Prospettive assistenziali, n. 5-6, gennaio-giugno 1969

www.fondazionepromozionesociale.it

 

 

ALLEGATO 4

 

LE NOSTRE CONCEZIONI ED I NOSTRI ATTEGGIAMENTI DI FRONTE ALL'INSUFFICIENZA MENTALE: NON CONTRIBUISCONO IN QUALCHE MODO A STRUTTURARE L'INSUFFICIENTE MENTALE? (1)

 

di R. LAFON, professore alla facoltà di medicina di Montpellier.

 

 

In questo studio (2) sui fattori neuro-psichiatrici dello sviluppo dell'insufficiente mentale, vorrei invitarvi ad una certa riflessione sui nostri modi di agire che influiscono se non come elementi de­terminanti, quanto meno come elementi di consolidamento di certe forme o di aggravamento dell'insufficienza. Dobbiamo cominciare a rivedere le nostre concezioni, le nostre classificazioni, le nostre organizzazioni ed i nostri atteggiamenti di fronte a questo pro­blema.

Personalmente lavoro da venticinque anni nel mio paese, per dare una certa impostazione alla lotta da condurre contro questa vera calamità medico-socio-economica, ma mi chiedo se non fac­ciamo correre agli insufficienti mentali il rischio di «aggravare» la loro situazione, così come i nostri predecessori hanno fatto per il malato mentale adulto, creando degli istituti per alienati e aggravando la loro malattia mentale sulla base di norme vecchie e troppo rigide che risalgono agli inizi del XIX secolo, e sono tut­tora in vigore.

Medici, psicologi, educatori, pedagogisti, assistenti sociali, se non hanno adottato la regola di lavorare insieme in una équipe pluriprofessionale, rischiano per questo fatto di dare un'imposta­zione settoriale ai loro diversi interventi e di costruire una imma­gine tipo, un modello formale, dipendente dalla loro concezione particolare e non dalla realtà che dovrebbero affrontare e, invece di accostarsi all'oggetto in un certo modo, essi danno all'oggetto, credendo di comprenderlo meglio, una certa forma e lo modellano in base alle loro idee preconcette e non lo scoprono così come è.

Certo la serie di immagini tipo (sarebbe forse meglio dire di immagini «digest») è necessaria per la classificazione nosologica e per la comprensione. La generalizzazione è necessaria per poter comparare, confrontare, prevedere; è necessaria al progresso della scienza, ma deve rappresentare solo un momento ed un mezzo nelle scienze umane. Infatti il dinamismo della persona umana è così complesso e così unitario nella sua realtà bio-psico-sociale che non può essere ridotto ad una somma di cause, di meccanismi, di funzioni o di livelli elementari, per cui occorre continuamente fare riferimento al principio della globalità.

Le concezioni sull'idiozia, sull'imbecillità e sulla deficienza mentale lieve che ci hanno fornito i medici del XIX secolo e gli psicologi dell'inizio del XX secolo sono veramente cambiate? Sì, per quanto concerne l'analisi e la scoperta di aspetti molto particolari: no, nella maggioranza dei casi, se si considera la glo­balità dell'insufficienza mentale.

Abbiamo ancora conservato gli stereotipi di medici diagnostici tradizionalisti e, per questo motivo, atteggiamenti tradizionalisti da cui è difficile sbarazzarci.

Siamo ancora portati a lasciare al settore medico, tuttora pre­dominante in questo campo, i soggetti che, secondo il modello dell'idiota o dell'imbecille, hanno caratteristiche patologiche accen­tuate ed a pensare che gli altri, cioè gli insufficienti mentali lievi, non hanno nulla da guadagnare dall'intervento dello psichiatra, dello psicoterapeuta o dello stesso assistente sociale, e hanno solo bisogno di metodi e di interventi esclusivamente pedagogici. Questa prassi ha provocato una separazione degli interventi e non l'adozione unitaria dei mezzi disponibili, per cui si privano gli insufficienti mentali lievi dell'azione medico-socio-educativa e non si fanno sempre beneficiare gli insufficienti mentali medi e gravi delle scoperte e dei metodi della pedagogia speciale.

Tutto ciò ci fa correre il rischio, per i casi intermedi, di inserire a caso i soggetti nell'una o nell'altra categoria; essi rischiano per­tanto di essere trattati e formati secondo i criteri applicati all'una o all'altra categoria e con obiettivi diversi dalle esigenze dei sog­getti stessi.

L'alfabetizzazione e la generalizzazione dell'obbligo scolastico hanno fatto scoprire la categoria degli insufficienti mentali lievi; il perfezionamento e il prolungamento dell'insegnamento obbliga­torio dai 14 ai 16 anni richiede maggiori capacità scolastiche, per cui l'insegnamento normale, che era seguito un tempo da allievi con quoziente intellettuale fino a 70, oggi non può più essere se­guito che a partire da un quoziente intellettuale di 80. Viene per­tanto ad essere ampliata l'area degli insufficienti mentali lievi e i soggetti con quoziente intellettuale da 70 a 80 passano nella categoria degli insufficienti mentali; ciò avviene in relazione ai nuovi criteri della scolarizzazione e non in base a criteri inerenti al livello d'intelligenza.

Diventano dunque degli insufficienti mentali. Non vi sono motivi per non ritenere che nei prossimi decenni, in conseguenza del pro­gresso delle scienze e delle esigenze dei programmi di insegna­mento, il limite dell'insufficienza mentale non si elevi progres­sivamente.

Partendo da questo criterio di livello mobile, determinato in funzione di ciò che si ritiene necessario per la scuola affinché i giovani possano essere preparati alla competitività della società degli adulti, possiamo dire che i soggetti inclusi nell'area della insufficienza mentale siano davvero degli insufficienti mentali? La risposta può essere affermativa in senso assoluto, tanto più che al modello competitivo pressoché unico della scolarizzazione si accompagna la molteplicità delle forme di competizione della socializzazione e dell'accesso al mondo del lavoro dell'adulto.

Noi classifichiamo, e questo a tutti i livelli, in funzione della nozione di educabilità, in una prospettiva rivolta al futuro e non in base alla potenzialità intellettuale esistente e parliamo pertanto di educabili, di semi-educabili e di non educabili. Questa nuova formulazione ha il vantaggio di sostituire a modelli rigidi nozioni più dinamiche, ma ancora (ahimè quanto!) elementari e pericolose. Le definizioni dell'insufficienza mentale saranno soddisfacenti solo se si sostituirà al modello della scala, per segnare i diversi gradi, quello della pendenza, della curva ascendente, se si prenderà coscienza della fragilità dei nostri attuali criteri di classificazione e del fatto che ciascun caso non deve essere definito o catalogato unicamente in base a schemi precostituiti, ma sulla base di una analisi e di una descrizione dei livelli di sviluppo e delle potenzia­lità, delle attitudini e degli handicaps e delle condizioni socio­familiari della vita di ogni insufficiente mentale.

L'insufficienza mentale non potrà essere definita basandosi uni­camente su una teoria dell'intelligenza, dei suoi meccanismi, dei suoi livelli, ma in funzione della globalità bio-psico-sociale; tenendo conto non soltanto della nozione di «hétérochimie» sviluppata da Piaget e da Zazzo, ma anche dalle incidenze psico-sociali e affettive che causano o aggravano la disarmonia dell'organizza­zione della persona.

Gli insufficienti mentali di qualsiasi livello non possono essere valutati senza l'aiuto di ciò che oggi viene chiamata la neuro-psi­chiatria dello sviluppo, alla quale dovrebbero collaborare, in posizione di parità, gli altri specialisti dell'équipe psico-pedagogica medico-sociale, come viene denominata in Francia.

Giungeremo in questo modo a definire nuovi tipi, più descrittivi e dinamici, ma questa volta fondati su fattori e cause, su livelli di sviluppo e di potenzialità, su capacità strumentali, su interrela­zioni e sul dinamismo esistente in ciascun individuo.

Questo modo di procedere ci permetterà di offrire una valuta­zione veramente «su misura» e non una classificazione «di serie».

Allo stato attuale delle nostre conoscenze siamo indubbiamente obbligati a dare una forma a questa classificazione «di serie». A questo punto intervengono sia i nostri sistemi di organizzazioni mediche, sociali e pedagogiche, sia le nostre concezioni econo­miche, filosofiche o anche politiche: segregazione o apertura al mondo, grandi o piccoli istituti, rifiuto o accettazione, tranquillità nella passività e nella rinuncia, o incertezza nell'azione e nella promozione, allontanamento dalle famiglie o partecipazione di esse.

Gli insufficienti mentali che sono nella stessa condizione non avranno la stessa vita e uguale soddisfacimento dei loro bisogni. Avranno allora un miglior futuro?

Anche se, per coloro che vengono considerati normali, le pos­sibilità non sono uguali, noi dovremo avere cura di evitare di met­terci la coscienza a posto con la creazione di sistemi protettivi ed educativi legati ad un'organizzazione e ad una legislazione trop­po rigide.

Al confronto ed alla complementarietà delle nostre concezioni e delle nostre scienze dobbiamo aggiungere il principio di una costante revisione dei nostri sistemi.

Per questo motivo noi pensiamo che, per evitare di strutturare gli insufficienti mentali secondo misure e modelli superati, gli economisti e gli amministratori, e aggiungo gli stessi genitori, devono conoscere la ricerca scientifica, aiutarla ed ispirarsi co­stantemente ad essa.

Accanto a questi principi generali d'ordine professionale e scien­tifico e a questi sistemi di organizzazione economica, politica o amministrativa che strutturano l'insufficiente mentale, vi sono al­tre forme che lo strutturano: atteggiamenti personali degli specia­listi e dei genitori che hanno rapporti con l'insufficiente mentale.

Tutti conosciamo l'apporto che, oltre la psicometria, la psico­logia del comportamento e la statistica, possono darci la psicoge­nesi, la psicologia del profondo e la psicanalisi; pertanto è superfluo sottolineare l'importanza delle relazioni dell'insufficiente mentale con la madre, l'educatore, l'insegnante, lo specialista.

Possiamo servire da specchio all'altro, solo nella misura in cui siamo capaci di ricevere e rinviargli un'immagine secondo i cri­teri o secondo i filtri di normalità, o di riferimento alla normalità, che ci hanno fornito le nostre acquisizioni, le nostre proprie ten­denze e la nostra originalità dinamica.

Quando percepiamo l'immagine deformata o quando essa non ci interessa o nei casi in cui non apportiamo nulla all'altro, che tuttavia ci chiama, o quando essa, pur interessandoci, ci ferisce o quando ci lascia indifferenti, noi rischiamo, a causa dei nostri criteri personali, di rinviare un'immagine falsa che distrugge la personalità dell'altro o la struttura male.

Il soggetto originario diventa allora «soggetto alienato», «sog­getto da compatire», «soggetto da curare», «soggetto da rifiu­tare», «soggetto che ferisce», «soggetto che scandalizza», etc.; donde tutta una serie di reazioni a catena che possono provocare gravi tensioni e disarmonie nello sviluppo del soggetto.

Ho cercato di analizzare queste molteplici deviazioni di rela­zioni in una comunicazione che avevo presentato a Bordeaux nel 1958 su «La psico-sociologia differenziale dei disadattamenti mi­norili» e in una conferenza tenuta a Bruxelles nel 1966 su «Al­cune concezioni relative all'insufficienza mentale». Ci sarebbe molto da dire. Ma ricordo un semplice punto che dimostra che noi facciamo del soggetto un «assoggettato» e che è necessario non soltanto riconoscere un deficit, ma anche, in una disposizione di analisi del profondo, sbarazzarlo di tutto ciò che lo avviluppa e cercare di delimitare tutto ciò che, nella situazione dell'insuffi­ciente mentale, gli viene imposto dalla madre, dai genitori, dal medico, dalla società, dall'esperienza dell'istituto medico-pedago­gico, o dalla classe speciale, per ritornare, come ha detto Rémy Lafon, «dall'assoggettato al soggetto».

Con i nostri attuali principi, i nostri sistemi ed i nostri atteg­giamenti, rischiano di entrare a far parte del problema, fattori che, se non provocano l'insufficienza mentale, per lo meno la aggravano.

Per la molteplicità delle sue componenti, delle manifestazioni associate e delle sue forme; l'insufficienza mentale, nella sua no­sologia, ci appare come una continuità, come una curva i cui estremi e i cui punti di inflessione sono difficili da precisare.

Gli schemi sindromici sono preziosi, ma comportano molteplici forme di transizione e ci fanno correre il rischio di adottare te­rapie stereotipate e inadatte.

Non dovrebbero esistere criteri assoluti. Evitiamo in partico­lare di fare ricorso, quando l'insufficiente mentale è un bambino, a criteri sociali di adattamento alla vita degli adulti e, quando si tratta di un adulto, come troppo spesso siamo soliti fare, a cri­teri psicologici dei bambini o dei minori.

I contatti e l'azione pluridisciplinare, in équipe a tutti i livelli e di fronte a tutte le forme dell'insufficienza mentale, ci permet­teranno di evitare le segregazioni, l'aggravamento dell'insufficienza mentale e le disarmonie evolutive. Pertanto i settori compe­tenti non dovrebbero spartirsi le varie categorie di insufficienti mentali, ma al contrario, dovrebbero unire i loro mezzi, occupan­dosi sia dei più lievi sia dei più gravi, semplicemente nelle pro­porzioni diverse che è facile schematizzare.

Concludendo, solo con l'integrazione delle nostre conoscenze e delle nostre azioni, eviteremo agli insufficienti mentali lievi e gra­vi gli sbagli e le trappole delle nostre posizioni, dei nostri atteggiamenti, dei nostri sistemi, delle nostre concezioni, dei nostri dogmi e delle nostre scienze.

 

 

 

 

AP = Débiles profonds = Insufficienti mentali gravissimi

DP = Arrièrés profonds = Insufficienti mentali gravi

DM = Arrièrés moyens = Insufficienti mentali medi

DL = Arrièrés legers = Insufficienti mentali lievi

N = Normaux = Normodotati

 

 

(1) Primo simposio internazionale sull'insufficienza mentale, Roma 19-24 marzo 1968. L'articolo del Prof. Lafon è apparso su «Sauvegarde de l'Enfance» n. 2/3 del 1968. Ringraziamo l'Autore e la Direzione della rivista per averci gentil­mente concesso l'autorizzazione a pubblicare la traduzione.

(2) Nel corso della lettura dell'articolo è opportuno far riferimento ai grafici riportati a fine articolo.

 

www.fondazionepromozionesociale.it