Convegno nazionale

“IL DIRITTO DI TUTTI I BAMBINI FIN DALLA NASCITA ALLA FAMIGLIA  E LA PREVENZIONE DELL’ABBANDONO”

 Torino, 21 ottobre 2005

Allegato 5

Proposta di legge della Regione Piemonte per il sostegno alle gestanti e madri in condizione di disagio

Relazione

1. Oggetto e finalità del disegno di legge

La Regione Piemonte con la legge n. 1/2004 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento” ha affidato alla Giunta regionale (articolo 58) il compito di adottare «linee guida per gli enti gestori istituzionali per l’esercizio delle competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti e madri in condizione di disagio individuale, familiare e sociale, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i figli, e gli interventi a favore dei neonati nei primi sessanta giorni di vita».

Poiché le linee guida dell’articolo 58 sono rivolte all’“esercizio delle competenze”, l’attribuzione della competenza istituzionale a soggetti gestori diversi da quelli individuati dall’articolo 5, comma 4, della legge regionale n. 1/2004[2] deve necessariamente essere prevista con una modifica legislativa, si è scelto quindi di predisporre un testo snello che si limita a sancire la competenza istituzionale demandando ad un successivo atto di giunta regionale il dettaglio dell'esercizio della funzione. Ciò appare più confacente allo spirito della legge regionale n. 1/2004 che sancisce principi e competenze più che disciplina di dettaglio e consente inoltre di approfondire le modalità di esercizio della funzione con un atto amministrativo, per propria natura più agile e facilmente modificabile nel tempo.

Con questo disegno di legge si intende quindi modificare la legge regionale n. 1/2004 nel senso di affidare solo ad alcuni enti gestori delle funzioni socio-assistenziali istituzionali del Piemonte, individuati dalla Giunta regionale di concerto con i Comuni, le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto, ed ai necessari interventi a favore dei loro neonati. Per i neonati non riconosciuti gli interventi sono garantiti fino all’adozione definitiva.

2. Obiettivi dell’intervento.

Le vigenti leggi riconoscono alle donne tre importanti diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino procreato, il diritto alla segretezza del parto per chi non riconosce il proprio nato, il diritto all’informazione, compresa quella relativa alla possibilità di un periodo di riflessione successivo al parto per decidere in merito al riconoscimento.

Per quanto riguarda il diritto alla scelta, la sentenza n. 171 del 5 maggio 1994  della Corte costituzionale recita: «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita». È da sottolineare che la gravidanza può innestarsi in una condizione di disagio preesistente della donna, ed essere quindi vissuta con estrema difficoltà e fatica.  Laddove la gravidanza  si colloca in un percorso di grave problematicità sono necessari interventi di sostegno mirati, per consentire alla donna stessa una maggiore serenità, per valutare  la possibilità del riconoscimento  o del non riconoscimento. 

Il diritto alla segretezza del parto, che deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, è assicurato dalla redazione dell’atto di nascita da parte dell’Ufficiale di Stato civile. I passaggi istituzionali successivi (dichiarazione dello stato di adottabilità, sua eventuale sospensione per un periodo massimo di due mesi, nonché particolari casistiche relative alle partorienti minorenni) sono normati dalla legge 183/1984  e successive modifiche disposte dal Tribunale per i minorenni.

Il diritto all’informazione va inteso come il diritto di ogni donna a ricevere una corretta e tempestiva conoscenza della disciplina legislativa e degli aiuti sociali per poter decidere liberamente nei riguardi del riconoscimento.

L’esercizio dei diritti di cui sopra può essere adeguatamente garantito soltanto in un’ottica globale d’intervento che prenda in esame e tenda al superamento della situazione complessiva della gestante fin dalle prime fasi della gravidanza o comunque dal manifestarsi dello stato di difficoltà.

La presente modifica di legge nasce dalla considerazione che i predetti diritti in capo alle gestanti e madri possano essere efficacemente ed efficientemente tutelati da parte di soggetti istituzionali di ampia dimensione territoriale (soprattutto in ordine all’esigenza di segretezza) e in grado di garantire operatori con specifica preparazione professionale in una materia oltremodo delicata. 

3. Aspetti contabili e finanziari

Il disegno di legge non comporta ulteriori oneri a carico dell’amministrazione regionale rispetto a quanto già previsto nella legge regionale n. 1/2004, bensì solo una diversa allocazione delle risorse.

Considerato che il fenomeno su cui interviene la presente modifica di legge non è prevedibile, poiché la spesa storica distinta riguarda soltanto gli interventi relativi ai nati non riconosciuti, la delibera della Giunta regionale prevista al comma 9 contemplerà una fase sperimentale e transitoria anche ai fini dell’assegnazione delle risorse.  

Testo

 Articolo 1.

1. Dopo il comma 5 dell’articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 (Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento)[3], sono aggiunti, infine, i seguenti commi:

«5 bis. Le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto sono gestite dai soggetti gestori individuati dalla Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare e previa concertazione con i comuni.

«5 ter. Nei primi sessanta giorni dopo il parto, tali soggetti gestori garantiscono alle donne di cui al comma 5 bis, già assistite come gestanti, e ai loro nati, gli interventi socio-assistenziali, al fine di sostenere il loro reinserimento sociale. Dopo tale periodo ai medesimi soggetti è assicurata la continuità assistenziale secondo i criteri e le modalità attuative previsti dal comma 5 quinquies. Gli interventi socio-assistenziali a favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti dai medesimi soggetti fino alla adozione definitiva.

«5 quater. Gli interventi di cui al comma 5 bis sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica.

«5 quinquies. Con il provvedimento di individuazione dei soggetti gestori competenti di cui al comma 5 bis, la Giunta regionale definisce altresì criteri, procedure e modalità per l’esercizio delle funzioni.

«5 sexties. Le risorse necessarie a finanziare le attività trovano specifico stanziamento nel fondo regionale di cui all’articolo 35, comma 7».

  

 


[2] (N.d.R.) Il 4° comma dell’articolo 5 della legge della Regione Piemonte n. 1/2004 stabilisce quanto segue: «Entro i termini e sulla base di indicazioni individuati dalla Giunta regionale di concerto con le Province e gli enti gestori istituzionali, le Province trasferiscono agli enti gestori istituzionali del proprio territorio la gestione delle funzioni di cui all’articolo 5 della legge 18 marzo 1993, n. 67 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio assistenziale) relative ai non vedenti, agli audiolesi, ai figli minori riconosciuti dalla sola madre, ai minori esposti all’abbandono, ai figli minori non riconosciuti ed alle gestanti e madri in difficoltà, mettendo a disposizione di tali enti le risorse umane, patrimoniali e finanziarie utilizzate alla data di entrata in vigore della legge nazionale».

[3] (N.d.R.) L’articolo 9 della legge della Regione Piemonte n. 1/2004 sancisce quanto segue: «1. La Regione individua nella gestione associata, ed in particolare in quella consortile, la forma idonea a garantire l’efficacia e l’efficienza degli interventi e dei servizi sociali di competenza dei Comuni e prevede incentivi finanziari a favore dell’esercizio associato delle funzioni e della erogazione della totalità delle prestazioni essenziali entro gli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 8.

«2. La gestione in forma singola dei Comuni capoluogo di provincia è idonea a garantire l’efficacia e l’efficienza degli interventi e dei servizi sociali.

«3. Per la gestione associata delle funzioni, i Comuni adottano le forme associative previste dalla legislazione vigente che ritengono più idonee ad assicurare una ottimale realizzazione del sistema integrato degli interventi e servizi sociali, compresa la gestione associata tramite delega all’Asl, le cui modalità gestionali vengono definite con l’atto di delega.

«4. Gli enti gestori istituzionali che esercitano le attività secondo le forme associative di cui al comma 3 applicano, qualora previsto dai rispettivi statuti, le norme relative all’ordinamento finanziario e contabile di cui alla parte II del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nonché, in quanto applicabili, le norme di cui al titolo IV del medesimo decreto legislativo in riferimento al personale dipendente.

«5. Le attività sociali a rilievo sanitario per la tutela materno-infantile e dell’età evolutiva nonché per adulti ed anziani con limitazione dell’autonomia, le attività di formazione professionale del personale dei servizi sociali e quelle relative all’autorizzazione, accreditamento e vigilanza sui servizi e sulle strutture sono obbligatoriamente gestite in forma associata ai sensi dei commi 1, 2 e 3 o dai Comuni capoluoghi di provincia o dalle Asl delegate. I soggetti gestori assicurano le attività sociali a rilievo sanitario garantendone l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sanitarie a rilievo sociale e con le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria di competenza delle Asl».

[4] Il documento base del “Gemellaggio sociale” è riportato in allegato nel capitolo riguardante le conclusioni operative.

[5] Il testo integrale del disegno di legge è riportato nell’allegato 5 delle conclusioni operative.

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