Prospettive assistenziali, n. 1, gennaio-marzo 1968

 

 

ATTUALITÀ

 

SONO VALIDI I GROSSI ISTITUTI DI ASSISTENZA?

 

 

Il 7 ottobre 1967 è stato inaugu­rato a Quarto (Genova) il nuovo Istituto Provinciale per la Protezione e l'Assistenza all'Infanzia. Si tratta di un grandioso complesso, articolato in cinque padiglioni, tre dei quali destinati ai servizi e agli alloggi del personale e due ai bam­bini, rispettivamente ai lattanti e a quelli più grandicelli. In tutto l'i­stituto ha la capienza di 400-500 bambini. Il presidente Saragat, pre­sente all'inaugurazione, ha tenuto un discorso, nel quale ha grandemente lodato l'iniziativa, sottoli­neando specialmente la sua gran­diosità e imponenza. Citiamo le sue stesse parole: «La civiltà di un popolo non si misura soltanto dal volume della produzione industriale, ma anche dall'ampiezza delle sue realizzazioni sociali. E queste, a loro volta, diventano mi­sura di civiltà specialmente nel settore dell'istruzione e dell'assi­stenza all'infanzia e in genere del­le cure rivolte alle nuove genera­zioni». Ora, noi siamo convinti che questo punto di vista costituisca un vizio di base per molte recenti realizzazioni di carattere assisten­ziale. Il criterio di giudizio in que­sto campo infatti non può certa­mente essere quello dell'imponen­za, ma quello della effettiva rispon­denza alle esigenze della catego­ria che si vuole assistere. Dovreb­be avere importanza, a nostro av­viso, non tanto il numero degli assistiti, quanto l'efficacia dell'ope­ra assistenziale, sul piano indivi­duale e sociale. Ci sembra lecito dunque, anziché plaudire a simili iniziative, esaminare criticamente le loro effettive possibilità di suc­cesso in campo educativo e assi­stenziale, per essere ben sicuri che i molti miliardi che esse as­sorbono siano effettivamente ben impiegati, e non costituiscano in­vece un inutile spreco di mezzi, destinato ad esaltare la munificen­za dei singoli enti e ad addormentare per così dire la responsabili­tà dei singoli cittadini verso le ca­tegorie degli assistiti (1).

Anche a Torino, qualche anno fa, è stato presentato dalla Provincia un progetto similare, destinato pe­rò ai bambini subnormali. L'istituto doveva avere una capienza ancora maggiore di quello di Genova ed era concepito come una pic­cola città, sufficientemente autonoma, con scuole, negozi, uffici, ecc. esclusivamente riservati ai ricove­rati. In quell'occasione l'Unione indisse una tavola rotonda per fare il punto su tale iniziativa: ad essa parteciparono il prof. Gutierrez, docente di psicologia differenziale clinica e direttore del Centro me­dico-pedagogico dell'Istituto Sale­siano di Roma; il prof. Giordano, docente di neuropsichiatria infan­tile a Roma; il prof. Dell'Acqua, di­rigente del Centro di formazione e di assistenza per minorati in età evolutiva del Comune di Milano; la dott. Vaccarino Castagnone, as­sistente sociale ed esperta del Co­mitato regionale piemontese per la programmazione economica e il dott. Donelli, direttore dell'Ente Scuola Educatori di Ulano.

Il progetto della Provincia vive ora un periodo di letargo; tuttavia ci sembra possa essere utilissimo ed ancora molto attuale riproporre qui le conclusioni alle quali i cin­que esperti giunsero allora nei riguardi dei criteri secondo i quali devono essere giudicate e soprat­tutto devono essere impostate iniziative di questo genere.

Il prof. Gutierrez, sottolineando che il fine di ogni opera assisten­ziale deve essere il bene del bambino, ha sostenuto prima di tutto che occorre avere il coraggio di ri­vedere completamente le struttu­re assistenziali che si siano rive­late inadeguate al loro scopo, an­ziché limitarsi a modificarle. Per questo, ogni programma assisten­ziale deve partire da una serie di criteri di base ben precisi, per i quali l'assistenza dovrà essere: tempestiva, continuata, globale e finalizzata. Il primo problema dunque è quello della tempestività del­la diagnosi, garanzia prima di ogni possibilità di successo nel recu­pero dell'insufficiente mentale. In­fatti, nel periodo che va fino ai 6 anni, il bambino presenta una no­tevole plasticità e le sue funzioni psichiche più elementari sono più facilmente aggredibili. Oggi il settore maggiormente curato è quel­lo della scuola elementare; in real­tà il bambino arriva spesso alla prima elementare già rovinato da errate impostazioni educative, che rendono estremamente difficili le possibilità di recupero. E' quindi necessario spostare l'attenzione non tanto sulla Scuola Materna, come già si incomincia a fare, quanto sulla stessa famiglia.

In secondo luogo l'assistenza de­ve essere continuata: bisogna ren­dersi ben conto che l'insufficiente mentale resterà tale per tutta la sua vita. Perciò non basta occupar­sene negli anni scolastici o pre­scolastici, ma bisogna curare la sua preparazione al lavoro e a un mondo sociale più ampio e seguir­lo anche dopo questo inserimento.

L'assistenza deve poi essere glo­bale, cioè tener presente da una parte i vari aspetti della minorazione psichica e dall'altro tutte le forze che possono collaborare all'assistenza, cercando di elimina­re gli eventuali scompensi. Ma so­prattutto è necessario che l'assi­stenza sia finalizzata costantemen­te al recupero del soggetto per se stesso e per la società. Non ser­ve a niente aiutare l'insufficiente mentale oggi per abbandonarlo do­mani, come purtroppo avviene spesso.

Ora, il progetto della Provincia non sembra corrispondere a questi criteri: non a quello della tempestività, poiché il settore prescola­stico previsto ha la forma di in­ternato ed è quindi automaticamente destinato solo ai bambini senza famiglia, il che richiama al­la mente il vecchio paradosso «Non tutti hanno la fortuna di es­sere orfani o illegittimi»; d'altra parte è assente anche la continui­tà, in quanto l'istituto manca di un adeguato servizio sociale che da un lato aiuti le famiglie nei primi anni di vita del bambino e dall'al­tro segua il ragazzo dopo l'uscita dall'Istituto. Ma un istituto di que­sto tipo corre soprattutto il rischio di perdere di vista la sua finalità. La sua organizzazione su vasta scala infatti rende difficili i rap­porti dell'insufficiente mentale con la sua famiglia e inoltre la lunga permanenza in istituto, sistemati­camente prevista, determinerà gra­vi difficoltà di inserimento sociale, poiché il ragazzo si sarà abituato alla sola compagnia di insufficien­ti mentali.

In conclusione quindi, la valuta­zione dell'iniziativa della Provincia, pur tenendo presente la positività del suo sforzo di miglioramento, non può che essere negativa.

Il prof. Giordano ha insistito sul­la necessità che ogni nuova inizia­tiva di questo tipo sia fondata su una seria indagine statistica, non condotta per campione e limitata­mente alla popolazione scolastica, ma capillare e articolata per ogni zona della Provincia, tale da rende­re possibile una effettiva e concreta conoscenza delle esigenze alle quali si vuole andare incontro. Una indagine di questo tipo porterebbe tra l'altro a rendersi conto che so­lo una percentuale piuttosto esi­gua dei bambini normalmente rite­nuti ricoverabili in un istituto ad internato ha veramente bisogno di questo tipo di assistenza, mentre per molti sarebbe di molto maggior utilità un istituto ad esternato si­tuato il più possibile nelle vicinan­ze della propria abitazione, e per altri l'assistenza dovrebbe addirit­tura essere spostata nell'ambito stesso della famiglia. Il prof. Gior­dano ha poi fatto alcune precisa­zioni sul ruolo del pedo-psichiatra nell'assistenza ai subnormali e sui Centri di Osservazione per bambi­ni sub-normali, che ogni Provincia dovrebbe avere, mantenendoli ben distinti dai servizi per malati men­tali. Il pedo-psichiatra deve avere sempre presente che la psichiatria infantile è una scienza pluri-professionale e che quindi la sua opera potrà essere feconda soltanto se alimentata e condotta nella più piena collaborazione con gli altri membri dell'équipe direttiva. Tale scambio tra le diverse discipline potrà attuarsi più facilmente se l'i­stituto potrà appoggiarsi ad una sede universitaria, che da un lato garantisca la serietà e l'aggiorna­mento della ricerca dell'impegno scientifico e dall'altro assicuri la formazione di un personale diret­tivo qualificato e responsabile. La Provincia dal canto suo dovrà curare attentamente la formazione del personale di assistenza diret­ta, poiché esso si trova di fatto a dover sostituire immediatamente la famiglia e deve quindi essere capace di controllare le reazioni emotive che il contatto con i sub­normali generalmente suscita.

Il prof. Dell'Acqua ha preso lo spunto dalla sua concreta espe­rienza professionale per suggerire come dovrebbe essere impostata una scuola speciale per subnorma­li. Il criterio di base deve essere quello che, là ove una famiglia e­siste, l'istituto non può e non de­ve sostituirsi ad essa, poiché l'educazione del proprio bambino, an­che subnormale, è un peso e una responsabilità che non le devono essere tolti. Per questo motivo i ragazzi devono poter tornare a ca­sa alla sera o almeno bisogna fa­cilitare con ogni mezzo i loro rap­porti con la famiglia. Il prof. Del­l'Acqua ha poi ribadito l'importan­za di una stretta collaborazione tra il personale medico e quello edu­cativo, insistendo però sulla neces­sità della presenza fissa in istitu­to di un pedagogo, che assicuri la continuità e soprattutto l'unità del­lo sforzo educativo, curando il pas­saggio dalle direttive suggerite dall'équipe medico-psico-pedagogi­ca alla loro concreta attuazione da parte dei maestri e degli educa­tori. E' inoltre indispensabile che, prima dell'ingresso nella scuola, un Centro di Osservazione esami­ni ogni ragazzo, per accertare, me­diante la determinazione del quo­ziente intellettuale, del livello sco­lastico mentale, della situazione familiare, le sue reali possibilità di "educabilità" nell'ambito di una collettività di questo tipo. Per quanto riguarda il metodo didatti­co, bisogna tener presente che le facoltà intellettuali di questi ragaz­zi sono sì in genere compromesse in maniera globale e diffusa, ma che la facoltà di elaborazione è più colpita delle facoltà di acquisi­zione. Sono ragazzi incapaci di a­strazione, comprendono solo dati concreti. Sarà perciò molto impor­tante disporre di un materiale di­dattico speciale molto ricco e va­rio e soprattutto saperlo usare correttamente. Si dovrà inoltre ov­viare allo stato di diffusa malde­strezza, quasi sempre presente in questi soggetti, con un'adeguata educazione motoria, specialmente della piccola muscolatura della mano, tanto più importante in quan­to essi dovranno necessariamente esercitare un'attività manuale. A­nalogamente, bisogna cercare di curare le altre eventuali minora­zioni, che spesso accompagnano il deficit mentale di questi ragaz­zi (difetti del visus, del linguaggio, della sensibilità, ecc.) con una rie­ducazione specializzata. Tuttavia bisognerà evitare le separazioni di comodo tra i ragazzi (ad es. se­condo il quoziente intellettuale, la minorazione secondaria, ecc.), poi­ché lo scambio tra di loro è sem­pre molto proficuo. Lo sforzo for­mativo deve poi estendersi dalla vera e propria educazione scolasti­ca all'impiego del tempo libero. Non basta prevedere la tradiziona­le "ricreazione" in un salone o in un giardino; il ragazzo dopo la scuola deve poter ritrovare l'inti­mità e il ripensamento, il dialogo con una persona sempre uguale. Soprattutto non si deve dimentica­re che la rieducazione è fallita in se stessa, se alla fine non porta ad un inserimento socio-lavorativo. Occorre perciò abituare i ragazzi a quegli automatismi, a quelle capa­cità di generalizzare, per cui in un domani possano saper adoperare i loro strumenti di lavoro. Per realiz­zare questo inserimento, si posso­no adottare varie soluzioni: in o­gni modo il ragazzo deve ritorna­re in famiglia. Si possono colloca­re presso piccoli artigiani pazien­ti, che assumono la funzione del padre, oppure nei cosiddetti "labo­ratori protetti" (nei quali cioè a certi strumenti lavorativi sono sta­te aggiunte determinate protezio­ni perchè il ragazzo non si faccia male). Si dovrà in certi casi ricor­rere alle cosiddette "stanze di compensazione ", laboratori nei quali i soggetti più colpiti, che non potranno mai inserirsi nel vero e proprio mondo lavorativo, compio­no particolari lavori senza limiti di tempo e sotto la sorveglianza di personale specializzato, natural­mente con una piccola retribuzio­ne. In ogni modo i laboratori do­vranno essere separati dalla scuo­la, anche se restano nel suo am­bito. Per concludere, si deve ope­rare su tutta la personalità del ra­gazzo, convinti che dietro ogni mi­norazione c'è una personalità che ha dei valori e che può tendere a certi fini e della quale bisogna sal­vaguardare ad ogni costo l'unità.

La dott. Vaccarino Castagnone ha posto l'accento in particolar modo sulla situazione familiare dei bambini subnormali. La reazione della famiglia alla presenza di un figlio subnormale è in genere di tre tipi: 1) rifiuto di ammettere la anormalità, anche piccola, con con­seguente difficoltà di curare il bambino precocemente; 2) accet­tazione completa e superprotetti­va: il bambino vive isolato accan­to alla madre, che ben raramente accetterà di separarsene; 3) ac­cettazione completa e conseguen­te rifiuto. In quest'ultimo caso i bambini finiranno automaticamente e in via pressoché definitiva in istituto. Ma in realtà quanti di es­si hanno veramente bisogno del ri­covero? Certamente ben pochi. La soluzione dovrebbe consistere non nell'internare i bambini, quanto piuttosto nell'analizzare e combattere le cause profonde della rea­zione e della situazione familiare. Per fare un esempio, il 50% dei bambini deboli mentali è stato tro­vato in famiglie immigrate: è chia­ro che qui il problema si sposta all'assistenza agli immigrati.

La dott. Vaccarino Castagnone ha poi portato altri due argomenti di minor gravità, ma tuttavia vali­dissimi sul piano psicologico, con­tro il progetto della Provincia: il primo è che un istituto così impo­nente diverrebbe ben presto per l'opinione pubblica il simbolo stes­so dell'insufficienza mentale, il che potrebbe costituire un ulteriore handicap per l'inserimento sociale dei ragazzi che ne escono. Questo inserimento sarebbe poi reso an­cora più difficile anche da un se­condo motivo, cioè dalla artificio­sità e falsità della vita condotta in istituto (uffici, negozi finti, ecc.), che accrescerebbe il disorienta­mento al momento dell'effettivo contatto con la vita reale.

Il dott. Donelli ha posto prima di tutto una domanda di base: «In una società in trasformazione come la nostra, la formula di un isti­tuto per bambini è ancora la mi­gliore?». Ora, anche se questa forma di assistenza deve certamente essere ridotta di molto nell'uso corrente, è certo che ci saranno sempre dei bambini per i quali es­sa sarà l'unica forma di assisten­za possibile. Tuttavia l'istituto non deve assumersi una funzione pura­mente scolastica o puramente cu­rativo-sanitaria (poiché queste funzioni potrebbero essere soddisfat­te anche al di fuori di esso), ben­sì quella, importantissima, di trasmettere i valori familiari a quei bambini che non li possono assimi­lare nella propria famiglia. Se que­sto è il vero e unico scopo dell'i­stituto, è facile capire che un isti­tuto molto grande non potrà mai rispondere a questa esigenza: es­so infatti dovrà, per forza di cose, guardare più alla vita di comuni­tà che alle esigenze dell'individuo, senza contare che i rapporti con la famiglia saranno resi più complicati e difficili dalle esigenze or­ganizzative e burocratiche. Il pro­blema fondamentale resta però sempre quello del personale, spe­cie di quello interno, a diretto con­tatto con i ragazzi: è un problema che va analizzato e affrontato con vivo senso del concreto e anche con spregiudicatezza. Prevedere un rapporto di un educatore ogni 10-12 ragazzi è certamente molto positi­vo ma è anche molto facile: in realtà bisogna chiedersi se al mo­mento attuale possiamo veramen­te disporre di un tal numero di educatori, sufficientemente prepara­to sia sul piano tecnico sia su quel­lo morale. Non bisogna infatti sot­tovalutare l'importanza del loro ruolo: essi devono saper tradurre il linguaggio psico-pedagogico in termini di rapporto umano; il che esige che abbiano una struttura personale molto solida, un equili­brio e una capacità di controllo e­motivo che li garantiscano di fron­te alle reazioni negative dei ra­gazzi, una mentalità disponibile ed elastica, che permetta loro di ap­plicare le più diverse tecniche e­ducative senza mai perdere di vi­sta il loro scopo finale. Tutto ciò si raggiunge evidentemente sol­tanto con una preparazione adegua­ta e prolungata: ora, esiste oggi in Italia una sola scuola per edu­catori che può diplomare soltanto 20-25 persone all'anno, mentre il bisogno attuale sarebbe di circa 20.000 educatori. Se non si tiene conto in partenza del problema, po­sto in questi termini, si rischia di dover affidare i ragazzi a persone non qualificate o addirittura semi­fallite (maestri in attesa di con­corso, studenti universitari, o peg­gio persone che non sono riuscite a trovare altra occupazione): esse non saranno in grado di seguire e di realizzare gli intendimenti gene­rali dell'istituto, e per di più si sen­tiranno e si comporteranno come provvisorie, con tutte le conse­guenze negative che facilmente si possono immaginare. In conclusio­ne, non si può pensare a proget­ti di questo tipo, se non si è pri­ma affrontato e risolto il problema di fondo della preparazione di un personale qualificato e responsa­bile.

 

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Ci pare non occorra aggiungere altro agli illuminanti e sereni in­terventi dei cinque esperti. Soltan­to vorremmo sottolineare come tutti si siano trovati d'accordo nel sostenere la necessità di una com­pleta revisione della struttura e dell'impostazione del problema "i­stituto", che porti ad una maggior attenzione verso le cause profon­de dei vari disadattamenti e in particolare sull'ambiente familiare: infatti soltanto una revisione radi­cale condotta secondo queste di­rettive potrà rendere efficace ed operante l'intervento, certo positi­vo per lo sforzo finanziario e l'in­dubbio senso di responsabilità, de­gli enti pubblici.

 

 

 

(1) L'iniziativa di costruire un istituto di così vaste proporzioni ed il rilievo dato alla inaugurazione con la presenza del Capo dello Stato ci sembrano in a­perto contrasto con la legge 5.6.67 il cui scopo è la sistemazione in famiglie a­dottive dei bambini privi di focolare.

Si tenga presente che il nuovo Istitu­to Provinciale per l'Infanzia di Genova ha una capienza di 420-450 posti mentre i minori ricoverati (dati tratti dagli An­nuari Statistici dell'Assistenza e della Previdenza Sociale) erano:

al 31.12.1960 n. 274 di cui 113 non riconosciuti

al 31.12.1961 n. 265 di cui 123 non riconosciuti

al 31.12.1962 n. 270 di cui 130 non riconosciuti

al 31.12.1963 n. 290 di cui 145 non riconosciuti

al 31.12.1964 n. 283 di cui 143 non riconosciuti

Rileviamo infine che migliaia sono in Italia le domande di adozione che non vengono soddisfatte!

 

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