato sul mercato in «tascabile» e quindi fatto passare per un assoluto, mentre assoluto proprio non è.

Alcuni psicopedagogisti, quali ADRIANO OSSI­CINI (I ragazzi che fuggono, Universitaria, Firenze, 1963), hanno interpretato il disadattamento senza essere direttamente operatori.

PIERO BERTOLINI, invece, è stato ricercatore e operatore, ed il suo Pedagogia del ragazzo difficile (Malipiero, Bologna, 1964) è un concreto approfon­dimento della dimensione pedagogica, come atto di penetrazione nella coscienza direzionale per cogliere la visione del futuro e del soggetto.

Per questo, la pedagogia del ragazzo difficile è pedagogia di scoperta dei valori insiti nel ragazzo e forse messi in luce proprio dalla sua reazione di fronte alla difficoltà.

Anche MARC ORAISON (Blouson Noir, Proposte Volnoci, Genova, 1969) si pone sul terreno della comprensione dei valori scoperti attraverso il processo della difficoltà. Il suo operare è al di fuori delle istituzioni: questa sembra l'indicazione più pre­ziosa emersa dalle esperienze di questi ultimi anni. L'istituto chiuso è sempre più contestabile e conte­stato, nella scoperta di un educatore che accanto alla validità del rapporto interpersonale, assuma su di sé il compito, scomodo, di stimolo ad una dimensione sempre più totalmente sociale della comprensione del disadattamento.

Andrea Canevaro

 

 

FRANCO BASAGLIA, «L'istituzione negata», Ei­naudi, 1968.

 

L'«Istituzione negata» è, come dice il sottotitolo del libro, il rapporto di un ospedale psichiatrico (quello di Gorizia), cioè la documentazione di un espe­rimento di liberalizzazione che ha avuto inizio nel 1961 e che tuttora prosegue. Tutto il libro è redatto in parte sotto forma di­scorsiva, in parte è documentato da interviste con malati, infermieri, medici.

L'opera inizia con una parte introduttiva, a nostro parere assai interessante, m quanto si possono rav­visare i tre punti fondamentali attraverso cui si è articolato l'esperimento.

Il primo punto è la documentazione, veramente drammatica, dello stato di degradazione, delle condi­zioni vergognose in cui vivevano nell'ospedale i malati di mente. Tanto per citare qualche esempio, si parla di gabbie, di camicie di forza, di torture inflitte a queste persone che la nostra società relega per anni, se non per tutta la vita in questi luoghi. Tale tratta­mento appare ancora più vergognoso se si pensa che è riservato al ceto povero di questi malati che col ricovero in ospedale psichiatrico rimangono bollati per tutta la vita.

Il secondo punto invece vuol chiarire come si sia pervenuti alla volontà di liberalizzare questi malati: ciò non tanto per migliorarne le condizioni di vita, il che semmai è una conseguenza, ma soprattutto perchè si è pervenuti ad un concetto diverso del malato mentale. Egli non è come un pacco con una etichetta (lo schizofrenico, il depresso, l'alcooliz­zato, ecc.), ma è un essere umano la cui realtà inte­riore occorre scoprire, rivalutare e rendere cosciente di sé.

Il terzo punto invece documenta i mezzi di libe­ralizzazione: prima fra tutti la libertà fisica del malato, la vita in comunità, la non costrizione, la negazione dell'autorità, la possibilità di scelta fra lavori diversi, attività, di gruppo o anche inattività. Dopo questa parte introduttiva, il libro si snoda attraverso una serie di capitoli in cui, legandoli, si può rivivere tutta l'evoluzione dell'esperimento attra­verso le parole degli interpreti stessi dell'esperimento. Particolarmente interessante è a nostro giudizio l'intervista fatta con gli infermieri che hanno dovuto passare quasi bruscamente da un compito di carce­rieri ad un compito di ben altra portata morale e psicologica: prima, di donazione della libertà fisica al malato, quindi di avvicinamento dell'ammalato stesso, di vita in comune con esso: unica forma per non lederne la personalità ma anzi, per incoraggiarne l'apertura verso la comunità.

I capitoli che seguono sono dedicati ad una auto­critica che ricerca i limiti del sistema: basti citare il fatto che la libertà a lungo andare può portare ad una sterile contestazione, o la negazione assoluta dell'autorità può rendere inattuabile la terapia medica di cui ora se ne può discutere la validità sia da un punto di vista morale (il somministrare un calmante ad un ammalato può essere lesivo alla sua persona­lità) sia da punto di vista terapeutico.

Gli ultimi capitoli sono dedicati alla critica della moderna psichiatria e sociologia.

La psichiatria, si dice, è basata su basi fenome­niche, empiriche così come si vuole per le altre scienze; essa considera i sintomi psichici alla stregua dei sintomi di mali che provengono da singole parti del corpo e che pertanto hanno un preciso valore diagnostico e quindi una ben mirata portata tera­peutica.

Si fa notare che i malati psichici hanno sintomi non classificabili né chiaramente riferentisi a un or­gano in quanto investono tutta la personalità del paziente e per questo vaghi e poco «curabili» coi comuni farmaci in possesso della scienza medica. Per concludere si può dire che la «istituzione negata» è un'opera assai interessante, non solo per­ché affronta un problema che è tuttora scottante per la nostra società, ma lo affronta praticamente come analisi di un esperimento che si può senz'altro defi­nire positivo.

Si vorrebbe tuttavia forse una maggiore docu­mentazione delle reazioni degli ammalati durante le fasi iniziali del processo di liberalizzazione per poter capire meglio la riuscita dell'esperimento.

Ci pare inoltre sterile quella accanita autocritica che, pur partendo da un sincero desiderio di perfe­zionismi, rischia di essere fine a se stesso e inaridire i principi da cui è partito e su cui si basa questo esperimento.

Un libro dunque da leggere, non soltanto dalle persone particolarmente interessate all'argomento, ma da tutti perchè sappiano, conoscano, e imparino a non rifiutare una parte della propria umanità.

 

 

NICOLA D'AMATO: I ragazzi del Parco Robinson - presentazione di Gianni Rodari - ed. Comitato Italiano per il gioco infantile - Ivrea, 1969.

 

Si tratta di un libretto, che, in uno stile spigliato e divertente, racconta la «grande avventura» vissuta da un gruppo di ragazzi durante un'estate in un parco Robinson; dall'apertura del parco (un campo spoglio alla periferia della città) alla grande festa di chiusura, che vede il parco perfettamente attrezzato per i giochi dei ragazzi con altalene, tiro ai barattoli, vasche per la sabbia, fortino, teatro dei burattini, ecc., il tutto interamente costruito dai piccoli robinsoniani. L'autore ci fa partecipi, con semplicità e umorismo, a tutte le vicissitudini della vita del parco: l'assor­bimento di una banda di ragazzi che aveva dichiarato guerra al parco perchè usurpava l'abituale luogo dei loro giochi, il lavoro d'équipe, le riunioni per discu­tere le nuove costruzioni, i piccoli litigi dei ragazzi, le difficoltà incontrate nelle costruzioni, l'elezione del sindaco, i dubbi e le paure del maestro che guida il parco, il quale, alle prese con tanti caratteri diversi, è pur deciso a rispettare la personalità di ciascuno. Così la storia di un gioco diventa, come sottolinea Gianni Rodari nella presentazione, «la storia di come attraverso a un gioco si può costruire una comunità infantile ricca di stimoli morali, di occasioni educa­tive, di attività che impegnano tutta la personalità e l'aiutano a crescere meglio». E infatti, via via che il parco si trasforma, si trasformano anche i suoi pic­coli animatori: i ragazzi acquistano fiducia in se stessi, imparano a riconoscere le proprie possibilità e a porle al servizio della comunità, superano a poco a poco le antipatie e le gelosie, partecipano alle di­scussioni, capiscono la necessità di rispettare gli altri e la diversità delle loro opinioni, in una parola impa­rano a vivere e giocare insieme, con uno spirito veramente democratico, e a diventare i «maestri di se stessi».

Il libro, che è destinato in particolare ai ragazzi, dovrebbe a nostro parere essere letto anche dagli adulti, che vi potranno trovare un esempio di come possa venir realizzata e di come possa dimostrarsi utile per l'educazione dei ragazzi l'idea basilare che ha ispirato la creazione dei parchi Robinson, sorti qualche anno fa per iniziativa del Comitato italiano per il gioco infantile: quella cioè di creare nelle nostre città, che tanto poco spazio offrono ai ragazzi, un'«isola» tutta per loro, un'isola di libertà, di spon­taneità, di fantasia, nella quale, con la guida fraterna e non paternalistica dell'adulto imparino, attraverso la gioiosa comune avventura del gioco-lavoro, del gioco-creazione, a realizzare se stessi e a vivere con gli altri.

 

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