Prospettive assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968

 

 

ATTUALITA'

 

L'ADOZIONE DEI BAMBINI HANDICAPPATI E GRANDICELLI

 

 

Particolarmente complessi e delicati sono i problemi posti dall'adozione dei bambini già grandi e di quelli che presenta­no handicaps di vario genere: minorazioni fisiche, psichiche, ritardi mentali, disturbi del ca­rattere e altre difficoltà parti­colari.

Le adozioni di questi bambi­ni sono indubbiamente difficili, ma certamente non impossibi­li.

 

ECCO IL CASO DI MARISA: UN'ADOZIONE DIFFICILE.

 

La piccola Marisa, ammessa dalla nascita all'Istituto Pro­vinciale per l'infanzia, vi rima­se ininterrottamente fino all'età di quattro anni e mezzo.

Sin dai primi giorni di vita il suo sviluppo non si presentò normale. La bambina, infatti, ebbe nei primi giorni scosse di tremori e in seguito superò frequenti dispepsie, faringiti, bronchiti, stomatite, otite.

All'età di un anno presentò episodi di ipertermia elevata. A ventidue mesi presentò cri­si convulsiva con cianosi, ocu­logiro, perdita della coscienza. A quattro anni un'altra crisi a­naloga. Un notevole ritardo del­lo sviluppo psicomotorio ven­ne indicato dai test praticati al­la bambina all'età di quattro anni.

Il giudizio formulato dal cen­tro medico-psico-pedagogico, dove furono praticati i tests, risultò il seguente:

«Non è possibile effettuare una esatta valutazione del li­vello di sviluppo psico-motorio a causa del comportamento del soggetto che si chiude in un totale negativismo e rifiuta la minima collaborazione. Si sup­pone un ritardo mentale abba­stanza grave: il linguaggio è assente, la comprensione limi­tatissima, la reazione nulla. Al ritardo mentale intellettivo fa riscontro un notevole ipoevolu­tismo fisico. Grave frenastenia cerebropatica, non completa­mente irrecuperabile. Si propo­ne trasferimento in istituto or­tofrenico».

Un istituto per insufficienti mentali recuperabili rifiutò la bambina perchè priva dei re­quisiti richiesti dal regolamen­to.

All'età di quattro anni e mez­zo Marisa venne accolta in un istituto medico-pedagogico do­ve vi rimase poco più di un anno. In questo periodo si co­minciò a notare un leggero mi­glioramento delle condizioni fi­siche della bambina, mentre le condizioni psichiche permane­vano pressoché invariate. An­che se appariva più collabora­tiva e rispondente agli stimoli, Marisa restava molto chiusa ed aveva rapporti difficili con tut­te le persone. La bambina sof­friva inoltre di una grave for­ma di enuresi.

Si pensò a questo punto di tentare un affidamento familia­re, ma, dopo appena quattro giorni, la bimba venne ricon­dotta in istituto dagli affidata­ri, impressionati dal suo com­portamento. Marisa in quei giorni aveva rifiutato il cibo, non parlava, non voleva dormi­re e aveva frequenti crisi di pianto.

In istituto Marisa vi rimase alcuni mesi, quindi per motivi organizzativi venne dimessa e trasferita in un reparto aperto medico psico-pedagogico degli ospedali psichiatrici. Qui la bambina rimase circa 8 mesi e fu in questo periodo che le sue condizioni generali cominciaro­no gradatamente a migliorare.

L'atteggiamento della bambi­na in origine puramente passi­vo, poco partecipativo, rivelò in seguito ad una serie di se­dute di terapia di appoggio e di adattamento una partecipazio­ne discretamente attiva e una certa iniziativa. Marisa comin­ciò ad integrarsi nel gruppo a cui era stata assegnata e l'enu­resi, di cui soffriva frequente­mente, divenne un fenomeno sporadico e saltuario.

Il livello mentale (Q.I. 68) ora si inquadrava in una insuf­ficienza di grado medio accom­pagnata da ritardo motorio per il quale la bambina era sotto­posta a rieducazione psico-mo­toria. Si ritenne a questo pun­to possibile un certo recupero e parve opportuno tentare un affidamento adottivo. Si pensò di affidarla ai coniugi T. che molto tempo prima avevano richiesto una bambina in adozio­ne e che in quel periodo si era­no presentati nuovamente per sollecitare la loro pratica.

L'assistente sociale incarica­ta dell'inchiesta che viene svolta a seguito della doman­da di adozione, aveva manife­stato riserve sulla loro età: 56 e 46 anni e sull'aspetto piutto­sto duro della signora. La si­gnora T. era infatti poco espan­siva e sembra si fosse rinchiu­sa nelle abitudini quotidiane e in un sistema di vita poco fa­vorevole allo sviluppo armo­nioso di un bambino. Non col­tivava amicizie di sorta e la sua vita era dedita esclusiva­mente alla cura della casa. La signora si annoiava a restare sola e per questo aveva deciso di orientarsi verso l'adozione. Il signor T. dal canto suo ave­va pienamente condiviso e ap­poggiato il progetto della mo­glie.

Tutte queste circostanze, senza essere di per sé sfavo­revoli in senso assoluto, ave­vano fatto sì che la domanda dei coniugi T. non venisse pre­sa in particolare considerazio­ne, tuttavia, nel corso di ulteriori colloqui, si ebbe modo di apprezzare le doti di cuore e di dedizione dei due coniugi.

Dopo aver spiegato le ragio­ni per le quali essi facilmente non avrebbero potuto avere una bambina, si propose loro di occuparsi della piccola Ma­risa.

Naturalmente i coniugi T. fu­rono informati in modo com­pleto delle caratteristiche del­la bambina, del suo ritardo, del fatto che la vita trascorsa l'a­veva resa fragile e bisognosa di molte più cure e tenerezza di un bambino normale, e del­la possibilità di risultati sco­raggianti. Dapprima reticenti, perchè temevano di non esse­re capaci di affrontare le dif­ficoltà del suo allevamento e della sua educazione, in segui­to accettarono di vederla.

Il giorno in cui avvenne il primo incontro, essi dimostra­rono notevole sensibilità e comprensione di fronte al com­portamento della bambina che si chiuse in un mutismo asso­luto e non si lasciò per nulla avvicinare.

Si fece in modo che avvenis­sero altri incontri, seguiti poi da passeggiate all'esterno dell'istituto.

Marisa cominciò a poco a poco a notare la presenza dei signori T. e a mostrarsi affet­tuosa ed espansiva.

I coniugi intensificarono le loro premure e attenzioni e quando parve che fossero stati stabiliti dei rapporti affettivi abbastanza profondi, si permi­se che portassero la bambina a casa loro. Marisa aveva quasi sette anni.

L'assistente sociale che ave­va svolto l'inchiesta prelimina­re si impegnò di offrire il suo aiuto per tutto il periodo di af­fidamento.

Essa visitò regolarmente e frequentemente i coniugi T. e svolse un'azione di sostegno non tanto con i consigli dati quanto con il suo interessa­mento e con la sua presenza a­michevole.

Dopo quattro mesi di affida­mento l'assistente sociale rife­riva: «Marisa è completamente cambiata, è passata dal fre­quente mutismo e dalla timi­dezza di un tempo ad una lo­quacità e disinvoltura notevo­le. I signori T. hanno accettato Marisa così com'è e la consi­derano già loro figlia: quotidia­namente sono impegnati nell'aiutarla e migliorarsi. Anche Marisa dimostra di essersi af­fezionata ai coniugi T. e non vuole più sapere di tornare in istituto.

Marisa che all'ingresso in famiglia non sapeva minima­mente scrivere, ora ha impa­rato alcune nozioni elementari ed è quotidianamente impegna­ta nel compito che il suo papà le assegna. Fa vita all'aria a­perta, ha molti vestiti e giocat­toli, mangia con appetito, non bagna più il letto».

Marisa cominciò così a mi­gliorare e a normalizzarsi pro­gressivamente. Anche il livello intellettuale di Marisa andò no­tevolmente migliorando e la bambina apparve in grado di essere inserita in una comuni­tà scolastica normale.

Dopo solo un anno di affi­damento, considerati i risulta­ti raggiunti dalla bambina sia sul piano affettivo sia su quel­lo intellettivo, i coniugi T. chie­sero di procedere all'adozione legale di Marisa.

Ora sono trascorsi tre anni dall'affidamento e Marisa ap­pare completamente rassere­nata. I sintomi del ritardo psi­chico e affettivo sono scom­parsi e la bambina è molto af­fezionata ai suoi genitori.

I coniugi T. dal canto loro, malgrado qualche inevitabile difficoltà, sono soddisfatti del­la loro decisione e la bambina, ora legalmente adottata, appa­re normalizzata.

 

PROBLEMI RELATIVI AI BAM­BINI HANDICAPPATI

 

Abbiamo riferito il caso di Marisa, il caso cioè di un'ado­zione difficile, la cui riuscita è stata molto buona, per dimo­strare che questo tipo di ado­zione può essere attuato, a con­dizione che vengano prese tut­te le precauzioni indispensabili.

Sino ad alcuni anni fa non si discuteva neppure, o lo si face­va solo marginalmente, delle adozioni dei bambini handicap­pati.

Purtroppo gli stessi operatori sociali prendevano poco in con­siderazione i bambini handicap­pati come adottabili e non si adoperavano minimamente per una loro sistemazione adottiva né per altra sistemazione che non fosse legata alla forma del «ricovero».

Questi bambini venivano, quindi, condannati a vivere la loro vita in istituti.

Si pensava erroneamente che nessuna famiglia avrebbe desiderato accogliere un bam­bino che non fosse sano, per­fettamente normale e senza problemi.

Ma negli ultimi anni, grazie all'evoluzione del problema e a nuove aperture nella mentalità comune, si è andato diffonden­do il concetto che questi bam­bini hanno diritto quanto gli al­tri a trovare nel calore e nell'affetto di una famiglia la spe­ranza di un miglioramento e ta­lora anche di una guarigione delle loro minorazioni.

Così gli operatori sociali han­no cominciato ad affrontare il problema e a guardare con un occhio nuovo ai tipi di bambini che prima venivano considerati «inadottabili».

Accogliere in casa propria un bambino molto piccolo e normale è in fondo diventata una cosa relativamente facile, largamente accettata, che non pone grandi problemi, quando si è fatta una valida selezione dei genitori. Ma nei confronti dei bambini handicappati i pro­blemi che si profilano sono tanti.

Bisogna innanzitutto lavorare intensamente sia per il reperi­mento di questi minori e dei possibili genitori, sia per per­suadere il pubblico, gli uffici amministrativi, i responsabili di istituti e altri professionisti come medici e psicologi, della necessità di dare una famiglia anche a questi bambini. Ancora oggi molti operatori sociali sono del parere che so­prattutto per i bambini carat­teriali o con ritardi mentali (le resistenze sono minori per gli handicaps fisici) non sia op­portuna un'adozione, ma che un affidamento educativo oppu­re un istituto specializzato pos­sano costituire dalle scelte pre­ferenziali.

La nostra esperienza in que­sto campo ci conforta a non escludere la possibilità di ado­zione di tali bambini.

Le famiglie disposte ad acco­gliere bambini fragili, eredo­luetici, con difetti fisici, bam­bini caratteriali e di scarsa in­telligenza, si trovano.

Il lavoro degli operatori so­ciali, in questi casi, è estrema­mente delicato e difficile e la sua riuscita dipende molto dal­la personalità, dalla capacità e dall'entusiasmo di chi lo com­pie.

Ma questo tipo di lavoro, se è ben condotto, può dare dei risultati soddisfacenti rispar­miando a molti di questi bam­bini di continuare a vivere ne­gli istituti. Indubbiamente la scelta dei coniugi adatti pre­senta una maggiore comples­sità e richiede in chi la opera molta pazienza, intuito e pro­fonda conoscenza sia del bam­bino che dei futuri genitori, in considerazione dei maggiori ri­schi cui si può andare incontro con una adozione fallita.

Queste forme di adozione de­vono quindi essere esaminate con molta prudenza e con mol­ta obbiettività.

Occorre far riflettere fino in fondo i candidati a queste ado­zioni e non presentare loro una prospettiva esclusivamente ot­timista.

Nel problema dell'adozione di bambini handicappati biso­gna valutare le risorse profon­de dei futuri genitori.

Bisogna tener presente che questi genitori devono e do­vranno poter contare su una loro solidità fisica e psichica, affinché non succeda che ad un certo momento non abbiano la forza necessaria per l'educazio­ne di un bimbo handicappato.

E' anche necessario una cer­ta disponibilità finanziaria per­ché un bambino handicappato può comportare spese finanzia­rie che i genitori devono esse­re in grado di fronteggiare per conservare una certa libertà di azione e una certa libertà af­fettiva.

Un momento particolarmente importante è l'ingresso del bambino in famiglia.

Si tratta di preparare questo ingresso non solo come scelta del nucleo più sicuro e adatto a «quel particolare bambino», ma anche e soprattutto come preparazione a questo ingresso che si esplica concretamente con il chiarire ai genitori il loro compito e le esigenze del bam­bino, nel dar loro il modo di as­suefarsi al compito che si so­no scelti con serena, chiara co­scienza dei problemi che devo­no affrontare nella specifica si­tuazione imposta loro da «quel bambino».

 

L'ADOZIONE DEI BAMBINI GRANDICELLI

 

Vediamo ora il problema dei bambini grandicelli.

Sappiamo per esperienza che le preferenze dei genitori adot­tivi vanno ai bambini molto pic­coli e del tutto sprovvisti di esperienze familiari.

Difficilmente una coppia, a meno che non si tratti di coniu­gi anziani, richiede di adottare un bambino già grande che ab­bia avuto rapporti affettivi con la sua famiglia d'origine.

Le adozioni di bambini gran­dicelli possono tutte considerarsi difficili, se non altro per gli effetti negativi delle prece­denti esperienze di vita dei mi­nori e pertanto sia gli adottanti che i minori devono essere og­getto di attento studio, date le maggiori difficoltà di inseri­mento familiare.

Dalla capacità e dall'espe­rienza dell'operatore sociale di­pende sovente l'accettazione di questi bambini da parte degli adottanti e la riuscita di que­ste adozioni.

L'operatore sociale, nel cor­so dei colloqui, anche quando il desiderio originario dei ri­chiedenti era quello di adotta­re un bambino molto piccolo, non mancherà di insistere sull'esiguo numero di bambini adottabili in tenera età e sulla necessità di dare una famiglia anche ai bambini già grandi; nello stesso tempo vedrà se è possibile interessare i richie­denti ad un fanciullo con requi­siti diversi da quelli richiesti.

Il problema fondamentale è quello di far accettare a questi possibili genitori il fatto che il bambino abbia un passato che non appartiene a loro e una sua personalità che essi dovranno accogliere senza riserve.

Per quanto riguarda, quindi, l'affidamento di bambini grandi­celli, è chiaro che in questi ca­si occorre anche prendere par­ticolari precauzioni nella scel­ta dei genitori adottivi che de­vono possedere assolutamente notevoli qualità.

La nostra esperienza ci per­mette di affermare che l'ado­zione può felicemente riuscire anche in questi casi e rappre­senta sempre un beneficio per il bambino, a condizione che anch'egli partecipi alle decisio­ni sul proprio avvenire, ove ne abbia l'età. e che gli sia con­sentito di formarsi un giudizio sui suoi genitori adottivi e di accettarli, che le sue esigenze siano comprese ed accettate dai genitori adottivi, che sia compreso anche il rimpianto che, per un certo periodo, il bambino può manifestare nei confronti dei piccoli compagni di collegio e di qualche educa­tore.

Quando nella storia del bam­bino si riscontrano vari cambia­menti di ambiente, è facile che il bambino sia disturbato e che l'affidamento adottivo presenti particolari problemi.

E' evidente che questo caso richiede molta più pazienza e più tempo per l'adattamento del bambino nella famiglia adottiva.

E' possibile fare adottare questi bambini anche quando hanno dieci, dodici o più anni di età.

Se il bambino è al disotto dei cinque anni e normale, è rela­tivamente facile sistemarlo. Mano a mano che diventa più grande, diventa più difficile.

Bambini grandicelli che pre­sentano anche altre difficoltà particolari (minorazioni, malat­tie, disturbi del carattere ecc.) sono indubbiamente più diffi­cili da sistemare. Ma la siste­mazione adottiva di questi casi, anche se difficile, non è impos­sibile.

 

IL CASO DI GIOVANNA: L'A­DOZIONE DI UNA QUATTOR­DICENNE

 

Giovanna venne ammessa all'Istituto Provinciale per l'Infan­zia all'età di un mese, in con­dizioni fisiche scadenti.

La madre, gravemente epilet­tica, ricoverata in ospedale psi­chiatrico dopo il parto, non si occupò mai della figlia.

La bambina presentò nei prí­mi anni di vita una gracile co­stituzione fisica, carattere irre­quieto e ritardo mentale.

All'età di sei anni, Giovanna venne trasferita in una colonia climatica permanente con an­nesse scuole elementari. Il pro­fitto scolastico di Giovanna si rivelò presto insufficiente. Fre­quentò due volte con scarso profitto la prima e la seconda elementare.

Il sistema nervoso della bam­bina appariva fragile, l'intelli­genza tardiva. La memoria era labile. Giovanna frequentò due volte anche la quarta elemen­tare.

Il profitto era scadente in tut­te le materie, salvo in disegno per il quale dimostrava una particolare disposizione.

La bambina rilevava, oltre al­le difficoltà di apprendimento scolastico, instabilità ed ano­malie del carattere.

All'età di dodici anni, venne sottoposta a visita medico-psi­cologica e a tests mentali.

Il giudizio formulato risultò il seguente:

«Il soggetto presenta evi­denti note affettivo-inibitorie che ostacolano l'adattamento. Manifesta incapacità a stabili­re un rapporto interpersonale. La collaborazione è puramente esecutiva. Il patrimonio nozio­nistico è notevolmente povero, con insufficiente capacità di esprimere e a percepire con­cetti. La critica e il giudizio sono infantili. Le facoltà intel­lettive sono deficitarie. La com­prensione è scadente. Il livello di sviluppo intellettivo si aggi­ra sugli anni otto (Q.I. = 67).

Sotto l'aspetto affettivo si segnala: la facile suggestiona­bilità ed il vivo bisogno di affe­zione.

Si suppone un'insufficienza mentale di grado medio in sog­getto con disturbi del compor­tamento imputabile a disadat­tamento ambientale.

Si consiglia l'avvio ad istitu­to adatto».

Poiché era vivo nella bambi­na il problema affettivo, si pro­pose ai signori P. (60 e 52 an­ni) di occuparsi di Giovanna.

I signori P. non avevano mai avuto figli pur avendoli viva­mente desiderati, e avevano pensato tardi di orientarsi ver­so l'adozione.

Nonostante l'età avanzata, i coniugi apparivano giovanili e pieni di iniziative. Dimostrava­no di possedere buone capacità affettive ed educative. Infor­mati delle caratteristiche e dei problemi di Giovanna, manife­starono perplessità circa la possibilità di accoglierla in fa­miglia a scopo adottivo, ma si dichiararono disposti a seguirla in istituto e ad occuparsi di lei anche in futuro.

Giovanna ebbe così la possi­bilità di ricevere frequenti vi­site da parte dei signori P. e di trascorrere periodi di vacanza con loro in famiglia.

Giovanna cominciò a progre­dire sotto tutti gli aspetti. Ini­zialmente chiusa, taciturna, po­co espansiva, cominciò grada­tamente ad aprirsi e a diventa­re più serena e affettuosa.

Dopo otto mesi dal primo in­contro, considerati i progressi della bambina e poiché nel frat­tempo si era stabilito un buon legame affettivo, i signori P. fe­cero presente la loro intenzio­ne di accogliere definitivamen­te Giovanna nella loro casa e di adottarla legalmente.

Giovanna trascorse quindici giorni con i coniugi P. in occa­sione delle feste di Natale.

In questa circostanza i signo­ri P. notarono che il carattere di Giovanna era ribelle e riten­nero di non essere sufficiente­mente dotati di fermezza e de­cisione per far fronte alle diffi­coltà che il carattere della ra­gazza avrebbe inevitabilmente comportato.

Decisero, quindi, di abbando­nare l'idea dell'adozione, ma continuarono a seguire con af­fetto Giovanna in istituto e a provvedere materialmente alle sue piccole necessità.

Infatti Giovanna frequentò la quinta elementare, a quattordi­ci anni, con un rendimento sco­lastico superiore agli anni pre­cedenti.

L'interessamento dei coniugi sembrò avere effetti positivi su Giovanna. E di nuovo i si­gnori P. pensarono di orientar­si all'adozione.

Tuttavia, prima di prendere la decisione definitiva, vollero rimettersi al parere dello psi­cologo e chiesero che Giovanna venisse sottoposta ad esa­me psicologico-medico e a tests mentali.

I risultati purtroppo non fu­rono incoraggianti e il giudizio formulato risultò il seguente:

«Il soggetto si è dimostrato collaborativo e attento durante le prove che ha affrontato con impegno.

Il suo comportamento è ap­parso decisamente infantile. Il livello di sviluppo intellet­tivo (Q.I. 63) rivela un deficit molto marcato e di spiccato ri­lievo patologico, nel senso di una debolezza mentale molto notevole.

Si può tener conto della flut­tuazione dell'età e dell'ambiente di vita di per sé non molto attivizzante e quindi pensare che tale quoziente possa alzar­si di qualche punto.

Il soggetto rivela una profon­da immaturità nella elaborazio­ne del pensiero e nell'organiz­zazione affettiva e uno stato profondo di inibizione che sup­pone la presenza di disturbi nella sfera complessiva della personalità e del carattere, sui quali, al momento attuale, non si possono fornire ulteriori pre-­cisazioni.

In conclusione, l'esame ha evidenziato un soggetto deci­samente deficitario sul piano mentale, già ai limiti inferiori della debolezza mentale, con marcate note di immaturità af­fettiva e probabili disturbi nella sfera del carattere.

Si ritiene tuttavia possibile una certa recuperabilità del soggetto, seppure sempre in un quadro molto inferiore alla norma.

Si pensa che i problemi di ca­renza affettiva, le note di ini­bizione, ed una parte degli at­teggiamenti immaturi siano mo­dificabili in senso positivo.

E' evidente tuttavia che re­steranno sempre le forti limi­tazioni intellettive, mentre sa­rebbe illegittimo al momento attuale fare delle previsioni sul­lo sviluppo della personalità».

I signori P. si sentirono po­co incoraggiati a proseguire nel tentativo di recuperare Giovanna e gradatamente si staccarono da lei. Lo stesso psicologo d'altronde li aveva consigliati a desistere dall'idea di proseguire nell'impresa.

Nel frattempo vennero da noi i signori R. (56 e 48 anni), re­sidenti in un piccolo centro, non molto distante dalla città.

I signori R. formavano una coppia molto unita e, pur es­sendo persone culturalmente e socialmente modeste, rivelavano una profonda sensibilità umana e grandi doti di cuore e di dedizione.

Con i coniugi viveva l'anzia­na madre della signora, una donna molto dolce e buona, che da giovane aveva allevato as­sieme ai suoi sette figli un bambino illegittimo al quale era rimasta sempre e profon­damente legata, anche dopo il ritorno del ragazzo presso la madre naturale.

I signori R., sposati da molti anni, non avevano potuto avere figli, ma la loro unione era sta­ta ugualmente felice e senza incrinature.

Quando vennero da noi e si prospettò loro il caso di Giovanna, i signori R. non manife­starono perplessità né per l'età né per il ritardo scolastico. Una bambina di 11 anni era sta­ta adottata da una coppia di loro amici l'anno prima e l'ado­zione si era rivelata particolar­mente felice. I coniugi R. per tanto non ebbero difficoltà ad accettare Giovanna, malgrado i suoi quattordici anni ed i re­lativi problemi.

Essi desideravano profonda­mente dare una famiglia a Giovanna, senza esigere nulla di particolare da lei.

Frequentarono qualche tem­po Giovanna in istituto e gli in­contri furono pieni di calore da parte dei signori R.

Finita la scuola, Giovanna chiese di trascorrere con loro le vacanze.

Tra Giovanna e i coniugi si stabilì presto un rapporto di grande confidenza; Giovanna incominciò quasi subito a chia­marli «mamma» e «papà» spontaneamente e la dolcezza della vecchia nonna contribuì a mettere perfettamente a suo agio Giovanna e a sbloccarla completamente.

Giovanna chiese di non tor­nare più in istituto.

Volle frequentare la prima media e fu promossa a giugno. L'anno successivo frequentò la seconda media e fu di nuovo promossa senza difficoltà (1).

Anche l'ambiente scolastico fu favorevole a Giovanna. Da tutti fu accettata completamen­te e senza riserve e tutti si mo­strarono aperti ai suoi problemi.

Anche dai parenti dei signo­ri R. venne accettata pienamen­te e Giovanna fu molto fiera di poter vantare numerosi zii e cugini.

Ora Giovanna, già adottata legalmente, ha 17 anni ed ap­pare perfettamente inserita in famiglia e nell'ambiente esterno. E' diventata una ragazzina spigliata, disinvolta e senza problemi.

 

AZIONE DI SOSTEGNO NEL PERIODO DI AFFIDAMENTO

 

Nei casi di adozione sia di bambini grandicelli sia di bam­bini handicappati, l'operatore sociale deve offrire il suo aiuto costante per tutto il periodo di affidamento.

Una stretta collaborazione si dovrà stabilire tra i genitori e l'operatore sociale allo scopo di aiutare l'inserimento del bambino.

Gli adottanti devono essere seguiti, aiutati e sostenuti in questo pericolo. Vi è tutto un lavoro da fare da cui sovente dipende il futuro della nuova famiglia.

Gli interventi dell'operatore sociale non devono essere con­siderati come ispezioni o con­trolli, al contrario essi devono essere accettati come un mez­zo di collaborazione avente lo scopo di aiutare la famiglia per il migliore inserimento del bambino.

In genere le famiglie sono liete di essere assistite da una persona esperta nella risoluzio­ne dei problemi che ogni affida­mento di questo tipo comporta.

Per l'adozione, quindi, di casi delicati, come quello di un bam­bino grandicello o di un bam­bino handicappato, è molto im­portante che l'operatore socia­le conosca bene, da un lato, gli adottanti e la loro personalità e, dall'altro, il bambino con il suo passato, il suo comporta­mento in occasione delle pre­cedenti separazioni, il grado di attaccamento alla sua famiglia di origine, il suo sviluppo men­tale al momento dell'affidamen­to, per poter adeguatamente se­guire la famiglia e il bambino nella fase di adattamento. L'o­peratore sociale dovrà pure far presente che non sempre è possibile il totale recupero del bambino.

Nessuna pressione deve es­sere fatta per ottenere la lega­lizzazione dell'adozione, ma agli adottanti di bambini gran­dicelli o handicappati deve es­sere assicurata la massima li­bertà in questo senso.

Essi stessi, in genere, quan­do il rapporto affettivo con il bambino è ben consolidato, sol­lecitano la legalizzazione dell'adozione.

 

(1) Si noti la grande differenza fra i risultati scolastici conseguiti da Giovanna e le conclusioni assoluta­mente negative dell'ultima diagnosi.

 

 

L'ATTIVITA' DELL'I.P.I. DI TORINO

 

Le due storie riportate non sono casi isolati; nella tabella sono riportati i dati relativi ai minori affidati dall'Istituto Pro­vinciale Infanzia di Torino ne­gli anni 1965, 1966, 1967.

 

 

1965

1966

1967

Totale minori affidati

171

156

144

Minori con problemi particolari

40

28

36

Francia

minori

8 (di cui 3 coppie

di fratelli)

6

5 (di cui 2 coppie

di fratelli)

U.S.A.

»

3 fratelli

6

2

Svizzera

»

-

-

2

Olanda

»

-

1

-

Piemonte

»

19

15

17

Lombardia

»

4

4

6

Campania

»

-

1

1

Toscana

»

1

-

1

Liguria

»

1

-

-

Sicilia

»

2

-

1

Emilia

»

-

-

1

Veneto

»

1

-

-

Abruzzi

»

1

-

-

 

 

40

28

36

 

 

1965

1966

1967

Situazione minori:

 

 

 

di età da 5 a 8 anni

8

7

10

di età da 8 a 10 anni

6

4

10

di età superiore ai 10 anni

14

5

6

eredoluetici

3

5

4

focomelici

1

-

1

con malattie organiche varie

6

9

2

deboli mentali

7 (1)

5 (2)

3 (3)

con disfunzioni del Timo

-

1

-

con spina bifida

-

1

-

sordomuti

-

1

-

con fratture multiple degli arti

-

1

-

cardiopatici

-

1

-

con lussazione bilat. dell'anca

-

1

-

caratteriali

-

3

6

spastici

-

-

1

con grave menomazione degli

arti inferiori da lussazione patologica

-

-

1

 

45

44

44

in età superiore ai 5 anni ed

handicappati

5

16

8

 

40

28

36

 

 

 

(1) Tutti provenienti da istituti per subnormali - Quoziente minimo 60.

(2) Tre provenienti da istituti per subnormali - Quoziente minimo 55.

(3) Tutti provenienti da istituti per subnormali - Quoziente minimo 45.

MARIA ATTISANI

 

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