Prospettive assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968

 

 

LIBRI

 

 

IGNAZIO BAVIERA, L'adozione speciale, Giuffrè, Milano, 1968, pp. 293, L. 2.600.

 

Legato ancora fortemente al mito del diritto del sangue, l’A. richiama più volte il «non natu­rale» legame derivante dall'a­dozione. A p. 1 afferma che l'adozione è «una forma fitti­zia di filiazione»; a p. 2 riba­disce che «l'adozione consiste nella creazione di un vincolo di filiazione artificiale», e co­sì via.

L'A. non considera che il le­game fra genitori (legittimi, naturali, adottivi) ed i figli con­siste nell'instaurarsi e nell'evo­luzione dei reciproci rapporti e che detti rapporti sono forma­tivi sia per il figlio (procreato o non procreato) sia per i ge­nitori.

Occorrerebbe a nostro avvi­so una maggiore chiarezza: se detti rapporti e legami esistono anche al di fuori della procrea­zione, allora vi può essere la fi­liazione adottiva; in caso con­trario l'adozione speciale non ha fondamento alcuno e quindi nessuna ragione di esistere.

Dall'impostazione legata al pregiudizio di sangue deriva una trattazione formalistica e spesso astratta dei vari pro­blemi.

Non stupisce pertanto che l'A., Presidente del tribunale per i minorenni di Palermo, pos­sa scrivere oltre tutto e quale unico esempio concreto riferi­to nel libro: «Una fattispecie particolare ( ... ) si è presen­tata con la domanda di adozio­ne speciale, secondo le norme transitorie, avanzata da una coppia di coniugi, e nei con­fronti del figlio illegittimo della loro figlia. Il bambino era ri­masto a convivere con la ma­dre nubile e i suoi genitori, ma, per salvare la reputazione del­la ragazza, si era detto a tutti che si trattava di un trovatello, preso in casa, a scopo di ado­zione, da parte dei coniugi, ge­nitori della ragazza. Anche il bambino era cresciuto in que­sta convinzione, di essere il fi­glio dei propri nonni, ed il fra­tello della propria madre (che pur lo aveva riconosciuto al momento della nascita per evi­tare che glielo togliessero). L'adozione speciale - ammis­sibile sotto tutti gli aspetti se­condo le norme transitorie - ha avuto la funzione di dare una veste giuridica ad una con­forme situazione di fatto». (pp. 103 e 104).

Nel caso in esame come pos­sono essere applicate le nor­me transitorie quando non ha effetto la rottura dei rapporti fra l'adottato e il suo nucleo familiare d'origine, come e­spressamente prevede l'artico­lo 314/26?

Come possono essere rite­nuti «idonei ad educare» (art. 314/2) coniugi che non solo non intendono assolutamente informare il bambino delle sue origini (e ciò nonostante la ri­sultanza dell'atto di nascita); ma hanno anche vergogna di esse per cui ricorrono a me­schini artifici per salvare la cosiddetta reputazione della ra­gazza?

Come infine e soprattutto può essere applicata la legge sull'adozione speciale quando il minore non è mai stato «pri­vo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provveder­vi» (art. 314/4) convivendo con la madre ed i genitori di essa?

Solo risalendo al mito del diritto del sangue possiamo spiegarci come all'imbroglio ri­ferito si sia potuto dare una veste giuridica.

Non stupisce neppure che l'A. ammetta la coesistenza dell'adozione speciale, dell'a­dozione tradizionale e dell'af­filiazione nei confronti dei mi­nori degli anni otto privi di as­sistenza materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi. Viene so­lo da chiedersi come i magi­strati che pronunziano l'adozio­ne ordinaria o l'affiliazione pos­sano sottrarsi dall'obbligo del­la segnalazione di cui al 2° com­ma dell'art. 314/5 e non pos­siamo certo pensare che i ma­gistrati ritengano che la loro funzione non sia comprensiva di quella di pubblico ufficiale.

In contrasto con le cono­scenze pedagogiche e psicolo­giche ormai da tutti acquisite ci sembrano le considerazioni svolte a proposito degli inter­venti nei confronti dei genitori che hanno lasciato il minore privo di assistenza.

L'A. ritiene infatti proficua un'azione di colpevolizzazione verso questi genitori «diretta a far cessare una situazione ir­regolare di trascuratezza e a reintegrare un sistema norma­le di allevamento» (p. 156).

Non crediamo invece nell'op­portunità e nemmeno nella va­lidità giuridica di questa inter­pretazione. Sul piano dell'op­portunità non ci sembra che un'azione di colpevolizzazione possa modificare la personali­tà di genitori che hanno igno­rato i loro doveri più elemen­tari; sul piano giuridico non ci sembra ammissibile che i ge­nitori possano tranquillamente omettere i loro doveri fino al momento in cui interviene il tribunale per i minorenni.

Se così fosse, verrebbe rico­nosciuto dal diritto che i geni­tori sono tenuti ad assolvere i loro doveri solo dietro solleci­tazione dell'autorità giudiziaria; nessun significato avrebbero inoltre le norme dell'art. 330 del codice civile.

Scarsa ci appare la trattazio­ne degli aspetti tecnici dell'a­dozione: studio del bambino, idoneità dei coniugi, abbina­mento, azione di guidance nel periodo di affidamento preadot­tivo e soprattutto ci sembra che non sia stato pienamente considerato il ruolo essenziale ed insostituibile dei servizi so­ciali.

Non possiamo inoltre senza rammarico non sottolineare che altri aspetti fondamentali, qua­li l'adozione dei bambini gran­dicelli o handicappati, non so­no trattati come sarebbe stato auspicabile dato il loro numero rilevante ed i gravi problemi che sollevano.

Nessun tentativo, ad esem­pio, è attuato per la ricerca di una prassi applicativa della leg­ge 431/67 -che favorisca in con­creto il reperimento dei bambi­ni soli e la definitiva sistema­zione familiare dei minori di età superiore agli anni otto.

In sostanza riteniamo che ben altra applicazione della tec­nica giuridica attendano le mi­gliaia di bambini soli!

 

 

GABRIEL JACOUE, Moi, Jac­ques sans nom - Chez l'Au­teur, 184 Rue Pelleport, Pa­ris - 20, 1958.

MARIA ANTONIETTA ERBA, La figlia di don Paolo Muraglia - Ed. Mondo letterario, Milano, 1968.

 

Riteniamo di poter segnalare insieme i due libri in quanto entrambi presentano la stessa situazione autobiografica e so­no scritti, anche con personale sacrificio finanziario, con lo scopo preciso di spiegare ai lettori, attraverso le proprie amare esperienze, qual è real­mente la vita dei bambini soli, costretti a vagare da un istitu­to all'altro.

I protagonisti, rispettivamen­te un uomo e una donna, han­no un'origine famigliare simi­le; l'uno figlio di una signora coniugata che è riuscita a na­scondere al marito gravidanza e parto fingendo di avere un fibroma, l'altra nata da un ex sacerdote e da una signorina di buona famiglia (lo scandalo fu tale che si ebbe persino un processo penate) poi sposata­si «adeguatamente». Si tratta quindi di bambini completa­mente privi di assistenza poi­ché, in entrambi i casi, le ma­dri provvedono ad essi solo economicamente, sia pure con molta parsimonia... Ma queste due donne, diventate madri lo­ro malgrado e che non hanno saputo accettare una materni­tà «irregolare» rappresentano un'ombra, quasi un peso nella vita dei figli; nessuna sistema­zione definitiva era allora pos­sibile (adozione) per questi bambini coi quali la famiglia d'origine manteneva un certo legame, quanto mai tenue e misterioso ma che nessuno pensava si dovesse spezzare. Quanto alle madri, la famosa «voce del sangue» non parla in esse neppure se sollecitata dai figli divenuti adulti e dispe­ratamente bisognosi di crearsi un legame affettivo stabile. Tra­giche, nella loro semplice espo­sizione, sono le pagine nelle quali Jacques racconta i suoi primi incontri con la madre, fa­ticosamente e cocciutamente ritrovata: «... sono di fronte a mia madre come di fronte ad una estranea di un rango più elevato, e mi sento non solo umiliato, ma deluso». Si dimo­stra insomma che la sola filia­zione biologica non è sufficien­te a creare il rapporto di vera maternità se viene a mancare quel complesso di cure, atten­zioni, sentimenti ecc. che nor­malmente legano madre e fi­glio; e non si tratta, qui, di una asserzione fatta scientificamen­te, ma di esperienze meditate e sofferte che proprio per que­sto hanno un più profondo va­lore umano.

Anche le conseguenze delle carenze affettive sul carattere infantile sono evidenziate nei due libri: «Ero diventato taci­turno a seguito del lungo mar­tirio che subivo da anni e sem­pre più volevo restare solo. Il mio viso di bambino era segna­to da espressioni cupe e ma­linconiche, non certo normali per la mia età» (Jacques); «Avevo undici anni, ancora in terza elementare, perchè co­stantemente bocciata... Il dele­terio, corrosivo senso di colpa faceva strada nel mio animo e maggiormente ne avrebbe fat­ta in avvenire frustrando, an­nientando la mia personalità... Fu allora che mi chiesi perchè non mi ammalassi priva di ogni cura che i genitori pagavano alle compagne... Ora avrei pre­gato con maggior fervore la Madonna: poteva Ella rifiutarsi di accordami almeno una pol­monite?...» (Maria).

Infine ci pare ancora interes­sante notare come, attraverso il racconto di Jacques e di Ma­ria, emergano, quasi inconsape­volmente, gli atteggiamenti ca­ratteristici della società nei riguardi dei bambini soli: indif­ferenza, fastidio, condanna, ma soprattutto pietà, una pietà tut­tavia sterile e umiliante che non giova certo agli interessa­ti: «Era qualche cosa di terri­bile questa compassione che sentivo pesare su di me. Avrei pianto dalla vergogna...». Pro­prio per questo i due libri so­no non solo interessanti per chi si occupa di questi proble­mi, ma soprattutto utili a chi non ha mai avuto occasione di pensarci.

 

 

SOULE', NOEL e BOUCHARD, Le Placement familial, Pres­ses Universitaires de Fran­ce, Parigi, 1964, pp. 112, fran­chi 8.

 

In Francia esiste una solida e secolare tradizione di affida­mento familiare (affidamento di bambini ad una famiglia ac­compagnato per lo più da un contributo finanziario). Tutta­via, nel corso dei secoli, tale pratica ha subito una notevole evoluzione: nata come mezzo terapeutico per risolvere urgen­ti problemi di sopravvivenza e di salute fisica del bambino senza famiglia, si è via via tra­sformata, col progredire della medicina infantile, in una «rou­tine» assistenziale, per torna­re infine ad essere considera­ta, oggi, come un valido mezzo terapeutico, non più però sul piano fisico ma su quello psi­cologico, destinato ad evitare o almeno attenuare i gravi trau­mi che derivano dalla carenza di cure familiari. E' sotto que­st'ultimo aspetto che gli auto­ri, medici e psichiatri infantili, esaminano il problema, rifacen­dosi alla loro diretta esperien­za, ultradecennale, maturata nell'ambito del Centro di Orien­tamento dell'Assistenza Socia­le all'Infanzia di Parigi.

Dopo una breve introduzione di carattere storico, essi pas­sano in rassegna i diversi tipi di affidamento familiare, distin­guendoli secondo la durata e i motivi che li determinano. Esaminano quindi gli elementi che intervengono nel giudicare il valore educativo delle fami­glie: dall'ambiente sociale al livello economico, dalla pre­senza di altri figli, di sangue o no, alla validità delle figure materne e paterne, insistendo sulla necessità di valutare que­sti elementi sempre concreta­mente in rapporto al singolo bambino da affidare. Gli AA. si soffermano quindi sui problemi che possono emergere durante l'affidamento: dinamica delle relazioni, problemi scolastici, relazioni con la famiglia natu­rale, ruolo del servizio sociale.

Essi ritengono di poter af­fermare in conclusione che l'af­fidamento familiare, se attuato con criteri di scelta rigorosi e seriamente ma dinamicamente applicati, può rivelarsi positivo anche per i casi più difficili, come gli handicappati o i bam­bini più grandicelli.

Questo studio, anche se si riferisce evidentemente alla si­tuazione sociale e legislativa francese, ci sembra possa es­sere di grande interesse anche per il lettore italiano, in quanto da esso appare evidente che l'affidamento familiare, poco conosciuto e apprezzato in Italia, potrebbe invece costituire una valida alternativa al ricove­ro in istituto (con le ben note conseguenze negative che esso comporta) per tutti quei bam­bini che non possono, per un motivo o per l'altro, usufruire dell'adozione o dell'adozione speciale.

 

 

NICOLE QUEMADA, Cure ma­terne e adozione.

 

L'adozione è un aspetto par­ticolare di un problema molto più generale: la necessità vi­tale per il bambino dell'amore della donna - procreatrice o no - che lo ha affettuosamen­te allevato, che è divenuta sua madre.

Nella prima parte è illustra­ta la natura dei legami bambi­no-madre (o sostituto mater­no), in una parola che cosa sia l'ammaternamento, le con­seguenze che derivano dalla sua riuscita, dalla sua assenza (non-ammaternamento), dal­la sua brutale rottura (de-am­maternamento).

Alla luce di questi fatti sono studiate le condizioni per la riuscita dell'adozione, le ragio­ni del suo insuccesso, l'iniquità di certe sentenze e la inade­guatezza della legge che non riconosce ancora il diritto ina­lienabile del bambino ad ave­re sempre presso di sé colei che lo ama.

L'opera è particolarmente ri­volta ai genitori adottivi, agli aspiranti tali e a tutti coloro (operatori sociali, magistrati, avvocati) che si interessano al problema.

Il lavoro, pubblicato dalla ri­vista «Maternità e Infanzia» (N. 1-3 del 1966), è stato rac­colto in un volumetto di 66 pa­gine, disponibile presso l'Unio­ne Italiana per la Promozione dei Diritti del Minore.

 

 

Presso l'Unione sono pure disponibili le seguenti pubbli­cazioni:

 

M. SOULE', J. NOEL, F. BOU­CHARD, La selezione dei ge­nitori adottivi, estratto da Maternità e Infanzia N. 7-8 1967.

H. M. OGER O.P., I problemi morali, religiosi e canonici posti dall'adozione, estratto da Problemi Minorili N. 3-4 del 1967.

J. BOUVEZ, Oltre i cinque an­ni... rifiuteremo di amarli (L'adozione dei bambini grandicelli), estratto da I­giene mentale, fasc. II del 1967.

Atti del Convegno di Assisi (14-15-16 maggio 1967) su «Problemi dell'infanzia so­la, dell'adozione e dell'affi­damento familiare», Mater­nità e Infanzia N. 1/1968.

 

www.fondazionepromozionesociale.it